L’avvocato ne trattiene una parte che restituirà a
pagamento avvenuto comportamento legittimo.E’ legittimo
il comportamento di un avvocato che, a fronte della
revoca del mandato a difendere il cliente in una causa
di divorzio, nel restituire la documentazione relativa
all’incarico svolto, che trattiene presso di sé
fotocopie di parte della documentazione e gli originali
della corrispondenza intercorsa con il cliente
ricorrente, manifestando l’intenzione di conservarne la
disponibilità fino al pagamento della parcella, anche se
tali atti contengono dati personali e sensibili.
Infatti, ai sensi
sensi dell’art. 4, comma primo lett. b del
decreto_legislativo_196_2003, si definisce dato
personale, qualsiasi informazione relativa a una persona
fisica, persona giuridica, ente o associazione,
identificati o identificabili, anche indirettamente,
mediante riferimento a altre informazione, mentre ai
sensi dello stesso articolo, comma primo lett. d)
costituiscono dati sensibili, i dati personali idonei a
rivelare l’origine razziale e etnica, le convinzioni
religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni
politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni
o organizzazioni a carattere religioso, filosofico,
politico o sindacale, nonche’ i dati personali idonei a
rivelare lo stato di salute e la vita sessuale. L’art.
11 del decreto citato dispone che i dati personali,
oggetto di trattamento, devono essere gestiti secondo
correttezza, utilizzati in operazioni diverse da quelle
che avevano dato luogo alla raccolta se compatibili con
le prime e non devono essere eccedenti rispetto alle
finalità che avevano dato causa alla raccolta. Ai sensi
dell’art. 24, comma 1 lett f) è contemplata l’ipotesi di
utilizzazione dei dati per far valere o difendere un
diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano
trattati esclusivamente per tali finalità e per il
periodo strettamente necessario al loro perseguimento.
Dall’esame di tali norme si desume, pertanto, che il
legislatore ha dettato, per le ipotesi di trattamento di
dati personali, dei criteri ispirati a una rigorosa
cautela, sia per quanto concerne gli obblighi del
titolare del trattamento,, sia per quel che attiene
all’effettività del rapporto tra la raccolta del dato e
lo scopo che ha dato causa alla stessa, stabilendo,
tuttavia, l’esigenza di un bilanciamento laddove siano
ravvisati interessi diversi ugualmente tutelati
dall’ordinamento, quale quello di far valere in giudizio
un proprio diritto.
Ora, il cliente di un avvocato, promuoveva un ricorso,
rappresentando di essere parte di un procedimento di
divorzio pendente presso il tribunale di Milano e di
avere, nel corso del giudizio, revocato il mandato al
proprio difensore , chiedendo contestualmente in
restituzione la documentazione relativa all’incarico
svolto. L’avvocato, pur avendo aderito alla richiesta,
aveva trattenuto presso di sé fotocopie di parte della
documentazione e gli originali della corrispondenza
intercorsa con lo stesso ricorrente, manifestando
l’intenzione di conservarne la disponibilità fino al
pagamento della parcella. Ad avviso del ricorrente, tale
iniziativa risultava illegittima, essendo consentito al
difensore in attesa del pagamento del dovuto trattenere
gli atti redatti dallo stesso a dimostrazione
dell’attività svolta, ma non anche conservare dati
sensibili o personali relativi all’assistito, per cui
chiedeva che il tribunale adito volesse disporre la
restituzione dei documenti trattenuti dall’avvocato. Di
contro, l’avvocato sosteneva di aver restituito al nuovo
difensore la documentazione in suo possesso in
originale, a eccezione della corrispondenza personale e
che, peraltro, il mancato pagamento degli onorari
maturati l’avrebbe autorizzato a trattenere copia della
documentazione detenuta fino alla data dell’effettivo
pagamento, indipendentemente dal consenso della parte
assistita, ciò al fine di poter dare dimostrazione dei
presupposti di fatto necessari per conseguire la
relativa liquidazione. Il tribunale rigettava il
ricorso, ritenendo che il comportamento dell’avvocato
non configurava la denunciata violazione della
disciplina in materia di dati personali.
