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Poteri del giudice nel giudizio di ottemperanza-Cons. Stato  03476/2011

 

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Nel giudizio di ottemperanza il Giudice amministrativo può esercitare cumulativamente, ove ne ricorrano i presupposti, sia poteri sostitutivi che poteri ordinatori e cassatori e può, conseguentemente, integrare l'originario disposto della sentenza con statuizioni che ne costituiscono non mera esecuzione, ma attuazione in senso stretto, dando luogo al cosiddetto “giudicato a formazione progressiva", senza poter ampliare o modificare quanto deciso nella sentenza da eseguire.

 

Posto che in sede di giudizio di ottemperanza il Giudice amministrativo può esercitare cumulativamente, ove ne ricorrano i presupposti, sia poteri sostitutivi che poteri ordinatori e cassatori e può, conseguentemente, integrare l'originario disposto della sentenza con statuizioni che ne costituiscono non mera esecuzione, ma attuazione in senso stretto, dando luogo al cosiddetto “giudicato a formazione progressiva" (v.: Consiglio Stato, sez. IV, 25 giugno 2010, n. 4131), senza tuttavia poter ampliare o modificare quanto deciso nella sentenza da eseguire (soprattutto quando si tratta di sentenze emesse dall'autorità giudiziaria ordinaria), va invero considerato che il presupposto del passaggio in giudicato della sentenza azionata in sede di giudizio di ottemperanza è ragionevole a causa dell'esercizio della giurisdizione estesa al merito proprio del giudizio di ottemperanza e perché non può disconoscersi che sono obiettivamente diverse le valutazioni di merito che il Giudice amministrativo prudentemente effettua in sede di ottemperanza a sentenza del Giudice stesso non sospesa dal Giudice di appello, rispetto a quelle che può effettuare nei confronti di sentenza del Giudice ordinario definitivamente passata in giudicato.

 

N. 03476/2011REG.PROV.COLL.

 

N. 08777/2010 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Consiglio di Stato

 

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

 

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale 8777 del 2010, proposto da***

 

contro***

 

per la riforma

 

della sentenza del T.A.R. ABRUZZO - Sezione Staccata di Pescara, n. 00691/2010, resa tra le parti, di declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto per l’esecuzione della sentenza 3 giugno 2008 n. 514 del Tribunale di Chieti;

 

per la declaratoria di ammissibilità di detto ricorso stante il passaggio in giudicato di detta sentenza del Tribunale di Chieti n. 514/2008;

 

In subordine: per la declaratoria della rilevanza e la non manifesta infondatezza delle eccezioni di illegittimità costituzionale sollevate con il ricorso in esame per violazione e contrasto con gli artt. 3, 24, 97, 111 e 113 della Costituzione in relazione agli artt. 33 e 37 della legge 1034/1971 e 157 t.u. n. 267/2000 e, per l’effetto, per la rimessione della questione all’esame della Corte Costituzionale;

 

Inoltre, a seguito di appello incidentale del Comune di Vacri, per la declaratoria di inammissibilità del ricorso in appello;

 

 

 

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

 

Visto l’atto di costituzione in giudizio e appello incidentale proposto del Comune di Vacri;

 

Visti gli atti tutti della causa;

 

Relatore nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2011 il Cons. Antonio Amicuzzi e uditi per le parti gli avvocati Paolantonio, per delega dell'Avv. Bosco, e De Carolis, per delega dell'Avv. Russo;

 

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

 

 

 

FATTO e DIRITTO

 

I.- La EDIL S.A.N. S.a.s. di Nonno Maurizio & C. ha adito il T.A.R. Abruzzo, Sezione staccata di Pescara, ai sensi dell’art. 27, I comma, n. 4), del r.d. 26 giugno 1924 n.1054, perché adottasse i necessari provvedimenti per la ottemperanza alla sentenza 3 giugno 2008 n. 514, con la quale il Tribunale di Chieti (dopo aver, con sentenza n.31 maggio 2007 n. 409, dichiarato risolto, per inadempimento del committente Comune di Vacri, il contratto di appalto stipulato con la società Edil S.A.N. di Nonno Silvio & C. S.a.s. per il recupero del patrimonio edilizio e dichiarato il diritto della società al risarcimento del danno, rinviando a separata decisione il prosieguo della causa per la loro quantificazione) ha condannato il Comune di Vacri a pagare alla suddetta società la somma di € 21.408,79 per danni da inadempimento, da maggiorare per interessi dalla domanda al saldo, nonché al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in € 592,32 per spese, € 4.100,00 per diritti ed € 8.900,00 per onorari, oltre rimborso forfettario, IVA e CPA di legge.

