di Gabriele Prenna (Guida al
Diritto)
La sentenza del Tribunale di
Messina affronta, tra le altre cose, il tema della data
da cui fare decorrere il periodo “sospetto” dell’azione
revocatoria ex articolo 67 legge fallimentare in ipotesi
di sentenza di fallimento dichiarata in un primo momento
da un Tribunale e successivamente da altro Tribunale per
effetto della decisione della Corte di Cassazione che
aveva riconosciuto l’incompetenza del primo Tribunale.
In particolare, la banca convenuta
(oggetto della domanda era la revocatoria di alcune
rimesse su conto corrente dell’imprenditore fallito)
aveva eccepito l’inammissibilità della domanda del
curatore per decorso del termine del periodo “sospetto”
di un anno, di cui all’articolo 67 legge fallimentare,
dovendosi fare riferimento alla data della seconda
dichiarazione di fallimento.
Il Tribunale di Messina ha ritenuto
tale eccezione non fondata e lo ha fatto sulla scorta di
una motivazione che – a parere di chi scrive – appare
condivisibile e che è in linea sia con la giurisprudenza
di legittimità, sia con la riforma della legge
fallimentare del 2006, sebbene non applicabile nel caso
di specie.
La giurisprudenza della Corte di
Cassazione – formatasi in relazione alla data di
decorrenza della sospensione degli interessi su crediti
pecuniari di cui all’articolo 55 legge fallimentare – è
nel senso che gli effetti tipici del fallimento debbano
essere quelli della pronuncia dichiarativa di fallimento
emessa per prima, essendo irrilevante il difetto di
competenza (Cassazione, Sezioni unite, 18 dicembre 2007,
sentenza n. 26619).
Tale sentenza, infatti, non
potrebbe essere nulla, dovendosi solamente eliminare gli
effetti processuali, con la conseguenza che il
procedimento dovrebbe proseguire ex articolo 50 cod.
proc. civ. innanzi al giudice competente. Dunque il
principio dell’unitarietà del processo dovrebbe essere
applicato anche nell’ambito del giudizio per la
dichiarazione dell’insolvenza, opportunamente adattato
alle particolarità di tale procedimento, primo fra tutte
il fatto che la sentenza di fallimento ha una duplice
funzione: la prima, attiene all’accertamento
dell’insolvenza dell’imprenditore che conclude il
procedimento iniziato a norma dell’articolo 6 legge
fallimentare; la seconda, attiene invece all’avvio della
procedura esecutiva concorsuale. Il principio di
unitarietà dei procedimenti nell’ambito concorsuale
dovrebbe avere come conseguenza che la procedura
esecutiva, avviata con la prima sentenza di fallimento,
prosegua innanzi al nuovo giudice con la salvaguardia
degli effetti della prima sentenza, essendo quest’ultima
provvisoriamente esecutiva.
Si è detto che tale soluzione
sarebbe coerente col principio costituzionale di tutela
della “ragionevole durata e del giusto processo” sancito
dall’articolo 111 della costituzione.
Parimenti, è stato evidenziato che
la soluzione opposta – vale a dire la decorrenza del
periodo sospetto dalla seconda dichiarazione di
fallimento – sarebbe in contrasto “con il sistema
fallimentare”. Infatti, si dovrebbe tenere in
considerazione che: da un lato, la dichiarazione di
insolvenza pronunciata dai due tribunali si basa sugli
stessi presupposti; dall’altro lato, con riguardo agli
atti pregiudizievoli per i creditori, “la denegata
trasmigrazione della procedura ne comporterebbe la
sottrazione alla revocatoria, poiché il periodo sospetto
sarebbe riferito al tempo in cui, in attesa della
soluzione del conflitto di competenza, l'imprenditore
non può gestire la sua impresa per effetto dello
spossessamento, ne' compiere perciò atti lesivi della
par condicio creditorum” (Cassazione, 5 novembre 2010 n.
22544).
Inoltre la tesi che vorrebbe porre
nel nulla gli effetti della sentenza dichiarativa di
fallimento pronunciata dal tribunale incompetente si
scontrerebbe con altre considerazioni circa l’impianto
normativo in materia concorsuale. Ad esempio, si
dovrebbe ritenere che: (i) l’imprenditore sia tornato in
bonis, sebbene il suo stato di insolvenza sia già
accertato;(ii) per effetto della riapertura ex novo
della procedura innanzi al Tribunale designato
competente, i creditori dovrebbero procedere a
ripresentare le domande di insinuazione al fallimento
per una nuova verifica dello stato passivo; (iii) sino
alla decisione della Cassazione sul conflitto o sul
regolamento di competenza, non sarebbe operativo il
divieto per l’imprenditore di compiere atti
pregiudizievoli per il creditore, nonostante la
provvisoria esecutività ex articolo 16, comma 3 della
prima sentenza di fallimento, che lo ha privato della
disponibilità dei suoi beni (Cassazione, 31 maggio 2010
n. 13316.
La sentenza del Tribunale di
Messina omette tuttavia di evidenziare che tale
soluzione è stata peraltro confermata dalla riforma
della legge fallimentare introdotta dal Dlgs 5/2006.
La riforma, infatti, ha introdotto
l’articolo 9 bis che rende esplicita sia la possibilità
di applicazione del regolamento di competenza anche
nell’ambito del procedimento per la dichiarazione di
insolvenza (per la precisione, tale possibilità era
stata già riconosciuta da tempo dalla giurisprudenza),
sia la prosecuzione della procedura apertasi a seguito
di pronunzia di un giudice incompetente innanzi al
giudice competente, sulla base della precedente
valutazione (di sussistenza) dei presupposti dei
fallimento. |