Alberto Di Mario
Il Consiglio di Stato, con la
pronuncia in commento conferma l'indirizzo
giurisprudenziale secondo il quale è illegittima la
revoca della approvazione di una variante ad oggetto
specifico, adottata senza la previa comunicazione
dell'avvio del procedimento al soggetto che aveva
presentato il progetto medesimo e che dall'atto revocato
aveva ottenuto effetti favorevoli. Se la variante
speciale o ad oggetto specifico richiede per la sua
approvazione la comunicazione di avvio del procedimento
ai diretti interessati, in quanto è atto di natura
provvedimentale, a maggior ragione occorre tale
comunicazione nel caso di revoca della variante.
La controversia in esame ha per
oggetto due deliberazioni con la quale il Consiglio
comunale ha revocato una variante urbanistica relativa
alla divisione in due comparti del terreno edificabile
in zona C1.
Il Consiglio di Stato, con la
pronuncia in commento conferma l'indirizzo
giurisprudenziale secondo il quale è illegittima la
revoca della approvazione di una variante ad oggetto
specifico, adottata senza la previa comunicazione
dell'avvio del procedimento al soggetto che aveva
presentato il progetto medesimo e che dall'atto revocato
aveva ottenuto effetti favorevoli.
Per comprendere bene la portata
della pronuncia occorre specificare che la variante in
questione si caratterizzava, come specificato nella
sentenza di primo grado (T.A.R. Toscana, n. 1431 del
2003), perchè "l'area oggetto di variante era
particolarmente ristretta".
In presenza di queste
caratteristiche la giurisprudenza ha individuato
specifiche deroghe alle regole generali in materia di
atti urbanistici generali.
Occorre infatti ricordare che di
regola le scelte urbanistiche generali
dell'amministrazione non debbono essere motivate in modo
specifico.
La ragione di questa communis
opinio giurisprudenziale (Cons. di Stato, Sez. IV, 25
febbraio 1988, n. 99) era individuata, prima della L. n.
241 del 1990, in un duplice ordine di considerazioni. Da
un lato l'attività di pianificazione urbanistica ha
carattere altamente discrezionale (Cons. di Stato, Sez.
IV, 5 settembre 1986, n. 582); dall'altro si afferma che
"la motivazione non occorre per gli atti a contenuto
generale almeno con altrettanto rigore che per quelli a
contenuto determinato" (Cons. di Stato, Ad. plen., 21
ottobre 1980, n. 37). Il piano regolatore generale trova
quindi sufficiente motivazione nei criteri posti a base
del piano stesso e che sono indicati nella relazione
allegata ad esso. La L. n. 241 del 1990 ha portato nuova
linfa a questo orientamento.
L'art. 3, comma 2 stabilisce,
infatti, che la motivazione non è richiesta per gli atti
normativi e per quelli a contenuto generale. Ad analoghe
conseguenze la giurisprudenza perviene per quanto
riguarda l'obbligo di comunicazione di avvio del
procedimento.
L'art. 13, L. n. 241 del 1990,
infatti, stabilisce che "le disposizioni contenute nel
presente capo non si applicano nei confronti
dell'attività della pubblica amministrazione diretta
alla emanazione di atti normativi, amministrativi
generali, di pianificazione e di programmazione, per i
quali restano ferme le particolari norme che ne regolano
la formazione".
Il limite esterno di applicazione
della legge sul procedimento amministrativo è quindi
chiaramente individuata nel fatto che essa si dirige nei
confronti dell'attività amministrativa diretta ad
emanare provvedimenti che hanno destinatari determinati
o determinabili a priori.
Poiché, di regola, questi caratteri
non sono propri degli atti generali ed in particolare
degli atti urbanistici, la giurisprudenza (Cons. Stato,
Ad. Gen., parere 29 marzo 2001, n. 4; idem Sez. IV, 20
marzo 2001, n. 1797) afferma che l'approvazione dei
piani regolatori e delle loro varianti rientra nei casi
di esclusione della partecipazione prevista dall'art. 13
della L. n. 241.
Secondo il parere formulato
dall'Ad. plenaria del Cons. Stato in data 17 agosto
1987, n. 7187, inoltre, la ratio di tali eccezioni è da
rintracciare nella volontà legislativa di sottrarre, per
ragioni pratiche, ad una penetrante ingerenza atti di
applicazione generalizzata destinati ad incidere nella
sfera giuridica di un numero indeterminato o, comunque,
assai cospicuo di soggetti.
L'esclusione della partecipazione
nei procedimenti volti alla produzione di atti
normativi, amministrativi generali, di pianificazione e
di programmazione chiaramente non significa l'esclusione
di qualsiasi forma di partecipazione in questo tipo di
procedimenti, ma solo l'applicazione delle forme di
partecipazione già previste dall'ordinamento, che, però,
si caratterizzano perché non sono precedute da
comunicazione individuale ma solo collettiva e spesso
sono solo successive all'adozione (quest'ultimo elemento
è stato però corretto almeno parzialmente dalla
legislazione regionale più moderna).
