Franco G. dipendente della S.p.A.
Denso Thermal System ha concordato con l'azienda un
esodo incentivato sottoscrivendo una lettera di
dimissioni in data 6.3.2003 a fronte della quale ha
ricevuto una dichiarazione scritta del responsabile del
personale recante l'impegno aziendale a corrispondergli,
a titolo di incentivazione all'esodo, la somma netta di
euro 20.658,00 da erogare previa sottoscrizione di un
verbale di transazione davanti all'Ufficio del Lavoro di
Torino. Successivamente l'azienda ha predisposto un
verbale nel quale, premesso che il lavoratore aveva
avanzato rivendicazioni economiche a vario titolo e dato
atto delle sue dimissioni venivano offerte due somme:
una di euro 5.165,00 netti a titolo di transazione per
differenze retributive di qualsiasi genere e natura
derivanti dal cessato rapporto di lavoro e una di euro
15.493,00 netti a titolo di incentivazione all'esodo,
con dichiarazione che le parti null'altro avevano a
pretendere per qualunque titolo ragione o causa connesse
al rapporto di lavoro e che Franco G. accettando la
somma complessiva di euro 20.658,00 era completamente
soddisfatto e tacitato di ogni suo avere o pretesa e
rinunciava ad ogni altra azione giudiziale o
stragiudiziale comunque derivante dall'intercorso e
cessato rapporto di lavoro. Franco G. ha rifiutato di
sottoscrivere il verbale rilevando che l'intesa
originariamente intercorsa non prevedeva alcuna rinuncia
o transazione per titoli diversi dalla cessazione del
rapporto di lavoro. L'azienda non gli ha versato alcuna
somma. Franco G. si è rivolto al Tribunale di Torino
che, dopo aver sentito alcuni testi, ha condannato
l'azienda al pagamento della somma di euro 20.658,00
oltre accessori, quale incentivo alle dimissioni da lui
rassegnate. Questa decisione è stata confermata in grado
di appello dalla Corte di Torino la quale ha rilevato
che il lavoratore non era tenuto a firmare il verbale di
conciliazione predisposto dall'azienda in quanto il
contenuto di tale atto era evidentemente diverso da
quello dell'originario accordo. La società ha proposto
ricorso per cassazione censurando la decisione della
Corte torinese per vizi di motivazione e violazione di
legge ed in particolare per avere erroneamente
interpretato le risultanze della prova testimoniale.
La Suprema Corte (Sezione Lavoro n.
12211 del 6 giugno 2011, Pres. Foglia, Rel. Arienzo) ha
rigettato il ricorso. La ricorrente assume - ha
osservato la Cassazione - che la Corte territoriale non
avrebbe attribuito rilievo alcuno alle deposizioni rese
dai testi escussi, interpretando in modo parziale il
contenuto delle loro deposizioni, più per valorizzarne
la parte dello stesso conforme al contenuto della
dichiarazione scritta del 6.3.2003, che per ricavarne
elementi oggettivi idonei ad evidenziare la reale
volontà delle parti, che sarebbe stata nel senso di una
formalizzazione successiva, definitiva e complessiva
delle posizioni economiche delle parti riferite
all'intercorso rapporto di lavoro. Tali censure mirano
nella sostanza ad individuare una progressiva formazione
della volontà delle parti tesa a definire in termini
ultimativi ogni pendenza economica connessa alla
risoluzione del rapporto di lavoro all'atto della
sottoscrizione del verbale dinanzi all'UPLMO, sminuendo
il valore attribuito alla dichiarazione scritta del
6.3.2003, già sufficientemente esaustiva ed idonea a
realizzare l'esodo anticipato del dipendente con
previsione dell'erogazione da parte della società di una
somma quale contropartita di tale uscita dalla società
di Franco G., importo non imputabile anche ad ulteriori
eventuali pretese connesse al pregresso rapporto
lavorativo.
