È totalmente da escludere che la
conclusione di un contratto di locazione con l’intento
di adibire l’immobile ad un uso diverso da quello
indicato dalla propria destinazione integri un’ipotesi
di simulazione assoluta. Tanto più che il ricorrente non
solo non prova, ma neppure allega la presenza di un
accordo simulatorio, conditio sine qua non di una
pronuncia dichiarativa della simulazione
Tribunale di Prato, 5 maggio 2011,
n. 511
(Giudice Unico Brogi)
Fatto e diritto
Con ricorso ex art. 447 bis c.p.c.
il Fallimento Carrozzeria L. di S. e C. s.n.c. ha
convenuto in giudizio P. M. I. per sentire pronunciare
in via principale la simulazione assoluta del contratto
di locazione concluso il 9/10/2007, in via subordinata,
il recesso ex art. 80 l. fall. e, in via ulteriormente
subordinata, la risoluzione per inadempimento.
Il ricorrente, in particolare, ha
esposto che la Carrozzeria L. di S. e C. s.n.c. –
dichiarata fallita dal Tribunale di Prato con sentenza
del 18/6/2008 – aveva dato in locazione due locali ad
uso deposito con due bagni in Poggio a Caiano, Via
(omissis)
A seguito della dichiarazione di
fallimento del ricorrente il curatore aveva dapprima
comunicato - con raccomandata del 30 10/2008- alla
convenuta di rilasciare l’immobile libero da persone e
cose, unitamente alla diffida ad utilizzarlo secondo la
destinazione urbanistica. Successivamente, con
raccomandata del 26/5/2009, aveva comunicato il recesso
ex art. 80 l. fall., unitamente alla richiesta di un
aggiornamento in merito alla situazione personale e
patrimoniale della convenuta e di accesso del curatore
fallimentare nell’immobile locato per un’ispezione.
Il ricorrente, fa in primo luogo
domanda di simulazione assoluta adducendo i seguenti
elementi:
- la convenuta non svolge alcuna
attività che implica l’uso di locali adibiti a deposito;
- l’immobile locato invece, secondo
informazioni indirettamente assunte dai condomini,
avrebbe attualmente una destinazione abitativa.
- l’epoca della conclusione del
contratto che è di poco anteriore la dichiarazione di
fallimento.
In via subordinata il ricorrente fa
valere l’avvenuto recesso ex art. 80 l. fall. e, in via
ulteriormente subordinata, la risoluzione del contratto
di locazione per inadempimento della conduttrice
consistito nel non averlo adibito all’uso stabilito nel
contrato e conforme alla normativa pubblicistica in
materia.
Il ricorrente, infine, rileva
altresì che la conduttrice si era resa morosa e che il
pagamento effettuato era stato addebitato a titolo di
indennità di occupazione.
La parte convenuta non si è
costituita e deve pertanto essere dichiarata contumace.
L’ordine concretamente dato dal
ricorrente alle domande impone al Giudice di seguire le
priorità indicate e di esaminare le domande secondo
l’esplicita sequenza indicata, con la conseguenza che
l’accoglimento di una domanda impedisce l’esame di
quella proposta in via subordinata.
La domanda di simulazione assoluta
del contratto di locazione è infondata e deve essere
respinta. La simulazione si identifica nel fenomeno
dell’apparenza negoziale: le parti stipulano un
contratto con il reciproco intento che esso non
corrisponda alla loro reale volontà negoziale, in quanto
o non hanno voluto concludere nessun negozio
(simulazione assoluta) o ne hanno voluto concludere uno
diverso (simulazione relativa).
Nel caso in esame la parte ha
chiesto di accertare la simulazione assoluta, che non
può essere ravvisata, posto che le parti non hanno
escluso la produzione degli effetti giuridici del
negozio. È infatti totalmente da escludere che la
conclusione di un contratto di locazione con l’intento
di adibire l’immobile ad un uso diverso da quello
indicato dalla propria destinazione integri un’ipotesi
di simulazione assoluta. Tanto più che il ricorrente non
solo non prova, ma neppure allega la presenza di un
accordo simulatorio, conditio sine qua non di una
pronuncia dichiarativa della simulazione. Sul punto si
rileva che il medesimo fatto “mutamento della
destinazione d’uso” viene indicato in prima battuta come
uno degli indici della simulazione ed in via subordinata
come condotta della convenuta qualificabile sub specie
di inadempimento. È di tutta evidenza come uno stesso
fatto non possa essere qualificato ora come
riconducibile ad un comune accordo delle parti, ora come
una condotta esclusivamente addebitabile solo ad una di
esse, quale l’inadempimento. È evidente in tal senso la
confusione tra il momento della formazione dell’accordo
negoziale e quello della sua esecuzione.