 

Detto T.A.R., con la sentenza in epigrafe indicata, ha dichiarato inammissibile il ricorso nell’assunto che la possibilità di ricorrere per l’ottemperanza delle sentenze non passate in giudicato è ammessa dalla riforma introdotta dall’art. 10 dalla legge n.205/2000 unicamente per le sentenze di primo grado del Giudice amministrativo e non per le sentenze del Giudice ordinario.

 

Ciò in quanto sarebbe stato evidente che la sentenza n.514/2008 del Tribunale di Chieti, della quale era stata chiesta l’ottemperanza, non era ancora passata in giudicato a causa dell’appello, all’epoca ancora pendente, sulla prima sentenza parziale n.409/2007, essendo il definitivo accertamento in sede giudiziaria della responsabilità per inadempimento del Comune - affermata, appunto, nella sentenza n.409/2007 - un presupposto essenziale per la sussistenza del diritto ad ottenere il pagamento della somma liquidata nella successiva sentenza a titolo di risarcimento danni.

 

Con il ricorso in appello in esame la EDIL S.A.N. S.a.s. di Nonno Maurizio & C. ha chiesto la riforma di detta sentenza deducendo i seguenti motivi:

 

1.- Posto che, in base al disposto degli artt. 33, comma 5, e 37, comma 1, della L. n. 1034/1971 non è consentita l’esecuzione dal parte del Giudice amministrativo delle sentenze del Giudice ordinario non passate in giudicato, il criterio deve essere applicato in senso generale, limitando la verifica alla sussistenza di un giudicato, apparente o effettivo che sia.

 

Nel caso che occupa il passaggio in giudicato della sentenza n. 514/2008 sul “quantum debeatur”, pur essendo obiettivamente condizionato al permanere della precedente sentenza n. 409/2007 non definitiva sull’an, non ha fatto venir meno l’interesse all’impugnazione della sentenza da ultimo citata, perché, in caso di accoglimento dell’appello proposto nei confronti di quest’ultima, si determinerebbe un obbligo restitutorio dell’impresa che ha ottenuto la sentenza sul quantum passata in giudicato.

 

Tuttavia allo stato la pendenza di detto appello non è idonea a far venir meno il passaggio in giudicato formatosi sulla sentenza n. 514/2008 del Tribunale di Chieti sul quantum, della quale è stata chiesta l’esecuzione, ed a privare sospensivamente e cautelarmente la stessa della autorità di cosa giudicata che ha comunque acquisito, che è l’unica condizione richiesta dall’art. 37 della legge n. 1034/1971 per poter chiedere al Giudice amministrativo l’esecuzione di una sentenza del Giudice ordinario.

 

Una interpretazione restrittiva del dettato normativo al riguardo mal si concilierebbe con l’interpretazione rigorosa e strettamente aderente al dettato letterale degli artt. 33 e 37 della legge n. 1034/1971 data dal Consiglio di Stato, Sezione IV, con decisione 19 luglio 2004, n. 5208. Sussisterebbe inoltre contrasto con il principio di parità delle parti sancito dall’art. 111 della Costituzione, se da un lato si desse una interpretazione estensiva della norma, ignorando il dato letterale della norma a beneficio della P.A., e dall’altro, sempre a beneficio della P.A., si negasse la possibilità di interpretare estensivamente l’art. 37 della legge n. 1034/1971 in combinato con il precedente art. 33, nella parte in cui riserva condizioni differenti alle sentenze di primo grado del G.A. non sospese in appello e a quelle del G.O..

 

L’esigenza di una interpretazione letterale dell’art. 37 della legge n. 1034/1971 sarebbe comunque doverosa anche a seguito delle ordinanze della Corte Costituzionale n. 44/2006 e 122/2005, atteso che dalle conclusioni cui essa è addivenuta (che il giudizio di ottemperanza concerne, di norma, sentenze passate in giudicato e tale scelta del legislatore non appare irragionevole in quanto il giudizio di ottemperanza nei confronti della P.A. comporta l’esercizio di una giurisdizione estesa al merito) dovrebbe dissentirsi, non differendo le valutazioni di merito che il G.A. può svolgere in sede di ottemperanza di una sentenza dell’A.G.O. passata in giudicato, rispetto ai poteri del Giudice dell’ottemperanza ed essendo differente una sentenza passata in giudicato da una provvisoriamente esecutiva.

