Con sentenza 1 giugno
– 10 settembre 2005 la Corte d’appello di Ancona, in
riforma della decisione del locale Tribunale del 7
febbraio – 4 giugno 2002, condannava la TELECOM Italia
spa al pagamento della somma di Euro 70.000,00
(settantamila/00) in favore dell’avvocato S.M., a titolo
di risarcimento danni conseguenti al disservizio causato
dalla società telefonica sulle utenze telefoniche
intestate allo studio dell’attore in tutto l’anno 1995.
Avverso tale decisione TELECOM Italia ha proposto
ricorso per cassazione sorretto da sette, distinti,
motivi, cui resiste lo S. con controricorso. TELECOM ha
depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
LA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Sentenza 21.1.2011 n.
1418
Composta dagli
Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FILADORO
Camillo - rel. Presidente -
Dott. MASSERA
Maurizio - Consigliere -
Dott. AMENDOLA
Adelaide - Consigliere -
Dott. ARMANO Uliana
- Consigliere -
Dott. LANZILLO
Raffaella - Consigliere -
ha pronunciato la
seguente: sentenza sul ricorso 28902/2006 proposto da:
TELECOM ITALIA SPA,
- ricorrenti -
contro
S.M., -
controricorrente -
avverso la sentenza
n. 505/2005 della CORTE D’APPELLO di
ANCONA, emessa l’1/06/2005, depositata il
10/09/2005; R.G.N. 808/2002;
udita la relazione
della causa svolta nella pubblica udienza del 15/12/2010
dal Consigliere Dott. CAMILLO FILADORO;
udito l’Avvocato
PESCATORE VALERIO per delega Avv. LEONARDI RICORDO;
udito il P.M. In persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso
per l’accoglimento del 1^, 2^, e 4^ motivo, assorbimento
degli altri motivi del ricorso.
Fatto
Con sentenza 1
giugno – 10 settembre 2005 la Corte d’appello di
Ancona, in riforma della decisione del locale
Tribunale del 7 febbraio – 4 giugno 2002, condannava la
TELECOM Italia spa al pagamento della somma di Euro
70.000,00 (settantamila/00) in favore dell’avvocato
S.M., a titolo di risarcimento danni conseguenti al
disservizio causato dalla società telefonica sulle
utenze telefoniche intestate allo studio dell’attore in
tutto l’anno 1995.
Avverso tale
decisione
TELECOM Italia ha proposto ricorso per cassazione
sorretto da sette, distinti, motivi, cui resiste lo S.
con controricorso.
TELECOM ha
depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Diritto
Con il primo motivo
la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione
dell’art. 2697 c.c., artt. 115, 116 e 117 c.p.c., in
relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonché
contraddittorietà della motivazione e travisamento dei
fatti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione
all’asserita prova dell’accordo relativo alle modalità
di inserimento nell’elenco 1995/1996 ed al conseguente
inadempimento della
TELECOM, violazione del D.M. Poste e
Telecomunicazioni n. 484 del 1988, art. 26, comma 2, e
degli artt. 1218 e 1453 c.c..
Con il secondo
motivo la ricorrente denuncia violazione o falsa
applicazione dell’art. 2697 c.c., e artt. 115, 116 e 117
c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3,
contraddittorietà della motivazione e travisamento dei
fatti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione
alla inclusione – tra gli obblighi contrattuali di
TELECOM – anche di quello relativo alla fornitura di
informazioni attraverso il c.d. “Servizio 12” ed al
conseguente inadempimento della TELECOM sul punto;
nonché violazione del D.M. Poste e Telecomunicazioni n.
484 del 1988, art. 26, comma 2, e degli artt. 1218 e
1453 c.c..
Con il terzo motivo
si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art.
2697 c.c., artt. 115, 116 e 117 c.p.c., in relazione
all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contraddittorietà
della motivazione e travisamento dei fatti ex art. 360
c.p.c., comma 1, n. 5. La ricorrente ribadisce quanto
già rilevato, nel secondo motivo di ricorso, sotto il
diverso profilo del vizio della motivazione,
sottolineando che il servizio “12” non era assolutamente
ricompreso tra gli obblighi a carico del gestore dal
Regolamento di servizio.
Tra l’altro, il
costo di questo servizio è posto a carico del soggetto
che ricerca l’utente (e non dell’utente ricercato da
questi).
In effetti, l’art.
26 del Regolamento prevede quale urica forma di
pubblicità dell’abbonato solo la pubblicazione annuale
del numero telefonico e dell’utente nell’elenco
telefonico, e null’altro.
I primi tre motivi
di ricorso devono essere esaminati congiuntamente, in
quanto connessi tra di loro.
Con motivazione del
tutto adeguata, che sfugge a tutte le censure di
violazione di norme di legge e di vizi della motivazione
denunciati, i giudici di appello hanno riconosciuto –
anche sulla base delle dichiarazioni rese dalla parte
convenuta in comparsa di risposta nel giudizio di primo
grado – che, in contrasto con gli accordi intercorsi con
il gestore, il numero telefonico dello studio dell’avv.
S. non risultava dall’elenco telefonico e che anche dal
servizio dell’elenco abbonati la unica informazione
accessibile era quella relativa al numero di fax dello
stesso.