Avverso tale provvedimento, il cliente ha promosso
ricorso per Cassazione, ma la Suprema Corte con la
Sentenza n. 3033/2011, ha rigettato il ricorso,
rilevando che il giudice del merito aveva negato la
sussistenza della denunciata violazione non già in
ragione di un astratto diritto del legale di mantenere
nella propria disponibilità copia della documentazione
precedentemente affidata, ma in considerazione del
mancato pagamento degli onorari professionali. Sulla
base di quanto esposto sopra, la Suprema Corte ha
ritenuto condivisibile la pronuncia di appello con cui
era stato osservato che l’affermazione secondo cui è
legittima la ritenzione di copia di documenti consegnati
dal cliente per la relativa utilizzazione nel processo
per cui era stato conferito il mandato pur dopo
l’intervenuta revoca di dello stesso, quando si tratti
di far valere, in altra sede processuale, il diritto al
compenso per l’attività professionale svolta.
Anna Teresa Paciotti
Cliente non paga la parcella all’avvocato dopo la revoca
dell’incarico professionale e chiede la restituzione
degli atti - L’avvocato ne trattiene una parte che
restituirà a pagamento avvenuto comportamento legittimo
-Corte di Cassazione Sez. Unite Civ. - Sent.7 del
08.02.2011, n. 3033
Svolgimento del
processo
Con ricorso
proposto ai sensi dell’art. 152 d.lgs. 03/196 A.G., dopo
aver premesso di essere parte di un procedimento di
divorzio pendente presso il tribunale di Milano; di
aver, nel corso del giudizio, revocato il mandato al
difensore avv. E.Z.V., chiedendo contemporaneamente in
restituzione la documentazione relativa all’incarico
svolto; che l’avv. Z.V., pur avendo aderito alla detta
richiesta, aveva trattenuto presso di sé fotocopie di
parte della documentazione e gli originali della
corrispondenza intercorsa con esso ricorrente,
manifestando l’intenzione di conservarne la
disponibilità fino al pagamento della parcella; che tale
iniziativa risultava illegittima, essendo consentito al
difensore in attesa del pagamento del dovuto trattenere
gli atti da lui redatti a dimostrazione dell’attività
svolta, ma non anche conservare dati sensibili o
personali relativi all’assistito; chiedeva che il
tribunale adito volesse disporre la restituzione dei
documenti trattenuti dall’avv. Z.V. , l’inibizione di
ogni loro utilizzazione, la condanna infine di
quest’ultima al risarcimento del danno.
L’avv. Z.V. , costituitasi, sosteneva di aver restituito
al nuovo difensore la documentazione in suo possesso in
originale, ad eccezione della corrispondenza personale,
e che peraltro il mancato pagamento degli onorari
maturati l’avrebbe autorizzata a trattenere copia della
documentazione detenuta fino alla data dell’effettivo
pagamento (non ancora intervenuto), indipendentemente
dal consenso della parte assistita, e ciò al fine di
poter dare dimostrazione dei presupposti di fatto
necessari per conseguire la relativa liquidazione.
Il tribunale, acquisiti presso l’Ordine degli Avvocati
gli atti del procedimento relativo alla liquidazione
della parcella dell’avv. Z. (consistenti unicamente -
secondo quanto riferito dallo stesso Ordine -
nell’istanza, nella parcella e nel successivo
provvedimento), rigettava le domande, ritenendo che il
comportamento dell’avv. Z. , il quale aveva trattenuto
presso di sé copia di atti e documenti della causa di
divorzio ricevuti dalla parte da lei assistita per
l’esercizio del mandato di difensore, non consentisse di
configurare la denunciata violazione della disciplina in
materia di dati personali. In particolare il giudice del
merito rilevava in proposito che l’originale dei
documenti consegnati dalla parte all’avv. Z. era stata
restituita; che il detto legale aveva trattenuto
unicamente “la copia di atti difensivi e di alcuni
documenti soprattutto fiscali”, in quanto funzionali
alla sollecitata liquidazione della parcella; che i
documenti in originale rimasti nella disponibilità del
legale riguardavano esclusivamente la corrispondenza
intercorsa con il proprio assistito e con il legale
della controparte ovvero atti elaborati dal difensore,
“oggetto della proprietà intellettuale di chi li ha
redatti”; che comunque e per di più il trattenimento dei
dati personali, oltre a non essere illegittimo per le
ragioni sopra considerate, non avrebbe determinato
“alcun danno per l’A. , in concreto neppure
genericamente descritto”.
