La ricorrenza di un'ipotesi di
condotta mobbizzante andrà esclusa quante volte la
valutazione complessiva dell'insieme di circostanze
addotte (ed accertate nella loro materialità), pur se
idonea a palesare, singulatim, elementi od episodi di
conflitto sul luogo di lavoro, non consenta di
individuare, secondo un giudizio di verosimiglianza, il
carattere esorbitante ed unitariamente persecutorio e
discriminante nei confronti del singolo del complesso
delle condotte poste in essere sul luogo di lavoro.
Per mobbing si intende comunemente
– in assenza di una definizione normativa - una condotta
del datore di lavoro o del superiore gerarchico,
complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei
confronti di un lavoratore nell'ambiente di lavoro, che
si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili,
reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui
rispetto all’ordinaria gestione del rapporto, espressivi
di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o
alla vessazione del lavoratore, tale che ne consegua un
effetto lesivo della sua salute psicofisica.
Ai fini della configurabilità della
condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto,
rilevanti la molteplicità e globalità di comportamenti a
carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé
leciti, posti in essere in modo miratamente sistematico
e prolungato contro il dipendente secondo un disegno
vessatorio; l’evento lesivo della salute psicofisica del
dipendente; il nesso eziologico tra la condotta del
datore o del superiore gerarchico e la lesione
dell’integrità psicofisica del lavoratore; la prova
dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento
persecutorio.
Nel verificare l’integrazione della
fattispecie che si esamina è quindi necessario, anche in
ragione della sua indeterminatezza, attendere ad una
valutazione complessiva ed unitaria degli episodi
lamentati dal lavoratore, da apprezzare per accertare
tra l’altro: - da un lato, l'idoneità offensiva della
condotta datoriale (desumibile dalle sue caratteristiche
di persecuzione e discriminazione), - e, dall'altro, la
connotazione univocamente emulativa e pretestuosa della
condotta.
Ne consegue che la ricorrenza di
un'ipotesi di condotta mobbizzante andrà esclusa quante
volte la valutazione complessiva dell'insieme di
circostanze addotte (ed accertate nella loro
materialità), pur se idonea a palesare, singulatim,
elementi od episodi di conflitto sul luogo di lavoro,
non consenta di individuare, secondo un giudizio di
verosimiglianza, il carattere esorbitante ed
unitariamente persecutorio e discriminante nei confronti
del singolo del complesso delle condotte poste in essere
sul luogo di lavoro.
E’ in primo luogo necessaria,
quindi, la prova dell'esistenza di un sovrastante
disegno persecutorio, tale da piegare alla sue finalità
i singoli atti cui viene riferito. D’altra parte,
determinati comportamenti non possono essere qualificati
come costitutivi di mobbing, ai fini della pronuncia
risarcitoria richiesta, se è dimostrato che vi è una
ragionevole ed alternativa spiegazione al comportamento
datoriale.
N.
03648/2011REG.PROV.COLL.
N. 05426/2010
REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione
Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro
generale 5426 del 2010, proposto da***
contro***
per la riforma***
Visti il ricorso in appello e i
relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in
giudizio di Isvap - Istituto Vigilanza Assicurazioni
Private e di Interesse Collettivo;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del
giorno 15 aprile 2011 il Cons. Roberto Garofoli e uditi
per le parti gli avvocati Enrico Lubrano e l’avv.to
dello Stato Massarelli;
Ritenuto e considerato in fatto e
diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza gravata il
Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha
accolto il ricorso con cui l’odierno appellante ha
impugnato l’atto con cui l’Istituto per la vigilanza
sulle assicurazioni private e di interesse collettivo
(d’ora in avanti Istituto o ISVAP) ha istituito
l’Ufficio per lo studio dell’evoluzione del diritto
interno ed internazionale delle assicurazioni,
preponendo l’odierno ricorrente, in precedenza
incaricato delle funzioni di Capo del Servizio Albi e
della reggenza della Sezione Albi intermediari e periti
(ric. n. 6970/2008); ha invece respinto il ricorso con
cui l’appellante ha lamentato di essere stato vittima di
una complessiva condotta di mobbing posta in essere
dall’ISVAP (ric. n. 1406/2009).
Nel dettaglio, ad avviso del primo
giudice “non sono invero ravvisabili nel caso di specie
gli elementi identificativi del mobbing: per l’effetto
dovendosi escludere che la lamentata condotta assunta da
ISVAP nei confronti dell’odierno ricorrente sia
caratterizzabile nel quadro di un comportamento
persecutorio e possa, conseguentemente, dar luogo al
pure sollecitato risarcimento del pregiudizio dal dott.
