Allorquando la messa in
circolazione dell’autoveicolo in condizioni di
insicurezza (e tale e’ la circolazione di un ciclomotore
con a bordo addirittura come nella specie tre persone,
di cui uno minore d’età, in violazione dell’art. 170
C.d.S.) e’ ricollegabile all’azione o omissione sia del
conducente (che prima di iniziare o proseguire la marcia
deve controllare che essa avvenga in conformità delle
normali norme di prudenza e sicurezza) che del
trasportato, emerge una fattispecie caratterizzata dal
reciproco consenso dei medesimi alla circolazione, con
consapevole partecipazione di ciascuno alla condotta
colposa dell’altro, e accettazione dei relativi rischi,
integrante un’ipotesi di cooperazione colposa dei
predetti nella condotta causativa del fatto evento
dannoso che, a parte i profili di responsabilità per gli
eventuali danni arrecati a terzi disciplinati dall’art.
2054 c.c., obbliga il conducente del veicolo al
risarcimento dei danni sofferti dal trasportato in
conseguenza del sinistro, atteso che il comportamento di
quest’ultimo nell’ambito dell’indicata cooperazione non
vale ad interrompere il nesso causale tra la relativa
condotta del conducente e il danno, ne’ ad integrare un
valido consenso del trasportato alla lesione ricevuta,
vertendosi in materia di diritti indisponibili.
Cassazione, sez. III, 13 maggio
2011, n. 10526
(Pres. Preden – Rel. Scarano)
Svolgimento del processo
Con sentenza del 9/6/2005 la Corte
d’Appello di Trento, rigettato quello proposto in via
incidentale dalla sig. M. Z., accoglieva parzialmente il
gravame interposto dalla societa’ Unipol s.p.a. nei
confronti della pronunzia Trib. Trento 11/5/2004 di
condanna al pagamento in favore della prima della somma
di Euro 249.000,00 a titolo di risarcimento di danni
dalla medesima sofferti in conseguenza di sinistro
stradale avvenuto il *19/9/2000* per fatto e colpa del
sig. G. E. che alla guida del suo scooter, a bordo del
quale unitamente al figlio minore era trasportata, ne
perdeva il controllo e usciva di strada.
Ritenuto il concorso di colpa della
Z. nella causazione del sinistro nella misura di 1/5, il
giudice dell’appello per l’effetto riduceva l’importo
liquidato dal giudice di prime cure ad Euro 199.200,00,
oltre ad interessi, e conseguentemente condannava la
medesima alla restituzione di quanto gia’ a tale titolo
corrispostole in eccedenza in esecuzione della sentenza
di primo grado.
Avverso la suindicata pronunzia
della corte di merito la Z. propone ora ricorso per
cassazione, affidato a 2 motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso la
compagnia assicuratrice Unipol s.p.a., che propone
altresi’ ricorso incidentale sulla base di 2 motivi.
Motivi della decisione
Con il 1^ motivo la ricorrente in
via principale denunzia “errore logico giuridico della
motivazione” nonche’ omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione su punto decisivo della
controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1,
n. 5.
Si duole che la corte di merito
abbia affermato che “il trasporto dei due passeggeri ha
indubbiamente creato un profondo perturbamento
dell’equilibrio del mezzo”, per poi contraddittoriamente
concludere che “pur essendo in tali condizioni, il mezzo
condotto dall’E. ha percorso 100 Km. Da quanto sopra
risulta in modo evidente che, se cio’ che ha causato
l’incidente fosse stato lo squilibrio provocato dai
passeggeri, l’incidente sarebbe avvenuto ben prima di
quanto in effetti si e’ verificato”.