I limiti della partecipazione
procedimentale prevista dalla legislazione urbanistica
ha però spinto la giurisprudenza a riconoscere che non
vi è ragione di escludere l'applicazione delle regole di
partecipazione del procedimento previste dalla L. n. 241
del 1990 quanto gli atti urbanistici abbiano destinatari
determinati e ben individuati.
E' il caso delle varianti limitate
ed a oggetto specifico, che interessano solo parti
limitate del territorio comunale ed hanno destinatari
determinati. In questi casi, come conferma la sentenza
in commento, l'esclusione dell'art. 13, L. n. 241 del
1990, non opera. Infatti "Con l'art. 13, L. 7 agosto
1990, n. 241, che esclude dall'applicabilità del capo
III della stessa legge i procedimenti tesi all'adozione
di atti di pianificazione, il legislatore ha inteso
escludere la duplicazione delle forme di partecipazione
procedimentale, ma non eliminarle; pertanto, qualora uno
specifico procedimento di variante interferisca con gli
interessi di determinati soggetti, non vi sono ragioni
per non dare applicazione all'art. 7, L. n. 241 cit. in
tema di obbligo di comunicazione" (v. anche Cons. di
Stato, Sez. IV, 24 ottobre 2000, n. 5720, in Cons. di
Stato, 2000, Sez. I, n. 2331; Cons. di Stato, Sez. IV,
17 aprile 2003, n. 2004).
Anche il legislatore ha limitato la
portata del principio sancito dall'art. 13, L. n. 241
del 1990 stabilendo, all'art. 11, lett. a), D.P.R. 8
giugno 2001, n. 327 (T.U. espropriazioni per pubblica
utilità) che al proprietario del bene sul quale si
intende apporre il vincolo preordinato all'esproprio,
che risulti dai registri catastali, va inviato l'avviso
dell'avvio del procedimento nel caso di adozione di una
variante al piano regolatore per la realizzazione di una
singola opera pubblica, almeno venti giorni prima della
delibera del Consiglio comunale. Alla variante al piano
regolatore, che è di regola un atto di pianificazione,
viene riconosciuta natura provvedimentale in conseguenza
del fatto che ha un oggetto e dei destinatari specifici
ed in ragione di ciò vengono ad essa estese le garanzie
di partecipazione al procedimento sulla falsariga di
quanto previsto dalla L. n. 241 del 1990.
In sostanza la giurisprudenza
applica una nozione sostanziale di atto programmatorio,
che indipendentemente dalla denominazione di variante
generale o di piano regolatore generale datagli
dall'amministrazione, analizza il contenuto e la portata
dell'atto, riconoscendogli il carattere generale solo se
è caratterizzato dalla generalità dei destinatari.
La sentenza in commento applica poi
questi principi anche agli atti di autotutela adottati
dall'amministrazione.
Se la variante speciale o ad
oggetto specifico richiede per la sua approvazione la
comunicazione di avvio del procedimento ai diretti
interessati, in quanto è atto di natura provvedimentale,
a maggior ragione occorre tale comunicazione nel caso di
revoca della variante. Infatti la preventiva
comunicazione di avvio del procedimento prevista
dall'art. 7, L. n. 241 del 1990 rappresenta un principio
generale dell'agere amministrativo, soprattutto quando
si tratta di casi di autotutela a mezzo di revoca o
annullamento di precedenti atti amministrativi
favorevoli (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, 3 marzo
2010, n. 532).
Il riconoscimento della natura
provvedimentale delle varianti ad oggetto specifico
comporta conseguenze importanti anche con riferimento
alla motivazione.
La giurisprudenza infatti applica
in questi casi l'art. 3, comma 1, L. n. 241 del 1990
secondo il quale "ogni provvedimento amministrativo, ...
deve essere motivato" senza che trovi più applicazione
l'eccezione prevista dal comma 2 e relativa agli atti
normativi ed a quelli a contenuto generale".
Si afferma così che se, in linea
generale, non è ravvisabile un onere di motivazione nel
caso di adozione, per la prima volta, di una nuova
disciplina di una data area, deve invece ritenersi
sussistente un dovere di motivazione allorché con una
variante al piano regolatore generale il Comune muti
radicalmente la destinazione di una data area già
oggetto delle scelte pianificatore del Comune, e ciò
faccia con una previsione che ha carattere singolare e
specifico anziché di portata generale ed estesa a tutte
le aree comprese in una determinata zona (Cons. di Stato
Sez. IV, 7 aprile 1997, n. 343). |