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Trib. Piacenza, 11 gennaio 2011, n. 11, g.u. Morlini - "DANNO DA PERDITA DI CHANCE"

 

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Antonello NEGRO

 

Con l'interessante pronuncia qui di seguito allegata, il Tribunale di Piacenza ha affermato che la chance è una forma di danno che può essere definita come occasione favorevole di conseguire un risultato vantaggioso, sotto il profilo dell’incremento di un’utilità o della sua mancata diminuzione, diversa dalla mera aspettativa di fatto.

Il giudice ha precisato che la domanda per perdita di chance va distinta da quella di danno futuro, posto che la prima riguarda la perdita della possibilità di raggiungere il risultato sperato ed attiene al danno emergente, mentre la seconda riguarda il mancato raggiungimento del risultato ed attiene al lucro cessante.

La perdita di chance - ha proseguito l'estensore della sentenza - è risarcibile indipendentemente dalla dimostrazione che la concreta utilizzazione della chance avrebbe presuntivamente o probabilmente determinato la consecuzione del vantaggio, essendo sufficiente anche la sola possibilità di tale consecuzione.

Da ciò consegue che l’idoneità della chance a determinare presuntivamente o probabilmente (ovvero solo possibilmente) detta conseguenza è rilevante soltanto ai fini della concreta individuazione e quantificazione del danno, da effettuarsi eventualmente in via equitativa.

Nel caso di specie la vittima di un sinistro non aveva più potuto svolgere l’attività stagionale di cuoca ed il Tribunale ha accertato una "lesione di chance", ovvero della possibilità di consecuzione del vantaggio derivante dallo svolgimento di detta attività professionale.

 

la domanda per perdita di chance è ontologicamente diversa da quella di risarcimento del danno futuro da mancato raggiungimento del risultato sperato, e la prima nemmeno può essere considerata un minus della seconda, mutando la causa petendi (possibilità di conseguire risultato nella chance, assenza di risultato nel danno futuro) ed il petitum (risarcimento commisurato a perdita nella chance, perdita tout court nel danno futuro).

Infatti, per un verso cambia la stessa collocazione logico-giuridica dell’accertamento probabilistico, atteso che nel primo caso le chances sono l’oggetto della perdita e quindi del danno, mentre nel danno futuro substanziano il nesso causale tra comportamento e danno; per altro verso cambia l’onere della prova per la parte, che nella lesione di chances riguarda la perdita di una probabilità non trascurabile di raggiungere il risultato, mentre nel danno futuro riguarda il fatto che, ove fosse stato tenuto il comportamento legittimo, il risultato sarebbe stato raggiunto.

Questo, tra l’altro, è l’approdo al quale è giunto anche la più attenta giurisprudenza di legittimità, che ha lucidamente distinto tra chance e danno futuro sia in materia di responsabilità medica, differenziando la domanda di risarcimento per diminuzione della speranza di sopravvivenza, dalla domanda di risarcimento per morte (Cass. n. 4400/2004; cfr. anche Cass. n. 23846/2008 circa la ritardata diagnosi comportante la lesione di chance di vivere quantitativamente più a lungo o qualitativamente meglio, nonché di decidere ‘che fare’ nel poco tempo che rimane da vivere); sia in materia lavoristica, differenziando il danno da mancata partecipazione ad un concorso, dal danno da mancata promozione in esito a tale concorso (Cass. n. 852/2006, Cass. n. 123/2003, Cass. n. 734/2002).

Detta distinzione, ad avviso di questo Giudice, è una conseguenza necessitata a seguito del reveriment recentemente operato dalla Cassazione civile -mutuato dalla sezione lavoro, inizialmente trasposto solo a livello di terza sezione in tema di responsabilità medica, ma poi convalidato anche dalle Sezioni Unite- che in materia di nesso causale apertamente abbandona l’impostazione penalistica della sentenza Franzese Sez. Un. n. 30328/2002, riproponendo la categoria delle “serie ed apprezzabili possibilità di evitare il danno”.

(…)

Il risarcimento da lesione di chance, intesa come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, presuppone allora l’onere di provare, sia pure presuntivamente o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev’essere conseguenza diretta e immediata.

