1. La previsione secondo cui non è
consentita l'espulsione degli stranieri conviventi con
parenti entro il secondo grado o con il coniuge che
siano di nazionalità italiana (art. 19, comma secondo,
lett. e) del D.Lgs, n. 286 del 1998) si applica a tutte
le espulsioni giudiziali tra cui, senza dubbio, vi è la
decisione del Tribunale di Sorveglianza
2. Tale principio è ricavabile non
solo dal testo letterale dell'art. 19 che esclude
espressamente dal divieto di espulsione soltanto i casi
previsti dall'art. 13, comma primo, vale a dire nella
ricorrenza di motivi di ordine pubblico o di sicurezza
dello Stato, ma anche dai principi di diritto sanciti
dall'ari:. 8 della Convenzione Europea dei Diritti
dell'Uomo, (cui è stata data esecuzione in Italia con L.
4 agosto 1955, n. 848), secondo cui "ogni persona ha
diritto al rispetto della sua vita privata e familiare,
del suo domicilio e della sua corrispondenza" né "può
esservi ingerenza della pubblica autorità nell'esercizio
di tale diritto se non in quanto tale ingerenza sia
prevista dalla legge e in quanto costituisca una misura
che, in una società democratica, è necessaria per la
sicurezza nazionale, l'ordine pubblico, il benessere
economico del paese, la prevenzione dei reati, la
protezione della salute o della morale o la protezione
dei diritti e delle libertà altrui".
3. A ciò deve aggiungersi che il
decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 5 ha recepito la
Direttiva Europea 2003/86/CE relativa al
ricongiungimento familiare, modificando gli art. 4, 5 e
13 del Testo Unico Immigrazione, stabilendo per il
cittadino straniero regolarmente soggiornante in Italia
di ricongiungersi con il familiare extracomunitario
precedentemente espulso e quindi iscritto al SIS
(Sistema Informativo Schengen) salvo che sia accertato
che egli rappresenti una minaccia concreta e attuale per
l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato; tale
normativa ha in concreto ribadito la ratio di
salvaguardia umanitaria sottesa a tutta la disciplina
dell'immigrazione.
Cassazione, sez. I, 1° giugno 2011,
n. 22100
(Pres. Di Tomassi – Rel. Barbarisi)
Ritenuto in fatto
1. — Con ordinanza deliberata in
data 23 giugno 2010, depositata in cancelleria il 24
giugno 2010, il Tribunale di sorveglianza di Catania
rigettava il reclamo avanzato nell'interesse di B.A.G.
avverso il provvedimento di espulsione dallo Stato
emesso dal Magistrato di Sorveglianza di Siracusa in
data 15 dicembre 2009 a seguito della condanna della
Corte di Appello di Firenze in data 17 settembre 2008 ad
anni due e giorni venti di reclusione per lesioni
personali, cui non si era potuto dare esecuzione, in un
primo momento, per mancanza di documenti identificativi.
H giudice riteneva la pericolosità sociale del soggetto
attuale e grave in considerazione dei gravi precedenti
giudiziari, dello stile di vita adottato e dalle
condizioni di disoccupazione oltre che dall'utilizzo in
passato di numerosi alias, mentre non vi era
dimostrazione di una effettiva convivenza con la moglie
(sposata nell'aprile del 2010). Inoltre veniva osservata
la non applicabilità dell'art. 19 D L.vo 286/98
trattandosi la disposta espulsione una misura di
sicurezza e non una misura alternativa alla detenzione,
2. — Avverso il citato
provvedimento ha personalmente interposto tempestivo
ricorso per Cassazione B.A.G. chiedendone l'annullamento
per i seguenti profili:
a) violazione ed erronea
applicazione dell'art. 235 c.p., in combinato disposto
con gli artt. 1 e 19 comma secondo D. L.vo 286/98 con
riferimento all'art. 606 comma primo lett. b) c.p.p.;
erra il giudice nel ritenere che il motivo ostativo di
cui all'art. 19 D L.vo 286/98 si applichi solo alle
misure alternative alla detenzione e non anche alle
misure di sicurezza ex art. 235 c.p. posto che il D.L.vo
è volto a disciplinare la condizione giuridica dello
straniero in Italia se non disposto da specifiche
disposizione di legge (e tale non può essere considerato
l'art. 235 c.p.) compresa quindi l'ipotesi di espulsione
come misura alternativa alla detenzione dettando le
norme di cui al citato art. 19 disposizioni di carattere
umanitario.
b) manifesta illogicità della
motivazione, con riferimento all'art. 606 comma primo
lett. c) c.p.p.; il giudice non ha tenuto conto del
fatto che il ricorrente dopo essersi sposato abita
stabilmente a quello stesso indirizzo ove ha ricevuto le
notifiche del presente procedimento. Dal 2007 ha inoltre
dichiarato quale sia il suo vero nome sicché non
risponde al vero che egli abbia usato degli alias avendo
esibito il proprio passaporto.
