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ALIUD PRO ALIO ANCHE QUANDO IL BENE È COMMERCIALIZZATO SENZA LE QUALITÀ PATTUITE?Cassazione, sez. II, 18 maggio 2011, n. 10917-Diritto e processo.it

 

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Si ha consegna di "aliud pro alio" che da luogo all'azione contrattuale di risoluzione o di adempimento ex art. 1453 cod. civ., svincolata dai termini di decadenza e prescrizione previsti dall'art. 1495 cod. civ., solo se il bene venduto sia completamente diverso da quello pattuito, in quanto appartenendo ad un genere diverso, si riveli funzionalmente del tutto inidoneo ad assolvere la destinazione economico-sociale della res venduta e, quindi, a fornire l'utilità richiesta

 

 

 

 

 

Cassazione, sez. II, 18 maggio 2011, n. 10917

 

(Pres. Oddo – Rel. Proto)

 

 

 

 

 

Svolgimento del processo

 

Con decreto ingiuntivo del 4/2/1994 il Presidente del Tribunale di Brindisi ingiungeva alla società Cooperativa l'A. L s.r.l. (d'ora innanzi, semplicemente la Cooperativa) di pagare alla E s.r.l. la somma di L. 93.356.163 a titolo di pagamento del residuo prezzo di una fornitura di 3.500 quintali di mosto concentrato rosso, per un importo complessivo di L. 510.000.000 effettuata circa 4 anni prima, come da fatture del 1989 e del 1990. La cooperativa ingiunta proponeva opposizione assumendo, per quanto qui ancora interessa:

 

- che la mercé era stata garantita conforme alla legislazione nazionale e comunitaria;

 

- che la venditrice si era impegnata a fornire tutta la documentazione sanitaria richiesta ai fini dell'ottenimento del premio di arricchimento CEE (L. 1.676 per ogni grado del mosto concentrato utilizzato);

 

- che, invece, il mosto fornito era irregolare perché da analisi di laboratorio risultava addizionato con zucchero di bietola;

 

che pertanto i legali rappresentanti sia della società opponente che di quella opposta erano stati processati per il reato di cui al DPR 12/2/1976 n. 162 (norme per la repressione delle frodi nella preparazione e nel commercio di mosti, vini e aceti) e assolti per mancanza dell'elemento psicologico del reato;

 

- che comunque la presenza di sostanze estranee al mosto di uva impediva l'erogazione del premio di arricchimento CEE;

 

- che, inoltre, aveva subito un danno di immagine.

 

Tanto premesso, chiedeva la revoca del decreto ingiuntivo per infondatezza della pretesa creditoria e, in via riconvenzionale, il risarcimento danni derivanti, per L. 90.734.179, dal mancato riconoscimento del premio di arricchimento CEE e, per L. 200.000.000, dal danno all'immagine.

 

La società opposta chiedeva il rigetto dell'opposizione e della domanda riconvenzionale eccependo la decadenza dal diritto alla garanzia per vizi della cosa. Il Tribunale di Brindisi con sentenza 25/8/2003 rigettava l'opposizione e la domanda riconvenzionale di risarcimento danni accogliendo l'eccezione di decadenza dalla garanzia per omessa tempestiva denuncia del vizio e per il decorso del termine dell'anno dalla consegna. Il Tribunale escludeva che fosse stata consegnata una cosa diversa da quella pattuita in quanto il prodotto, pur addizionato con zucchero di bietola, era stato comunque utilizzato dall'opponente per l'operazione di arricchimento e regolarmente commercializzato. La cooperativa proponeva appello insistendo nella richiesta di risarcimento danni per il mancato ottenimento del premio di arricchimento CEE e per danno all'immagine e osservando che la propria azione doveva essere qualificata come azione di esatto adempimento del contratto e di risarcimento danni conseguente all'inadempimento; pertanto, secondo l'appellante, non erano applicabili i termini di decadenza e prescrizione dell'azione e la società venditrice era inadempiente perché aveva fornito un prodotto irregolare e non aveva fornito la documentazione necessaria per l'ottenimento del premio di arricchimento CEE.

 

Quale secondo motivo di appello, secondo quanto si legge nel ricorso, la cooperativa avrebbe ribadito che era stata fornita una cosa diversa da quella pattuita. La società E si costituiva per chiedere il rigetto dell'appello del quale eccepiva l'inammissibilità in quanto l'unica doglianza sarebbe stata rappresentata dalla critica della qualificazione della domanda proposta; eccepiva inoltre l'inammissibilità della domanda di consegna di documenti in quanto domanda nuova.