OMISSIS

 

FATTO

Parte attrice chiede il ristoro dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a seguito di un sinistro stradale avvenuto il (…) nel quale è stata investita, mentre procedeva a piedi sul ciglio di una strada, da una vettura di 50 cm3 condotta da M. A. ed assicurata da La Previdente s.p.a.

Resistono M. e La Previdente, sostanzialmente contestando il quantum della richiesta risarcitoria.

In corso di causa, a seguito del decesso del signor M., la procedura è stata interrotta è poi riassunta nei confronti degli eredi, id est M. Giovanna, M. Enrico, M. Ivana, M. Giovanni, M. Giuseppina, L. Maria Elena, L. Laura, L. Francesco, rimasti contumaci.

La causa è istruita con una CTU medico-legale, affidata al dottor Z., sulla persona dell’attrice.

DIRITTO

a) L’esclusiva responsabilità del M. nella causazione del sinistro emerge con tutta evidenza dalle risultanze istruttorie.

Invero, due tra i testi escussi hanno assistito al sinistro ed hanno confermato quanto dedotto dall’attrice, cioè che la V. procedeva a piedi “proprio sul ciglio della strada dopo le strisce laterali, in modo da non occupare la carreggiata” (teste R.); che il M., a bordo del suo piccolo mezzo motorizzato, l’ha investita, ed è poi sceso dall’autovettura scusandosi per l’accaduto e spiegando che, a causa dei suoi gravi problemi agli occhi, non aveva visto la V. (testi R. e C.); che il M., al momento del sinistro, “non aveva una traettoria proprio rettilinea ed era molto sulla destra” (teste C.), ed era forse addirittura ubriaco, in quanto “barcollava e puzzava di alcol” (teste R.).

D’altronde, ha poi anche ritenuto il CTU che le stesse lesioni lamentate dall’attrice e descritte in sede di pronto soccorso, sono “del tutto compatibili con la dinamica” descritta (cfr. pag. 5 perizia).

Consegue, in conclusione sul punto, che in ragione dell’integrale responsabilità del M., gli eredi dello stesso, in solido con l’assicurazione, devono essere condannati al risarcimento del danno subito dall’attrice.

b) Muovendo alla quantificazione di tale danno, quello non patrimoniale può essere conteggiato sulla base della CTU, svolta con motivazione convincente e pienamente condivisibile, che ha adeguatamente replicato ai rilievi delle parti, dalla quale il Giudicante non ha motivo di discostarsi in quanto frutto di un iter logico ineccepibile e privo di vizi, condotto in modo accurato ed in continua aderenza ai documenti agli atti ed allo stato di fatto analizzato.

Ha sul punto spiegato il perito che le lesioni subite dall’attrice consistono nel 11% di danno biologico permanente, in 30 giorni di ITT, in 30 giorni di ITP al 50% ed in altri 30 giorni di ITP al 25% (pag. 8 perizia).

Pertanto, sulla base dei parametri liquidatori cd. del Tribunale di Milano aggiornati all’attualità, che qui si intendono applicare in quanto condivisibili ed adeguati, tenuto conto di un’età di 46 anni al momento del sinistro, spetta alla ricorrente un complessivo risarcimento per danno non patrimoniale, già comprensivo della sofferenza morale ed esistenziale, di € 28.212 (ed in particolare, € 22.692 per danno biologico permanente; sulla base teorica di euro 100 giornaliere, somma ricompresa tra quella minima di 88 e massima di 132 previste, € 3.000 per ITT, € 1.500 per ITP al 50%, € 750 per ITP al 25%).

Su tale somma capitale, che integra all’evidenza un debito di valore in quanto posta risarcitoria, così come da domanda ed in base ai principi generali, vanno riconosciuti, secondo la pacifica giurisprudenza, rivalutazione ed interessi sulla somma stessa via via rivalutata, dalla data del fatto, id est il 25/7/2002, al saldo. Tuttavia, essendo la somma capitale già calcolata all’attualità ed in ragione della difficoltà di procedere alla devalutazione, in piena aderenza all’insegnamento dalla Suprema Corte, gli interessi possono essere calcolati sulla somma integralmente rivalutata, ma da un momento intermedio tra il fatto e la sentenza, id est il 1/10/2006.

c) Circa il danno patrimoniale emergente, in accoglimento della domanda deve essere riconosciuta la complessiva somma di € 1.574,33 per spese mediche sopportate (cfr. all. 17-34 fascicolo attoreo), oltre interessi moratori al tasso legale dalla domanda, radicata con la notifica dell’atto di citazione il 19/12/2002.

d) Quanto alla complessa tematica del danno patrimoniale da lucro cessante, si osserva che sono tre le circostanze fattuali rilevanti.

