Il requisito di forma scritta
stabilito dall'art. 1350 n. 5 c.c. per la rinuncia a una
servitù può essere integrato dalla sottoscrizione di
atti di tipo diverso, non essendo necessarie formule
sacramentali o espressioni formali particolari, purché
contenenti una chiara ed univoca espressione di volontà
incompatibile con il mantenimento del predetto diritto
reale. Pertanto, la rinuncia ad una servitù negativa può
essere contenuta nell'istanza di concessione edilizia
diretta all'esecuzione di opere che, realizzate,
determino il venir meno dell’utilitas da cui dipende
l'esistenza della servitù stessa
Cassazione, sez. II, 12 maggio
2011, n. 10457
(Pres. Rovelli – Rel. Manna)
Svolgimento del processo
S.D.M. e M.R.A. adivano il
Tribunale di Como esponendo di aver stipulato il
26.7.1986 con G.E. e L.A. un contratto in virtù del
quale le parti, attribuitesi in proprietà esclusiva
alcune porzione comuni di una villetta bifamiliare sita
in (OMISSIS), lasciando sussistere la comunione per il
residuo, avevano convenuto il divieto di realizzare
nuove unità abitative sulle porzioni di portico
assegnate rispettivamente in proprietà esclusiva.
Precisavano di aver successivamente pattuito, il
5.5.1987, di consentirsi reciprocamente la chiusura del
porticato al fine di creare due nuovi vani da adibire a
box auto, ma che a seguito di ciò E.G. e A.L. avevano
poi trasformato i box in locali adibiti a civile
abitazione. Chiedevano, pertanto, l'accertamento della
ridetta servitù e la condanna dei convenuti alla
rimessione in pristino dello stato dei luoghi.
Le convenute resistevano alla
domanda sostenendo che il divieto di realizzare nuove
unità abitative sulle porzioni di portico attribuite a
ciascuna parte era stato posto nel nulla proprio dal
successivo accordo.
Il Tribunale rigettava la domanda.
Tale decisione era ribaltata dalla
Corte d'appello di Milano, adita da S.D.M. e M.R.A., che
condannava le appellate alla rimessione in pristino
dello stato dei luoghi.
In via pregiudiziale, la Corte
milanese respingeva l'eccezione di inesistenza o nullità
della notifica dell'atto d'appello perché effettuato
presso il procuratore domiciliatario delle convenute,
nominato in primo grado, sia richiamandosi alla
giurisprudenza di legittimità sulla validità di tale
notifica ove l'organizzazione dello studio professionale
sopravviva al procuratore; sia in considerazione del
fatto che, anche ritenendo prevalente, in materia di
domicilio eletto, l'elemento personale su quello
oggettivo, la notifica stessa sarebbe stata nulla e non
già inesistente, e dunque sanata dalla costituzione in
giudizio delle appellate.
Nel merito, la Corte territoriale
riteneva che ai sensi degli artt. 1058 e 1350 c.c. la
rinuncia alla servitù poteva essere posta in essere
unicamente con atto scritto, e non mediante una condotta
concludente; e che oltre al fatto che l’istanza di
rilascio di concessione edilizia non era atto di per sé
diretto ad incidere sulla servitù, nello specifico
l'istanza volta al rilascio di concessione edilizia per
la trasformazione del porticato in box era stata
sottoscritta solo da una delle parti, sicché non poteva
neppure porsi il problema dell'equivalenza di una tale
istanza ad un atto di estinzione della servitù. Non
poteva configurarsi, poi, il venir meno della servitù
stessa, ex art. 1074 c.c., perché l'impossibilità di
usare la servitù per il venire meno della relativa
utilitas, pur ricorrendo nella specie, a causa
dell'avvenuta costruzione dei box, non era tale da
produrre l'effetto estintivo del diritto reale non
essendo decorso il termine ventennale di cui all'art.
1073 c.c..
Per la cassazione di tale sentenza
ricorrono E.G. e A.L. , con tre motivi di annullamento.
Resistono con controricorso gli
intimati, che propongono a loro volta impugnazione
incidentale affidata ad un motivo.
