Capolinea di ogni fermento
giuridico e pantheon della funzione nomofilattica, le
Sezioni Unite Civili (Primo Presidente ff. Paolo
VITTORIA, Relatrice Consigliere Roberta VIVALDI) con la
sentenza n.10864 del 18 maggio 2011 hanno blindato un
principio fondamentale, vero piatto forte che nessun
avvocato potrà d'ora in avanti ignorare: in caso di
notificazione ad una pluralità di parti, il termine per
costituirsi in giudizio che l'attore, ai sensi dell'art.
165 c.p.c., o l'impugnante, ex art. 347 c.p.c., deve
obbligatoriamente rispettare è di dieci giorni (cinque
in caso di dimidiazione dei termini) dalla PRIMA
notificazione, e non dall'ultima. Sulla scia di una
copiosa giurisprudenza che aveva sì delineato un quadro
sufficientemente chiaro, ma non aveva ancora dissolto i
dubbi interpretativi sorti con riferimento al dies a quo
per la costituzione in giudizio del notificante, "la
Corte considera che, se la formula del segmento di legge
processuale, la cui interpretazione è nuovamente messa
in discussione, è rimasta inalterata, una sua diversa
interpretazione non ha ragione di essere ricercata e la
precedente abbandonata, quando l'una e l'altra siano
compatibili con la lettera della legge, essendo da
preferire - e conforme ad un economico funzionamento del
sistema giudiziario - l'interpretazione sulla cui base
si è, nel tempo, formata una pratica di applicazione
stabile". Il principio è, dunque, ormai asseverato con
l'autorità delle Sezioni Unite e sarà consigliabile
mandarlo a memoria in epoca in cui il sottosistema della
responsabilità dell'avvocato si va espandendo a forme di
obbligazioni non più di mezzi, ma di risultato, come
spesso ci ricorda, con scritti sontuosi o magnifici
seminari, il faro intellettuale Dott. Marco ROSSETTI
dell'Ufficio Massimario della Suprema Corte. Ad ogni
buon conto, il ragionamento delle Sezioni in
composizione estesa non pare sottrarsi ad un addebito di
tautologia; verosimilmente, la Cassazione ha mancato
l'obiettivo di fissare un punto fermo destinato a durare
nel tempo. Le Sezioni Unite si erano prefisse l'ostico
compito di replicare in modo deciso e drastico alla
raffinata ed acuta ordinanza della Sezione Terza Civile
(Presidente Francesco TRIFONE, che ritroveremo in
prosieguo autore di una remota ed acuta Cass. n°718 del
18 gen 2001, Consiglieri Giovanni FEDERICO, Bruno SPAGNA
MUSSO, Giacomo TRAVAGLINO e Fulvio UCCELLA, quest'ultimo
Estensore del provvedimento), n.18156 del 5 agosto 2010
relativa alla vivace sollecitazione a revisionare
l'orientamento giurisprudenziale sulla questione della
decorrenza del termine per la costituzione in giudizio
in caso di notifica a più soggetti convenuti. Con
rituale solennità la sollecitazione della Terza Sezione
era stata attuata nelle forme ordinamentali dell'art.
374, capoverso, c.p.c. che contempla per il Primo
Presidente la facoltà discrezionale di far pronunciare
la Suprema Corte a Sezioni Unite "sui ricorsi che
presentano una questione di diritto già decisa in senso
difforme dalle Sezioni Semplici, e su quelli che
presentano una questione di massima di particolare
importanza". La problematica va annoverata nel contesto
delle questioni di massima e non, invece, nella sede dei
contrasti anche perché, in effetti, la questione
all'apparenza non era affatto coinvolta da qualche
tsunami ermeneutico. Vedremo che ciò comporta
l'ulteriore rischio in ordine alla spendibilità in
proposito del rimedio della rimessione in termini di cui
al novellato art. 153, comma secondo, c.p.c. Ma di tale
imponente problematica, per non appesantire la presente
trattazione, non mancherà occasione di formulare alcuni
spunti in altro contributo. Interpellato in tema,
qualunque studioso del processo avrebbe risposto che,
quanto meno sulla scia della fondamentale sentenza n.6481
del 16 luglio 1997, la Seconda Sezione della Corte di
Cassazione (Presidente Francesco CRISTARELLA ORESTANO e
Relatore Giandonato NAPOLETANO) aveva aderito alla tesi
restrittiva secondo cui il termine va calcolato a
partire dalla prima delle notificazioni. Seguiranno a
ruota progressivamente Cassazione n.15007 dell'8 ottobre
2003, n.17420 del 18 novembre 2003, n.18950 del 1°
settembre 2006, n.17958 del 24 agosto 2007, n.1310 del
25 gennaio 2010, quest'ultima opportunamente menzionata
da Luigi VIOLA a pagina 33 del bel testo, chiaro e
lineare, utile e pratico, or ora pubblicato per i tipi
di Giuffrè sotto il titolo "L'udienza di prima
comparizione ex art. 183 c.p.c." nell'ambito della
collana "fatto&diritto" diretta dal Prof. Paolo CENDON.
