Condurre vita autonoma
nell’ambito della coppia preclude la separazione con
addebito perché denota assenza di “affectio coniugalis”.
I Giudici della Prima Sezione Civile, sentenza n.
9074/2011, hanno respinto il ricorso di un uomo che
chiedeva l’addebito della separazione alla condotta
infedele della moglie.
Dal procedimento è
emerso che entrambi i coniugi, durante la vita
matrimoniale, non avevano osservato il vincolo della
fedeltà, alloggiavano in piani diversi nella stessa
casa, non avevano interessi, abitudini e svaghi in
comune: in sintesi i due conducevano un “regime
coniugale improntato a reciproca autonomia e libertà
sentimentale”.
Già i Giudici della
Corte d’Appello avevano espresso giudizio di non
addebito della separazione. Stesso parere anche gli
Ermellini, nella cui sentenza hanno sottolineato che“Le
valutazioni e conclusioni espresse dalla Corte
distrettuale appaiono, infatti, aderenti al dettato
normativo ed alla relativa elaborazione
giurisprudenziale nonché assistite da congrue e logiche
argomentazioni in ordine a tutti gli aspetti che le
parti hanno posto in discussione in questa sede. In
particolare l'acquisizione e la valutazione, nel
complesso dell'emerse risultanze istruttorie, dei dati
posti dai giudici d'appello a fondamento del loro
giudizio in punto di non addebitabilità della
separazione personale a nessuno dei due coniugi, si
rivela irreprensibile, alla luce anche del principio per
cui l'esame dei documenti esibiti e delle deposizioni
dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e
delle risultanze della prova testimoniate. Il giudizio
sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di
alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie
risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a
sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di
fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel
porre a fondamento della propria decisione una fonte di
prova con esclusione di altre, non incontra altro limite
che quello di indicare le ragioni del proprio
convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni
singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni
difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi
tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non
menzionati specificamente, sono logicamente
incompatibili con la decisione adottata”
In ogni momento della
vita matrimoniale può instaurarsi una crisi di coppia. I
fattori scatenanti possono essere molteplici, ma
influisce in maniera predominante il tipo di relazione
che si è instaurato.
Lo schema
comportamentale-relazionale tra coniugi, come in
qualsiasi altro tipo d’interazione, può essere:
Complementare,
Simmetrico, disimpegnato, normale e invischiato.
1) Nella relazione
simmetrica si palesa una sorta di uguaglianza - o
tendente a non essere da meno - all'altro. La
reciprocità del riconoscimento: equivalenza nella
bravura e nei varie sfumature della quotidianità: io
sono ok – tu sei ok etc.
La relazione
è paritaria e nel contempo si condividono i vari
obiettivi in maniera simbiotica.
2) Nella relazione
complementare invece si evidenzia un completamento
reciproco che dona ad entrambe le parti l'autonomia
finalizzata al partner, viene valorizzata la
comunicazione e l'assertività: ad es. io mi dedico alla
cucina mentre tu sistemi il cavo dell'antenna.
Entrambe le
relazioni sono frutto di un equilibrio nell'ambito della
coppia e varia da coppia a coppia.
3) Nella relazione
disimpegnata siamo in presenza di confini eccessivamente
rigidi, nella quale deficita il senso di appartenenza e
di interdipendenza si è incapaci di dare sostegno o
aiutare gli altri, scarsamente avvertita la
genitorialità. Spesso sono famiglie multiproblematiche
4) Nella relazione
normale dove è chiaro il limite del proprio confine.
5) Nella relazione
invischiata troviamo un forte coinvolgimento tra i vari
membri della famiglia, dove ogni tentativo di
differenzazione è bloccato e dove ogni separazione è
avvertita come una sorta di tradimento. Molto forte il
senso di appartenenza rispetto alla conservazione
dell’identità. Minuchin definì queste famiglie come
“famiglie con le porte aperte”( Minuchin S. (1980),
Famiglie e terapia della famiglia, Astrolabio, Roma).
