Nel giudizio di ottemperanza il
Giudice amministrativo può esercitare cumulativamente,
ove ne ricorrano i presupposti, sia poteri sostitutivi
che poteri ordinatori e cassatori e può,
conseguentemente, integrare l'originario disposto della
sentenza con statuizioni che ne costituiscono non mera
esecuzione, ma attuazione in senso stretto, dando luogo
al cosiddetto “giudicato a formazione progressiva",
senza poter ampliare o modificare quanto deciso nella
sentenza da eseguire.
Posto che in sede di giudizio di
ottemperanza il Giudice amministrativo può esercitare
cumulativamente, ove ne ricorrano i presupposti, sia
poteri sostitutivi che poteri ordinatori e cassatori e
può, conseguentemente, integrare l'originario disposto
della sentenza con statuizioni che ne costituiscono non
mera esecuzione, ma attuazione in senso stretto, dando
luogo al cosiddetto “giudicato a formazione progressiva"
(v.: Consiglio Stato, sez. IV, 25 giugno 2010, n. 4131),
senza tuttavia poter ampliare o modificare quanto deciso
nella sentenza da eseguire (soprattutto quando si tratta
di sentenze emesse dall'autorità giudiziaria ordinaria),
va invero considerato che il presupposto del passaggio
in giudicato della sentenza azionata in sede di giudizio
di ottemperanza è ragionevole a causa dell'esercizio
della giurisdizione estesa al merito proprio del
giudizio di ottemperanza e perché non può disconoscersi
che sono obiettivamente diverse le valutazioni di merito
che il Giudice amministrativo prudentemente effettua in
sede di ottemperanza a sentenza del Giudice stesso non
sospesa dal Giudice di appello, rispetto a quelle che
può effettuare nei confronti di sentenza del Giudice
ordinario definitivamente passata in giudicato.
N.
03476/2011REG.PROV.COLL.
N. 08777/2010
REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione
Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro
generale 8777 del 2010, proposto da***
contro***
per la riforma
della sentenza del T.A.R. ABRUZZO -
Sezione Staccata di Pescara, n. 00691/2010, resa tra le
parti, di declaratoria di inammissibilità del ricorso
proposto per l’esecuzione della sentenza 3 giugno 2008
n. 514 del Tribunale di Chieti;
per la declaratoria di
ammissibilità di detto ricorso stante il passaggio in
giudicato di detta sentenza del Tribunale di Chieti n.
514/2008;
In subordine: per la declaratoria
della rilevanza e la non manifesta infondatezza delle
eccezioni di illegittimità costituzionale sollevate con
il ricorso in esame per violazione e contrasto con gli
artt. 3, 24, 97, 111 e 113 della Costituzione in
relazione agli artt. 33 e 37 della legge 1034/1971 e 157
t.u. n. 267/2000 e, per l’effetto, per la rimessione
della questione all’esame della Corte Costituzionale;
Inoltre, a seguito di appello
incidentale del Comune di Vacri, per la declaratoria di
inammissibilità del ricorso in appello;
Visto il ricorso in appello con i
relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in
giudizio e appello incidentale proposto del Comune di
Vacri;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore nella camera di consiglio
del giorno 11 gennaio 2011 il Cons. Antonio Amicuzzi e
uditi per le parti gli avvocati Paolantonio, per delega
dell'Avv. Bosco, e De Carolis, per delega dell'Avv.
Russo;
Ritenuto in fatto e considerato in
diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
I.- La EDIL S.A.N. S.a.s. di Nonno
Maurizio & C. ha adito il T.A.R. Abruzzo, Sezione
staccata di Pescara, ai sensi dell’art. 27, I comma, n.
4), del r.d. 26 giugno 1924 n.1054, perché adottasse i
necessari provvedimenti per la ottemperanza alla
sentenza 3 giugno 2008 n. 514, con la quale il Tribunale
di Chieti (dopo aver, con sentenza n.31 maggio 2007 n.
409, dichiarato risolto, per inadempimento del
committente Comune di Vacri, il contratto di appalto
stipulato con la società Edil S.A.N. di Nonno Silvio &
C. S.a.s. per il recupero del patrimonio edilizio e
dichiarato il diritto della società al risarcimento del
danno, rinviando a separata decisione il prosieguo della
causa per la loro quantificazione) ha condannato il
Comune di Vacri a pagare alla suddetta società la somma
di € 21.408,79 per danni da inadempimento, da maggiorare
per interessi dalla domanda al saldo, nonché al
pagamento delle spese di giudizio, liquidate in € 592,32
per spese, € 4.100,00 per diritti ed € 8.900,00 per
onorari, oltre rimborso forfettario, IVA e CPA di legge.