Avverso la detta decisione A. proponeva ricorso per
cassazione affidato a diciassette motivi, poi
ulteriormente illustrati da memoria, cui resisteva Z.V.
con controricorso.
Successivamente la controversia veniva decisa all’esito
dell’udienza pubblica del 7.12.2010.
Motivi della
decisione
1 - Con i motivi di
impugnazione A. ha rispettivamente denunciato:
1) nullità della sentenza per violazione dell’art. 112
c.p.c., derivante dal fatto che il tribunale, cui era
stata proposta la relativa domanda, aveva ignorato la
domanda cautelare che era stata proposta, e ciò in
contrasto con l’obbligo del giudice “di pronunciarsi su
tutta la domanda” (p. 13);
2) nullità della sentenza per violazione dell’art. 112
c.p.c., sotto il profilo che la pronuncia non avrebbe
preso in considerazione tutto quanto richiesto, ed in
particolare avrebbe omesso di riferirsi al nucleo
essenziale della prospettazione, consistente
nell’affermata illiceità della pretesa di un legale di
disporre ed utilizzare documenti contenenti dati
personali e sensibili del cliente, da lui ricevuti al
solo fine della difesa;
3) vizio di motivazione poiché il tribunale, nel
richiamare i documenti trattenuti dall’avv. Z. , avrebbe
fatto riferimento ad “alcuni documenti soprattutto
fiscali”, senza considerare quindi quelli medici e
quelli personalissimi; avrebbe pertanto emesso una
decisione illogica, in quanto basata soltanto sulla
parte meno significativa della documentazione esistente;
avrebbe infine emesso una decisione incongruente,
essendo questa incentrata sull’attenzione ai diritti
economici della resistente e non anche, viceversa, ai
diritti personalissimi e prevalenti del ricorrente;
4) violazione di legge con riferimento all’affermata
esistenza del diritto d’autore della resistente sui
documenti, basata sulla circostanza che in maggioranza
sarebbero stati da lei elaborati o redatti, affermazione
che sarebbe errata atteso che i documenti provenienti da
quest’ultima costituirebbero una minoranza rispetto a
quelli complessivamente acquisiti, e che la tutela del
diritto di autore non sarebbe stata correttamente
evocata, non risultando connotati gli elaborati in
questione dal necessario requisito della creatività;
5) violazione di legge per l’errato richiamo della
normativa posta a tutela del diritto di autore,
erroneità che sarebbe derivata dall’omessa distinzione
fra diritto morale di autore (incontestabilmente
esistente nella specie) e diritto di utilizzo, di cui
viceversa sarebbe titolare il committente, e cioè il
soggetto rappresentato nel giudizio;
6) vizio di motivazione con riferimento al giudizio
secondo il quale i dati personali e sensibili dei quali
era stato denunciato l’illegittimo trattamento sarebbero
stati prevalentemente rilevabili negli atti elaborati o
redatti dal legale, essendo viceversa evidente che
nessuno di quelli rispetto ai quali era stato lamentato
l’indebito trattamento potesse essere compreso fra
quelli provenienti dal professionista;
7) violazione di legge in relazione all’indebito
trattenimento di copia di documentazione attinente a
dati personali e sensibili, stante la loro irrilevanza
in un procedimento finalizzato alla liquidazione degli
onorari spettanti al legale per l’attività svolta nel
corso del giudizio;
violazione di legge per l’omessa considerazione del
divieto di utilizzazione, da parte del legale, della
documentazione e delle informazioni ricevute dal cliente
nel corso dell’espletamento del mandato, circostanza da
cui discenderebbe comunque l’illegittimità dell’avvenuta
ritenzione di alcuni atti connessi alla trattazione del
processo;
9) violazione di legge per essere stati del tutto