I ricorrenti hanno proposto, a loro
volta, controricorso al ricorso incidentale.
Motivi della decisione
1. - Con il primo motivo i
ricorrenti denunciano la violazione o falsa applicazione
degli artt. 141, 156 e 164 c.p.c., in relazione ai nn. 3
e 4 dell’art. 360 c.p.c..
Sostengono, al riguardo, che la
notifica della citazione in appello è inesistente perché
(1) effettuata presso il domicilio eletto, dopo la morte
del procuratore domiciliatario di primo grado, avv.
Ge.Em.; (3) l’atto è stato ricevuto dalla segretaria non
del predetto avvocato, ma del figlio di lui, avv.
En.Ge.; (3) i due avvocati non erano associati fra loro,
ma titolari di studi individuali.
Sostengono, inoltre, che la
costituzione in appello era avvenuta al solo scopo di
far valere l'invalidità della notifica. Pertanto,
quand'anche quest'ultima fosse soltanto nulla e non
inesistente, la costituzione in giudizio degli
appellanti non avrebbe alcun effetto sanante.
1.1. - Il motivo è infondato.
Come già affermato in altre
occasioni da questa Corte Suprema, la morte del
procuratore domiciliatario produce l'inefficacia della
dichiarazione di elezione di domicilio e la conseguente
necessità che l'atto di impugnazione sia notificato, ai
sensi dell'art. 330, terzo comma, c.p.c., presso la
parte personalmente. Tuttavia, ove alla morte del
difensore abbia fatto seguito la nomina di altro
difensore domiciliatario, che abbia lo stesso studio del
primo, la notifica presso lo studio del domiciliatario
deceduto è nulla e non inesistente - e come tale,
sanabile grazie alla costituzione della parte -
dovendosi in questo caso considerare lo studio
dell'avvocato alla stregua di un ufficio e l'elezione di
domicilio effettuata con riferimento ad
un'organizzazione professionale che continua ad operare
dopo la morte del primo difensore (v. tra le più
recenti, Cass. nn, 9543/10 e 58/10).
1.2. - Nel caso in esame, come si
ricava dalle deduzioni della stessa parte ricorrente e
dalla sentenza impugnata, alla morte dell'avv. Em.Ge. è
subentrato, quale nuovo difensore domiciliatario di
E..G. e di L..A., il figlio di lui, En., esercente
l'attività professionale nel medesimo studio. La
circostanza, affermata dai ricorrenti, che i predetti
due avvocati non fossero associati tra loro, non esclude
la comunanza dell'organizzazione professionale, atteso
che lo studio associato è l'unica forma di esercizio in
comune della professione forense, ma non anche la sola
modalità di aggregazione professionale fra avvocati a
fini economico-organizzativi, sicché quanto dedotto
dalla parte ricorrente non costituisce valido motivo per
non assicurare continuità all'indirizzo sopra
richiamato.
1.3. - Né ha pregio la tesi che, in
presenza di notificazione nulla, vorrebbe attribuire
alla parte destinataria il potere di farne valere
l'invalidità al riparo dall'effetto sanante.
Infatti, il principio, sancito in
via generale dall'art. 156, comma terzo, c.p.c., secondo
il quale la nullità non può essere mai pronunciata se
l'atto ha raggiunto lo scopo cui è destinato, vale anche
per le notificazioni, con la conseguenza che la
costituzione in giudizio del convenuto, anche se
intervenuta al solo scopo di eccepire la nullità della
notificazione dell'atto introduttivo, produce una
sanatoria del vizio con efficacia retroattiva che
esclude ogni decadenza (Cass. n. 10119/06; nello stesso
senso, Cass. n. 8777/08). Ciò in quanto, va ricordato,
detta norma ha carattere inderogabile e, di conseguenza,
nessuna delle parti ha facoltà di farne valere
potestativamente gli effetti, secondo la convenienza del
caso.
2. - Con il secondo mezzo è dedotta
la violazione o falsa applicazione degli artt. 1058,
1073 e 1074 c.c., in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5
c.p.c..