D.ssa Mariagabriella
Corbi
LA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Sentenza 20.4.2011
n. 9074
Composta dagli
Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MACIOCE
Luigi - Presidente -
Dott. DOGLIOTTI
Massimo - Consigliere -
Dott. RAGONESI
Vittorio - Consigliere -
Dott. GIANCOLA
Maria Cristina - rel. Consigliere -
Dott. CAMPANILE
Pietro - Consigliere -
ha pronunciato la
seguente: sentenza sul ricorso 8744/2010 proposto da:
D.P.D.P.F.A. -
ricorrente -
contro A.M.A.; -
intimata - nonché da:
A.D.P.M.A. (c.f.
(OMISSIS)), - controricorrente e ricorrente incidentale
-
contro
D.P.D.P.F.A., -
controricorrente al ricorso incidentale -
avverso la
sentenza n. 33/2010 della CORTE D’APPELLO di MILANO,
depositata il 15/01/2010;
udita la relazione
della causa svolta nella Pubblica udienza del 18/01/2011
dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA; udito,
per il ricorrente, l’Avvocato G. CONDO’ che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso principale, rigetto
dell’incidentale; udito, per la controricorrente e
ricorrente incidentale, l’Avvocato
M. TAMPONI che ha
chiesto l’accoglimento del ricorso incidentale, rigetto
del ricorso principale;
udito il P.M., in
persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
APICE Umberto, che
ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL
PROCESSO
Il Tribunale di
Milano, dichiarata con sentenza non definitiva n. 11744
del 19.10.2005, la separazione personale dei coniugi
D.P. D.P.F.A. (ricorrente nel maggio del 1999) e A.M.A.,
sposatisi il 4.05.1982, con successiva sentenza
definitiva dell’8.10-4.11.2008, addebitava la
separazione alla moglie, imputandole la violazione
dell’obbligo di fedeltà coniugale, respingeva la sua
contrapposta domanda di addebito della separazione al
marito, denegandole l’attribuzione del chiesto assegno
di mantenimento e degli alimenti; revocava, inoltre,
l’assegno provvisorio concessole nel 1999, in sede
presidenziale, d’importo pari a L. 25.000.000 mensili,
successivamente elevato a L. 35.000.000 e poi ridotto, a
decorrere dal novembre 2007, ad Euro 14.000,00 mensili,
in ragione del fatto che il D.P. Aveva avuto due figli
da altra donna.
Con sentenza
dell’11.11.2009 – 15.01.2010, la Corte di appello di
Milano, in parziale accoglimento dell’impugnazione dell’
A., escludeva l’addebito a lei della separazione e le
attribuiva, con decorrenza dalla data della sentenza
definitiva di primo grado, l’assegno di Euro 12.000,00
mensili, annualmente rivalutabili a decorrere dal 1
gennaio 2011. Infine, considerato il parziale
accoglimento delle domande dell’ A., compensava per 1/3
le spese di entrambi i gradi di giudizio e poneva a
carico del D. P. la residua parte, liquidata in Euro
30.000,00 (di cui Euro 3.000,00 per esborsi ed Euro
3.000,00 per diritti) per il giudizio di primo grado ed
in Euro 20.000,00 (di cui Euro 3.000,00 per esborsi ed
Euro 900,00 per diritti) per il giudizio d’appello.
