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Pingatur in Palatio: l’Albo on-line, la delazione sociale e la referta di pubblicazione-
Dott. Gianni Penzo DoriaFilodirittto.it

 

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 Uno degli aspetti innovativi della riforma della pubblicità legale, introdotta con la legge 18 giugno 2009, n. 69 e in particolare con l’art. 32, riguarda le pene accessorie. Anzi, con il meno noto e meno commentato articolo 67, comma 1, della legge 69/2009 è stato modificato l’articolo 36 del codice pena-le, relativo alla pubblicazione delle sentenze penali di condanna:

Legge 18 giugno 2009, n. 69 art. 67
1. All’articolo 36, secondo comma, del codice penale, dopo le parole: «in uno o più giornali designati dal giudice» sono aggiunte le seguenti: «e nel sito internet del Ministero della giustizia. La durata della pubblicazione nel sito è stabilita dal giudice in misura non superiore a trenta giorni. In mancanza, la durata è di quindici giorni».

L’articolo 36 del codice penale quindi ora così recita:
Codice Penale art. 36 - Pubblicazione della sentenza penale di condanna
La sentenza di condanna all’ergastolo è pubblicata mediante affissione nel Comune ove è stata pronunciata, in quello ove il delitto fu commesso, e in quello ove il condannato aveva l’ultima residenza.
La sentenza di condanna è inoltre pubblicata, per una sola volta, in uno o più giornali designati dal giudice e nel sito internet del Ministero della giustizia.
La pubblicazione è fatta per estratto, salvo che il giudice disponga la pub-blicazione per intero; essa è eseguita d’ufficio e a spese del condannato.
La legge determina gli altri casi nei quali la sentenza di condanna deve essere pubblicata. In tali casi la pubblicazione ha luogo nei modi stabiliti nei due capoversi precedenti.

Il legislatore ha dunque inteso aggiungere, tra gli strumenti di conoscibilità della pena irrogata, anche il sito internet del Ministero della giustizia, fissando un limite temporale per la pubblicazione tra i quindici e i trenta giorni. In que-sto modo vengono rispettati il principio di temporaneità e il diritto all’oblio del reo, più volte richiamati, anche recentemente, dal Garante per la protezione dei dati personali.

Ma che senso ha utilizzare uno strumento diretto, di facile consultazione e immediato, come il sito internet, per la disseminazione a una pluralità indistinta di soggetti della notizia di condanna? Si tratta, a ben vedere, di un ritorno al passato. Anzi, al Medioevo.

L’età dei comuni, quella brulicante di statuti e di riformanze a cavallo tra il XIII e il XVI secolo (l’autonomia dei comuni e dei suoi statuti è ben preceden-te alla riforma dell’abrogata legge 8 giugno 1990, n. 142!), è ricca di riferimenti ad un albo on-line ante litteram.

I bandi venivano letti a voce alta da un “precone” (da cui il latino volgare preconiçare, cioè bandire), assimilabile, pur con i dovuti distinguo, al messo comunale d’oggi. Il luogo istituzionale deputato alla lettura dei provvedimenti dell’autorità comunale, di norma rappresentata dal podestà o dal capitano a nome del maggior consiglio o minor consiglio, erano le scale del palazzo co-munale (super scalas palatii / super schallis palacii) o la loggia, poi diventata “loggia dei bandi” (lobia bannorum).

A titolo di esempio, si richiama una riformanza del Maggior Consiglio di Chioggia del 1314, cioè una deliberazione paragonabile a quella dell’attuale Consiglio comunale, con la quale si proibiva alle donne l’uscita durante le ore notturne. La sua diffusione presso la comunità venne documentata attraverso una “referta di pubblicazione” curata dal messo di allora “Pietro Bruto precone” e puntualmente annotata nel registro delle deliberazioni, quasi a sua corro-borazione. Si tratta, in definitiva, di un esempio medioevale di referta di pubblicazione erga omnes:

«Petrus Bruto preco, de mandato domini potestatis, alta voce super scalas palacii publicavit predictos ordines et banna; et in predicatione iuxta Sanctum Iacobum, ubi multissime erant mulieres et iuxta Sanctum Andream et in Clugia Minori apud lobiam» (fig. 1). [Statuti e capitolari di Chioggia del 1272-1279, a cura di G. Penzo Doria e S. Perini, Venezia, Il Cardo, 1993 («Corpus statutario delle Venezie», 10); Gli usi nuziali a Chioggia nel Medioevo, a cura di G. Penzo Doria e G. Scarpa, Conselve, T & G Edizioni, 1995 (il passo riportato, con traduzione, è a p. 51) e poi v. tav. 2. Altri esempi di referta di pubblicazione si ritrovano in Archivio Antico di Chioggia, Ducali n. 13, c. 105v.]