Da una prima angolazione, l’istruttoria esperita ha consentito di evincere che la V., prima del sinistro, aveva svolto l’attività di cuoca stagionale, in modo molto saltuario e nel solo periodo estivo degli anni dal 1997 al 2000; mentre al momento del sinistro, nel 2002, non svolgeva alcuna attività. In particolare, il teste B. ha riferito che l’attrice aveva lavorato nel suo ristorante “negli anni dal 1997-2000 nel periodo estivo”, ricevendo 400 mila lire mensili, circostanza sostanzialmente confermata anche dai testi C. e P., marito dell’attrice; e la teste B. ha riferito che l’attrice aveva lavorato nel proprio ristorante solamente nell’estate 2000.

Ciò posto e da una seconda angolazione, ha accertato il CTU che le conseguenze del sinistro, comportando una “indubbiamente ridotta autonomia nella stazione eretta” (pag. 7 perizia) e perdippiù riferendosi ad un soggetto obeso e diabetico (cfr. pag. 7 e 8 perizia) e con ginocchia aventi lieve varismo (pag. 5 perizia), incidono negativamente sulla capacità lavorativa specifica di cuoca stagionale, pur se “non è molto agevole indicare una percentuale” di tale invalidità, che va quindi “apprezzata con criterio equitativo” (pag. 8 perizia).

 Da un terzo ed ultimo punto di vista, va evidenziato che, a seguito dell’infortunio, la V. non ha più svolto l’attività di cuoca stagionale, né altra attività (…), posto che la posizione eretta tenuta in modo prolungato le provoca sofferenza (cfr. deposizione teste P.). 

d1) Ciò premesso in linea di fatto, ritiene il Giudice che la domanda dell’attrice di risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante, vada scrutinata sotto il profilo della lesione di chance.

            E’ noto che la chance, figura da tempo elaborata in altri ordinamenti quali quello francese, nel nostro sistema giuridico è una forma di danno solo recentemente esplorata, che può essere definita come occasione favorevole di conseguire un risultato vantaggioso, sotto il profilo dell’incremento di un’utilità o della sua mancata diminuzione, e che ovviamente va distinta dalla mera aspettativa di fatto (Cass. n. 3999/2003).

Restano discussi, peraltro, la natura del danno da perdita di chance, e conseguentemente i parametri necessari per la sua risarcibilità.

            In particolare, per la tesi cosiddetta ontologica, la chance deve intendersi riferita ad un danno emergente comunque attuale e concreto, trattandosi di bene suscettibile di valutazione patrimoniale in sé e per sé: viene così risarcita la perdita della mera opportunità, possibilità ed anche solo speranza, di conseguire un’utilità, con la conseguenza che la probabilità di verificazione dell’utilità incide solo sul quantum risarcitorio, non sull’an.

Ciò è stato sostenuto inizialmente dalla Sezione Lavoro della Cassazione per risarcire i dipendenti illegittimamente esclusi dalla partecipazione ad un concorso interno (tra le più recenti, Cass. n. 14820/2007), ma il principio è stato utilizzato anche dalla maggioranza delle sentenze civili (Cass. Sez. Un. n. 1850/2009, Cass. n. 23846/2008 est. Frasca, Cass. n. 17167/2007, Cass. n. 12243/2007, Cass. n. 15522/2006, Cass. n. 1752/2005, Cass. n. 4400/2004 est. Segreto, Cass. n. 18945/2003).

La qualificazione della chance come danno emergente comporta la divaricazione dal nesso causale: la prova della chance non attiene più al nesso eziologico tra condotta ed evento, ma riguarda la consistenza percentuale di un bene già presente nel patrimonio del soggetto. Quindi, la perdita di chance opera sul danno e non sul nesso causale, che va accertato nella sua interezza: va prima accertato il nesso causale tra lesione e perdita di opportunità favorevole, poi la ragionevole probabilità della verificazione del danno inteso come perdita chance.

