1. Ciascun comproprietario ha
diritto di trarre dal bene comune una utilità più
intensa o anche semplicemente diversa da quella ricavata
eventualmente in concreto dagli altri comproprietari,
purché non ne venga alterata la destinazione o
compromesso il diritto al pari uso.
2. L'utilità che nella specie il
ricorrente pretende ricavare dal marciapiede non è
soltanto più intensa o anche semplicemente diversa da
quella che ne ricavano gli altri i condomini, ma è in
contrasto con la specifica destinazione della parte
comune (transito dei pedoni).
Cassazione, sez. II, 7 giugno 2011,
n. 12310
(Pres. – Rel. Triola)
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il
16 agosto 1998 F.T. conveniva davanti al Tribunale di
Genova il Condominio di via (omissis), nel quale era
proprietario di un locale a piano terra, chiedendo che
venisse accertata la legittimità della sua pretesa a
realizzare degli scivoli fissi tra il marciapiede e la
strada, in modo da consentirgli l'accesso con
autovetture al locale di cui era proprietario, destinato
a box.
In via subordinata chiedeva che
venisse accertato che era diventato titolare di una
servitù di passaggio a carico del marciapiedi
condominiale ed in favore del locale in questione oppure
che tale servitù venisse costituita coattivamente.
Il condominio resisteva alle
domande, che venivano rigettate dal Tribunale di Genova
con sentenza del 6 agosto 2002.
F.T. proponeva appello, ma la Corte
di appello di Genova, con sentenza in data 24 novembre
2004, confermava la decisione di primo grado.
I giudici di secondo grado
ritenevano che F.T. aveva acquistato un locale ad uso
negozio e non un box, per cui non poteva vantare in base
a titolo una servitù a carico del marciapiede per
accedere a tale locale.
Né F.T. aveva acquistato per
usucapione la servitù in questione, in quanto gli
scivoli posti tra il marciapiede e la strada che avevano
consentito l'accesso al locale dell'appellante venivano
rimossi di volta in volta, per cui mancavano le opere
visibili e permanenti di cui all'art. 1061 cod. civ..
Ne conseguiva che il comportamento
(pur ripetuto nel tempo) di chi - posteggiando davanti
al locale - metteva un biglietto per potere essere
reperito (e per potere quindi spostare la propria auto)
non valeva da solo a costituire la servitù e si poteva
spiegare in termini di cortesia e di comprensione per i
problemi di accesso del T.
La pretesa di quest'ultimo di
realizzare degli scivoli permanenti non poteva ritenersi
legittima ai sensi dell'art. 1102 cod. civ., in quanto
il marciapiede per sua natura aveva come funzione tipica
quella di consentire il sicuro transito dei pedoni e
l'utilizzazione dello stesso come accesso al locale di
proprietà dal T. avrebbe comportato il mutamento di
destinazione di tale parte comune e limitato l'uso da
parte degli altri condomini i quali non avrebbero potuto
più transitare su di esso in ogni momento, con la
sicurezza derivante dal trovarsi in luogo in cui le
autovetture non possono accedere.
Erroneamente, infine, F.T.
sosteneva che l'apposizione degli scivoli per cui era
causa doveva considerarsi consentita dalla legge n. 13
del 1989, che invece non prevede la creazione di accessi
diversi ed ulteriori rispetto a quelli già spettanti al
soggetto tutelato.
In ordine alla domanda di
costituzione coattiva di servitù di passaggio la Corte
di appello di Genova, pur ritenendo passivamente
legittimato l'amministratore del condominio, rimetteva
le parti davanti al giudice di primo grado ai sensi
dell'art. 354 cod. proc. civ., in quanto tale servitù
avrebbe dovuto essere costituita anche in danno della
strada che fiancheggiava il marciapiede e faceva parte
di un supercondominio.
Contro tale decisione ha proposto
ricorso per cassazione F.T., con cinque motivi,
illustrati da memoria.
Resiste con controricorso il
condominio di via (omissis), che ha anche proposto
ricorso incidentale, con tre motivi.
Motivi della decisione
Va preliminarmente disposta la
riunione dei ricorsi.
Con il primo motivo il ricorrente
deduce che i giudici di merito non avrebbero
considerato, in relazione alla negazione della esistenza
di una servitù di passaggio di origine negoziale, il
fatto che nel suo atto di acquisto risultava
espressamente che il locale di cui è proprietario era
denunziato come negozio, ma usato con come box e veniva
venduto con tutti gli inerenti diritti, usi, servitù
attive e passive.
Il motivo è infondato, in base alla
decisiva considerazione che in tanto si trasferisce una
servitù con il fondo dominante a cui favore la si
invoca, in quanto tale servitù effettivamente esista e
nella specie non viene spiegato come la servitù di
passaggio dovesse ritenersi provata per la sola
utilizzazione come box del locale di proprietà del
ricorrente.
Con il secondo motivo si censura la
sentenza impugnata per avere la stessa affermato che gli
scivoli non costituivano opere visibili e permanenti ai
fini dell'acquisto della servitù di passaggio, venendo
rimossi di volta in volta e si deduce che i giudici di
merito avrebbero dovuto considerare anche altri indici
al fine di accertare o meno la sussistenza
dell'apparenza della servitù. In particolare la Corte di
appello avrebbe omesso di. considerare la tipologia
della strada e del marciapiede, la tipologia del locale,
l'ampiezza del varco di quest'ultimo, la conformazione e
la tipologia del portone d'ingresso allo stesso
(saracinesca tipica dei garages).
