(Pres. Mannino – Rel. Calvanese)
Osserva
C.C. ricorre tramite difensore
avverso la sentenza del Tribunale Monocratico di Roma
del 23 aprile 2009 che, in riforma di quella assolutoria
pronunciata da quel giudice di pace, l'aveva ritenuto
responsabile dei reati di minacce ed ingiurie in danno
di D.M.R.P..
Secondo l'ipotesi di accusa il C.,
datore di lavoro della parte lesa, aveva ingiuriato e
minacciato la predetta, prospettandole un trattamento
sistematicamente vessatorio; secondo la sentenza
impugnata la ragione di detto comportamento era nel
rifiuto opposto dalla giovane alla richiesta del C. di
sottoscrivere una lettera di dimissioni.
Deduce il ricorrente la nullità
della sentenza impugnata per vizi di motivazione in
ordine alla ricostruzione del fatto ed alla valutazione
delle prove.
In particolare, a suo avviso il
Tribunale aveva fondato l'affermazione di responsabilità
sulle dichiarazioni della D.M.R.P., ritenendole
riscontrate dalla produzione di un foglio spiegazzato
sul quale era vergata una lettera di dimissioni non
sottoscritta, e dalla testimonianza indiretta della
testimone M., elementi a suo dire assolutamente inidonei
a confortare gli assunti della parte lesa, ed aveva
ritenuto erroneamente che l'espressione "ti farò
schiattare" potesse costituire il reato di minaccia,
mentre invece il significato del verbo "schiattare"
sarebbe incerto, non risultando, a suo dire, registrato
su alcun dizionario della lingua italiana, né tantomeno
valenza offensiva aveva l'invettiva "sei una
vergognosa".
Il ricorso è inammissibile.
Quanto alla ricostruzione del fatto
ed alla valutazione degli elementi di prova ritenuti dal
Tribunale confermativi dell'ipotesi di accusa, va
osservato che la censura sostanzialmente prospetta il
riesame del merito, che in questa sede di legittimità è
precluso se, come nel caso di specie, la sentenza
impugnata abbia dato conto delle ragioni della decisione
con motivazione ragionevole e condivisibile, comunque
immune da vizi logici o contraddizioni, valutando come
elemento di riscontro anche la testimonianza del C..
Quanto poi alla rilevanza penale
delle espressioni su menzionate, il ricorso è
manifestamente infondato, atteso che contrariamente a
quanto assume il ricorrente, l'espressione "ti farò
schiattare" non solo è di uso comune, ma è riportata su
tutti i dizionari della lingua italiana con l'inequivoco
significato "ti farò crepare"; l'espressione
"vergognosa" poi è stata correttamente valutata nel
contesto, ed aveva il chiaro ed univoco significato
ingiurioso che la sentenza impugnata ha ritenuto.
Alla declaratoria di
inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di Euro
500,00= in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il
ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 500,00= in
favore della Cassa delle Ammende. |