Montesanti lamentato. La pur riscontrata illegittimità
dell’atto (ordine di servizio) con il quale
l’interessato è stato preposto al neo-istituito
l’Ufficio per lo studio dell’evoluzione del diritto
interno ed internazionale delle assicurazioni non
consente, infatti, di apprezzare – ex se riguardata – la
presenza di quella molteplicità di comportamenti di
carattere persecutorio, illeciti o anche leciti ove
singolarmente considerati, la cui realizzazione
miratamente sistematica e prolungata riveli un sotteso
(quanto univoco) intento vessatorio. Né, a tali fini,
rivelano concludente valenza dimostrativa le condotte
dell’Istituto di appartenenza alle quali il dott.
Montesanti annette il divisato carattere “vessatorio”
(rimozione dal Servizio Sanzioni, estromissione da
attività preparatorie di regolamenti, riunioni, gruppi
di studio, comitati, incontri), che si sarebbero
accentuate a seguito della proposizione, da parte del
medesimo, del ricorso n. 3312/2008. Se, infatti,
l’intento “ritorsivo” da parte di ISVAP che il
ricorrente annette alla sollecitazione del sindacato
giurisdizionale dal medesimo promossa non incontra
elementi di accertabile conferma (rilevanti anche sotto
il profilo meramente indiziante), va parimenti escluso
che, sulla base delle evidenze documentali acquisite al
giudizio, sia emersa la presenza di un complessivo
disegno “persecutorio” qualificato da comportamenti
materiali, ovvero da provvedimenti, contraddistinti da
finalità di volontaria e organica vessazione nonché di
discriminazione, con connotazione emulativa e
pretestuosa. Difetta conseguentemente, nella
prospettazione di parte ricorrente, la dimostrata
presenza di elementi a supporto della complessità ed
organicità della strategia vessatoria che, sola, può
consentire di accedere alla prospettata ipotesi di
mobbing”.
Con la stessa sentenza il Tribunale
amministrativo regionale per il Lazio ha anche disatteso
il ricorso proposto avverso gli atti con cui l’Istituto
ha deliberato, per il periodo intercorrente fra il 1°
luglio 2003 ed il 31 dicembre 2007 e per quello dal 1°
gennaio 2008 al 31 dicembre 2010, l’adeguamento del
trattamento retributivo spettante ai suoi dirigenti
(ric. n. 3312 del 2008).
Avverso la reiezione del ricorso n.
1406/2009 insorge con il presente ricorso l’appellante
sostenendo l’erroneità della sentenza di cui chiede
l’annullamento; la reiezione del ricorso n. 3312 del
2008 è invece impugnata dallo stesso appellante con
distinto ricorso dal Collegio definito con distinta
sentenza.
All’udienza del 15 aprile 2011 la
causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
Il ricorso va respinto.
Giova considerare che in primo
grado l’odierno appellante ha, da un lato, impugnato
l’ordine del 14 maggio 2008 n. 218, con il quale è stato
assegnato al neo-istituito Ufficio per lo studio
dell’evoluzione del diritto interno ed internazionale
delle assicurazioni (ric. n. 6970/2008); dall’altro
sostenuto che tale assegnazione funzionale, unitamente
ad un ulteriore complesso di atti e condotte assunti
dall’ISVAP, ne avrebbero determinato una progressiva
marginalizzazione ed un connesso demansionamento,
assuntamente inquadrabili in un contesto di condotte
sussumibili nella fattispecie del mobbing (ric. n.
1406/2009).
Il primo giudice - ritenuta
l’indicata assegnazione del ricorrente all’istituito
Ufficio per lo studio dell’evoluzione del diritto
interno ed internazionale delle assicurazioni affetta da
insufficienza motivazionale, carenza di preliminari
approfondimenti istruttori, nonché da omesso avviso di
inizio del procedimento- ha invece respinto il ricorso
con cui l’appellante ha assunto che l’ISVAP abbia posto
in essere in suo danno una complessiva condotta
mobbizzante.
Ritiene il Collegio di confermare
gli esiti cui è pervenuto il primo giudice, escludendo
che la condotta complessivamente posta in essere
dall’ISVAP nei confronti dell’odierno appellante sia
inquadrabile in una fattispecie di mobbing.
Giova considerare che per mobbing
si intende comunemente – in assenza di una definizione
normativa - una condotta del datore di lavoro o del
superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta
nel tempo, tenuta nei confronti di un lavoratore
nell'ambiente di lavoro, che si manifesta con
comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e
sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto
all’ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un
disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla
vessazione del lavoratore, tale che ne consegua un
effetto lesivo della sua salute psicofisica.