Lamenta che la “sentenza ... omette
completamente di prendere in considerazione al fine di
valutarlo ed, eventualmente respingerlo, quanto
sottolineato dall’odierno ricorrente in atto d’appello e
cioe’ che non solo non vi e’ alcuna prova che il mezzo
sia caduto a causa della carenza di equilibrio ma che,
anzi, dalle risultanze istruttorie risulta provato il
contrario. Innanzitutto il conducente stesso ha ammesso
di aver perso il controllo del mezzo, ma non ha mai
dichiarato di averlo perso a causa della presenza
dell’attrice o di qualche movimento inconsulto da questa
provocato mentre al contrario ... il fatto che la
presenza della Z. non abbia di per se’ provocato lo
sbandamento del mezzo e’ anche dimostrato dal fatto
oggettivo che e’ stato percorso quasi un centinaio di
chilometri senza particolari difficolta’ prima che
l’incidente si verificasse”.
Si duole che “il punto in cui la
contraddizione raggiunge il paradosso e’ ... dato dalle
sequenze in cui la Corte d’Appello dapprima afferma
ripetutamente che la colpa del sinistro non puo’ che
essere addebitabile al conducente, per giungere poi alla
conclusione, opposta, del concorso di colpa dell’odierna
ricorrente”.
Con il 2^ motivo la ricorrente
denunzia violazione e falsa applicazione degli artt.
1227, 2054 e 2059 c.c., in riferimento all’art. 360
c.p.c., comma 1, n. 3; nonche’ omessa motivazione su
punto decisivo della controversia, in relazione all’art.
360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Si duole che la corte di merito
abbia ritenuto il proprio concorso di colpa nella
perdita di controllo del mezzo da parte del conducente,
non essendovi “alcuna prova che il mezzo sia caduto a
causa della carenza di equilibrio”, laddove l’“incidente
e’ avvenuto a causa dello slittamento della ruota
anteriore per il fondo stradale viscido, come ha
dichiarato il conducente del veicolo stesso”.
Con il 1^ motivo la ricorrente in
via incidentale denunzia violazione e falsa applicazione
dell’art. 2043 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., in
riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonche’
omessa motivazione su punto decisivo della controversia,
in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Si duole che la corte di merito
abbia “errato nell’applicazione delle norme che regolano
il nesso di causalita’ (art. 2043 c.c.) e nella
valutazione delle risultanze probatorie, con cio’
disattendendo il primo motivo di appello della Compagnia
Assicuratrice Unipol S.p.A. di cui all’atto di appello”.
Lamenta non essersi considerato che
“il protrarsi del viaggio per scelta deliberata e
reiterata ogni volta che si attraversava un paese
successivo, ed addirittura la citta’ di Trento, ha
indubbiamente aggravato il rimprovero di colpa,
spezzando il nesso causale tra la condotta dell’E. ed il
danno”.
Con il 2^ motivo denunzia
violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2055,
2056 e 1227 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., in riferimento
all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonche’ omessa
motivazione su punto decisivo della controversia, in
relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Si duole che la corte di merito,
erroneamente valutando le emergenze probatorie, non
abbia ritenuto la responsabilita’ esclusiva, o
quantomeno prevalente della Z., nella causazione del
sinistro de quo, per essere volontariamente salita sullo
scooter assieme al figlio, cui faceva indossare “l’unico
casco disponibile, oltre a quello del guidatore,
dimostrando di avere ben chiaro il rischio che
comportava viaggiare in tre sullo scooter”, facendo
altresi’ “caricare il proprio borsone di traverso sullo
scooter” e rendendosi conto “delle difficolta’ di guida
dell’E. essendo lei stessa titolare di patente di
guida”, ponendo quindi in essere una condotta palesante
“una vera e propria accettazione del rischio”, tanto
piu’ che anziche’ scendere al primo centro urbano
permaneva a bordo dello scooter “per oltre 100 km”.
I motivi dei ricorsi principale ed
incidentale, che possono congiuntamente esaminarsi in
quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte
infondati.