Alla dichiarazione del 6.3.2003
sottoscritta da Franco G., con la quale il predetto
dichiara di rassegnare le dimissioni con decorrenza
31.3.2003 - ha osservato la Cassazione - fa riscontro
la contestuale dichiarazione del responsabile del
personale della società, Roberto F., con la quale si
imputa la somma di euro 20.658,00 netti ad
incentivazione all'uscita, rilevandone la funzione di
definire economicamente tale specifica questione
economica, in funzione integrativa delle competenze di
fine rapporto e con previsione di erogazione
dell'importo a tale titolo convenuto alla data, da
stabilire, della sottoscrizione del verbale di
transazione presso l'UPLMO di Torino; in tale duplice
manifestazione di volontà delle parti contrapposte la
Corte territoriale ha nella sostanza individuato una
transazione "speciale", intendendosi per tale quella con
la quale le parti addivengono ad un accordo che ha ad
oggetto un affare determinato e che produce l'effetto
preclusivo della lite solo limitatamente all'affare
transatto (cfr. Cass. n. 5139/2003).
L'oggetto del negozio transattivo -
ha osservato la Cassazione - va identificato non in
relazione alle espressioni letterali usate dalle parti,
bensì in rapporto all'oggettiva situazione di contrasto
che le parti stesse hanno iniziato a comporre attraverso
reciproche concessioni in relazione alle posizioni
assunte dalle stesse non solo nella lite in atto ma
anche in vista di una controversia che possa insorgere
tra loro e che esse intendono prevenire e il giudice del
merito, al fine di indagare sulla portata e sul
contenuto transattivo di una scrittura negoziale, può
attingere ad ogni elemento idoneo a chiarire i termini
dell'accordo, ancorché non richiamati dai documenti,
senza che ciò comporti violazione del principio in base
al quale la transazione deve essere provata per iscritto
(cfr. Cass. 729/2003). In tema di interpretazione dei
contratti, poi, qualora le espressioni letterali
utilizzate non siano sufficienti per ricostruire la
comune volontà delle stesse, occorre avere riguardo
all'intento comune che esse hanno perseguito. In
riferimento, in particolare, alla interpretazione del
contratto di transazione, per verificare se sia
configurabile tale negozio, occorre indagare innanzi
tutto se le parti, mediante l'accordo, abbiano
perseguito la finalità di porre fine all'incertus litis
eventus, senza tuttavia che sia perciò necessario che
esse esteriorizzino il dissenso sulle contrapposte
pretese, né che siano usate espressioni direttamente
rivelatrici del negozio transattivo, la cui esistenza
può essere anche desunta da una corresponsione di somma
di denaro da parte del debitore, accettata dal creditore
dichiarando di essere stato pienamente soddisfatto e di
null'altro avere a pretendere, se possa ritenersi che
essa esprima la volontà di porre fine ad ogni ulteriore
contesa. Quanto, poi, ai requisiti dell'aliquid datum e
dell'aliquid retentum, essi non sono da rapportare agli
effettivi diritti delle parti, bensì alle rispettive
pretese e contestazioni e, pertanto, non è necessaria
l'esistenza di un equilibrio economico tra le reciproche
concessioni ( cfr. Cass. n. 7548/2003).
Non costituisce, tuttavia, ostacolo
al riconoscimento di una transazione vincolante il fatto
che le parti abbiano definito transattivamente solo una
parte del contenzioso, riservandosi un successivo
accordo sulla residua materia controversa, salvo che
alla definizione globale dei rapporti pendenti, sia
esplicitamente condizionata l'efficacia dell'accordo
parziale, ovvero sussista una intima e indissolubile
connessione tra i rapporti provvisoriamente definiti e
quelli ancora aperti (Cass. 29 marzo 1985 n. 2207).