            E’ stato però obiettato che, così facendo, per un verso si compie un escamotage per ammettere la risarcibilità di un danno il cui nesso causale rispetto alla condotta non è certo; per altro verso, si considera un bene suscettibile di valutazione economica ciò che non ha utilità in sé; da ultimo, si cade in contraddizione logica allorquando, per non effettuare risarcimenti futili, si chiede di dimostrare che la possibilità di raggiungere il risultato è seria e non simbolica, ciò che non dovrebbe essere laddove la chance fosse un bene in sé già presente nel patrimonio.

Per tali motivi, una diversa linea ricostruttiva, conosciuta come tesi eziologica, parla di chance in termini di lucro cessante, nel senso che ne ammette la risarcibilità solo quando l’occasione perduta si presentava, se valutata con prognosi postuma, assistita da ‘considerevoli possibilità di successo’ o ‘ragionevole probabilità di verificarsi’ (in questi termini, Cass. n. 20351/2010, Cass. n. 11353/2010, Cass. n. 1767/2009, Cass. n. 4052/2009, Cass. n. 10111/2008, Cass. n. 23304/2007, Cass. n. 17940/2003, Cass. n. 9598/1998), da scrutinarsi anche in base a presunzioni.

La chance non è infatti vista come una utilità in sé -ed infatti non si può cedere, donare o vendere- ma utile solo in quanto realizzata, e la sua perdita non si distingue dalla perdita del risultato finale auspicato: sostenere che essa costituisce un bene autonomo, vorrebbe dire creare un bene che per il diritto rileva solo se leso.

Quindi, la perdita di chance non costituisce la perdita di un bene patrimoniale, ma soltanto l’annullamento di un presupposto necessario per il conseguimento del bene sperato, ed il danno si identifica con il quantum lucrari potui; la chance è allora un criterio di verifica della sussistenza del legame eziologico tra la condotta impeditiva e la verificazione del danno patito inteso quale perdita del risultato finale, ed assurge quindi a strumento per dimostrare in modo meno rigoroso il nesso causale.

Ciò posto, ritiene questo Giudice come ciascuna di queste due tesi colga una parte di verità, e sia quindi necessario perseguire una tesi intermedia, che vede come lucro cessante il danno futuro derivante dalla definitiva perdita, a causa del comportamento altrui, del bene ultimo avuto di mira; e vede invece come danno emergente la chance in senso stretto, cioè la lesione della possibilità di raggiungere il risultato sperato.

Deve infatti tenersi conto che la domanda per perdita di chance è ontologicamente diversa da quella di risarcimento del danno futuro da mancato raggiungimento del risultato sperato, e la prima nemmeno può essere considerata un minus della seconda, mutando la causa petendi (possibilità di conseguire risultato nella chance, assenza di risultato nel danno futuro) ed il petitum (risarcimento commisurato a perdita nella chance, perdita tout court nel danno futuro).

Infatti, per un verso cambia la stessa collocazione logico-giuridica dell’accertamento probabilistico, atteso che nel primo caso le chances sono l’oggetto della perdita e quindi del danno, mentre nel danno futuro substanziano il nesso causale tra comportamento e danno; per altro verso cambia l’onere della prova per la parte, che nella lesione di chances riguarda la perdita di una probabilità non trascurabile di raggiungere il risultato, mentre nel danno futuro riguarda il fatto che, ove fosse stato tenuto il comportamento legittimo, il risultato sarebbe stato raggiunto.

Questo, tra l’altro, è l’approdo al quale è giunto anche la più attenta giurisprudenza di legittimità, che ha lucidamente distinto tra chance e danno futuro sia in materia di responsabilità medica, differenziando la domanda di risarcimento per diminuzione della speranza di sopravvivenza, dalla domanda di risarcimento per morte (Cass. n. 4400/2004; cfr. anche Cass. n. 23846/2008 circa la ritardata diagnosi comportante la lesione di chance di vivere quantitativamente più a lungo o qualitativamente meglio, nonché di decidere ‘che fare’ nel poco tempo che rimane da vivere); sia in materia lavoristica, differenziando il danno da mancata partecipazione ad un concorso, dal danno da mancata promozione in esito a tale concorso (Cass. n. 852/2006, Cass. n. 123/2003, Cass. n. 734/2002).