Come questa Corte ha gia’ avuto
piu’ volte modo di affermare i motivi posti a fondamento
dell’invocata cassazione della decisione impugnata
debbono avere i caratteri della specificita’, della
completezza, e della riferibilita’ alla decisione
stessa, con - fra l’altro - l’esposizione di
argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad
illustrazione delle dedotte violazioni di norme o
principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel
quale non venga precisato in qual modo e sotto quale
profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con
l’interpretazione della stessa fornita dalla
giurisprudenza di legittimita’ o dalla prevalente
dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si
assume essere incorsa la pronuncia di merito.
Sebbene l’esposizione sommaria dei
fatti di causa non deve necessariamente costituire una
premessa a se’ stante ed autonoma rispetto ai motivi di
impugnazione, e’ tuttavia indispensabile, per soddisfare
la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n.
4, che il ricorso, almeno nella parte destinata alla
esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo
sommario, una cognizione sufficientemente chiara e
completa dei fatti che hanno originato la controversia,
nonche’ delle vicende del processo e della posizione dei
soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali
elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il
ricorso, senza necessita’ di attingere ad altre fonti,
ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di
merito, la sentenza impugnata ed il ricorso per
cassazione (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass.,
17/4/2000, n. 4937; Cass., 22/5/1999, n. 4998).
E’ cioe’ indispensabile che dal
solo contesto del ricorso sia possibile desumere una
conoscenza del "fatto", sostanziale e processuale,
sufficiente per bene intendere il significato e la
portata delle critiche rivolte alla pronuncia del
giudice a quo (v. Cass., 4/6/1999, n. 5492).
Quanto al vizio di motivazione ex
art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va invero ribadito che
esso si configura solamente quando dall’esame del
ragionamento svolto dal giudice del merito, quale
risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o
insufficiente esame di punti decisivi della controversia
prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero
un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate,
tale da non consentire l’identificazione del
procedimento logico giuridico posto a base della
decisione (in particolare cfr. Cass., 25/2/2004, n.
3803).
Tale vizio non consiste pertanto
nella difformita’ dell’apprezzamento dei fatti e delle
prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal
giudice di merito (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass.,
20/10/2005, n. 20322).
La deduzione di un vizio di
motivazione della sentenza impugnata con ricorso per
cassazione conferisce infatti al giudice di legittimita’
non gia’ il potere di riesaminare il merito dell’intera
vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensi’ la
mera facolta’ di controllo, sotto il profilo della
correttezza giuridica e della coerenza logico-formale,
delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui
in via esclusiva spetta il compito di individuare le
fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare
le prove, di controllarne l’attendibilita’ e la
concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze
del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a
dimostrare la veridicita’ dei fatti ad esse sottesi, di
dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge)
prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova
acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842;. Cass.,
27/4/2005, n. 8718).
Orbene, i suindicati principi
risultano invero non osservati da entrambe le odierne
ricorrenti.
Gia’ sotto l’assorbente profilo
dell’autosufficienza, va posto in rilievo come le
medesime facciano rispettivamente richiamo ad atti e
documenti del giudizio di merito (es., all’“atto di
citazione di data 30.10.01”; all’atto di costituzione
nel giudizio di primo grado della societa’ Unipol
s.p.a.; alla “sentenza n. 386/04” del “Tribunale di
Trento”; agli atti di appello principale ed incidentale;
alle “osservazioni ... sottolineate nel corso del primo
grado”; a quanto “dichiarato” dal “conducente del
veicolo”; alla “C.T.U.”, la ricorrente principale; ai
“documenti dimessi in causa”; all’“assunzione dei mezzi
istruttori effettuata in primo grado”; alle “risultanze
probatorie”; al “primo motivo di appello”, al “secondo
motivo di appello”; alle “conclusioni dell’atto di
citazione d.d. 15 ottobre 2001”, la ricorrente in via
incidentale), di cui lamentano la mancata o erronea
valutazione, limitandosi a meramente rinviare agli atti
del giudizio di merito, senza invero debitamente
riprodurli nel ricorso.