Si sostiene che la sentenza
impugnata ha errato lì dove ha ritenuto che la
trasformazione consensuale del portico in box per auto
fosse un "fatto concludente" irrilevante ai fini della
modifica della o della rinuncia alla servitù, l'una e
l'altra necessitando del consenso scritto, senza
considerare che ciò era l'effetto di una precisa
manifestazione di volontà congiunta delle parti,
formalizzata per iscritto essendo contenuta nell'istanza
congiunta di concessione edilizia per attuare detta
trasformazione.
L'accordo del 5.5.1987 non si
limitò a derogare, ma annullò e superò, quanto alla
servitù reciproca, la convenzione del 26.7.1986, per la
semplice ragione che la richiesta congiunta di
concessione edilizia e la conseguente realizzazione dei
box ne estinse l'oggetto (rectius, il luogo di
esercizio), costituito dal porticato comune,
sostituendolo con due autonome unità immobiliari, di
proprietà individua.
2.1. - Il motivo è, nei termini che
seguono, fondato.
2.2. - La giurisprudenza di questa
Corte ha avuto modo di esaminare la questione circa la
possibilità che il requisito di forma scritta stabilito
per la costituzione di una servitù possa essere
integrato dalla sottoscrizione di atti di tipo diverso,
risolvendola nel senso di escludere la necessità di
formule sacramentali o di espressioni formali
particolari, ma di richiedere che l'atto stesso abbia
comunque natura contrattuale e contenga l'espressione
chiara e univoca della volontà di costituire la servitù
a favore di, e con aggravio su, determinati fondi. Su
tale premessa è stato escluso che la volontà di
costituire una servitù per l'utilità di un costruendo
fabbricato possa desumersi dalle dichiarazioni
sottoscritte dai proprietari di un fondo nell'istanza di
rilascio della concessione edilizia, non essendo dirette
tali dichiarazioni a costituire rapporti di natura reale
tra i sottoscrittori (Cass. nn. 2658/01 e 5123/90; v.
anche Cass. nn. 4104/96, 1570/00 e 13852/01, che
pervengono ad analoghe conclusioni in relazione alla
clausola, contenuta in un contratto di vendita, di mero
richiamo delle limitazioni e servitù gravanti sul bene
compravenduto, non essendo tale richiamo di per sé
idoneo a creare nuovi rapporti di natura reale).
2.2.1. - Il caso in esame è
opposto, perché attiene non alla costituzione, bensì
all'estinzione di una servitù, e solo in apparenza
speculare, in quanto procede da una servitù reciproca
negativa incompatibile con il compimento dell'attività
vietata, non essendo possibile, ad un tempo, volere
l'edificazione di uno spazio libero e il mantenimento
sul medesimo locus della servitus inaedificandi; né
l'astratta reversibilità della situazione dei luoghi può
rendere conciliabile la quiescenza della servitù
negativa con l'attuazione del proposito edificatorio,
poiché se è vero che la soppressione dell’utilitas
estingue la servitù solo con il decorso del termine di
cui all'art. 1073 c.c., richiamato dall'art. 1074 c.c.,
è altrettanto certo che tale estinzione dipende da un
fatto, e non da un negozio, impeditivo l'esercizio della
servitù stessa.
Nella situazione fattuale accertata
dal giudice di merito, l'istanza di concessione
edilizia, ove riconducitele alla volontà di entrambi i
proprietari dei fondi reciprocamente asserviti,
costituisce atto che implica necessariamente la volontà
di estinguere la servitù per mutua rinuncia, di talché
si pone l'ulteriore questione se la relativa
sottoscrizione, effettuata da uno solo dei due
proprietari, valga ciò non di meno a esaudire in senso
bilaterale il requisito di forma dettato dall'art. 1350,
n. 4 c.c. e richiamato dal n. 5 del medesimo articolo.
2.2.2. - Con motivazione che non
forma oggetto di censura in questa sede di legittimità,
la Corte territoriale ha accertato sia l'esistenza
(pacifica) dell'accordo tra le parti inteso a modificare
il contratto del 26.7.1986 consentendo a ciascuna di
esse di chiudere la propria porzione di portico,
sostituendola con la creazione di un box auto; sia la
circostanza (documentale) che la relativa istanza di
concessione edilizia era stata sottoscritta soltanto da
una delle due parti.