            Detta distinzione, ad avviso di questo Giudice, è una conseguenza necessitata a seguito del reveriment recentemente operato dalla Cassazione civile -mutuato dalla sezione lavoro, inizialmente trasposto solo a livello di terza sezione in tema di responsabilità medica, ma poi convalidato anche dalle Sezioni Unite- che in materia di nesso causale apertamente abbandona l’impostazione penalistica della sentenza Franzese Sez. Un. n. 30328/2002, riproponendo la categoria delle “serie ed apprezzabili possibilità di evitare il danno”.

In particolare, la Suprema Corte ora differenzia la causalità civile da quella penale, nel senso che nella prima, diversamente che nella seconda, vige il principio del ‘più probabile che non’, mentre nel processo penale opera la regola della prova ‘oltre il ragionevole dubbio’, stante la diversità dei valori in gioco nei due tipi di processi, ciò che giustifica una differenza negli standard probatori ed il diverso livello di incertezza da assumersi come ragionevolmente accettabile (Cass. civ. nn. 4400/2004, 7997/2005, 1755/2006, 19047/2006, 6129/2007, 9238/2007, 21619/2007, 576/2008, 15986/2008, 23676/2008, 975/2009, 10285/2009, 10741/2009; Cass. Sez. Un. nn. 576/2008, 581/2008, 582/2008, 584/2008, 27337/2008); ed anche la stessa Corte di Giustizia è indirizzata ad accettare che la causalità non possa che poggiarsi su logiche di tipo probabilistico (Corte Giust. 3/7/2006 cause riunite C-295/04 e C-298/04, nonché Corte Giust. 15/2/2005 causa C-12/03, entrambe in tema di tutela della concorrenza).

A seguito di tale nuova nozione della causalità civilistica e della ricostruzione dl nesso causale ordinario sulla base della mera probabilità e non già della certezza, è stato acutamente osservato che vi è un doppio binario causale, “due dimensioni di analisi del rapporto causale rilevanti ai fini civilistici: la causalità civile ordinaria, attestata sul versante del ‘più probabile che non’, che ha per oggetto il danno per la perdita del bene leso; e la causalità da perdita di chance, attestata sul versante della mera possibilità di conseguimento di un diverso risultato, da intendersi come sacrificio della possibilità di conseguirlo” (Cass. n. 21619/2007, est. Travaglino). Nel primo caso, il risarcimento è integrale con riferimento al bene leso; nel secondo caso è parametrato percentualmente sulla chance persa.

            Il risarcimento da lesione di chance, intesa come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, presuppone allora l’onere di provare, sia pure presuntivamente o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev’essere conseguenza diretta e immediata (Cass. Sez. Un. n. 1850/2009, Cass. n. 23846/2008, Cass. n. 21544/2008, Cass. n. 16877/2008, Cass. n. 21014/2007, Cass. n. 17176/2007, Cass. n. 14820/2007, Cass. n. 12243/2007, Cass. n. 10840/2007).

Peraltro, “la perdita di chance è risarcibile indipendentemente dalla dimostrazione che la concreta utilizzazione della chance avrebbe presuntivamente o probabilmente determinato la consecuzione del vantaggio, essendo sufficiente anche la sola possibilità di tale consecuzione. L’idoneità della chance a determinare presuntivamente o probabilmente ovvero solo possibilmente la detta conseguenza è, viceversa, rilevante soltanto ai fini della concreta individuazione e quantificazione del danno, da effettuarsi eventualmente in via equitativa, posto che nel primo caso il valore della chance è certamente maggiore che nel secondo e, quindi, lo è il danno per la sua perdita, che, del resto, in presenza di una possibilità potrà anche essere escluso, all’esito di una valutazione in concreto della prossimità della chance rispetto alla consecuzione del risultato e della sua idoneità ad assicurarla” (Cass. n. 23846/2008, est. Frasca).

d2) Quanto sopra offre le coordinate per la soluzione del caso che qui occupa.