 

Egualmente risulterebbe violato il principio di effettività della tutela giurisdizionale previsto dagli artt. 24 e 113 della Costituzione (considerato che nei confronti degli Enti locali non è possibile, ex art. 159 del t.u. n. 267/2000, promuovere procedure di esecuzione ed espropriazione forzata presso soggetti diversi dai tesorieri), nonché l’art. 3 della Costituzione (per disparità di trattamento, del principio di ragionevole durata del processo previsto dall’art. 111 della Costituzione e dei principi di buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione) .

 

Con atto di costituzione ed appello incidentale ritualmente notificato e depositato il 16/25.11.2010 il Comune di Vacri ha innanzi tutto dedotto la infondatezza ed eccepito l’inammissibilità dell’appello perché la sentenza n. 514/2008 posta in ottemperanza riguarda il quantum, ma suo presupposto imprescindibile è l’an, sul quale non si è formato il giudicato (non rispondendo a logica e a giustizia disporre il pagamento di una somma della quale non è stata ancora accertata la spettanza e far esprimere sulla medesima questione due giudici in maniera difforme).

 

Non potrebbe, infatti, formarsi il giudicato sulla sentenza definitiva relativa al quantum quando essa è obiettivamente condizionata al permanere di una precedente sentenza non definitiva sull’an, essendo esso giudicato da considerare interno; inoltre sarebbero manifestamente infondate le sollevate questioni di legittimità costituzionale. Con l’appello incidentale il Comune di cui trattasi ha censurato la omessa pronuncia su una eccezione sollevata in primo grado, di difetto di legittimazione sostanziale e processuale della ricorrente, avendo proposto il ricorso per ottemperanza la società EDIL SAN SAS di Nonno Maurizio & C con denominazione e rappresentanza legale diverse rispetto alla società che aveva promosso l’azione, aveva partecipato al giudizio ed in favore della quale il Tribunale di Chieti aveva emesso sentenza di condanna al pagamento di somme a titolo di risarcimento, cioè la Edil San sas di Nonno Silvio & C Silvio & sas.

 

La circostanza, rilevabile anche d’ufficio, comporterebbe la declaratoria di inammissibilità dell’appello ex art. 35, lettera b) del d.lgs. n. 104/2010.

 

Alla camera di consiglio dell’11.1.2011 i ricorsi sono stato trattenuti in decisione alla presenza degli avvocati delle parti come da verbale di causa agli atti del giudizio.

 

II.- Osserva la Sezione, con riguardo all’appello principale, che, ai sensi degli artt. 33, comma 5, e 37, comma 1, della legge n. 1034 del 1971, il ricorso per l'esecuzione da parte del Giudice amministrativo di una sentenza del Giudice ordinario presuppone l'esistenza di una sentenza o di un provvedimento idoneo a dar luogo a giudicato, sicché è inammissibile la richiesta di esecuzione del giudicato su di essi se sono privi di natura definitiva e decisoria, aventi natura cautelare e provvisoria.

 

Nel caso che occupa la sentenza n.514/2008 del Tribunale di Chieti, che si è pronunciata sul quantum e della quale era stata chiesta l’ottemperanza, non può considerarsi che costituisse vera e propria “res iudicata” (comportante un accertamento non più discutibile e contestabile) a causa della intervenuta proposizione di appello, all’epoca ancora pendente, sulla prima sentenza n.409/2007 che si era pronunciata sull’an, sicché deve ritenersi condivisibile la sentenza di primo grado che ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto per l’ottemperanza alla sentenza del Giudice ordinario sul quantum, formalmente, ma non sostanzialmente, passata in giudicata a causa della pendenza dell'appello sulla precedente sentenza dello stesso Giudice che si era pronunciata sull’an.

 

In base al secondo comma dell'art. 336 c.p.c., la eventuale riforma, con sentenza passata in giudicato, della sentenza sull'an, è infatti idonea a determinare l'automatica caducazione della pronuncia sul quantum. Le statuizioni contenute nella sentenza definitiva sul quantum trovano, invero, indefettibile presupposto nella precedente decisione e, essendo ad essa condizionate, sono soggette ad essere travolte, nonostante la formazione del giudicato, dalla cassazione o dalla riforma della sentenza non definitiva (Cassazione civile, sez. lav., 18 maggio 1989, n. 2362; Cassazione civile, sez. un., 19 maggio 2008, n. 12642).