ignorati i principi e le norme in tema di trattamento
dei dati personali e sensibili, nonostante che gli
stessi fossero stati espressamente ed ampiamente
richiamati;
10) violazione di legge in relazione al negato diritto
al risarcimento, che viceversa si sarebbe dovuto
affermare in ragione dell’illiceità della condotta posta
in essere dal resistente e della conseguente
responsabilità civile che ne sarebbe derivata;
11) violazione di legge per l’affermata inesistenza del
danno che, contrariamente a quanto sostenuto, sarebbe
stato non solo descritto ma anche specificamente
trattato, ed in particolare: con il richiamo allo stato
di sofferenza derivante da depressione che lo avrebbe
indotto ad abbandonare l’attività legale precedentemente
svolta; alla sofferenza cagionata dalla constatata
violazione di legge posta in essere dal legale di sua
fiducia; ai timori da ciò causati, con collaterale
incremento della patologia sofferta; alla consapevolezza
della detenzione di documenti riservati da parte di
professionista che aveva manifestato la propria
inaffidabilità ed i cui scopi rimanevano
incontrollabili;
12) vizio di motivazione rispetto alla dichiarata
inconsistenza del rilievo secondo cui l’indebita
ritenzione di documenti non avrebbe potuto giustificare
preoccupazioni per il rischio di una loro differente
utilizzazione, giudizio che avrebbe dovuto essere in
realtà capovolto ove correttamente interpretati gli atti
acquisiti;
13) vizio di motivazione in relazione al risalto
attribuito al riferimento che il ricorrente avrebbe
fatto al contenuto di “documenti altrimenti rimasti del
tutto riservati”, affermazione che non sarebbe in linea
con quanto effettivamente verificatosi e che comunque
non potrebbe essere interpretata come espressione di una
rinuncia a far valere la lesione del diritto al corretto
trattamento dei dati personali e sensibili;
14) violazione di legge per l’omessa compensazione delle
spese di lite, che viceversa avrebbe dovuto essere
dichiarata trattandosi di questione nuova, avente ad
oggetto il rispetto di diritti fondamentali, proposta
per di più dalla parte debole del rapporto;
15) violazione delle leggi relativamente al diritto
inviolabile dell’uomo “alla privatezza”, sotto il
profilo dell’arretramento della tutela rispetto al
diritto al compenso fatto valere dal legale per
l’attività svolta in un procedimento giudiziario e che,
contrariamente a quanto sostenuto, non legittimerebbe
l’utilizzazione di documenti contenenti dati personali e
sensibili ricevuti dal cliente per la difesa, ai fini
del suo soddisfacimento;
16) violazione di legge con riferimento al privilegio
che, con la soluzione adottata, verrebbe ad essere
indirettamente riconosciuto all’avvocato già difensore
di una delle parti del giudizio. Questi avrebbe infatti
modo di avvalersi di copia di documenti contenenti dati
personali e sensibili del cliente senza dover sottostare
al rispetto delle norme di protezione, e ciò in
conflitto con il principio di uguaglianza
costituzionalmente garantito;
17) violazione di legge sotto un duplice profilo, vale a
dire con riferimento a quanto già dedotto nella
trattazione dell’ottavo motivo di ricorso (e sotto tale
riflesso sarebbe irrilevante l’avvenuta produzione in
giudizio da parte di esso ricorrente del contenuto di
alcuni dei documenti in questione, che non potrebbe in
ogni modo essere interpretata come espressione di una
rinuncia a far valere il diritto alla tutela dei dati
personali), nonché in relazione al contrasto con la
normativa connotata dal rafforzamento della tutela del
diritto della parte a veder rispettato il segreto
professionale dal legale che lo ha assistito, contenuta
in ordinamenti sovraordinati.