In quel lontano, ma basilare precedente del '97, i
Giudici di Piazza Cavour avevano affrontato un caso di
materia condominiale (risarcimento danni per
infiltrazioni di acqua piovana provenienti dal
sovrastante terrazzo) che la Corte di Appello di
Caltanissetta aveva deciso con pronuncia nel merito,
superando, quindi, la tesi sostenuta dall'impugnante e
affermando la tempestività della costituzione degli
attori in primo grado poiché il termine di dieci giorni
fissato dall'art. 165 c.p.c., nell'ipotesi di citazione
notificata a più convenuti, decorre dall'ultima
notifica, non già dalla prima. In tale contesto, si
verifica uno sfalsamento in avanti del termine per
costituirsi proficuamente, secondo la tesi estensiva. Il
ricorrente, tal La Russa, rimproverava alla Corte
nissena di non aver statuito nel senso corretto, sul
rilievo che, a suo opinare, il Tribunale avrebbe dovuto
ordinare la cancellazione della causa dal ruolo; talché
in sede di appello avrebbe dovuto essere pronunciata la
nullità del procedimento di prime cure e della relativa
sentenza, rimettendo la causa al primo giudice. La
Cassazione che poi farà scuola afferma senza mezzi
termini che "la censura di violazione dell'art. 165
c.p.c. è fondata". Già con quella fondamentale decisione
Cassazione n.6481/'97 divisava, quindi, che la censura
di violazione dell'art. 165 c.p.c. era perfettamente
condivisibile, poiché la liberale interpretazione che di
tale norma aveva dato la Corte nissena trovava
insormontabile ostacolo nel chiaro dato letterale della
norma, che, mentre al primo comma fissa in dieci giorni
dalla notificazione della citazione il termine per la
costituzione in giudizio dell'attore, con il secondo
comma prescrive che, in caso di notifica a più persone,
l'originale della citazione debba essere inserito nel
fascicolo d'ufficio entro dieci giorni dall'ultima
notificazione. L'iter argomentativo di Cass. n.6481/'97
proseguiva sancendo che era lampante, ad onta della
generica previsione del primo comma, che la presunzione
del secondo presuppone che il dies a quo consista nella
data della prima notifica perché, opinando altrimenti,
il secondo comma sarebbe superfluo. Infatti, seguendo il
ragionamento degli Ermellini, l'inserimento
dell'originale contemplato nel secondo comma
presupporrebbe di necessità un fascicolo di parte
dell'attore in cui inserire l'atto, già depositato e
quindi un giudizio già iscritto a ruolo. Come ricorda in
modo icastico il Prof. Avv. Luigi VIOLA nel contributo
pubblicato su www.altalex.com in data 30 settembre 2010,
"con tale atto la parte si rende giuridicamente presente
nel processo, con la conseguenza di non poter essere
dichiarata contumace; si realizza in questo modo il
contraddittorio in concreto, coerentemente con l'art.