 

Una interpretazione meramente letterale dell'art.33, comma 5, e del successivo art. 37, comma 1, della legge n.1034/1971 nei termini invocati dall'odierna appellante risulta preclusa dal rilievo della sostanziale e decisiva particolarità della situazione nel caso che occupa considerata, che ne impedisce ogni assimilazione alla esecuzione da parte del G.A. della sentenza emanata dal medesimo plesso giurisdizionale.

 

Né può concordarsi con l’appellante che il principio di parità delle parti sarebbe violato se da un lato si desse una interpretazione estensiva delle norme sopra citate (ignorando il dato letterale e ritenendo che, laddove si fa riferimento alle sentenze del G.O. passate in giudicato, possa escludersi la sentenza sul quantum passata in giudicato se pende appello contro una precedente sentenza che si è pronunciata sull’an) e, dall’altro, si negasse la possibilità di interpretare estensivamente l’art. 37 della legge n. 1034/1971 in combinato con il precedente art. 33, nella parte in cui riserva condizioni differenti alle sentenze di primo grado del G.A. non sospese in appello e quelle del G.O..

 

Le implicazioni dell'esecuzione delle sentenze amministrative, con riguardo ai confini della relativa tutela giurisdizionale, risultano invero notevolmente differenti dagli effetti e dai caratteri propri dell'attuazione delle statuizioni dell'autorità giudiziaria ordinaria, sicché risulta logicamente impraticabile ogni lettura della normativa di riferimento che si fondi sull'analogia tra le due situazioni e che concluda per l'applicazione del rimedio di cui all'art. 33, comma 5, della legge n. 1034/71 anche all'ottemperanza delle sentenze pronunciate dal Giudice ordinario, prima del loro passaggio in giudicato, che, peraltro, deve essere effettivo e non soggetto a travolgimento a seguito della definitiva pronuncia giurisdizionale su una sentenza presupposta a quella passata in giudicato.

 

Quanto alle questioni di costituzionalità sollevate con l’atto di appello esse vanno riconosciute come manifestamente infondate, atteso che su di esse si è pronunciata in tal senso la Corte costituzionale, con sentenza 25 marzo 2005, n. 122, con riferimento all'art. 37 della l. n. 1034 del 1971, nella parte in cui non consente l'utilizzazione del giudizio di ottemperanza con riguardo alle sentenze del G.O. esecutive, ancorché non passate in giudicato, in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 111 e 113 della Costituzione, con argomentazioni che alla Sezione appaiono pienamente condivisibili e non scalfite dalle censure al riguardo formulate con l’atto di appello.

 

La scelta del legislatore non è stata ritenuta irragionevole dal Giudice costituzionale in quanto la procedura di ottemperanza nei confronti della P.A. comporta l'esercizio di una giurisdizione estesa al merito e la previsione dell'art. 33 della L. n. 1034 del 1971 (secondo la quale il giudizio di ottemperanza può esercitarsi nei confronti delle sentenze del T.A.R. non sospese dal Consiglio di Stato) è frutto della discrezionalità legislativa di voler dare concretezza al principio di esecutività delle sentenze di primo grado, evitando che l'Amministrazione possa arbitrariamente sottrarsi alle pronunce giurisdizionali.

 

Sono, invero differenti, secondo la Corte Costituzionale, e quindi non comparabili con quelle incardinabili innanzi al G.A., le azioni esecutive esperibili davanti al G.O. secondo le norme di procedura civile (trattandosi in questo caso di sentenze o di provvedimenti esecutivi che non richiedono l'esame di merito proprio del giudizio di ottemperanza), sicché non può parlarsi di disparità di trattamento fra l'ipotesi di esecuzione di sentenza amministrativa di primo grado, perseguita attraverso il giudizio di ottemperanza, e l'ipotesi di esecuzione delle sentenze di primo grado del G.O..

 

Secondo detto Giudice Costituzionale neppure, attesa la diversità degli istituti, può parlarsi, in relazione all'esecuzione delle sentenze del G.O., di pregiudizio per la tutela dei diritti del creditore o per la ragionevole durata del processo, la quale è garantita peraltro dai tempi processuali disposti dal codice di procedura civile, mentre il principio di buon andamento si riferisce agli organi dell'Amministrazione della giustizia unicamente per profili concernenti l'ordinamento degli uffici giudiziari e il loro funzionamento sotto l'aspetto amministrativo, ma non riguarda l'esercizio della funzione giurisdizionale nel suo complesso ed i provvedimenti che ne costituiscono espressione.