2 - Osserva il Collegio che le questioni poste a
fondamento della pretesa erroneità della sentenza
impugnata, quali si desumono dall’esame dei singoli
motivi, attengono:
a) alla nullità della decisione in esame, per l’omessa
pronuncia in relazione alla richiesta di emissione di
provvedimento cautelare (primo motivo);
b) alla illegittimità della copiatura, ritenzione ed
utilizzazione di documenti detenuti in relazione alla
trattazione del processo dopo la revoca del mandato
(secondo, terzo, sesto, settimo, ottavo, tredicesimo
motivo, quest’ultimo segnatamente incentrato
sull’inesistente rinuncia - che sarebbe stata
implicitamente desumibile - a far valer eccezioni al
riguardo);
c) all’insussistenza di un diritto del legale di
utilizzare gli atti da lui redatti, quale espressione
del diritto di autore, in quanto tale meritevole di
tutela (quarto, quinto, nono motivo);
d) alla negata configurabilità del danno (decimo e
undicesimo motivo), anche sotto il profilo del rischio
di futura utilizzazione (dodicesimo motivo);
e) alla condanna di esso ricorrente al pagamento delle
spese processuali, che sarebbero state viceversa da
compensare (quattordicesimo motivo);
f) al contrasto con i principi di inviolabilità del
diritto alla protezione dei dati personali affermati in
sede internazionale (quindicesimo, sedicesimo,
diciassettesimo motivo).
3 - Se quelle indicate sub 2 risultano dunque essere le
questioni sottoposte all’esame della Corte, occorre
tuttavia rilevare che alcuni dei motivi di censura sono
inammissibili per violazione del disposto dell’art. 366
bis c.p.c., all’epoca vigente.
Ed infatti detto articolo disponeva che l’illustrazione
di ciascun motivo, nei casi previsti dall’art. 360,
primo comma nn. 1, 2, 3 e 4, c.p.c. dovesse concludersi
con un quesito di diritto, e in quello previsto
dall’art. 360, primo comma n. 5, c.p.c. dovesse invece
contenere la chiara indicazione del fatto controverso,
prescrizioni che sono state costantemente interpretate
da questa Corte nel senso che, nel primo caso, il
ricorrente debba procedere all’enunciazione di un
principio di diritto specificamente attinente alla
decisione diverso da quello posto a base del
provvedimento impugnato e, nel secondo, debba enucleare
un momento di sintesi rappresentativo dei fatti
controversi in relazione ai quali la motivazione si
assume viziata. Tali connotati non sono riscontrabili
nel terzo, nel sesto, nell’undicesimo, nel dodicesimo,
nel tredicesimo e nel quindicesimo motivo, che
sostanzialmente prospettano una non condivisa
valutazione di merito in relazione al materiale
probatorio acquisito e che pertanto risultano
inammissibili.
4 - Venendo poi alle singole questioni sopra delineate,
se ne rileva l’infondatezza per le ragioni appresso
considerate.
4 - 1. La pretesa nullità della sentenza per mancata
pronuncia sull’istanza di emissione di provvedimento
cautelare è insussistente in quanto, indipendentemente
da ogni valutazione in ordine al merito della doglianza
prospettata, ogni eventuale censura al riguardo avrebbe
dovuto essere rappresentata con il reclamo, che
viceversa non è stato proposto.
Tale omissione rende quindi il motivo inammissibile.
4 - 2. Il secondo aspetto oggetto di doglianza attiene
sostanzialmente al contestato diritto di un legale di
trattenere copia di documenti contenenti dati personali
e sensibili, consegnatigli dal cliente per lo
svolgimento dell’attività difensiva in un processo in
corso, dopo la revoca del mandato.