Detto T.A.R., con la sentenza in
epigrafe indicata, ha dichiarato inammissibile il
ricorso nell’assunto che la possibilità di ricorrere per
l’ottemperanza delle sentenze non passate in giudicato è
ammessa dalla riforma introdotta dall’art. 10 dalla
legge n.205/2000 unicamente per le sentenze di primo
grado del Giudice amministrativo e non per le sentenze
del Giudice ordinario.
Ciò in quanto sarebbe stato
evidente che la sentenza n.514/2008 del Tribunale di
Chieti, della quale era stata chiesta l’ottemperanza,
non era ancora passata in giudicato a causa
dell’appello, all’epoca ancora pendente, sulla prima
sentenza parziale n.409/2007, essendo il definitivo
accertamento in sede giudiziaria della responsabilità
per inadempimento del Comune - affermata, appunto, nella
sentenza n.409/2007 - un presupposto essenziale per la
sussistenza del diritto ad ottenere il pagamento della
somma liquidata nella successiva sentenza a titolo di
risarcimento danni.
Con il ricorso in appello in esame
la EDIL S.A.N. S.a.s. di Nonno Maurizio & C. ha chiesto
la riforma di detta sentenza deducendo i seguenti
motivi:
1.- Posto che, in base al disposto
degli artt. 33, comma 5, e 37, comma 1, della L. n.
1034/1971 non è consentita l’esecuzione dal parte del
Giudice amministrativo delle sentenze del Giudice
ordinario non passate in giudicato, il criterio deve
essere applicato in senso generale, limitando la
verifica alla sussistenza di un giudicato, apparente o
effettivo che sia.
Nel caso che occupa il passaggio in
giudicato della sentenza n. 514/2008 sul “quantum
debeatur”, pur essendo obiettivamente condizionato al
permanere della precedente sentenza n. 409/2007 non
definitiva sull’an, non ha fatto venir meno l’interesse
all’impugnazione della sentenza da ultimo citata,
perché, in caso di accoglimento dell’appello proposto
nei confronti di quest’ultima, si determinerebbe un
obbligo restitutorio dell’impresa che ha ottenuto la
sentenza sul quantum passata in giudicato.
Tuttavia allo stato la pendenza di
detto appello non è idonea a far venir meno il passaggio
in giudicato formatosi sulla sentenza n. 514/2008 del
Tribunale di Chieti sul quantum, della quale è stata
chiesta l’esecuzione, ed a privare sospensivamente e
cautelarmente la stessa della autorità di cosa giudicata
che ha comunque acquisito, che è l’unica condizione
richiesta dall’art. 37 della legge n. 1034/1971 per
poter chiedere al Giudice amministrativo l’esecuzione di
una sentenza del Giudice ordinario.
Una interpretazione restrittiva del
dettato normativo al riguardo mal si concilierebbe con
l’interpretazione rigorosa e strettamente aderente al
dettato letterale degli artt. 33 e 37 della legge n.
1034/1971 data dal Consiglio di Stato, Sezione IV, con
decisione 19 luglio 2004, n. 5208. Sussisterebbe inoltre
contrasto con il principio di parità delle parti sancito
dall’art. 111 della Costituzione, se da un lato si desse
una interpretazione estensiva della norma, ignorando il
dato letterale della norma a beneficio della P.A., e
dall’altro, sempre a beneficio della P.A., si negasse la
possibilità di interpretare estensivamente l’art. 37
della legge n. 1034/1971 in combinato con il precedente
art. 33, nella parte in cui riserva condizioni
differenti alle sentenze di primo grado del G.A. non
sospese in appello e a quelle del G.O..
L’esigenza di una interpretazione
letterale dell’art. 37 della legge n. 1034/1971 sarebbe
comunque doverosa anche a seguito delle ordinanze della
Corte Costituzionale n. 44/2006 e 122/2005, atteso che
dalle conclusioni cui essa è addivenuta (che il giudizio
di ottemperanza concerne, di norma, sentenze passate in
giudicato e tale scelta del legislatore non appare
irragionevole in quanto il giudizio di ottemperanza nei
confronti della P.A. comporta l’esercizio di una
giurisdizione estesa al merito) dovrebbe dissentirsi,
non differendo le valutazioni di merito che il G.A. può
svolgere in sede di ottemperanza di una sentenza
dell’A.G.O. passata in giudicato, rispetto ai poteri del
Giudice dell’ottemperanza ed essendo differente una
sentenza passata in giudicato da una provvisoriamente
esecutiva.