La Corte riteneva
tra l’altro:
a) che,
contrariamente all’assunto dell’ A., doveva ritenersi
provato che costei avesse violato l’obbligo di fedeltà
coniugale, avendo intrattenuto una relazione
extraconiugale con S. R., posto che a questa conclusione
il giudice di primo grado era pervenuto in base
all’esito dell’esperita istruttoria, e segnatamente in
base alle numerose deposizioni testimoniali, concordi,
circostanziate, e non solo de relato, da cui emergeva
che la relazione in questione, era iniziata nel 1993,
era proseguita anche dopo il 1999, epoca in cui era
stato introdotto il presente giudizio, ed era di
pubblico dominio, sicché doveva anche escludersi che il
D.P. Ne fosse venuto a conoscenza solo nel 1999, come da
lui sostenuto e come d’altra parte anche smentito dal
contenuto della deposizione resa da sua sorella;
b) che dalle
deposizioni assunte in primo grado emergeva altresì che
il D.P., al pari della moglie, era stato infedele e non
poteva concordarsi con il primo giudice per il quale, la
sua riferita relazione extraconiugale del 1994 avesse
rappresentato solo una millanteria;
c) che, inoltre, era
emerso che i coniugi alloggiavano in piani diversi della
loro casa ed avevano abitudini, stili di vita, interessi
e svaghi non coincidenti;
d) che, quindi,
doveva concludersi che tra le parti si fosse instaurato
un regime coniugale improntato a reciproca autonomia e
libertà sentimentale, il che escludeva ogni nesso di
causalità tra l’infedeltà dell’ A. e la compromissione
del vincolo coniugale e comportava che la separazione
non potesse essere addebitata a nessuno dei due coniugi;
e) che, dunque,
ben poteva all’ A. essere attribuito il chiesto assegno
di mantenimento, posto anche:
• che la sproporzione
tra i redditi dei due coniugi era macroscopica;
• che, infatti, non
avevano trovato specifiche contestazioni le affermazioni
dell’ A. ed era d’altra parte documentato, che il D.P.,
definito dalla teste M. “un uomo molto, molto, molto
ricco”, era titolare di vaste proprietà immobiliari in
zone di prestigio di (OMISSIS), di molteplici conti
correnti bancari, di numerose società di famiglia e
personali, aveva alienato a terzi società di valore
molto ingente, in base alla dichiarazione fiscale del
2006 risultava proprietario di ben 40 immobili, aveva
collezioni di armi e di opere d’arte – tra cui un
dipinto del V. aveva dato alla moglie la possibilità di
vivere in un appartamento vasto 500 mq, arredato
lussuosamente, nonché di fruire di una villa prestigiosa
in (OMISSIS), di avere una coppia di domestici fissi, di
fare vacanze lussuose e in imbarcazioni da diporto, di
usare autovetture di lusso, di disporre di scuderie di
cavalli;
• che di contro, l’
A., nata nel (OMISSIS), era priva di reddito ed era
titolare di un solo appartamento;
f) che tenuto
conto di tali circostanze, nonché della durata del
vincolo coniugale, appariva congrua la misura di Euro
12.000,00 mensili per l’assegno in questione.
Avverso questa
sentenza notificatagli il 2.02.2010, il D.P. Ha proposto
ricorso per cassazione notificato il 26.03.2010, fondato
su tre motivi. L’ A. ha resistito con controricorso
notificato il 4.05.2010 ed ha proposto ricorso
incidentale affidato a sei motivi, cui il D.P. Ha
resistito con controricorso notificato il 7.06.2010.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Diritto
MOTIVI DELLA
DECISIONE
Deve essere
preliminarmente disposta ai sensi dell’art. 335 c.p.c.,
la riunione dei ricorsi principale ed incidentale,
proposti avverso la medesima sentenza.
A sostegno del
ricorso principale il D.P. Deduce:
1. ”Violazione e
falsa applicazione di legge dell’art. 360 c.p.c. E
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione
circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio
(art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione all’art. 143
c.p.c., comma 2 e art. 151 c.c., artt. 115 e 116
c.p.c.)”.
Il ricorrente
censura, anche per il profilo motivazionale, il diniego
di addebito della separazione alla moglie e segnatamente
l’esclusione del nesso di causalità tra l’accertata
condotta infedele della stessa e la frattura coniugale.