Il motivo è infondato, in quanto
non viene spiegato come dalla potenziale destinazione a
box del locale, in base alla conformazione dello stesso,
fosse desumibile l'esistenza di opere visibili e
permanenti destinate a consentire l'esercizio di una
servitù di passaggio sul presunto fondo servente (il
marciapiedi).
Con il terzo motivo si deduce che
la Corte di appello avrebbe male valutato come mera
tolleranza il comportamento degli altri condomini quando
parcheggiavano le loro autovetture in corrispondenza del
locale di proprietà del ricorrente, lasciando un
biglietto al fine di assicurare la loro reperibilità.
L'esame della doglianza risulta
superfluo a seguito del rigetto del secondo motivo, nel
senso che se mancavano le opere visibili e permanenti è
inutile attardarsi a stabilire se gli atti di potenziale
esercizio della servitù erano ricollegabili o meno alla
tolleranza dei proprietari del fondo servente.
Con il quarto motivo si censura la
motivazione con la quale la sentenza impugnata ha negato
che nella specie l'attraversamento del marciapiede per
accedere al locale di proprietà del ricorrente fosse
lecita ai sensi dell'art. 1102 cod. civ. e si invocano i
principi affermati in materia da questa S.C., secondo i
quali ciascun comproprietario ha diritto di trarre dal
bene comune una utilità più intensa o anche
semplicemente diversa da quella ricavata eventualmente
in concreto dagli altri comproprietari, purché non ne
venga alterata la destinazione o compromesso il diritto
al pari uso.
Il motivo è infondato, in base alla
semplice considerazione che l'utilità che nella specie
il ricorrente pretende ricavare dal marciapiede non è
soltanto più intensa o anche semplicemente diversa da
quella che ne ricavano gli altri i condomini, ma è in
contrasto con la specifica destinazione della parte
comune (transito dei pedoni).
Con il quinto motivo il ricorrente
deduce testualmente: l'art. 2 della legge n. 13/81989
prevede, nel caso in cui il condominio rifiuti di
assumere deliberazioni aventi ad oggetto la eliminazione
di barriere architettoniche, il diritto del portatore di
handicap di installare, a proprie spese, servoscala,
nonché strutture mobili al fine di rendere più agevole
l’accesso agli edifici, agli ascensori ed ai garages.
Tale normativa per il superamento delle barriere
architettoniche, quindi, prescinde dall’esistenza di un
diritto di servitù di passo e consente, comunque, al
portatore di handicap di realizzare, a proprie cura e
spesa, le opere occorrenti per la eliminazione della
barriera architettonica .
Il motivo è infondato, in base alla
semplice considerazione che le opere alle quali fa
riferimento l'art. 2, cit., servono a consentire
l'accesso ai portatori di handicap e non alle
autovetture di proprietà degli stessi e comunque non
risulta dalla formulazione di tale disposizione che
possano anche essere in contrasto con la specifica
destinazione delle parti comuni sulle quali vanno ad
incidere.
Con il primo motivo del ricorso
incidentale il condominio deduce che erroneamente la
Corte di appello ha ritenuto passivamente legittimato
l'amministratore in ordine alla domanda di costituzione
di servitù coattiva di passaggio.
Il motivo è infondato, in base
all'orientamento di questa S.C., secondo il quale ai
sensi dell'art. 1131, secondo comma, cod. civ., la
legittimazione passiva dell'amministratore del
condominio a resistere in giustizio non incontra limiti
e sussiste anche in ordine alle azioni di natura reale
relative alle parti comuni dell'edificio, promosse
contro il condominio da terzi o anche dal singolo
condomino (cfr., in tal senso, da ultimo sent. 10
novembre 2010).
Con il secondo motivo del ricorso
incidentale il condominio, sul presupposto della
fondatezza del primo, deduce che erroneamente, in ordine
alla domanda di costituzione coattiva di servitù di
passaggio, la Corte di appello ha ritenuto di poter
applicare l'art. 354 cod. proc. civ., non essendo
presente in giudizio nessuno dei presunti litisconsorti.
Il motivo è infondato per effetto
della infondatezza del primo.
Con il terzo motivo del ricorso
incidentale il condominio deduce, sul presupposto della
fondatezza del primo e del secondo, che erroneamente la
Corte di appello, sempre in ordine alla domanda di
costituzione di servitù coattiva di passaggio, ha
dichiarato la nullità della sentenza di primo grado,
mentre avrebbe dovuto rigettare la domanda relativa per
difetto di legittimazione passiva dell'amministratore.
Anche tale motivo è infondato,
quale conseguenza della infondatezza di quelli che lo
precedono.
In definitiva, vanno rigettati sia
il ricorso principale che quello incidentale.
La reciproca soccombenza giustifica
la compensazione delle spese del giudizio di
legittimità.
P.Q.M.
la Corte riunisce i ricorsi e li
rigetta; compensa le spese.
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