Osserva in diritto
3. — Il ricorso è destituito di
fondamento e va rigettato.
3.1 — Occorre preliminarmente
rilevare, dando continuità a un principio di diritto già
espresso da questa Corte di legittimità e che il
Collegio condivide (Cass., Sez. 3, 3 febbraio 2010 n.
18527, Nabli e altro, rv. 246974), che la previsione
secondo cui non è consentita l'espulsione degli
stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado
o con il coniuge che siano di nazionalità italiana (art.
19, comma secondo, lett. e) del D.Lgs, n. 286 del 1998)
si applica a tutte le espulsioni giudiziali tra cui,
senza dubbio, vi è la decisione del Tribunale di
Sorveglianza, oggetto di ricorso, che ha applicato
l'espulsione del condannato a titolo di misura di
sicurezza.
Tale principio è ricavabile non
solo dal testo letterale dell'art. 19 che esclude
espressamente dal divieto di espulsione soltanto i casi
previsti dall'art. 13, comma primo, vale a dire nella
ricorrenza di motivi di ordine pubblico o di sicurezza
dello Stato, ma anche dai principi di diritto sanciti
dall'ari:. 8 della Convenzione Europea dei Diritti
dell'Uomo, (cui è stata data esecuzione in Italia con L.
4 agosto 1955, n. 848), secondo cui "ogni persona ha
diritto al rispetto della sua vita privata e familiare,
del suo domicilio e della sua corrispondenza" né "può
esservi ingerenza della pubblica autorità nell'esercizio
di tale diritto se non in quanto tale ingerenza sia
prevista dalla legge e in quanto costituisca una misura
che, in una società democratica, è necessaria per la
sicurezza nazionale, l'ordine pubblico, il benessere
economico del paese, la prevenzione dei reati, la
protezione della salute o della morale o la protezione
dei diritti e delle libertà altrui".
A ciò deve aggiungersi che il
decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 5 ha recepito la
Direttiva Europea 2003/86/CE relativa al
ricongiungimento familiare, modificando gli art. 4, 5 e
13 del Testo Unico Immigrazione, stabilendo per il
cittadino straniero regolarmente soggiornante in Italia
di ricongiungersi con il familiare extracomunitario
precedentemente espulso e quindi iscritto al SIS
(Sistema Informativo Schengen) salvo che sia accertato
che egli rappresenti una minaccia concreta e attuale per
l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato; tale
normativa ha in concreto ribadito la ratio di
salvaguardia umanitaria sottesa a tutta la disciplina
dell'immigrazione.
3.2 — Tanto rilevato, se dunque
erra il Tribunale nel ritenere la non applicabilità dei
principi di cui all'art. 19 d.lgs. citato anche alle
misure di sicurezza in tema di espulsione del cittadino
extracomunitario in posizione irregolare, tuttavia va
osservato che non solo il provvedimento gravato motiva
(in modo esaustivo l'attualità della pericolosità del
soggetto, quale desumibile dal significato sintomatico
della grave condanna patita e del fatto che siano stati
da lui utilizzati durante tutta la sua cospicua
biografia criminale nomi identificativi falsi), ma
argomenta altresì, in modo immune da vizi logici e
giuridici (ancorché ad abundantiam rispetto alla
ritenuta non applicabilità del divieto sopra menzionato
ex art. 19 cit.) sulla carenza dimostrativa della reale
convivenza tra il ricorrente e la moglie, prova che
neppure è stata adombrata in questa sede di legittimità.
È ben vero che il ricorrente
(unitamente ad altre doglianze sviluppate nel merito e
dunque in questa sede non ricevibili) sostiene di aver
trasferito (dopo numerosi cambiamenti) il proprio
domicilio (ove convivrebbe con la moglie) a (omissis),
ove è peraltro avvenuta la notificazione degli atti
processuali, ma è anche certo che a tale indirizzo egli
non ha mai ricevuto personalmente (e neppure la moglie)
tali atti, (successivamente infatti ritirati in posta)
mentre la notificazione dell'avviso della presente
udienza è avvenuta presso il difensore ai sensi
dell'art. 161 comma quarto c.p.p. non essendo stato
rinvenuto nessuno all'indicato indirizzo.
Nel ribadire che lo straniero, onde
vantare una ostatività all'espulsione che lo attinge,
deve dimostrare non solo di essere coniugato con un
cittadino di nazionalità italiana, ma altresì che la
convivenza con la stessa è concreta ed effettiva (e ciò
quantomeno per evitare un uso strumentale della norma di
salvaguardia) deve allora ribadirsi essere nella
fattispecie mancante, come rilevato seppur
incidentalmente dal giudice, il presupposto per attivare
il ricongiungimento familiare in presenza oltretutto di
una palese (e motivata) pericolosità residua del
condannato.
4. — Al rigetto del ricorso
consegue di diritto la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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