101 c.p.c. e 24 Cost.". Debbo essere sincero: in
mancanza di tassatività, anzi in presenza di genericità
(nel recentissimo volume or ora menzionato il medesimo
Luigi VIOLA scolpisce: "il problema si pone in quanto il
legislatore non affronta espressis verbis la questione")
dell'art. 165 c.p.c., che oltretutto parla al singolare
di "notificazione", senza precisare quel che accade
quando i convenuti sono più d'uno, tale tesi non mi ha
mai persuaso. Pertanto, quando la Cassazione sostiene
che la lettera della norma rappresenta un punto di
riferimento fermo ed un'indiretta conferma
dell'esattezza della soluzione escogitata, a me pare il
perfetto contrario, se non altro perché si è in tema di
procedimento, per l'appunto la NOTIFICAZIONE, che deve
di necessità essere considerato unitario ed allora non è
ipotizzabile una formazione progressiva del rapporto
processuale che può dirsi compiuto soltanto al
compimento dell'ultima notifica. Teoricamente, allestito
l'atto di citazione o d'appello ed affidato alle
notifiche nei riguardi di due controparti, dopo aver
appreso, in esito al tentativo di notifica, che si
tratta di due coniugi emigrati di recente ad Asuncion in
Paraguay (nomen omen) dopo essersi disfatti di ogni
bene, potrò, serenamente rassegnato, suggerire al
cliente di abbandonare il giudizio senza neppure
iscriverlo a ruolo con i conseguenti balzelli. Un domani
nessuna azione esecutiva potrà mai imprimersi alla
sentenza definitiva, utile soltanto ad essere inserita
in una cornice a futura memoria. Infatti, le norme
processuali non debbono trovare "un'indiretta conferma"
perché chi le mette in pratica sa bene che ai sensi
dell'art. 101, comma secondo, Costituzione, "i giudici
sono soggetti soltanto alla legge" e la legge non
afferma quel che opina pur autorevolmente la
giurisprudenza prevalente. Il precedente è tale se
persuade, ma non è rispondente al vero che se una
Sezione semplice lo ha affermato, dovrà essere applicato
pedissequamente in futuro. Ed invece è avvenuto proprio
questo! Avviene l'improvviso revirement della
giurisprudenza che vira da liberale a rigorosa. Quasi
che il progressivo accumulo di contenzioso vada
sfrondato con metodi surrettizi. Del resto, chi può
negare che ogni giudice della Cassazione sia assillato
dal tentativo di far dichiarare l'inammissibilità della
stragrande maggioranza dei ricorsi, civili e penali, che
affluiscono in riva al Tevere. Per contro, nel processo
civile, con riforme improntate a semplificazione
massima, il giudice dovrebbe esser curioso di ricercare
dove stanno i torti e dove le ragioni, al di là di
macumbe procedimentali. Ma si sa che ogni inasprimento
scoraggia l'accesso al sistema - Giustizia e l'arretrato
...arretra! Prima, invece, Cass. n.3601 del 6 novembre
1958 costituiva la stella polare dell'interprete e così
le corti di merito si orientavano per la tesi estensiva:
a titolo esemplificativo ricordo Tribunale Milano 20
febbraio 1975, Tribunale Firenze 10 luglio 1980, Appello
Palermo 27 ottobre 1992, Tribunale Milano 22 giugno
1995. Anche da ultimo non è mancata occasione di
compulsare pronunce di merito liberali. A titolo
esemplificativo le Sezioni Unite si sono scordate di
Cassazione Sez. Terza n°718 del 18 gennaio 2001 che
testualmente così si esprime (Presidente Giovanni Elio
LONGO - Estensore Francesco TRIFONE, sì proprio quel
Francesco TRIFONE che ha presieduto la Terza Sezione
remittente della magnifica ordinanza interlocutoria del
5 agosto 2010): "ne consegue, secondo la corretta
statuizione della sentenza impugnata, che non poteva
realizzarsi la ipotesi estintiva prevista per la ragione
essenziale che, a seguito della notificazione della
originaria citazione, non vi era stata tardiva
costituzione degli attori. Nel caso di citazione di più
persone, infatti, il secondo comma dell'Art. 165 cpc,
nel disporre che 'l'originale della citazione deve
essere inserito nel fascicolo entro dieci giorni
dall'ultima notificazione', non soltanto precisa che, in
tal caso, si verifica una PROTRAZIONE delle formalità,
di cui la costituzione dell'attore si compone; ma è
altrettanto significativo del fatto che il differimento
di questa modalità implica anche il logico DIFFERIMENTO
DEL TERMINE stesso di costituzione a decorrere
dall'ULTIMA notificazione". Nel '58 la giurisprudenza di
legittimità si pronunciò a favore della tesi estensiva
recependo le istanze che promanavano dai pratici del
processo che, a tacer delle dissertazioni sui massimi
