Luca D’Apollo
È corretta la parificazione, ai
fini del risarcimento dei danno morale, della famiglia
legale e della famiglia di fatto, qualora per
quest'ultima sia stata provata la stabilità e la
continuità nel tempo del rapporto e delle relazioni
affettiva.
È questo il principio affermato
dalla Cassazione che prosegue nell’attività di
specificazione dei soggetti legittimati, secondo il
criterio della proximity, ad avere diritto alla
giustizia risarcitoria in caso di decesso del congiunto.
Per la nuova famiglia (fosse anche
di fatto) sarà sempre necessario dar prova della
certezza e stabilità del vincolo affettivo.
Cassazione, sez. III Civile, 7
giugno 2011, n. 12278
(Pres. Filadoro – Rel. Armano)
Svolgimento del processo
M.G. ed i figli legittimi V.C.,
V.A.F. e V.G. citavano in giudizio la C. Trasporti srl e
la SAPA Assicurazioni, poi Winterhur e attualmente
U.G.F. Assicurazioni s.p.a, per sentirli condannare al
risarcimento dei danni conseguenti all'incidente
stradale del (omissis), nel quale aveva trovato la morte
il proprio marito e padre V.A. Nel giudizio
intervenivano la convivente del V., S.M.T., e la figlia
naturale dello stesso, S.F. La sentenza di primo grado
ha accertato la pari responsabilità della C. Trasporti e
di V.A. nella causazione dell'incidente ed ha risarcito
il danno morale subito dalla moglie del V., M.G, nella
misura di Euro 20.658,28, e dai i figli legittimi V.C. e
V.G. nella misura di Euro 10.329,14, dalla figlia
legittima V.A.F. nella misura di Euro 5.164,57, dalla
convivente S.M.T. nella misura di Euro 20.658,28 e dalla
figlia naturale S.F. nella misura di Euro 10.329,14; ha
liquidato in uguale misura il danno patrimoniale fra la
famiglia legale e quella di fatto.
Con sentenza del 12-2-2008 la Corte
di Appello di Milano ha confermato la sentenza di primo
grado.
Avverso tale decisione propongono
ricorso per cassazione M.G. ed i figli legittimi V.C.,
V.A.F. e V.G. con tre motivi.
Resiste con controricorso la U.G.F.
Assicurazioni s.p.a già Aurora Assicurazioni illustrato
anche da memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso
viene denunziata la violazione degli artt. 2059, 2056,
1223 e 1226 c.c. e dei principi generali in materia di
liquidazione del danno non patrimoniale, nonché vizi di
motivazione sul punto ex art. 360 n. 3 e 5 c.p.c..
Ad avviso dei ricorrenti il giudice
del merito non poteva procedere ad una determinazione
complessiva ed unitaria del danno morale ed alla
conseguente ripartizione dell'intero importo in modo
automaticamente proporzionale tra tutti gli aventi
diritto, bensì doveva determinare in concreto il danno
morale per ciascuno dei congiunti tenendo conto delle
effettive sofferenze patite.
1.1. Il motivo è infondato.
Infatti i giudici di merito hanno
proceduto alla ripartizione dell'importo dovuto per
danno morale tra tutti gli aventi diritto non in modo
automatico, ma nella determinazione in concreto del
danno per ciascuno dei congiunti hanno tenuto conto
delle effettive sofferenze patite, in modo da rendere la
somma riconosciuta adeguata al particolare caso concreto
(Cass. n. 116/2001).
1.2.1 giudici di merito hanno
tenuto conto della particolarità della situazione in
oggetto, condividendo la giurisprudenza, anche di
legittimità, che in materia di responsabilità civile ha
riconosciuto il diritto al risarcimento del danno
conseguente alle lesioni o alla morte di una persona in
favore del convivente "more uxorio" di questa, pur
richiedendo che venga fornita, con qualsiasi mezzo, la
prova dell'esistenza e della durata di una comunanza di
vita e di affetti e di una vicendevole assistenza morale
e materiale, cioè di una relazione di convivenza avente
le stesse caratteristiche di quelle dal legislatore
ritenute proprie del vincolo coniugale (Cass. Sez. 3,
29/4/2005 n. 8976).
In base agli stessi presupposti, la
Corte di Appello ha ritenuto la sussistenza del diritto
al risarcimento in favore di chi sia stata legata da un
vincolo di filiazione naturale alla vittima del
sinistro, ancorché non legalmente riconosciuta, laddove
tale vincolo sia stato contraddistinto dalle medesime
caratteristiche di quello tra genitore e figlio
legittimo o naturale riconosciuto.