Egualmente risulterebbe violato il
principio di effettività della tutela giurisdizionale
previsto dagli artt. 24 e 113 della Costituzione
(considerato che nei confronti degli Enti locali non è
possibile, ex art. 159 del t.u. n. 267/2000, promuovere
procedure di esecuzione ed espropriazione forzata presso
soggetti diversi dai tesorieri), nonché l’art. 3 della
Costituzione (per disparità di trattamento, del
principio di ragionevole durata del processo previsto
dall’art. 111 della Costituzione e dei principi di buon
andamento di cui all’art. 97 della Costituzione) .
Con atto di costituzione ed appello
incidentale ritualmente notificato e depositato il
16/25.11.2010 il Comune di Vacri ha innanzi tutto
dedotto la infondatezza ed eccepito l’inammissibilità
dell’appello perché la sentenza n. 514/2008 posta in
ottemperanza riguarda il quantum, ma suo presupposto
imprescindibile è l’an, sul quale non si è formato il
giudicato (non rispondendo a logica e a giustizia
disporre il pagamento di una somma della quale non è
stata ancora accertata la spettanza e far esprimere
sulla medesima questione due giudici in maniera
difforme).
Non potrebbe, infatti, formarsi il
giudicato sulla sentenza definitiva relativa al quantum
quando essa è obiettivamente condizionata al permanere
di una precedente sentenza non definitiva sull’an,
essendo esso giudicato da considerare interno; inoltre
sarebbero manifestamente infondate le sollevate
questioni di legittimità costituzionale. Con l’appello
incidentale il Comune di cui trattasi ha censurato la
omessa pronuncia su una eccezione sollevata in primo
grado, di difetto di legittimazione sostanziale e
processuale della ricorrente, avendo proposto il ricorso
per ottemperanza la società EDIL SAN SAS di Nonno
Maurizio & C con denominazione e rappresentanza legale
diverse rispetto alla società che aveva promosso
l’azione, aveva partecipato al giudizio ed in favore
della quale il Tribunale di Chieti aveva emesso sentenza
di condanna al pagamento di somme a titolo di
risarcimento, cioè la Edil San sas di Nonno Silvio & C
Silvio & sas.
La circostanza, rilevabile anche
d’ufficio, comporterebbe la declaratoria di
inammissibilità dell’appello ex art. 35, lettera b) del
d.lgs. n. 104/2010.
Alla camera di consiglio
dell’11.1.2011 i ricorsi sono stato trattenuti in
decisione alla presenza degli avvocati delle parti come
da verbale di causa agli atti del giudizio.
II.- Osserva la Sezione, con
riguardo all’appello principale, che, ai sensi degli
artt. 33, comma 5, e 37, comma 1, della legge n. 1034
del 1971, il ricorso per l'esecuzione da parte del
Giudice amministrativo di una sentenza del Giudice
ordinario presuppone l'esistenza di una sentenza o di un
provvedimento idoneo a dar luogo a giudicato, sicché è
inammissibile la richiesta di esecuzione del giudicato
su di essi se sono privi di natura definitiva e
decisoria, aventi natura cautelare e provvisoria.
Nel caso che occupa la sentenza
n.514/2008 del Tribunale di Chieti, che si è pronunciata
sul quantum e della quale era stata chiesta
l’ottemperanza, non può considerarsi che costituisse
vera e propria “res iudicata” (comportante un
accertamento non più discutibile e contestabile) a causa
della intervenuta proposizione di appello, all’epoca
ancora pendente, sulla prima sentenza n.409/2007 che si
era pronunciata sull’an, sicché deve ritenersi
condivisibile la sentenza di primo grado che ha
dichiarato inammissibile il ricorso proposto per
l’ottemperanza alla sentenza del Giudice ordinario sul
quantum, formalmente, ma non sostanzialmente, passata in
giudicata a causa della pendenza dell'appello sulla
precedente sentenza dello stesso Giudice che si era
pronunciata sull’an.
In base al secondo comma dell'art.
336 c.p.c., la eventuale riforma, con sentenza passata
in giudicato, della sentenza sull'an, è infatti idonea a
determinare l'automatica caducazione della pronuncia sul
quantum. Le statuizioni contenute nella sentenza
definitiva sul quantum trovano, invero, indefettibile
presupposto nella precedente decisione e, essendo ad
essa condizionate, sono soggette ad essere travolte,
nonostante la formazione del giudicato, dalla cassazione
o dalla riforma della sentenza non definitiva
(Cassazione civile, sez. lav., 18 maggio 1989, n. 2362;
Cassazione civile, sez. un., 19 maggio 2008, n. 12642).