sistemi, sapevano benissimo come vanno le cose in
concreto: tocca iscrivere con la 'velina', senza la
procura in originale e via dicendo. La panoramica che
compie l'ordinanza della Terza Sezione della Cassazione
Civile 5 agosto 2010 n.18156 è da manuale di procedura
civile. Se il Tribunale di Taranto, quale giudice di
appello avverso sentenza di prime cure del locale
Giudice di Pace, aveva emesso declaratoria di
improcedibilità dell'appello nella causa M c. L - Toro
Assicurazioni era perché evidentemente si era uniformato
all'indirizzo ermeneutico più rigoroso. Il thema
decidendum posto dal ricorrente L (che aveva proposto
domanda riconvenzionale nei riguardi dell'attore M e
della Compagnia assicurativa SIAT rimanendo soccombente
avanti al GdP di Taranto) consiste essenzialmente nello
stabilire se l'esegesi dell'art. 165 c.p.c., quale
implicitamente recepita dalla pronuncia del Tribunale di
appello tarantino, debba essere mantenuta oppure se
debba essere modificata a vantaggio di altro, difforme
indirizzo, a mente del quale il termine di dieci giorni
che l'attore deve rispettare per la sua tempestiva
costituzione in giudizio vien fatto iniziare non dalla
prima, bensì dall'ultima delle notifiche. Va ricordato
ch'è in vigore dal 30 aprile 1995 la versione (così
rinnovata dalla Legge n.353 del 26 novembre 1990 - Art.
54) del primo comma dell'art. 348 c.p.c. secondo cui
l'appello è dichiarato improcedibile anche d'ufficio se
l'impugnante non si costituisce in termini. Ed i termini
di riferimento sono quelli dell'art. 165 c.p.c. Talché,
nel rito riformato la tardiva costituzione
dell'appellante porta sempre all'epilogo dell'improcedibilità.
Due le tesi, restrittiva e liberale, che si fronteggiano
sul significato che va attribuito al capoverso dell'art.
165 c.p.c., vale a dire se il contemplato inserimento
nel fascicolo entro dieci giorni dall'ultima notifica
comporti la dilazione di una delle formalità che valgono
a realizzare la costituzione oppure il differimento del
termine di costituzione sì da rendere possibile la
costituzione purché eseguita nei dieci (o cinque, se il
termine a comparire è dimezzato) dalla notifica avvenuta
per ultima. Cominciamo a rimarcare che recependo la tesi
rigorosa, l'attore è obbligato ad effettuare una
costituzione in giudizio lacunosa perché eseguita senza
il sincronico deposito dell'originale dell'atto di
citazione, stanti i tempi biblici di restituzione
dell'organo della notificazione, in special modo nelle
metropoli (ma i disservizi degli UNEP sono ovunque,
avanti agli occhi di tutti). Inoltre, l'attore non può
conoscere la data della prima notifica sino a quando non
gli sia restituito l'atto in caso di notifica a mani o
la cartolina verde per quella con affidamento al
servizio postale. A quel punto, tale termine potrebbe
esser già spirato! Si è già evidenziato che la legge
parla al singolare di "notificazione", senza precisare
quel che accade quando i convenuti sono più d'uno,
talché il principio del diritto mite dovrebbe
logicamente prevalere per non trasmodare
nell'irrazionale e nell'arbitrario. La scelta, nel
dubbio, cade su una tesi invece che sull'altra senza che
il sistema ne tragga un beneficio effettivo. Oltretutto
il totem del principio della ragionevole durata del
processo è sì uno dei cardini del giusto processo: a
mente di tale assioma è irrinunciabile che in uno Stato
di diritto il giudizio sia regolato dalla legge, si
svolga nel contraddittorio tra le parti, in condizioni
di parità, al cospetto di un giudice terzo ed
imparziale. Non sta scritto, però, da nessuna parte che
il processo debba essere affrettato, abborracciato e
sterilmente rapido o inutilmente sommario. La Terza
Sezione remittente afferma senza mezzi termini: "Sembra
...al Collegio che la c.d. tesi liberale possa trovare
credito perché non andrebbe riconosciuto solo un
significato 'intuitivo', come evidenziato dalla sentenza
del 1958, ma un significato conforme alla Costituzione,
alle scelte operate dal legislatore, distinte da quelle
della procedura civile, come pure fu ritenuto da
autorevole dottrina negli anni sessanta. E' indubbio,
infatti, per un verso, che, ancorché il convenuto,
destinatario della prima notificazione, abbia preferito
anticipare la sua costituzione in giudizio ad un momento
antecedente a quello di venti giorni prima della udienza
di comparizione (art. 166 c.p.c.), lo scrutinio del
giudice circa l'improcedibilità dell'appello in ogni
caso non può essere effettuato prima di detta udienza".