Dall'esame del compendio
probatorio, i giudici di merito hanno ritenuto provato
che da molti anni V.A. aveva stabilito la sede
principale della sua attività lavorativa a Rende (CS) e
lì aveva costituito con S.M.T. un'unione stabile,
caratterizzata non soltanto da un legame affettivo, ma
anche dalla gestione comune dei molteplici aspetti della
vita quotidiana, con reciproco appoggio morale e
materiale, nonché, successivamente, dalla condivisione
dei compiti connessi alla nascita e alla crescita della
figlia F., con la quale il V. intratteneva un rapporto
sotto ogni profilo assimilabile a quello
genitore-figlio; che V.A. aveva peraltro mantenuto
stabili legami, anche affettivi, con i figli legittimi e
con la moglie, i quali vivevano a Salerno e con i quali
trascorreva regolarmente le principali festività,
provvedendo sotto il profilo economico alle esigenze
anche di questo nucleo familiare.
1.3. Si osserva che i Giudici di
appello hanno parificato, ai fini del risarcimento dei
danno morale, la famiglia legale e la famiglia di fatto,
in quanto per quest'ultima è stata provata la stabilità
e la continuità nel tempo del rapporto e delle relazioni
affettiva.
Successivamente hanno differenziato
le singole posizioni degli aventi diritto, riconoscendo
alla moglie ed alla convivente un importo maggiore
rispetto ai figli, e per i figli un importo diverso per
quelli conviventi e per la figlia sposata, a cui è stato
liquidato un importo inferiore.
1.4. Quindi, nel risarcimento
concreto del danno, tenendo conto della particolarissima
situazione di un soggetto con due nuclei familiari
legati a lui da una rapporto di protratta e
contemporanea stabilità nel tempo, i giudici di merito,
lungi dal lamentato automatismo, hanno tenuto conto
della diversa intensità del vincolo familiare, moglie
convivente e figli, e della effettiva convivenza
liquidando alla figlia sposata un importo inferiore.
2. Con il secondo motivo viene
dedotta violazione e falsa applicazione degli artt.
2059, 2056, 1223 e 1226 c.c. e dei principi generali in
materia di liquidazione del danno non patrimoniale
nonché vizi di motivazione sul punto ex art. 360 n. 3 e
5 c.p.c..
I ricorrenti deducono che la
liquidazione del danno non patrimoniale deve comunque
rispettare alla esigenza di una ragionevole correlazione
tra gravità effettiva del danno ed ammontare
dell'indennizzo (e non può consistere in una espressione
simbolica).
2.1. Si osserva che i ricorrenti
non hanno contestato in appello il criterio utilizzato
per la quantificazione del danno morale complessivo,
richiamando solo nella comparsa conclusionale del
giudizio di appello i più recenti e più elevati importi,
da centomila e duecentomila Euro, previsti nelle tabelle
del Tribunale di Milano nella liquidazione del danno
morale in favore del coniuge e dei figli.
Il motivo quindi deve considerarsi
inammissibile perché introdotto per la prima volta nel
giudizio di cassazione.
3. Come terzo motivo di ricorso
viene denunziato vizio di insufficiente e
contraddittoria motivazione per aver i giudici di merito
riconosciuto un contributo annuo di L. 10 milioni alla
famiglia di fatto, nell'ambito della quantificazione del
danno patrimoniale.
Infatti secondo i ricorrenti i
giudici di merito avevano riconosciuto che il V. erogava
un contributo annuo di Euro 10.000,00 in favore della
famiglia di fatto, senza che di tale circostanza fosse
stata fornita alcuna prova.
3.1. Si osserva che sotto
l'apparente denunzia di vizio di omessa motivazione i
ricorrenti richiedono a questa Corte un riesame del
merito della controversia con una valutazione delle
risultanze probatoria diversa da quella motivatamente
fatta propria dai giudici di merito.
Il vizio di omessa o insufficiente
motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art.
360, n. 5, cod. proc. civ., sussiste solo se nel
ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla
sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente
esame di punti decisivi della controversia e non può
invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle
prove in senso difforme da quello preteso dalla parte,
perché la citata norma non conferisce alla Corte di
Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito
della causa.
3.2. Nel caso di specie la Corte di
Appello ha ritenuto raggiunta la prova dell'effettiva
coesistenza dei due nuclei familiari entrambi percepiti
e vissuti dal defunto come "famiglia" e del sostegno
economico fornito in uguale misura ad entrambi. Della
linea argomentativa sviluppata, fondata su prove
documentali e deposizioni testimoniali ritenute dalla
Corte di appello attendibili, i ricorrenti non segnalano
alcuna caduta di consequenzialità, mentre l'impugnazione
si risolve in una generica prospettazione dei fatti
alternativa a quella del giudice di merito: il che non
può trovare spazio nel giudizio di cassazione. Giusti
motivi impongono la compensazione delle spese del grado.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e
compensa le spese del giudizio di cassazione.
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