Una interpretazione meramente
letterale dell'art.33, comma 5, e del successivo art.
37, comma 1, della legge n.1034/1971 nei termini
invocati dall'odierna appellante risulta preclusa dal
rilievo della sostanziale e decisiva particolarità della
situazione nel caso che occupa considerata, che ne
impedisce ogni assimilazione alla esecuzione da parte
del G.A. della sentenza emanata dal medesimo plesso
giurisdizionale.
Né può concordarsi con l’appellante
che il principio di parità delle parti sarebbe violato
se da un lato si desse una interpretazione estensiva
delle norme sopra citate (ignorando il dato letterale e
ritenendo che, laddove si fa riferimento alle sentenze
del G.O. passate in giudicato, possa escludersi la
sentenza sul quantum passata in giudicato se pende
appello contro una precedente sentenza che si è
pronunciata sull’an) e, dall’altro, si negasse la
possibilità di interpretare estensivamente l’art. 37
della legge n. 1034/1971 in combinato con il precedente
art. 33, nella parte in cui riserva condizioni
differenti alle sentenze di primo grado del G.A. non
sospese in appello e quelle del G.O..
Le implicazioni dell'esecuzione
delle sentenze amministrative, con riguardo ai confini
della relativa tutela giurisdizionale, risultano invero
notevolmente differenti dagli effetti e dai caratteri
propri dell'attuazione delle statuizioni dell'autorità
giudiziaria ordinaria, sicché risulta logicamente
impraticabile ogni lettura della normativa di
riferimento che si fondi sull'analogia tra le due
situazioni e che concluda per l'applicazione del rimedio
di cui all'art. 33, comma 5, della legge n. 1034/71
anche all'ottemperanza delle sentenze pronunciate dal
Giudice ordinario, prima del loro passaggio in
giudicato, che, peraltro, deve essere effettivo e non
soggetto a travolgimento a seguito della definitiva
pronuncia giurisdizionale su una sentenza presupposta a
quella passata in giudicato.
Quanto alle questioni di
costituzionalità sollevate con l’atto di appello esse
vanno riconosciute come manifestamente infondate, atteso
che su di esse si è pronunciata in tal senso la Corte
costituzionale, con sentenza 25 marzo 2005, n. 122, con
riferimento all'art. 37 della l. n. 1034 del 1971, nella
parte in cui non consente l'utilizzazione del giudizio
di ottemperanza con riguardo alle sentenze del G.O.
esecutive, ancorché non passate in giudicato, in
riferimento agli artt. 3, 24, 97, 111 e 113 della
Costituzione, con argomentazioni che alla Sezione
appaiono pienamente condivisibili e non scalfite dalle
censure al riguardo formulate con l’atto di appello.
La scelta del legislatore non è
stata ritenuta irragionevole dal Giudice costituzionale
in quanto la procedura di ottemperanza nei confronti
della P.A. comporta l'esercizio di una giurisdizione
estesa al merito e la previsione dell'art. 33 della L.
n. 1034 del 1971 (secondo la quale il giudizio di
ottemperanza può esercitarsi nei confronti delle
sentenze del T.A.R. non sospese dal Consiglio di Stato)
è frutto della discrezionalità legislativa di voler dare
concretezza al principio di esecutività delle sentenze
di primo grado, evitando che l'Amministrazione possa
arbitrariamente sottrarsi alle pronunce giurisdizionali.
Sono, invero differenti, secondo la
Corte Costituzionale, e quindi non comparabili con
quelle incardinabili innanzi al G.A., le azioni
esecutive esperibili davanti al G.O. secondo le norme di
procedura civile (trattandosi in questo caso di sentenze
o di provvedimenti esecutivi che non richiedono l'esame
di merito proprio del giudizio di ottemperanza), sicché
non può parlarsi di disparità di trattamento fra
l'ipotesi di esecuzione di sentenza amministrativa di
primo grado, perseguita attraverso il giudizio di
ottemperanza, e l'ipotesi di esecuzione delle sentenze
di primo grado del G.O..
Secondo detto Giudice
Costituzionale neppure, attesa la diversità degli
istituti, può parlarsi, in relazione all'esecuzione
delle sentenze del G.O., di pregiudizio per la tutela
dei diritti del creditore o per la ragionevole durata
del processo, la quale è garantita peraltro dai tempi
processuali disposti dal codice di procedura civile,
mentre il principio di buon andamento si riferisce agli
organi dell'Amministrazione della giustizia unicamente
per profili concernenti l'ordinamento degli uffici
giudiziari e il loro funzionamento sotto l'aspetto
amministrativo, ma non riguarda l'esercizio della
funzione giurisdizionale nel suo complesso ed i
provvedimenti che ne costituiscono espressione.