Conclude la Terza Sezione: "sicché il procedimento non
ne risulta accelerato". E' questo il bandolo della
matassa. Proprio in nome di tali fondamenti si è
enucleato (straordinaria in proposito l'opera
intellettuale profusa dal Dott. Giuseppe BUFFONE del
Tribunale di Varese) il concetto di overruling ovvero di
cambio delle regole del gioco in corso di partita e si è
posto rimedio in qualche modo agli enormi problemi
scaturenti dall'obiter dictum, inutile e dannoso,
contenuto nella pronuncia a Sezioni Unite della
Cassazione n.19246 del 9 settembre 2010. Per chi avesse
pazienza e benevolenza ricordo che immediatamente dopo
tale pronunciamento ho scritto numerosi contributi su
tale impensabile problematica consultabili in questo
stesso Portale Giuridico, sfogando il mio tic per la
scrittura, sempre memore del curioso aneddoto narrato da
Luis SEPULVEDA: "mi ricordo sempre di un ufficiale di
dogana a Quito: ogni volta che dovevo mendicare un visto
mi chiedeva la professione. Quando gli rispondevo:
Scrittore, ripeteva: Le ho chiesto la professione!".
Andrà rievocato soltanto di sfuggita che,
incredibilmente, le Sezioni Unite hanno opinato che
"esigenze di coerenza sistematica, oltre che pratiche,
inducono ad affermare che non solo i termini di
costituzione dell'opponente e dell'opposto sono
automaticamente ridotti alla metà in caso di effettiva
assegnazione all'opposto di un termine a comparire
inferiore a quello legale, ma che tale effetto
automatico è conseguenza del solo fatto che
l'opposizione sia stata proposta". Provvidenzialmente, a
conferma che non ci eravamo tutti bevuti il cervello, la
Terza Sezione della Cassazione - Presidente Roberto
PREDEN e Relatore R. LANZILLO - con ORDINANZA
INTERLOCUTORIA n°6514 del 22 marzo 2011 ha rimesso
nuovamente alle Sezioni Unite (con l'augurio che possa
essere l'occasione per restituire alla composizione
estesa quell'autorevolezza in prospettiva di
NOMOFILACHIA che tutti le tributiamo), vuoi la questione
afferente l'interpretazione dell'art. 645, secondo
comma, c.p.c., vuoi quella relativa all'affidamento
incolpevole, dal momento ch'è di immediata percezione
che se l'ermeneuta ha seguito un orientamento
consolidato, non potrà mai per tale ragione subire
sanzione in un Ordinamento Giuridico che vuol dirsi
tale. Appare evidente come si è determinatato un
AGGRAVAMENTO della posizione di una sola delle parti del
giudizio, nell'esercizio del diritto di difesa, non
previsto dalla legge, in un procedimento, quello
monitorio, che vede già il convenuto opponente in una
situazione di SVANTAGGIO rispetto all'attore-opposto.
Inoltre, s'impone una seria riflessione sul problrema
dell'efficacia nel tempo delle regole di giurisprudenza,
in special modo se di tenore processuale. Ricordo,
infine, che ai sensi dell'art. 360-bis, n.1, c.p.c., il
ricorso per cassazione è "inammissibile" (o per meglio
esprimersi, manifestamente infondato) "quando il
provvedimento impugnato ha deciso le questioni di
diritto in modo CONFORME alla giurisprudenza della Corte
e l'esame dei motivi non offre elementi da confermare o
mutare l'orientamento della stessa" Purtroppo, il nostro
tema d'indagine è assai diverso e non mancherà - ahinoi!
- occasione di affrontare nuovamente la questione.
Dedico questa ...mappatura del rischio a tutti i miei
Colleghi Avvocati, in epoca di spasmodico impegno unito
a forme di crescenti addebiti professionali, spesso
davvero ingiusti ed incolpevoli, con l'augurio di esser
stato in qualche modo utile, anche soltanto a stimolare
una riflessione.
Avv. Paolo M. Storani |