 

La Corte di Appello di Lecce con sentenza del 28/9/2004 respingeva l'appello osservando che:

 

- l'azione per vizi o mancanza di qualità del mosto era stata proposto oltre i termini di decadenza e prescrizione di cui all'art. 1495 c.c.;

 

il capo della sentenza che aveva motivatamente e correttamente escluso l'ipotesi di consegna di aliud pro alio, come tale non soggetta ai suddetti termini di decadenza e prescrizione, non era stato oggetto di specifica censura e pertanto era intervenuto il giudicato sulla statuizione;

 

- la soc. E non aveva assunto alcun obbligo di garanzia diverso da quello legale e non era prevista un' azione di esatto adempimento alternativa alle azioni regolate dal codice civile in favore del compratore;

 

la Cooperativa non poteva invocare l'eccezione di inadempimento perché aveva utilizzato e commercializzato il mosto acquistato e l'eccezione appariva contraria a buona fede;

 

- la domanda di consegna dei documenti necessari per il premio CEE era inammissibile perché proposta per la prima volta in appello;

 

- la domanda di risarcimento danni non poteva essere esaminata per la tardività della denunzia dei vizi in quanto l'onere di tempestiva denunzia condiziona sia l'azione di risoluzione o di riduzione del prezzo sia quella di risarcimento dei danni.

 

La Cooperativa propone ricorso per Cassazione fondato su due motivi; E s.r.l. non si è costituita.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo la Cooperativa ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1321, 1322, 1362, 1363, 1492, 1494, 1495, 1945, 1453, 2697, e 2909 c.c. e degli artt. 163, 327, 329, 342 e 112 c.p.c. e il vizio di motivazione.

 

Nel motivo, nel quale vengono disordinatamente affastellate violazioni di norme sostanziali e di norme processuali, insieme con vizi di motivazione, sono individuabili i seguenti motivi di censura, tutti infondati o inammissibili.

 

a) La Corte di Appello avrebbe errato (violando l'art. 329 c.p.c. in materia di acquiescenza rispetto alla sentenza impugnata e l'art. 342 c.p.c. in materia di requisiti dell'appello) nel ritenere non proposta l'impugnazione avverso la statuizione che aveva escluso l'ipotesi della vendita aliud pro alio e, per tale motivo, avrebbe omesso di pronunciarsi su uno specifico motivo di impugnazione.

 

Il motivo è inammissibile sotto un duplice profilo:

 

- la Corte di Appello non ha sostenuto che non erano state riproposte le deduzioni difensive svolte in primo grado circa la vendita di cosa diversa, ma che non erano state formulate censure specifiche rispetto alla statuizione che aveva escluso che la consegna di mosto di gradazione inferiore a quella pattuita e addizionato con zucchero di barbabietola costituisse consegna di cosa diversa da quella pattuita integrando invece la diversa ipotesi di mancanza di qualità essenziali per la quale erano decorsi i termini della garanzia; pertanto il giudice di appello non ha ritenuto che l'appellante avesse fatto acquiescenza, ma ha ritenuto che il capo della decisione che aveva escluso l'ipotesi di vendita di aliud pro alio era passato in giudicato per mancanza di specifici motivi di impugnazione; sotto questo profilo la ricorrente nella censura non coglie la ratio decidendi e non muove specifiche censure rispetto alla predetta motivazione;

 

- in ogni caso, la Corte di Appello, a fronte della censura carente di specificità ha altresì rilevato che il giudice di primo grado aveva motivatamente e correttamente escluso l'ipotesi di consegna aliud pro alio così richiamando e facendo proprie le motivazioni della sentenza appellata fondate sulla considerazione che la cosa non apparteneva ad un genere diverso da quello pattuito e che comunque era stata commercializzata (come si apprende dalla sentenza di appello); sotto questo profilo la decisione dei giudici del merito non è stata attinta da specifiche censure e, d'altra parte è conforme ai principi affermati da questa Corte per i quali si ha consegna di "aliud pro alio" che da luogo all'azione contrattuale di risoluzione o di adempimento ex art. 1453 cod. civ., svincolata dai termini di decadenza e prescrizione previsti dall'art. 1495 cod. civ., solo se il bene venduto sia completamente diverso da quello pattuito, in quanto appartenendo ad un genere diverso, si riveli funzionalmente del tutto inidoneo ad assolvere la destinazione economico-sociale della res venduta e, quindi, a fornire l'utilità richiesta (Cass. 25/9/2002 n. 13295).

 

b) La Corte di appello avrebbe omesso di pronunciare, violando l'art. 112 c.p.c., sull'inadempimento sussistente per l'omessa consegna dei documenti necessari al fine di ottenere il premio di arricchimento CEE e, ove una pronuncia fosse ravvisabile nell'affermazione per la quale non era prevista un'azione di adempimento alternativa rispetto alle azioni di garanzia, la decisione della Corte avrebbe violato l'art. 1218 c.c. in quanto era stata esercitata l'azione di adempimento.

 

Anche questa censura è totalmente destituita di fondamento: la Corte di Appello ha correttamente affermato che la domanda di consegna dei documenti costituiva domanda nuova in quanto formulata per la prima volta in appello e che, sotto il profilo del dedotto inadempimento, connesso alla mancata consegna dei documenti, ha rilevato (non incorrendo, quindi, nel dedotto vizio di omessa pronuncia) che la mancata consegna dei documenti non aveva provocato alcun danno posto che la mancata concessione del premio CEE non era dipesa dalla mancanza dei documenti, ma dal fatto che il prodotto era addizionato con zucchero di barbabietola; tale ultima circostanza (dalla quale derivava anche l'impossibilità della consegna dei documenti), si risolveva nell'allegazione dell'esistenza di un vizio che non era stato tempestivamente denunciato e che non integrava l'oggetto di una garanzia specifica diversa da quella legale.