Ai fini della configurabilità della
condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto,
rilevanti la molteplicità e globalità di comportamenti a
carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé
leciti, posti in essere in modo miratamente sistematico
e prolungato contro il dipendente secondo un disegno
vessatorio; l’evento lesivo della salute psicofisica del
dipendente; il nesso eziologico tra la condotta del
datore o del superiore gerarchico e la lesione
dell’integrità psicofisica del lavoratore; la prova
dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento
persecutorio.
Nel verificare l’integrazione della
fattispecie che si esamina è quindi necessario, anche in
ragione della sua indeterminatezza, attendere ad una
valutazione complessiva ed unitaria degli episodi
lamentati dal lavoratore, da apprezzare per accertare
tra l’altro:
- da un lato, l'idoneità offensiva
della condotta datoriale (desumibile dalle sue
caratteristiche di persecuzione e discriminazione),
- e, dall'altro, la connotazione
univocamente emulativa e pretestuosa della condotta.
Ne consegue che la ricorrenza di
un'ipotesi di condotta mobbizzante andrà esclusa quante
volte la valutazione complessiva dell'insieme di
circostanze addotte (ed accertate nella loro
materialità), pur se idonea a palesare, singulatim,
elementi od episodi di conflitto sul luogo di lavoro,
non consenta di individuare, secondo un giudizio di
verosimiglianza, il carattere esorbitante ed
unitariamente persecutorio e discriminante nei confronti
del singolo del complesso delle condotte poste in essere
sul luogo di lavoro.
E’ in primo luogo necessaria,
quindi, la prova dell'esistenza di un sovrastante
disegno persecutorio, tale da piegare alla sue finalità
i singoli atti cui viene riferito.
D’altra parte, determinati
comportamenti non possono essere qualificati come
costitutivi di mobbing, ai fini della pronuncia
risarcitoria richiesta, se è dimostrato che vi è una
ragionevole ed alternativa spiegazione al comportamento
datoriale. Nella specie, questo non si può escludere con
riferimento all’atto - peraltro mai contestato - di
assegnazione ad altro dirigente del Servizio sanzioni,
alle sfavorevoli determinazioni del Consiglio dell’ISVAP
relative all’adeguamento del trattamento retributivo dei
propri dirigenti per il periodo 2003-2010, alla mancata
corresponsione del premio di rendimento per gli anni
2008 e 2009.
Tanto premesso, ritiene il Collegio
che gli indicati elementi costitutivi della fattispecie
di mobbing non risultino presenti nel caso di specie: in
particolare, non può dirsi in alcun modo provata
l’esistenza di un disegno persecutorio elaborato e
perseguito dall’ISVAP in danno dell’odierno ricorrente.
In sé, un atto illegittimo, o più
atti illegittimi di gestione del rapporto in danno del
lavoratore non sono sintomatici della presenza di un
comportamento mobbizzante, occorrendo che ricorrano
tutti gli altri elementi sopra richiamati. Perciò, come
correttamente osservato dal giudice di primo grado, la
pur acclarata illegittimità dell’ordine di servizio
recante preposizione dell’appellante al neo-istituito
Ufficio per lo studio dell’evoluzione del diritto
interno ed internazionale delle assicurazioni non
permette – da sé sola considerata- di affermare
l’integrazione della fattispecie di mobbing. tanto più
che al riscontro della indicata illegittimità lo stesso
giudice di prima istanza è pervenuto avendo accertato
vizi di tipo solo procedimentale.
Non è in senso più generale emersa
la presenza di un complessivo disegno persecutorio
qualificato da comportamenti materiali, ovvero da
provvedimenti, contraddistinti da finalità di volontaria
e organica vessazione nonché di discriminazione, con
connotazione emulativa e pretestuosa.
A maggior ragione risulta
indimostrata la complessità ed organicità della
strategia vessatoria che, sola, può consentire di
accedere alla prospettata ipotesi di mobbing.
Alla stregua delle esposte ragioni
l’appello va quindi respinto.
Segue la condanna del ricorrente
alle spese processuali, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente
pronunciando sull’appello, lo respinge.
Condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali, liquidate in complessivi euro
4.000,00 (quattromila/00).
Ordina che la presente sentenza sia
eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di
consiglio del giorno 15 aprile 2011 con l'intervento dei
magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Roberto Garofoli, Consigliere,
Estensore
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15/06/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3,
cod. proc. amm.) |