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Edilizia ed urbanistica-Varianti edilizie revocate, chi ne trae vantaggio dev'essere informato- (Decisione Consiglio di Stato 24/05/2011, n. 3120)-Ipsoa,it

 

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Alberto Di Mario

Il Consiglio di Stato, con la pronuncia in commento conferma l'indirizzo giurisprudenziale secondo il quale è illegittima la revoca della approvazione di una variante ad oggetto specifico, adottata senza la previa comunicazione dell'avvio del procedimento al soggetto che aveva presentato il progetto medesimo e che dall'atto revocato aveva ottenuto effetti favorevoli. Se la variante speciale o ad oggetto specifico richiede per la sua approvazione la comunicazione di avvio del procedimento ai diretti interessati, in quanto è atto di natura provvedimentale, a maggior ragione occorre tale comunicazione nel caso di revoca della variante.

 

La controversia in esame ha per oggetto due deliberazioni con la quale il Consiglio comunale ha revocato una variante urbanistica relativa alla divisione in due comparti del terreno edificabile in zona C1.

 

Il Consiglio di Stato, con la pronuncia in commento conferma l'indirizzo giurisprudenziale secondo il quale è illegittima la revoca della approvazione di una variante ad oggetto specifico, adottata senza la previa comunicazione dell'avvio del procedimento al soggetto che aveva presentato il progetto medesimo e che dall'atto revocato aveva ottenuto effetti favorevoli.

 

Per comprendere bene la portata della pronuncia occorre specificare che la variante in questione si caratterizzava, come specificato nella sentenza di primo grado (T.A.R. Toscana, n. 1431 del 2003), perchè "l'area oggetto di variante era particolarmente ristretta".

 

In presenza di queste caratteristiche la giurisprudenza ha individuato specifiche deroghe alle regole generali in materia di atti urbanistici generali.

 

Occorre infatti ricordare che di regola le scelte urbanistiche generali dell'amministrazione non debbono essere motivate in modo specifico.

 

La ragione di questa communis opinio giurisprudenziale (Cons. di Stato, Sez. IV, 25 febbraio 1988, n. 99) era individuata, prima della L. n. 241 del 1990, in un duplice ordine di considerazioni. Da un lato l'attività di pianificazione urbanistica ha carattere altamente discrezionale (Cons. di Stato, Sez. IV, 5 settembre 1986, n. 582); dall'altro si afferma che "la motivazione non occorre per gli atti a contenuto generale almeno con altrettanto rigore che per quelli a contenuto determinato" (Cons. di Stato, Ad. plen., 21 ottobre 1980, n. 37). Il piano regolatore generale trova quindi sufficiente motivazione nei criteri posti a base del piano stesso e che sono indicati nella relazione allegata ad esso. La L. n. 241 del 1990 ha portato nuova linfa a questo orientamento.

 

L'art. 3, comma 2 stabilisce, infatti, che la motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale. Ad analoghe conseguenze la giurisprudenza perviene per quanto riguarda l'obbligo di comunicazione di avvio del procedimento.

 

L'art. 13, L. n. 241 del 1990, infatti, stabilisce che "le disposizioni contenute nel presente capo non si applicano nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione".

 

Il limite esterno di applicazione della legge sul procedimento amministrativo è quindi chiaramente individuata nel fatto che essa si dirige nei confronti dell'attività amministrativa diretta ad emanare provvedimenti che hanno destinatari determinati o determinabili a priori.

 

Poiché, di regola, questi caratteri non sono propri degli atti generali ed in particolare degli atti urbanistici, la giurisprudenza (Cons. Stato, Ad. Gen., parere 29 marzo 2001, n. 4; idem Sez. IV, 20 marzo 2001, n. 1797) afferma che l'approvazione dei piani regolatori e delle loro varianti rientra nei casi di esclusione della partecipazione prevista dall'art. 13 della L. n. 241.

 

Secondo il parere formulato dall'Ad. plenaria del Cons. Stato in data 17 agosto 1987, n. 7187, inoltre, la ratio di tali eccezioni è da rintracciare nella volontà legislativa di sottrarre, per ragioni pratiche, ad una penetrante ingerenza atti di applicazione generalizzata destinati ad incidere nella sfera giuridica di un numero indeterminato o, comunque, assai cospicuo di soggetti.

 

L'esclusione della partecipazione nei procedimenti volti alla produzione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione chiaramente non significa l'esclusione di qualsiasi forma di partecipazione in questo tipo di procedimenti, ma solo l'applicazione delle forme di partecipazione già previste dall'ordinamento, che, però, si caratterizzano perché non sono precedute da comunicazione individuale ma solo collettiva e spesso sono solo successive all'adozione (quest'ultimo elemento è stato però corretto almeno parzialmente dalla legislazione regionale più moderna).