Istituito il nesso tra i due fatti,
la conclusione tratta dal giudice d'appello secondo il
quale la rinuncia al diritto di servitù difettava della
forma solenne prescritta dagli artt. 1058 e 1350, n. 5
c.c., neppure in ipotesi surrogabile dall'istanza di
concessione edilizia a causa del difetto di bilateralità
della relativa sottoscrizione - non è condivisibile.
Nel raccordo tra le due circostanze
anzidette vi è l'accertamento implicito, da parte del
giudice d'appello, del fatto che l'una parte si è
giovata dell'attività svolta dall'altra ai fini del
rilascio della concessione edilizia, essendo
incontroverso che poi entrambe realizzarono
effettivamente i box auto. Se ciò sia avvenuto in forza
di un mandato verbale in rem propriam, ammissibile non
vigendo per tale contratto la regola dettata per il
negozio unilaterale di procura dall'art. 1392 c.c. (cfr.
Cass. nn. 14637/00 e 12848/06), ovvero in base ad una
negotiorum gestio, di cui pure ricorrerebbero, stando
agli accertamenti compiuti dal giudice di merito, i
requisiti (utilità iniziale e non proibizione del
gerito, visto il previo accordo tra le parti sulla
trasformazione del portico in due box auto), è indagine
di fatto che tuttavia non rileva ex se, perché nell'un
caso come nell'altro il dato saliente è costituito da
ciò, che l'istanza di concessione edilizia è stata
sottoscritta da una sola delle parti per esprimere una
volontà comune ad entrambe.
Residua, pertanto, quale unico
accertamento di fatto, come tale eccedente i limiti del
giudizio di legittimità, se ciò nonostante vi siano
altre ragioni per escludere la pari volontà dei
proprietari di rinunciare alla servitù reciproca a
favore e contro i rispettivi fondi.
3. - Le considerazioni svolte,
imponendo la cassazione della sentenza impugnata,
assorbono l’esame sia del terzo motivo, riguardante la
contraddittorietà della motivazione per aver ritenuto
ancora esistente la servitù, pur reputando legittima la
trasformazione edilizia dei luoghi, sia del ricorso
incidentale, col quale i controricorrenti hanno
denunciato la falsa applicazione degli artt. 1027, 1028,
1031 e 1074 c.c., in connessione con l'omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione, nonché la
violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., relativamente
alla parte della sentenza impugnata che ha ritenuto il
venir meno dell'utilità della servitù (senza tuttavia
che questa fosse estinta, non essendo decorso il termine
di venti anni previsto dall'art. 1073 c.c.).
4. - In conclusione, va respinto il
primo motivo del ricorso principale, accolto il secondo
e assorbito il terzo nonché il ricorso incidentale, e
conseguentemente la sentenza impugnata deve essere
cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio ad
altra sezione della Corte d'appello di Milano, che nel
decidere la controversia si atterrà al seguente
principio di diritto: "'il requisito di forma scritta
stabilito dall'art. 1350 n. 5 c.c. per la rinuncia a una
servitù può essere integrato dalla sottoscrizione di
atti di tipo diverso, non essendo necessarie formule
sacramentali o espressioni formali particolari, purché
contenenti una chiara ed univoca espressione di volontà
incompatibile con il mantenimento del predetto diritto
reale. Pertanto, la rinuncia ad una servitù negativa può
essere contenuta nell'istanza di concessione edilizia
diretta all'esecuzione di opere che, realizzate,
determino il venir meno dell’utilitas da cui dipende
l'esistenza della servitù stessa".
5. - Il giudice di rinvio
provvederà anche in ordine alle spese del presente
giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo
del ricorso principale, accoglie il secondo, assorbito
il terzo e il ricorso incidentale, cassa la sentenza
impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia ad
altra sezione della Corte d'appello di Milano, che
provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
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