Come più sopra argomentato, è provato che la V., all’epoca quarantaseienne, aveva lavorato come cuoca stagionale nel periodo estivo per soli tre anni prima dell’infortunio, e non lavorava al momento dell’infortunio stesso; che detto infortunio ha reso impossibile l’attività di cuoca stagionale; che dopo l’infortunio, la V. non ha più svolto l’attività di cuoca.

Sulla base di queste circostanze fattuali, non vi è forse prova di un danno patrimoniale futuro da lucro cessante per l’attrice, non potendosi formulare un giudizio prognostico circa il fatto che la V. -si ribadisce: all’epoca del sinistro quarantaseienne, non occupata da un biennio e con soli tre anni di attività lavorativa stagionale alle spalle- avrebbe ‘più probabilmente che non’ continuato a lavorare.

Vi è però certamente una lesione di chance, nel senso sopra illustrato da Cass. n. 23846/2008, della “possibilità di consecuzione” del vantaggio derivante dallo svolgimento di attività professionale di cuoca stagionale, impedita invece dagli esiti del sinistro. E la quantificazione di tale danno ben può essere fatta “in via equitativa” (cfr. sempre Cass. n. 23846/2008), senza neppure la necessità della richiesta di parte laddove si sia in presenza delle condizioni richieste dall’articolo 1226 c.c. (Cass. n. 2706/2004).

            In ragione di ciò, tenuto conto dell’attività di cuoca stagionale svolta solo in un triennio e per pochi mesi all’anno, con un compenso dieci anni orsono di £. 400.000 mensili; tenuto altresì conto della non occupazione e di un’età di quarantasei anni al momento del sinistro; stimasi equo, ex art. 1226 c.c., individuare il danno da perdita di chance patrimoniale in € 5.000 all’attualità (somma ragionevolmente dovuta per l’attività nel trimestre estivo per circa tre anni), oltre interessi moratori dalla sentenza al saldo.

e) Non vi sono motivi per derogare ai principi generali codificati dall’art. 91 c.p.c. in tema di spese di lite, che, liquidate come da dispositivo in assenza di nota, sono quindi poste a carico della soccombente parte convenuta ed a favore della vittoriosa parte attrice. Nella liquidazione degli onorari, peraltro, deve tenersi a mente che, trattandosi di accoglimento solo parziale della domanda, lo scaglione di riferimento è quello relativo al decisum, non già al disputatum (Cass. Sez. Un. n. 19014/2007).

Per gli stessi principi in tema di soccombenza, anche le spese di CTU, già liquidate in corso di causa con il separato decreto di cui a dispositivo, sono definitivamente poste a carico di parte convenuta.

 

Si dà atto che il presente fascicolo è per la prima volta pervenuto a questo Giudice all’udienza del 21/12/2010, ed alla successiva udienza del 11/1/2011 è stato deciso con sentenza contestuale ex art. 281 sexies c.p.c.

 

P.Q.M.

il Tribunale di Piacenza in composizione monocratica

definitivamente pronunciando, nella contumacia degli eredi M., ogni diversa istanza disattesa

-         condanna La Previdente s.p.a., M. Giovanna, M. Enrico, M. Ivana, M. Giovanni, M. Giuseppina, L. Maria Elena, L. Laura, L. Francesco, in solido tra loro, a pagare a V. Enrica

€ 22.692 oltre interessi legali dal 1/10/2006 al saldo;

€ 1.574,33 oltre interessi legali dal 19/12/2002 al saldo;

€ 5.000 oltre interessi legali dalla data della sentenza al saldo;

-         condanna La Previdente s.p.a., M. Giovanna, M. Enrico, M. Ivana, M. Giovanni, M. Giuseppina, L. Maria Elena, L. Laura, L. Francesco, in solido tra loro, a rifondere a V. le spese di lite del presente giudizio, che liquida in € 4.000 per diritti ed onorari, € 480 per rimborsi, oltre IVA, CPA ed art. 14 TP;

-         pone definitivamente a carico di La Previdente s.p.a., M. Giovanna, M. Enrico, M. Ivana, M. Giovanni, M. Giuseppina, L. Maria Elena, L. Laura, L. Francesco, in solido tra loro, le spese di CTU, già liquidate in corso di causa con separato decreto 19/10/2004.

Piacenza, 11/1/2011

 

 

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