A tale stregua non pongono questa
Corte nella condizione di effettuare il richiesto
controllo (anche in ordine alla tempestivita’ e
decisivita’ dei denunziati vizi), da condursi sulla base
delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui
lacune non e’ possibile sopperire con indagini
integrative, non avendo la Corte di legittimita’ accesso
agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003,
n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n.
1161 ).
Quanto al 1^ motivo del ricorso
principale va in ogni caso osservato che la ricorrente
non formula invero denunzia di error in procedendo ex
art. 112 c.p.c., ne’ censura debitamente le risultanze
probatorie ex artt. 115 e 116 c.p.c., in riferimento
all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non indicando quale
prova, e sotto quale profilo, sarebbe stata nel caso non
o mal valutata.
Censura ex artt. 115 e 116 c.p.c.,
deve ulteriormente sottolinearsi, che in base a
principio consolidato in giurisprudenza di legittimita’
e’ invero apprezzabile, in sede di ricorso per
cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui
all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e non anche - come
nella specie invocato dalla ricorrente in via
incidentale - in termini di violazione di legge, dovendo
emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non
gia’ dal riesame degli atti di causa, inammissibile in
sede di legittimita’.
Relativamente alle censure mosse
dalle ricorrenti, sia principale che incidentale, in
ordine al concorso di colpa nella causazione del
sinistro dalla corte di merito riconosciuto a loro
rispettivo carico nella misura percentuale determinata,
va osservato che i giudici di merito hanno nel caso
fatto invero piena e corretta applicazione del principio
da questa Corte affermato secondo cui allorquando la
messa in circolazione dell’autoveicolo in condizioni di
insicurezza (e tale e’ la circolazione di un ciclomotore
con a bordo addirittura come nella specie tre persone,
di cui uno minore d’eta’, in violazione dell’art. 170
C.d.S.) e’ ricollegabile all’azione o omissione sia del
conducente (che prima di iniziare o proseguire la marcia
deve controllare che essa avvenga in conformita’ delle
normali norme di prudenza e sicurezza) che del
trasportato, emerge una fattispecie caratterizzata dal
reciproco consenso dei medesimi alla circolazione, con
consapevole partecipazione di ciascuno alla condotta
colposa dell’altro, e accettazione dei relativi rischi,
integrante un’ipotesi di cooperazione colposa dei
predetti nella condotta causativa del fatto evento
dannoso che, a parte i profili di responsabilita’ per
gli eventuali danni arrecati a terzi disciplinati
dall’art. 2054 c.c., obbliga il conducente del veicolo
al risarcimento dei danni sofferti dal trasportato in
conseguenza del sinistro, atteso che il comportamento di
quest’ultimo nell’ambito dell’indicata cooperazione non
vale ad interrompere il nesso causale tra la relativa
condotta del conducente e il danno, ne’ ad integrare un
valido consenso del trasportato alla lesione ricevuta,
vertendosi in materia di diritti indisponibili (cfr.
Cass., 22/5/2006, n. 11947; Cass., 11/3/2004, n. 4993.
V. anche Cass., 18/9/2008, n. 23851).
La ricostruzione della dinamica di
un incidente stradale, delle condotte poste in essere
dai soggetti coinvolti, della sussistenza della relativa
colpa (ovvero del loro atteggiamento doloso) ed
efficienza causale, costituisce d’altro canto giudizio
di fatto, spettante al giudice del merito ed
incensurabile in sede di legittimita’ in presenza di
congrua motivazione (v. Cass., 22/5/2006, n. 11947;
Cass., 17/10/1984, n. 5240; Cass., 8/23/1974, n. 364).
Orbene, diversamente da quanto
dalle odierne ricorrenti, principale ed incidentale,
sostenuto, atteso che, all’esito di precedente sinistro
stradale in cui era rimasta coinvolta l’autovettura
condotta dalla Z., e’ rimasto accertato, e la corte di
merito ne ha dato congrua motivazione, che il sig. G.