 

Non condivide in particolare il Collegio le tesi di parte appellante che non differirebbero le valutazioni di merito che il G.A. può svolgere in sede di ottemperanza di una sentenza dell’A.G.O. passata in giudicato, rispetto ai poteri del Giudice dell’ottemperanza della sentenza del G.A. ed essendo comunque differente una sentenza passata in giudicato da una provvisoriamente esecutiva.

 

Posto che in sede di giudizio di ottemperanza il Giudice amministrativo può esercitare cumulativamente, ove ne ricorrano i presupposti, sia poteri sostitutivi che poteri ordinatori e cassatori e può, conseguentemente, integrare l'originario disposto della sentenza con statuizioni che ne costituiscono non mera esecuzione, ma attuazione in senso stretto, dando luogo al c.d. “giudicato a formazione progressiva" (Consiglio Stato, sez. IV, 25/06/2010, n. 4131), senza tuttavia poter ampliare o modificare quanto deciso nella sentenza da eseguire (soprattutto quando si tratta di sentenze emesse dall'autorità giudiziaria ordinaria), va invero considerato che il presupposto del passaggio in giudicato della sentenza azionata in sede di giudizio di ottemperanza è ragionevole a causa dell'esercizio della giurisdizione estesa al merito proprio del giudizio di ottemperanza e perché non può disconoscersi che sono obiettivamente diverse le valutazioni di merito che il Giudice amministrativo prudentemente effettua in sede di ottemperanza a sentenza del Giudice stesso non sospesa dal Giudice di appello, rispetto a quelle che può effettuare nei confronti di sentenza del Giudice ordinario definitivamente passata in giudicato.

 

In conclusione ritiene la Sezione che, essendo il ricorso introduttivo del ricorso in esame volto ad ottenere l'esecuzione di una sentenza del Giudice ordinario formalmente passata in giudicato, ma soggetta ad essere travolta dall’eventuale accoglimento dell’appello proposto sulla sentenza presupposta e pendente, per quanto in precedenza evidenziato, esso sia stato correttamente dichiarato inammissibile dal Giudice di primo grado per impossibilità di applicazione degli artt. 33 e 37 della L. n. 1034 del 1971, sicché l’appello deve essere conclusivamente respinto e deve essere confermata la prima decisione.

 

Quanto all’appello incidentale proposto dal Comune di Vacri esso è volto a far valere le conseguenze della omessa pronuncia del Giudice di primo grado su una eccezione sollevata in tale fase del giudizio, di difetto di legittimazione sostanziale e processuale della ricorrente.

 

Detto appello incidentale è qualificabile come c.d. condizionato, essendo volto ad eliminare la soccombenza dell'appellato nei confronti dell'appellante, e si pone quale strumento geneticamente subordinato rispetto alla proposizione del ricorso principale e il cui scopo principale è quello di paralizzare l'azione ex adverso proposta, per l'ipotesi della sua ritenuta fondatezza in sede di gravame; di conseguenza, all'infondatezza dell'appello principale non può che conseguire la dichiarazione di improcedibilità, per difetto di interesse, dell'appello incidentale condizionato.

 

In conseguenza della disposta conferma della sentenza di primo grado, che ha comunque dichiarato inammissibile il ricorso proposto per l’esecuzione del giudicato assuntamente formatosi sulla sentenza del Tribunale di Chieti n. 514/2008, la Sezione non può quindi che dichiarare il gravame incidentale condizionato in esame improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

 

La complessità delle questioni trattate, nonché la peculiarità e la novità del caso, denotano la sussistenza delle circostanze di cui all’art. 92, II c., del c.p.c., come modificato dall’art. 45, XI c., della L. n. 69 del 2009, che costituiscono ragione sufficiente per compensare fra la parti le spese del presente grado di giudizio.

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo respinge l’appello principale in esame e dichiara improcedibile l’appello incidentale del Comune di Vacri per carenza di interesse.

 

Compensa le spese del presente grado di giudizio.

 

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

 

 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2011 con l'intervento dei magistrati:

 

Pier Giorgio Trovato, Presidente

 

Francesco Caringella, Consigliere

 

Eugenio Mele, Consigliere

 

Antonio Amicuzzi, Consigliere, Estensore

 

Nicola Gaviano, Consigliere

 

 

               

 

 

               

 

 

 

L'ESTENSORE

               

 

 

               

 

IL PRESIDENTE

 

 

               

 

 

               

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

 

Il 08/06/2011

 

IL SEGRETARIO

 

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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