A tale riguardo contesta:
• che potesse
desumersi che prima del gennaio 1999 fosse stato al
corrente della relazione extraconiugale della moglie,
iniziata nel 1993, sostenendo anche che era stata
travisata la deposizione, in ogni caso irrilevante, di
sua sorella C.;
• l’apprezzamento
circa il modus vivendi ed in particolare l’accordo di
reciproca libertà sentimentale;
• che potessero
ritenersi provate sue infedeltà coniugali.
2. ”Violazione e
falsa applicazione di legge dell’art.. 360 c.p.c. E
insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto
decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5,
anche in relazione all’art. 1456 c.c., commi 1 e 2,
artt. 115 e 116 c.p.c.)”.
Censura la
quantificazione dell’assegno di mantenimento in favore
della moglie, sostenendo essenzialmente
l’ipervalutazione della sua condizione economica, la non
veridicità dell’asserzione secondo cui non aveva
contestato le affermazioni dell’ A. sulla consistenza
del suo patrimonio, sul punto richiamando la sua memoria
di replica del 4.10.2005, l’inconferenza del richiamo
alla durata del vincolo coniugale, l’omessa valutazione
della nascita di tre suoi figli, l’omessa considerazione
della capacità professionale dell’ A..
3. ”Violazione e
falsa applicazione di legge dell’art. 360 c.p.c. E
insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto
decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5,
in relazione agli artt. 91 e 92 c.p.c.)”.
Censura la
disposta compensazione per 1/3 delle spese e deduce
l’eccessività della liquidazione inerente a quelle del
grado appello.
Con il ricorso
incidentale l’ A. denunzia:
1. ”Violazione, falsa
applicazione di legge su di un punto decisivo della
controversia, ai sensi e per gli effetti di cui all’art.
360 cod. proc. Civ., n. 3, in relazione all’art. 2697
cod. civ., comma 1, ovverosia in relazione al mancato
adempimento dell’onere della prova, da parte del marito,
in merito alla violazione dell’obbligo di fedeltà,
asseritamente posta in essere dalla moglie”.
2. ”Omessa,
insufficiente e contraddittoria ed motivazione su di un
punto decisivo della controversia, ai sensi e per gli
effetti di cui all’art. 360 cod. proc. Civ., n. 5, in
relazione all’art. 2697 cod. civ., comma 1, ovverosia in
relazione al mancato adempimento dell’onere della prova,
in merito alla violazione dell’obbligo di fedeltà,
asseritamente posta in essere dalla moglie”.
3. ”Omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione su di un
punto decisivo della controversia, ai sensi e per gli
effetti di cui all’art. 360 cod. proc. Civ., n. 5, in
relazione all’art. 151 cod. civ., comma 2” con riguardo
al mancato riconoscimento dell’addebitabilità della
separazione personale al marito.
4. ”Violazione, falsa
applicazione di legge su di un punto decisivo della
controversia, ai sensi e per gli effetti di cui all’art.
360 cod. proc. Civ., n. 3, in relazione all’art. 156
cod. civ., commi 1 e 2” con riguardo alla
quantificazione dell’assegno di mantenimento,
determinato in misura insufficiente ai fini della
conservazione del tenore di vita, da lei goduto nel
corso della convivenza coniugale”.
5. ”Omessa,
insufficiente e contraddittoria ed motivazione su di un
punto decisivo della controversia, ai sensi e per gli
effetti di cui all’art. 360 cod. proc. Civ., n. 5, in
relazione all’art. 156 cod. civ., commi 1 e 2, ovverosia
in relazione alla determinazione dell’ammontare
dell’assegno per il mantenimento della moglie in misura
insufficiente, ai fini della conservazione del tenore di
vita, goduto da quest’ultima nel corso della convivenza
coniugale”.
6. ”Insufficiente e
contraddittoria motivazione su di un punto decisivo
della controversia, ai sensi e per gli effetti di cui
all’art. 360 cod. proc. Civ., n. 5, in relazione
all’art. 91 cod. proc. Civ., comma 1, ovverosia in
relazione alla determinazione dell’ammontare delle spese
processuali, relative al procedimento di primo grado ed
alla ripartizione delle stesse fra le parti.