La Corte
territoriale ha ritenuto, con accertamento anche esso
non censurabile, che il servizio “12” costituisse una
prestazione facente parte del rapporto contrattuale con
l’utente (anche se il costo di esso è posto a carico del
richiedente la informazione). “Le informazioni tramite
esso (servizio 12) rese si risolvono – hanno accertato i
giudici di appello – in un vantaggio ed agevolazione per
lo stesso abbonato, oltre che per la generalità degli
utenti, laddove consentono o facilitano le sue
comunicazioni telefoniche, e comunque formano oggetto di
una prestazione promessa, prestazione a cui inoltre
corrispondono evidenti interessi di contropartita
economica da parte del gestore”.
Infine, la Corte
territoriale ha ritenuto la esistenza di un nesso di
causalità tra il disservizio e la riduzione di lavoro
denunciata dallo S., sulle base delle dichiarazioni rese
dai testi. Ed ha ritenuto provato sia il danno
patrimoniale da perdita degli affari, che quello
relativo alla lesione alla immagine professionale. Tale
danno all’immagine veniva in rilievo sotto il profilo
dell’avviamento professionale, risolvendosi in un
effetto di opinione negativa presso la clientela e
dunque nel suo sviamento.
Uno studio legale,
dotato solo di un’unica linea di telefono-fax, offriva
di sé, e del professionista, una immagine poco
efficiente e poco affidabile, immagine tanto più
negativa per uno studio di
avvocato penalista (quale era appunto l’avv. S.) la
cui efficienza ed affidabilità si misurano anche sulla
facile reperibilità in ragione delle emergenze e delle
urgenze proprie di quel settore di affari giudiziari.
Si tratta, anche in
questo caso, di una conclusione logicamente motivata,
esente da qualsiasi vizio logico od errore giuridico.
Con il quarto
motivo la società ricorrente denuncia violazione o falsa
applicazione dell’art. 41 c.p., artt. 1218, 1223 e 1226
c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3,
nonché illogicità della motivazione in relazione
all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riferimento alla
esistenza del nesso eziologico tra i presunti
inadempimenti ed il lamentato danno.
La censura relativa
all’accertamento del nesso eziologico tra inadempimento
della società elettrica e danno è inammissibile,
risolvendosi in una richiesta di diversa interpretazione
delle risultanze processuali, inammissibile in questa
sede.
Con il quinto
motivo si deduce la violazione o falsa applicazione
degli artt. 1218, 1226 e 2697 c.c., in relazione
all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; illogicità della
motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in
relazione alla ritenuta sussistenza di un danno ed alla
sua conseguente determinazione in via equitativa ed in
misura omnicomprensiva, sia per il danno all’immagine
che per il danno da lucro cessante.
Con il sesto motivo
la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione
dell’art. 112 c.p.c., ovvero dell’art. 346 c.p.c., in
relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; violazione
o falsa applicazione degli artt. 1223 e 1226 c.c.;
illogicità della motivazione ex art. 360 c.p.c., comma
1, n. 5, in relazione al riconoscimento degli interessi
legali, cumulati alla rivalutazione monetaria dalla data
del fatto alla pubblicazione della sentenza di appello.
Il quinto ed il
sesto motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente in
quanto connessi tra di loro, non sono fondati.
I giudici di
appello hanno provveduto ad una liquidazione del danno
in via equitativa, in moneta attuale e tenendo conto di
interessi e rivalutazione maturati “medio tempore”.
Qualora sia
provata, come nel caso di specie, l’esistenza del danno,
il giudice può far ricorso alla valutazione equitativa
non solo quando è impossibile stimarne con precisione
l’entità, ma anche quando, in relazione alla peculiarità
del caso concreto, la precisa determinazione di esso sia
difficoltosa. Sulla base di tale principio, da ritenere
consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, deve
convenirsi che, nel caso di specie, la liquidazione del
danno non poteva essere effettuata che in via
equitativa.
Le censure
formulate dalla ricorrente – in ordine alla mancata
produzione di dati relativi ai mancati guadagni relativi
all’anno 1995 – non tiene conto del tempo (notoriamente)
intercorrente dalla data di conferimento dell’incarico a
quella della percezione dell’onorario.
La produzione della
dichiarazione dei redditi dell’anno in cui ebbe a
verificarsi il disservizio lamentato sarebbe, dunque,
stata priva di qualsiasi rilevanza ai fini indicati.
I giudici di
appello, pertanto, correttamente avevano fatto
riferimento alle dichiarazioni rese da numerosi
testimoniali, i quali avevano riferito in ordine al
fatto che, proprio a causa del disservizio telefonico,
si erano rivolti ad altri studi professionali per affari
penali urgenti.
Con il settimo
motivo si deduce la violazione o falsa applicazione
degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360
c.p.c., comma 1, n. 3; illogicità della motivazione ex
art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione al
riconoscimento della totale soccombenza della società
convenuta nonostante la liquidazione di una somma
inferiore al domandato.
Questo ultimo
motivo di ricorso è anche esso inammissibile,
considerato che i giudici di appello hanno motivato la
propria decisione sul punto, sottolineando, tra l’altro,
che la liquidazione delle spese processuali veniva
effettuata solo sulla base della somma riconosciuta (ciò
sia in riferimento al giudizio di primo grado che a
quello di secondo grado).
Conclusivamente il
ricorso deve essere rigettato con la condanna della
società ricorrente al pagamento delle spese, liquidate
come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il
ricorso.
Condanna la società
ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro
3.200,00 (tremiladuecento/00) di cui Euro 3.000,00
(tremila/00) per onorari di
avvocato, oltre spese generali ed accessori di
legge.
Così deciso in
Roma, nella Camera di consiglio, il 15 dicembre 2010.
Depositato in
Cancelleria il 21 gennaio 2011
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