D. Morena Massaini
La Corte di Appello di Brescia, chiamata
a pronunciarsi su una vertenza relativamente ad un
rapporto di lavoro a progetto certificato intercorso nel
2008, coglie l'occasione per enunciare le
caratteristiche proprie di tale tipologia contrattuale
che la differiscono dal rapporto di lavoro subordinato.
La vicenda processuale
verte su un contratto di lavoro a progetto certificato
(da una competente commissione di certificazione)
dichiarato nullo in prima istanza e convertito così in
rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e
con condanna della società datrice di lavoro alla
corresponsione delle differenze retributive e della
retribuzioni maturate successivamente alla costituzione
in mora. In particolare, dalla lettura della sentenza
emerge quanto segue:
- Pur trattandosi di un
contratto certificato a norma del D.lgs. n. 276 del
2003, la Corte ritiene che cio’ non sia vincolante per
jl giudizio e che non resti pressoche’ nulla di tale
certificazione una volta espunte le affermazioni di pura
valutazione in parte ripetitive di quanto affermato nel
contratto certificato, ma non indicative delle reali
circostanze che possono essere dirimenti per la
qualificazione del rapporto di lavoro voluto dalle parti
- Non puo’ esistere
autonomia del collaboratore nel decidere tempi e modi
della prestazione, laddove quest’ultima sia
predeterminata in modo tale da ridurre l’autonomia a
margini di assoluta irrilevanza
- Dichiarazioni del
collaboratore di non essere soggetto al potere
disciplinare a gerarchico sono prive di valore qualora
cio’ non trovi riscontro nelle reciproche obbligazioni
- In merito alla
genuinità della volontà negoziale espressa dal
collaboratore diretta alla instaurazione di un rapporto
di lavoro a progetto e confermata nella richiesta
(congiuntamente al datore di lavoro) di volere
certificare il rapporto (avanzata dopo la costituzione
del rapporto stesso), la Corte di Appello esprime
qualche dubbio (il lavoratore – straniero - poteva avere
avuto difficoltà di comprensione anche linguistica circa
la portata della procedura di certificazione; la
certificazione aveva riguardato contestualmente una
pluralità di contratti a progetto). E in ogni caso,
sottolineano i Giudici, la volontà delle parti deve
trovare concreto riscontro nel contratto (di lavoro a
progetto) che è stato concluso e attuato
- Costante è la
posizione giurisprudenziale richiamata dalla Corte di
Appello in base alla quale la volontà delle parti è si’
rilevante, ma non lo è nella misura in cui sia diretta
solo alla qualificazione del rapporto a prescindere dal
contenuto delle obbligazioni assunte: la natura del
rapporto, a cui accedono tutele e norme inderogabili
diverse, è materia sottratta alla disponibilità delle
parti.
Tanto premesso, la Corte
d’Appello passa in rassegna le norme sul lavoro a
progetto contenute nella cd. Riforma Biagi (artt. 61
ss.) e osserva che:
- Lo scopo della
normativa e’ di vietare la costituzione di forme di
collaborazioni coordinate a continuative atipiche. La
legge ammette e prevede che i rapporti di collaborazione
coordinata e continuativa, prevalentemente personali e
senza vincolo di subordinazione, siano riconducibili a
uno o piu’progetti specifici, programmi di lavoro o fasi
di esso, determinati dal committente, e gestiti dal
collaboratore in autonomia in funzione del risultato,
nel rispetto del coordinamento con il committente e
indipendentemente dal tempo impiegato per dare
esecuzione all’opera;
- Essa riconosce,
dunque, un unico tipo di rapporto di rapporto di lavoro
non subordinato definito attraverso le caratteristiche
di oggetto e modalità della prestazione:
oggetto: si deve
trattare di un progetto specifico (ovvero piano ideato,
oggettivamente apprezzabile, in funzione di uno scopo da
realizzare) o un programma di lavoro o una fase di
lavoro (specifici) per il perseguimento di un risultato;
la prestazione deve essere altresì delimitabile sul
piano temporale
modalità: devono
consistere in una gestione autonoma della prestazione in
funzione del risultato, nel rispetto, come detto, del
coordinamento con la organizzazione del committente e
indipendentemente dal tempo impiegato;
- Circa la
determinazione del corrispettivo dovuto, l’art. 63 del
D.lgs. n. 276 pone sicuramente problemi di applicazione
atteso il contenuto del tutto generico della norma.
Tuttavia, secondo la Corte d’Appello il riferimento ai
compensi dei lavoratori autonomi (intesi come categoria
ex art. 2222 c.c.) rende esplicito che il termine di
paragone (per determinare il compenso al collaboratore)
siano i piccoli imprenditori o soggetti che hanno
un’organizzazione propria.
- Assume rilevanza per
la definizione della controversia la circostanza che
l’attività oggetto del contratto fosse un servizio
specifico facente parte dell’oggetto sociale della
società e della sua ordinaria attività d’impresa (il
collaboratore si occupava della distribuzione e consegna
di prodotti editoriali per il committente – impresa
costituita in forma di società cooperativa con attività
di trasporto merci per conto terzi -)
- Viene accertata
l’esistenza di un compenso di tipo “orario”, sia pure
stabilito in maniera cumulativa per piu’ di 6 ore e in
assenza di altri elementi che deponessero per una
correlazione del compenso ad elementi diversi dalla
presenza
- I Giudici valutano,
infine, assente una correlazione tra il progetto e il
risultato.
Pertanto, la Corte
d’Appello ritiene che il contratto a progetto sia nullo
per violazione delle disposizioni di cui agli artt. 61
ss cit. in quanto diretto alla costituzione di un
rapporto di collaborazione coordinata e continuativa in
spregio alle citate norme. Ne consegue che, per legge,
un simile rapporto sia da intendersi di lavoro
subordinato a tempo indeterminato sin dalla sua
costituzione.
La Corte è dell’avviso
che la normativa sul lavoro a progetto non contenga una
mera presunzione di subordinazione, ma attui una vera e
propria riqualificazione del rapporto in difformità con
quanto dalle parti dichiarato. Sono così disconosciuti
interessi delle parti che diano luogo a dichiarazioni
negoziali elusive della normativa e a forme di
occupazione precaria.
Grava sul datore di
lavoro provare l’esistenza di un diverso rapporto, onere
che è circoscritto alla prova della sussistenza di un
rapporto di lavoro autonomo ex art. 2222 c.c.. E quanto
fornito e affermato dalla società cooperativa non depone
affatto per l’esistenza di un contratto d’opera. Infine,
la Corte dichiara che la conversione opera a favore
della costituzione di un rapporto di lavoro a tempo
indeterminato e non a tempo determinato, in quanto di
tale ultima fattispecie contrattuale (disciplinata dal
D.lgs. n. 368 del 2001) mancano i presupposti, anche di
forma, non essendo indicata alcuna causale per
l’apposizione del termine.
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