La A. sostiene,
infine, la temerarietà dell’impugnazione proposta dal
ricorrente e la necessità che lo stesso sia condannato,
oltre che al rimborso delle spese processuali, anche al
pagamento della somma equitativamente determinata ai
sensi e per gli effetti di cui all’art. 96 cod. proc.
Civ., comma 3.
Il primo motivo
del ricorso principale ed i primi tre motivi di quello
incidentale, che, vertendo tutti sulla questione
dell’addebitabilità della separazione personale,
consentono esame unitario, non hanno pregio.
Le avversate
valutazioni e conclusioni espresse dalla Corte
distrettuale appaiono, infatti, aderenti al dettato
normativo ed alla relativa elaborazione
giurisprudenziale nonché assistite da congrue e logiche
argomentazioni in ordine a tutti gli aspetti che le
parti hanno posto in discussione in questa sede. In
particolare l’acquisizione e la valutazione, nel
complesso dell’emerse risultanze istruttorie, dei dati
posti dai giudici d’appello a fondamento del loro
giudizio in punto di non addebitabilità della
separazione personale a nessuno dei due coniugi, si
rivela irreprensibile, alla luce anche del principio per
cui l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni
dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e
delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio
sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di
alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie
risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a
sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di
fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel
porre a fondamento della propria decisione una fonte di
prova con esclusione di altre, non incontra altro limite
che quello di indicare le ragioni del proprio
convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni
singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni
difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi
tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non
menzionati specificamente, sono logicamente
incompatibili con la decisione adottata (cfr., da
ultimo, cass 201 del 7097).
Le censure
sollevate da entrambe le parti in ordine
all’individuazione e valorizzazione di detti dati
probatori, ancorate pure al raffronto con i richiamati
passi di alcune deposizioni testimoniali, al confronto
di queste con pregressi scritti, censure peraltro mute
sui riflessi di contegni in ogni caso tali da ingenerare
obiettivamente nell’altro coniuge e nei terzi il fondato
sospetto del tradimento da parte del consorte e per lei
anche affidate alla perizia di parte su asseriti, subiti
danni esistenziali e sessuali, della quale si omette
pure di circostanziare l’acquisizione nei gradi di
merito, si sostanziano in infondati o per più profili
inammissibili, generici rilievi, in parte nuovi o non
autosufficienti, rilievi da cui conclusivamente non è
dato desumere le denunciate illegittimità o illogicità o
carenze motivazionali decisive e che essenzialmente
appaiono volti ad un diverso apprezzamento dei medesimi
dati, aderente alla tesi da ciascuno propugnata, come
noto, non consentito in questa sede di legittimità
(cfr., ex plurimis, Cass. 2006/9332; 2006/3881).
Mediante un
accertamento rigoroso ed una valutazione complessiva del
comportamento di entrambi i coniugi, quale comprovato
dalle richiamate, privilegiate/risultanze istruttorie,
la Corte di merito ha ineccepibilmente e plausibilmente
concluso che la reiterata inosservanza da parte di
entrambi dell’obbligo di reciproca fedeltà, pur se
ricorrente, non costituiva circostanza sufficiente a
giustificare l’addebito della separazione in capo
all’uno o all’altro o ad entrambi, essendo sopravvenuta
in un contesto di disgregazione della comunione
spirituale e materiale tra coniugi, quale rispondente al
dettato normativo ed al comune sentire, ed in
particolare in un’emersa situazione già stabilizzata di
reciproca sostanziale autonomia di vita, non
caratterizzata da affectio coniugalis.
Privi di pregio
sono anche il secondo motivo del ricorso principale ed
il quarto ed il quinto motivo di quello incidentale, che
possono essere anch’essi esaminati congiuntamente,
inerendo tutti allo statuito assegno di mantenimento in
favore dell’ A.. Le censure che le parti propongono si
sostanziano, infatti, in rilievi o infondati o
inammissibili per genericità, apoditticità ed assenza di
specifici richiami a pregresse acquisizioni probatorie,
con riferimento pure all’attuale attitudine dell’ A.,
tra l’altro nata nel (OMISSIS), a lavoro proficuo (cfr.