In proposito va rilevato che la Corte di Appello ha
negato la sussistenza della denunciata violazione non
già in ragione di un astratto diritto del legale di
mantenere nella propria disponibilità copia della
documentazione precedentemente affidatagli, ma piuttosto
in considerazione del mancato pagamento degli onorari
professionali, omissione che avrebbe legittimato
l’avvenuta ritenzione, in funzione dello svolgimento del
procedimento di liquidazione della parcella. In via di
principio l’affermazione secondo cui è legittima la
ritenzione di copia di documenti consegnati dal cliente
per la relativa utilizzazione nel processo per cui era
stato conferito il mandato pur dopo l’intervenuta revoca
di esso, quando si tratti di far valere in altra sede
processuale il diritto al compenso per l’attività
professionale svolta, va condivisa. Ed infatti al
riguardo occorre precisare quanto segue:
a) nella specie è certamente ravvisabile una ipotesi di
trattamento di dati personali (riscontrabile, ai sensi
dell’art. 4, comma primo lett. b
decreto_legislativo_196_2003, in costanza di
qualunque informazione relativa a persona fisica) ed il
ricorrente assume inoltre che fra essi vi siano dati
sensibili, per tali dovendosi intendere per la parte di
interesse (ai sensi dello stesso art. 4, comma primo
lett. d) quelli idonei a rivelare lo stato di salute del
soggetto cui i dati si riferiscono;
b) i dati personali oggetto di trattamento devono essere
gestiti secondo correttezza, utilizzati in operazioni
diverse da quelle che avevano dato luogo alla raccolta
se compatibili con le prime e comunque non devono essere
eccedenti rispetto alle finalità che avevano dato causa
alla raccolta (art. 11 d.lgs. cit.);
c) il consenso dell’interessato al trattamento dei dati,
ordinariamente necessario, non è viceversa richiesto nei
casi indicati nell’art. 24 d.lgs. cit., fra i quali in
particolare, per quanto rileva nella fattispecie in
esame, va ricordata la prescrizione contenuta nel primo
comma lett. f), che contempla l’ipotesi di utilizzazione
dei dati per far valere o difendere un diritto in sede
giudiziaria, “sempre che i dati siano trattati
esclusivamente per tali finalità e per il periodo
strettamente necessario al loro perseguimento”.
Dalla disciplina vigente cui si è fatto sintetico
riferimento si desume dunque che il legislatore ha
dettato, per le ipotesi di trattamento di dati
personali, dei criteri ispirati a rigorosa cautela, sia
per quanto concerne gli obblighi del titolare del
trattamento (sostanzialmente improntati ai doveri di
correttezza e buona fede), sia per quel che attiene
all’effettività del rapporto fra la raccolta del dato e
lo scopo che ad essa ha dato causa, stabilendo tuttavia
l’esigenza di un bilanciamento ove siano ravvisati
diversi interessi ugualmente tutelati dall’ordinamento,
quale quello di far valere in giudizio un proprio
diritto.
Di tale indirizzo si trova poi specifica conferma nel
Codice di deontologia e di buona condotta per i
trattamenti di dati personali effettuati per svolgere
investigazioni difensive, adottato con Provvedimento del
Garante n. 60 del 6.11.2008 in attuazione dell’art. 12
d. lgs. cit. (che conferisce al Garante il compito di
promuovere codici di deontologia e di buona condotta per
il trattamento di dati personali in alcuni settori),
provvedimento cui va riconosciuta efficacia normativa
(C. 08/10690, che ha precisato come tale efficacia sia
subordinata alla legge, “dovendo limitarsi a
concretizzare diritti ed obblighi che hanno nella legge
la loro fonte”) e che, seppur all’epoca non in vigore
(il relativo termine iniziale di vigenza era stato
infatti fissato alla data dell’1.1.2009), rappresenta
ulteriore conferma del contenuto delle opzioni
effettuate dal legislatore.
L’ambito di applicazione del provvedimento in questione
è stato infatti espressamente indicato nel “trattamento
di dati personali per.. far valere o difendere un
diritto in sede giudiziaria” (art. 1), ed è stata poi
prevista la possibilità di conservazione di atti e
documenti in originale o in copia anche una volta
esaurito l’incarico, ove “necessario in relazione ad
ipotizzabili altre esigenze della parte assistita o del
titolare del trattamento” (art. 4).
D’altra parte anche la giurisprudenza di questa Corte,
nelle non frequentissime decisioni in merito, si è
costantemente attestata nell’affermazione dei medesimi
principi.
Al riguardo devono essere invero ricordate, oltre alla
già citata C. 08/10690, C. 09/15327, C. 09/3358, C.