Alla stregua di tali principi - ha
affermato la Corte - deve essere valutato il contenuto
dell'accordo transattivo, ulteriormente evidenziandosi
che in tema di transazione stipulata dal lavoratore e
dal datore di lavoro non è ammissibile la prova
testimoniale relativa al diverso contenuto del rapporto
transattivo risultante dal documento sottoscritto dalle
parti, sia nel caso di patti aggiunti o contrari al
contenuto del documento, ostandovi il principio di cui
all'art. 2725 cod. civ., sia nel caso si intenda provare
un contenuto diverso dell'atto rispetto a quello
sottoscritto, ostandovi l'art. 1967 cod. civ. (cfr., al
riguardo Cass. 2 agosto 2007 n. 17015). L'onere di
provare per iscritto la transazione riguarda l'esistenza
ed il contenuto del rapporto transattivo e non si
estende, pertanto, a fatti attinenti alle modalità di
esecuzione o attuazione della transazione medesima,
dimostrabili anche per testi e presunzioni ed anche nel
processo interpretativo relativo all'atto transattivo,
il giudice ben può attingere da elementi pure non
espressamente richiamati nella scrittura, fatti e
circostanze idonee a convalidare il contenuto stesso
dell'atto transattivo ed a precisarne i termini, senza
con ciò violare l'art. 1967 cod. civ. (Cass. 4 settembre
1990 n. 9114). Infine, sempre con riguardo ai mezzi
probatori utilizzabili, le limitazioni stabilite dalla
legge in materia di prova testimoniale sull'esistenza di
un negozio giuridico per il quale è richiesta la prova
scritta ad probationem operano solo quando il negozio è
invocato come fonte di diritti ed obblighi dei quali si
chieda l'adempimento, non quando è invocato come mero
fatto storico influente sulla decisione della
controversia.
Questo essendo il quadro
giurisprudenziale di riferimento - ha affermato la
Cassazione - deve osservarsi che il giudice del merito,
con valutazione non sindacabile se non sotto il profilo
dei vizi oggetto del giudizio di legittimità, ha fornito
una interpretazione delle dichiarazioni scritte
intercorse tra le parti in data 6.3.2003 conforme ai
principi enunciati.
Correttamente è stato ritenuto dal
giudice del merito che l'efficacia dell'intero accordo
parziale non fosse stata condizionata dalle parti al
successivo accordo sulla residua materia controversa,
essendo il tenore della dichiarazione del 6.3.2003 tale
per cui nella stessa si prevedeva, come in maniera
puntuale riportato nella sentenza impugnata, che solo
l'erogazione dell'importo, statuito unicamente quale
incentivazione all'uscita per effetto delle rassegnate
dimissioni - operative dal 31.3.2003 - era prevista in
concomitanza con la sottoscrizione del verbale di
transazione presso l'UPLMO, avendo la Corte
territoriale, con interpretazione conforme ai principi
richiamati, escluso che l'accordo in tali termini
concluso fosse condizionato nella sua totalità alla
definizione più ampia di tutti i rapporti fra le parti,
con contenuto novativo anche dei precedente accordo o
previsto in modo tale da condizionarne la stessa
validità ed efficacia.
La pronunzia impugnata - ha
concluso la Cassazione - non è, in conclusione, incorsa
in alcuna violazione della disposizione dell'art. 1967
cod. civ., nei termini esposti dalla società ricorrente,
avendo il giudice del merito valutato la prova orale
solo nella misura in cui la stessa valesse a chiarire e
a convalidare il contenuto nel negozio transattivo, e
non potendo, al contrario, ritenersi che la prova per
testi o per presunzioni potesse essere idonea a superare
il contenuto dell'accordo intercorso tra le parti.
Ugualmente, non si configura omessa insufficiente o
contraddittoria motivazione della stessa nella parte in
cui, nell'interpretare il contenuto dell'accordo, la
Corte territoriale ha valutato che la transazione era
funzionale alla prevenzione dell'insorgenza di una
possibile lite tra le parti ed alla volontà in tal senso
espressa nell'accordo, ben configurabile ed ipotizzabile
con riguardo a somme da riscuotere, in dipendenza di una
transazione, finalizzate a reintegrare il percepiente
dei mancati redditi provenienti dalla sua attività
all'interno di una società a causa della cessazione
anticipata del rapporto intercorso con questa. |