Cass. 2007/8547) ed alla sopravvenienza di un terzo
figlio del D.P. In aggiunta ai primi due, dei quali, con
valutazione implicita, sono stati considerati gli oneri
paterni di mantenimento, o ancora si concretano in
critiche non decisive, attese le allegazioni di
conforto, anche parziali e non esaustive, il tutto a
fronte degli esplicitati estremi fattuali della verifica
anche comparata, irreprensibilmente compiuta dai giudici
di merito, puntualmente ancorata pure al contenuto delle
emerse risultanze documentali circa le potenzialità
economiche di ciascuna delle due parti, in rapporto al
pregresso tenore della vita coniugale, che ben poteva
essere desunto dalle acquisite risultanze istruttorie e
che la moglie aveva solo tendenzialmente diritto di
mantenere.
D’altra parte,
come noto, l’entità dell’assegno è determinata con
insindacabile apprezzamento delle condizioni personali
ed economiche delle parti, che ben può ricomprendere,
tra gli elementi valutabili, anche la durata del
matrimonio (cfr Cass. 2007/25618) e che, relativamente
alle rispettive condizioni economiche non richiede
necessariamente l’accertamento dell’esatto ammontare
delle relative componenti.
Non meritano,
infine, favorevole apprezzamento il terzo motivo del
ricorso principale ed il sesto motivo del ricorso
incidentale, inerenti al regime delle spese processuali
ed alla quantificazione di esse disposti dal giudice
d’appello, che al riguardo ha legittimamente proceduto
ad un nuovo regolamento, quale conseguenza della
pronunzia adottata ed in relazione all’esito complessivo
della lite. Se da un canto l’avversata statuizione
risulta sorretta da argomentazioni logiche ed aderenti
al dettato normativo (art. 92 c.p.c.) ed al considerato
esito del giudizio, gli ulteriori rilievi critici che
entrambe le parti rivolgono all’attuata quantificazione
si rivelano inammissibili per genericità anche alla luce
del condiviso principio di diritto (cfr. tra le altre,
Cass. 1998/11770) secondo cui “In tema di regolamento
delle spese processuali, il ricorso per cassazione è
ammissibile soltanto se l’errore dedotto si risolve
nella violazione di una norma giuridica ovvero in un
vizio logico della motivazione, restando a carico del
ricorrente l’onere di contestare le singole voci di
tariffa specificando le ragioni delle denunziate
violazioni, così da consentire al giudice di legittimità
il suo istituzionale controllo”, onere rimasto
inosservato.
Conclusivamente, i
ricorsi principale ed incidentale devono essere riuniti
e respinti, con compensazione per intero delle spese del
giudizio di cassazione, data la soccombenza reciproca,
la quale (già) preclude, per difetto dei relativi
presupposti, la condanna della controparte, chiesta
dall’ A., al risarcimento dei danni per responsabilità
aggravata ex art. 96 c.p.c., commi 1 e 3.
Da ultimo, a
carico del D.P.D. Va posto, ai sensi dell’art. 385
c.p.c. (cfr., tra le altre, Cass. 2009/07248) il
pagamento in favore della A., delle spese del
procedimento incidentale dallo stesso introdotto ai
sensi dell’art. 373 c.p.c., spese liquidate come in
dispositivo.
P.Q.M.
P.Q.M.
La Corte riunisce
i ricorsi e li rigetta, compensando le spese del
giudizio di legittimità. Condanna il D.P.D. Al pagamento
in favore dell’ A., delle spese del procedimento ex art.
373 c.p.c., liquidate in complessivi Euro 7.350,00,
oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
Così deciso in
Roma, il 18 gennaio 2011.
Depositato in
Cancelleria il 20 aprile 2011
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