08/12285, che hanno sostanzialmente affermato la
derogabilità della disciplina dettata a tutela
dell’interesse alla riservatezza dei dati personali
quando il relativo trattamento sia esercitato per la
difesa di un interesse giuridicamente rilevante e nei
limiti in cui ciò sia necessario per la tutela di
quest’ultimo interesse.
Dunque applicando i principi come sopra delineati al
caso di specie, deve dedursi che il trattenimento da
parte del legale revocato dall’incarico di copie di
documenti precedentemente a lui consegnate dal
rappresentato, al fine di consentire la predisposizione
di adeguata difesa, integra una ipotesi di trattamento
dei dati personali; che tale trattenimento può in via
astratta essere considerato legittimo, atteso
l’incontestato mancato pagamento degli onorari
professionali e la conseguente connessione con il
diritto di azione del legale insoddisfatto, finalizzato
alla determinazione, liquidazione e riscossione del
compenso dovuto; che nel concreto il tribunale avrebbe
però dovuto tener conto del contenuto dei documenti
conservati, e ciò allo scopo di verificare, da un lato,
l’esistenza di un rapporto di funzionalità fra i detti
documenti e l’azione intrapresa (nel senso cioè della
necessità della produzione per il pieno esercizio del
diritto di difesa, essendo solo questo il presupposto
della legittimità della loro detenzione) e, dall’altro,
l’avvenuto rispetto dei doveri di correttezza,
pertinenza e non eccedenza incombenti sul titolare del
trattamento; che tuttavia il ricorrente, pur a fronte
della generica ed in sé insoddisfacente indicazione del
tribunale, secondo cui era stata trattenuta soltanto la
copia di atti difensivi (fatto assolutamente legittimo e
del tutto diverso da quello concernente la pretesa
assenza di titolo per conservare copia di atti altrui) e
“di alcuni documenti soprattutto fiscali” (P. 5), non ha
specificato di quali documenti si trattasse e quale ne
fosse il contenuto.
Da ciò consegue dunque che la censura risulta viziata
sul piano dell’autosufficienza, non essendo consentito
al Collegio, per effetto della rilevata omissione,
verificare la correttezza dell’assunto per il quale non
vi sarebbe stato reale collegamento fra la
documentazione trattenuta dall’avv. Z.V. e l’azione
dalla stessa proposta per la liquidazione del compenso
professionale.
4 - 3. L’infondatezza della doglianza concernente
l’asserita illegittima ritenzione di documenti di causa
dopo la revoca del mandato (secondo, settimo ed ottavo
motivo) determina poi l’assorbimento delle censure
aventi ad oggetto l’erroneità della decisione, nelle
parti in cui: sarebbe stato a torto affermato il diritto
del legale di conservare gli atti da lui redatti come
effetto della tutela riconosciuta dal legislatore in
tema di diritto d’autore (quarto, quinto e nono motivo);
era stata negata la configurabilità del danno, pur
puntualmente indicato anche sotto l’aspetto di una
possibile futura utilizzazione (decimo, undicesimo e
dodicesimo motivo); non sarebbe stata rilevata la
compatibilità della decisione con i principi dettati in
sede sovranazionale di inviolabilità del diritto alla
privacy (sedicesimo e diciassettesimo motivo), principi
che fra l’altro trovano attuazione nel nostro
ordinamento nei termini e nei limiti entro i quali
vengono ad essere recepiti dalla normativa interna.
4 - 4. Quanto poi alla contestata statuizione sulle
spese processuali, che erroneamente non sarebbero state
compensate, è sufficiente rilevare in proposito che la
decisione sul punto è in linea con il dettato normativo
che addebita le spese al soccombente, mentre l’eventuale
compensazione delle stesse è rimessa alla valutazione
discrezionale del giudice del merito che nella specie,
con decisione insindacabile in questa sede, non ha
ritenuto di avvalersi della detta facoltà.
5 - Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato,
con compensazione delle spese processuali del giudizio
di legittimità, tenuto conto della novità e della
delicatezza delle questioni proposte.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso
e compensa le spese del giudizio di legittimità.
Depositata in
Cancelleria il 08.02.2011
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