 

La ricorrente, dunque, reitera censure già puntualmente e motivatamente disattese dal giudice di appello senza neppure cogliere la ratio decidendi della decisione.

 

c) La Corte di Appello non avrebbe applicato i criteri di ermeneutica contrattuale dell'art. 1362 c.c. non considerando che l'oggetto delle vendita era un mosto concentrato conforme alle disposizioni CEE e Italiane; anche sotto questo profilo la censura è infondata: non è la Corte di Appello che non ha considerato la circostanza dedotta, ma è la ricorrente che continua a non considerare che la Corte di Appello, con congrua motivazione di merito, come tale non sindacabile in Cassazione, ha ritenuto (richiamando la decisione di primo grado e rilevando anche che il mosto era stato utilizzato e commercializzato dalla Cooperativa) che tale circostanza integrava un adempimento non esatto che non poteva essere fatto valere al di fuori dei limiti stabiliti dal codice civile per l'esercizio delle azioni di garanzia per vizi della cosa.

 

d) La Corte di Appello non avrebbe considerato quanto dedotto da essa appellante con la comparsa conclusionale di appello; la ricorrente sostiene di avere dedotto che in una clausola contrattuale era previsto che in caso di contestazioni e controllo doveva restare valido tra le parti il risultato ottenuto dall'Istituto Agrario di S. Michele dell'Adige"; da questa clausola la ricorrente fa discendere la conseguenza che non vi sarebbe stata necessità di denunziare i vizi perché La soc. E aveva avuto notizia del risultato delle analisi e censura la sentenza di appello per difetto di motivazione sulla deduzione difensiva.

 

Anche questo motivo è infondato: la circostanza che le controversie sui vizi della cosa dovessero essere decise sulla base di quanto accertato dall'Istituto Agrario in merito ai vizi non implicava l'esonero dall'obbligo di tempestiva denuncia e in presenza dell'eccezione di tardività era onere dell'attrice provare che i vizi erano stati tempestivamente denunciati; pertanto il giudice di appello, motivando in modo completo e convincente sulla tardività della denuncia ha esaurito il suo obbligo motivazionale, non essendo tenuto a dare una risposta su tutte le argomentazioni, anche manifestamente irrilevanti (come nella specie), svolte dalle parti.

 

2. Con il secondo motivo la Cooperativa ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1321, 1223, 1226, 1322, 2043, 2056, 2059, 2696 c.c. e degli artt. 163 e 112 c.p.c. e il vizio di motivazione.

 

La Cooperativa lamenta che il giudice di appello non ha esaminato la propria domanda di risarcimento danni mentre era in atti sia la prova dei danni sia la prova dell'inadempimento dal quale doveva scaturire l'obbligo risarcitorio.

 

Il motivo è infondato: il giudice di appello ha dato atto che era stata proposta una domanda di risarcimento danni, ma, con congrua motivazione, ha concluso che tale domanda non era esaminabile perché l'azione di risarcimento, nella vendita, è condizionata all'adempimento dell'onere di tempestiva comunicazione dei vizi che, nel caso concreto non era stato assolto. La motivata conclusione alla quale è pervenuto il giudice di appello è conforme alla giurisprudenza di questa Corte per la quale "in caso di compravendita, l'azione contrattuale d'inadempimento va regolata, non già secondo la disciplina generale dettata dagli artt. 1453 e sgg. cod. civ., bensì secondo la disciplina speciale prevista dagli artt. 1492 e sgg. cod. civ., prezzo previste dall'art. 1492 cod. civ. sia quella che per notevoli aspetti è caratterizzata da specifiche limitazioni rispetto alla disciplina generale, in particolare dall'onere, che condiziona sia l'esercizio dell'azione di risoluzione e dell'azione di riduzione del di risarcimento danni prevista dall'art. 1494 cod. civ., di denunciare i vizi nel termine di otto giorni dalla scoperta (art. 1495 cod. civ.)" (Cass. 15/5/2000 n. 6234; sul punto, in senso totalmente conforme, Cass. 7/3/2007 n. 5202, con riferimento ad una azione di risarcimento danni ex art. 1494 c.c.; v. anche Cass. 3/6/2008 n.14665).

 

Infine, la ricorrente deduce anche la violazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. perché i giudici del merito non avrebbero considerato che la condotta colposa della società E aveva cagionato danni patrimoniali e non patrimoniali; la censura è inammissibile in quanto introduce il tema della responsabilità extracontrattuale che non risulta essere mai stato dedotto nei giudizi di merito.

 

3. In conclusione, il ricorso deve essere integralmente rigettato.

 

Non v'è luogo a provvedere sulle spese di questo giudizio per Cassazione in quanto l'intimata non si è costituita.

 

 

 

P.Q.M.

 

 

 

La Corte rigetta il ricorso.

 

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