Non condivide in particolare il
Collegio le tesi di parte appellante che non
differirebbero le valutazioni di merito che il G.A. può
svolgere in sede di ottemperanza di una sentenza
dell’A.G.O. passata in giudicato, rispetto ai poteri del
Giudice dell’ottemperanza della sentenza del G.A. ed
essendo comunque differente una sentenza passata in
giudicato da una provvisoriamente esecutiva.
Posto che in sede di giudizio di
ottemperanza il Giudice amministrativo può esercitare
cumulativamente, ove ne ricorrano i presupposti, sia
poteri sostitutivi che poteri ordinatori e cassatori e
può, conseguentemente, integrare l'originario disposto
della sentenza con statuizioni che ne costituiscono non
mera esecuzione, ma attuazione in senso stretto, dando
luogo al c.d. “giudicato a formazione progressiva"
(Consiglio Stato, sez. IV, 25/06/2010, n. 4131), senza
tuttavia poter ampliare o modificare quanto deciso nella
sentenza da eseguire (soprattutto quando si tratta di
sentenze emesse dall'autorità giudiziaria ordinaria), va
invero considerato che il presupposto del passaggio in
giudicato della sentenza azionata in sede di giudizio di
ottemperanza è ragionevole a causa dell'esercizio della
giurisdizione estesa al merito proprio del giudizio di
ottemperanza e perché non può disconoscersi che sono
obiettivamente diverse le valutazioni di merito che il
Giudice amministrativo prudentemente effettua in sede di
ottemperanza a sentenza del Giudice stesso non sospesa
dal Giudice di appello, rispetto a quelle che può
effettuare nei confronti di sentenza del Giudice
ordinario definitivamente passata in giudicato.
In conclusione ritiene la Sezione
che, essendo il ricorso introduttivo del ricorso in
esame volto ad ottenere l'esecuzione di una sentenza del
Giudice ordinario formalmente passata in giudicato, ma
soggetta ad essere travolta dall’eventuale accoglimento
dell’appello proposto sulla sentenza presupposta e
pendente, per quanto in precedenza evidenziato, esso sia
stato correttamente dichiarato inammissibile dal Giudice
di primo grado per impossibilità di applicazione degli
artt. 33 e 37 della L. n. 1034 del 1971, sicché
l’appello deve essere conclusivamente respinto e deve
essere confermata la prima decisione.
Quanto all’appello incidentale
proposto dal Comune di Vacri esso è volto a far valere
le conseguenze della omessa pronuncia del Giudice di
primo grado su una eccezione sollevata in tale fase del
giudizio, di difetto di legittimazione sostanziale e
processuale della ricorrente.
Detto appello incidentale è
qualificabile come c.d. condizionato, essendo volto ad
eliminare la soccombenza dell'appellato nei confronti
dell'appellante, e si pone quale strumento geneticamente
subordinato rispetto alla proposizione del ricorso
principale e il cui scopo principale è quello di
paralizzare l'azione ex adverso proposta, per l'ipotesi
della sua ritenuta fondatezza in sede di gravame; di
conseguenza, all'infondatezza dell'appello principale
non può che conseguire la dichiarazione di
improcedibilità, per difetto di interesse, dell'appello
incidentale condizionato.
In conseguenza della disposta
conferma della sentenza di primo grado, che ha comunque
dichiarato inammissibile il ricorso proposto per
l’esecuzione del giudicato assuntamente formatosi sulla
sentenza del Tribunale di Chieti n. 514/2008, la Sezione
non può quindi che dichiarare il gravame incidentale
condizionato in esame improcedibile per sopravvenuta
carenza di interesse.
La complessità delle questioni
trattate, nonché la peculiarità e la novità del caso,
denotano la sussistenza delle circostanze di cui
all’art. 92, II c., del c.p.c., come modificato
dall’art. 45, XI c., della L. n. 69 del 2009, che
costituiscono ragione sufficiente per compensare fra la
parti le spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede
giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente
decidendo respinge l’appello principale in esame e
dichiara improcedibile l’appello incidentale del Comune
di Vacri per carenza di interesse.
Compensa le spese del presente
grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia
eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di
consiglio del giorno 11 gennaio 2011 con l'intervento
dei magistrati:
Pier Giorgio Trovato, Presidente
Francesco Caringella, Consigliere
Eugenio Mele, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere,
Estensore
Nicola Gaviano, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 08/06/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3,
cod. proc. amm.) |