M., “malgrado non fosse abilitato al trasporto di
passeggero, si offriva di trasportare, fino a *Bolzano*,
la Z. ed il figlio. A quest’ultimo veniva fatto
indossare il solo casco disponibile, mentre sullo
scooter veniva anche caricato un borsone. Alle 4,10 di
notte, il conducente dello scooter perdeva il controllo
del mezzo e tutti i passeggeri del piccolo scooter
rovinavano a terra; in particolare la Z. soffriva le
lesioni indicate nella consulenza tecnica in atti”,
coerentemente la corte di merito ha osservato che
“l’avere accettato il passaggio sullo scooter dell’E.
sia pure nelle condizioni di spavento e difficolta’
susseguenti al primo incidente ed anche per la
necessita’ di non rimanere sola in piena notte con il
figlio di 11 anni, se non puo’ considerarsi ... elemento
di causa esclusiva dell’evento, va stimato, quanto meno,
fatto concorrente alla verificazione dell’evento. Non
puo’ tacersi, infatti, che il trasporto dei due
passeggeri e di un borsone su uno scooter, comunque di
piccole dimensioni, ha indubbiamente creato un profondo
turbamento dell’equilibrio del mezzo perfettamente
evidente a qualunque conducente di mezzo (la Z. era
abilitata alla guida), la stessa Z., nel far indossare
al figlio il solo altro casco disponibile, ha mostrato
di avere perfettamente intuito il rischio che il
trasporto rappresentava in ragione della complessiva
inidoneita’ del mezzo e delle concrete modalita’
attraverso le quali il trasporto veniva eseguito”,
pervenendo quindi a concludere che “la concitazione, lo
spavento e la preoccupazione del momento hanno indotto
la Z. ad un comportamento non razionale che ha concorso
a determinare l’evento sia pure senza che cio’ possa
essere valutato quale unica causa dell’occorso ...
infatti ... la responsabilita’ della condotta di guida
del mezzo era interamente a carico dell’E. che ha
accettato di trasportare, con eccessiva generosita’ (e
grande imprudenza) la Z. ed il figlio con il bagaglio;
ha percorso un tratto di strada ben superiore ad ogni
esigenza di superamento dell’emergenza; ha condotto il
mezzo in modo imperito perdendo l’equilibrio.
Complessivamente ritiene la Corte che a carico della Z.
possa essere riconosciuto un concorso di colpa pari ad
un quinto, essendo del tutto prevalente la colpa del
conducente del mezzo che aveva la piena responsabilita’
della guida ed il controllo degli eventi”.
Emerge dunque a tale stregua
evidente come, lungi dal denunziare vizi della sentenza
gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le
deduzioni delle odierne ricorrenti (principale ed
incidentale), oltre a risultare formulate secondo un
modello difforme da quello delineato all’art. 366
c.p.c., comma 1, n. 4, in realta’ si risolvono nella
mera rispettiva doglianza circa l’asseritamente erronea
attribuzione da parte del giudice del merito agli
elementi valutati di un valore ed un significato
difformi dalle loro aspettative (v. Cass., 20/10/2005,
n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura
dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso dal
medesimo operata (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).
Per tale via, lungi dal censurare
la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati
nell’art. 360 c.p.c., esse in realta’ sollecitano,
contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali
del giudizio di legittimita’, un nuovo giudizio di
merito, in contrasto con il fermo principio di questa
Corte secondo cui il giudizio di legittimita’ non e’ un
giudizio di merito di terzo grado nel quale possano
sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di
Cassazione elementi di fatto gia’ considerati dai
giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso
apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n.
5443).
All’inammissibilita’ ed
infondatezza dei motivi consegue il rigetto dei ricorsi.
Attesa la reciproca soccombenza, va
disposta la compensazione tra le parti delle spese del
giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li
rigetta. Compensa tra le parti le spese del giudizio di
cassazione. |