Con riferimento alla domanda di cui
all’art. 80 l.fall. si applica ratione temporis la
versione della norma risultante dalla riforma della
legge fallimentare (D. lgs. n. 169/2007), in base al
quale: “Qualora la durata del contratto sia
complessivamente superiore a quattro anni dalla
dichiarazione di fallimento, il curatore ha, entro un
anno dalla dichiarazione di fallimento, la facoltà di
recedere dal contratto corrispondendo al conduttore un
equo indennizzo per l’anticipato recesso, che nel
dissenso fra le parti, è determinato dal giudice
delegato, sentiti gli interessati. Il recesso ha effetto
decorsi quattro anni dalla dichiarazione di fallimento.”
La norma prevede una forma di
recesso dal contratto stipulato dal locatore dichiarato
fallito sottoposta ai seguenti requisiti:
- durata del contratto superiore a
quattro anni dalla dichiarazione di fallimento;
- esercizio della facoltà entro un
anno dalla dichiarazione di fallimento;
- corresponsione di un equo
indennizzo (determinato in caso di dissenso delle parti
dal giudice delegato.
Il recesso dal contratto di
locazione ex art. 80 l. fall contempera pertanto i
diversi interessi della curatela fallimentare e del
conduttore. In primo luogo la legge ne circoscrive
l’applicazione ai contratti di durata superiore a
quattro anni dalla dichiarazione del fallimento. Tale
requisito è integrato nel caso in esame, dato che il
contratto avente ad oggetto un immobile ad uso non
abitativo è stato stipulato per una durata di sei anni
in data 9/10/2007, superando così di quattro anni la
data della dichiarazione del fallimento della locatrice,
avvenuta il 18 giugno 2008.
È altresì stato osservato il
requisito temporale di un anno dalla dichiarazione di
fallimento per l’esercizio del diritto di recesso
avvenuto con la raccomandata del 26 maggio 2009, dove
viene espressamente menzionata la norma in esame.
Con riferimento alla determinazione
dell’equo indennizzo da corrispondere al conduttore, si
pone la questione se sia competente per il suo
accertamento il giudice che emette la sentenza di
accertamento dell’avvenuto esercizio del diritto di
recesso o il giudice delegato. In base al criterio di
interpretazione letterale si ritiene che la sua
determinazione, in mancanza di accordo tra le parti,
deve essere rimessa al giudice delegato, così come
disposto dall’art. 80 l. fall.
Nel caso in esame si deve infatti
ritenere che tale accordo non sia stato raggiunto,
considerata sia la contumacia della convenuta che la
mancanza di elementi in tal senso risultanti dagli atti
di causa.
Tale conclusione risulta
confermata, a livello sistematico, dal fatto che il
credito del conduttore costituito dall’equo indennizzo
di cui all’art. 80 l. fall. deve essere insinuato nel
passivo fallimentare.
La determinazione dell’equo
indennizzo per il conduttore deve essere pertanto
rimessa al giudice delegato.
L’efficacia del recesso sarà a
partire da quattro anni dopo la dichiarazione di
fallimento, così come prescritto dall’art. 80 l. fall.
L’esame della domanda di
risoluzione per inadempimento, come già rilevato, è
precluso dall’accoglimento della domanda di recesso ex
art. 80 l. fall. cui era subordinato per volontà del
ricorrente. In considerazione dell’infondatezza della
domanda di simulazione assoluta e del fatto che la
mancata restituzione dell’immobile non ha avuto luogo
per il fatto che non è scaduto il termine di efficacia
del recesso stabilito dall’art. 80 l. fall., le spese
processuali devono essere compensate tra le parti.
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