 

I limiti della partecipazione procedimentale prevista dalla legislazione urbanistica ha però spinto la giurisprudenza a riconoscere che non vi è ragione di escludere l'applicazione delle regole di partecipazione del procedimento previste dalla L. n. 241 del 1990 quanto gli atti urbanistici abbiano destinatari determinati e ben individuati.

 

E' il caso delle varianti limitate ed a oggetto specifico, che interessano solo parti limitate del territorio comunale ed hanno destinatari determinati. In questi casi, come conferma la sentenza in commento, l'esclusione dell'art. 13, L. n. 241 del 1990, non opera. Infatti "Con l'art. 13, L. 7 agosto 1990, n. 241, che esclude dall'applicabilità del capo III della stessa legge i procedimenti tesi all'adozione di atti di pianificazione, il legislatore ha inteso escludere la duplicazione delle forme di partecipazione procedimentale, ma non eliminarle; pertanto, qualora uno specifico procedimento di variante interferisca con gli interessi di determinati soggetti, non vi sono ragioni per non dare applicazione all'art. 7, L. n. 241 cit. in tema di obbligo di comunicazione" (v. anche Cons. di Stato, Sez. IV, 24 ottobre 2000, n. 5720, in Cons. di Stato, 2000, Sez. I, n. 2331; Cons. di Stato, Sez. IV, 17 aprile 2003, n. 2004).

 

Anche il legislatore ha limitato la portata del principio sancito dall'art. 13, L. n. 241 del 1990 stabilendo, all'art. 11, lett. a), D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (T.U. espropriazioni per pubblica utilità) che al proprietario del bene sul quale si intende apporre il vincolo preordinato all'esproprio, che risulti dai registri catastali, va inviato l'avviso dell'avvio del procedimento nel caso di adozione di una variante al piano regolatore per la realizzazione di una singola opera pubblica, almeno venti giorni prima della delibera del Consiglio comunale. Alla variante al piano regolatore, che è di regola un atto di pianificazione, viene riconosciuta natura provvedimentale in conseguenza del fatto che ha un oggetto e dei destinatari specifici ed in ragione di ciò vengono ad essa estese le garanzie di partecipazione al procedimento sulla falsariga di quanto previsto dalla L. n. 241 del 1990.

 

In sostanza la giurisprudenza applica una nozione sostanziale di atto programmatorio, che indipendentemente dalla denominazione di variante generale o di piano regolatore generale datagli dall'amministrazione, analizza il contenuto e la portata dell'atto, riconoscendogli il carattere generale solo se è caratterizzato dalla generalità dei destinatari.

 

La sentenza in commento applica poi questi principi anche agli atti di autotutela adottati dall'amministrazione.

 

Se la variante speciale o ad oggetto specifico richiede per la sua approvazione la comunicazione di avvio del procedimento ai diretti interessati, in quanto è atto di natura provvedimentale, a maggior ragione occorre tale comunicazione nel caso di revoca della variante. Infatti la preventiva comunicazione di avvio del procedimento prevista dall'art. 7, L. n. 241 del 1990 rappresenta un principio generale dell'agere amministrativo, soprattutto quando si tratta di casi di autotutela a mezzo di revoca o annullamento di precedenti atti amministrativi favorevoli (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, 3 marzo 2010, n. 532).

 

Il riconoscimento della natura provvedimentale delle varianti ad oggetto specifico comporta conseguenze importanti anche con riferimento alla motivazione.

 

La giurisprudenza infatti applica in questi casi l'art. 3, comma 1, L. n. 241 del 1990 secondo il quale "ogni provvedimento amministrativo, ... deve essere motivato" senza che trovi più applicazione l'eccezione prevista dal comma 2 e relativa agli atti normativi ed a quelli a contenuto generale".

 

Si afferma così che se, in linea generale, non è ravvisabile un onere di motivazione nel caso di adozione, per la prima volta, di una nuova disciplina di una data area, deve invece ritenersi sussistente un dovere di motivazione allorché con una variante al piano regolatore generale il Comune muti radicalmente la destinazione di una data area già oggetto delle scelte pianificatore del Comune, e ciò faccia con una previsione che ha carattere singolare e specifico anziché di portata generale ed estesa a tutte le aree comprese in una determinata zona (Cons. di Stato Sez. IV, 7 aprile 1997, n. 343).

 

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