La disseminazione era dunque avvenuta tramite lettura ad alta voce in più luoghi e presso la loggia di Chioggia Minore, che corrisponde alla parte storica di Sottomarina, attuale frazione di Chioggia.

Parimenti, ecco un altro precone attestare nel 1535 l’avvenuta lettura sopra le scale del palazzo di una ducale (fig. 2):
Retulit Salvator quondam magistri Victi preco de mandato magnifici domini potestatis in executione suprascriptarum litterarum ducalium publicasse super schalis pallatii tenorem ipsarum legente sibi me Bernardo Benevento veneciarum notario

Spesso, inoltre, nei registri e nei fascicoli medioevali conservati negli archivi comunali sono documentate “pubblicazioni” del precone di sentenze di condanna all’esilio, temporaneo o perpetuo (perpetuo banniçetur), rispetto ai confini della civitas. Per questa ragione, è entrata nell’uso corrente la parola “bandito”, per indicare chi era condannato e contestualmente “messo al bando”, cioè iscritto in un annuncio pubblico. Così pure, coloro i quali trasgredivano i bandi andavano contra bannum ed erano definiti i “contrabbandieri”, parola oggi rimasta nell’uso solo riferita a chi viola le norme doganali.

In alcuni casi, invece, le pene miravano volutamente a ledere la dignità della persona, tant’è che uno studioso degli inizi del secolo scorso, Antonio Pertile, le descrive addirittura come «pene che intaccano la civile estimazione» e come «pene derisorie ed ignominiose» [A. Pertile, Storia del diritto italiano dalla caduta dell’impero romano alla codificazione, Torino, UTET, 1896-1903].

L’intero quadro (è il caso di dirlo) della pittura infamante è stato già magistralmente descritto da Gherardo Ortalli, nel suo Pingatur in Palatio, al quale questo breve intervento si ispira [G. Ortalli, «... pingatur in Palatio...». La pittura infamante nei secoli XIII-XVI, Roma, Jou-vence, 1978].

In buona sostanza, si utilizzava la casa comunale o le mura cittadine per di-pingere, in modo del tutto comprensibile per i cittadini dell’epoca senza parti-colari mediazioni, scene di condanna esemplare (tav. 3).

Un’inedita riformanza del Minor Consiglio (una sorta di Giunta comunale) di Chioggia del 20 maggio 1281, ad integrazione di uno statuto di qualche anno antecedente, ordina la diffamazione tramite la pittura sul palazzo comunale:

XV. Quod depingantur in palatio omnes qui defraudaverint de bonis comunis a libris X superius.

Die XIII exeunte madii. Capta fuit pars in Minori Consilio quod addatur in statuto «De illis qui defraudaverint de bonis comunis Clugie» quod quilibet, tam officialis quam aliqua persona, que defraudaverit de bonis Clugie a X libris superius, debeat depingi super palacium super ipsa pena et banno in statuto contenta, et a X libris inferius tantum subiaceat pene statuti. Volentes fuerunt X consiliarii, unus noluit [Archivio comunale di Chioggia, sezione storica “D. Renier”, Serie Consigli, Liber consiliorum ante bellum I, cod. 23, ref. XV, c. 7 r.; per la trascrizione, cfr. Le riformanze del Maggior Consiglio di Chioggia dal 1275 al 1320, tesi di laurea in paleografia latina, Università Ca’ Foscari di Venezia, rel. Ch. Prof. A. Bartoli Langeli, laureando G. Penzo, a.a. 1988/1989, p. 76.].

Ciò accadeva come forma di delazione sociale nel luogo d’incontro allora più importante e conoscibile a chiunque: la pubblica piazza, tant’è che alcune riformanze medioevali riportano il «clametur in plathea» (“sia letto ad alta voce in piazza”), luogo deputato anche all’irrogazione di pene fisiche.

Il Garante privacy, nel frattempo, ha appena adottato interessanti Linee guida per l’informazione giuridica, rivolte in particolare a chi si occupa negli uffici giudiziari, nelle case editrici di riviste giuridiche specializzate e a chi comunque svolge attività di riproduzione di sentenze e altri provvedimenti giurisdizionali [Garante per la protezione dei dati personali, Deliberazione 2 dicembre 2010, [s.n.], Linee guida su trattamento dati personali nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica (GU 04.02.2011, n. 2)].

Oggi, a distanza di qualche secolo, il luogo di incontro non è più soltanto la pubblica piazza, ma internet. Su questa implicita linea di pensiero, quindi, il legislatore ha esteso anche ai siti informatici l’obbligo della pubblicazione delle sentenze penali.

In definitiva si tratta di una gogna mediatica: il fine e il metodo sono gli stessi dell’età comunale, a cambiare sono semplicemente gli strumenti.

 

Fig. 1 - Archivio comunale di Chioggia, sezione storica “D. Renier”, Serie Consigli, Liber consiliorum ante bellum I, cod. 23, ref. CCXXVII, c. 114 v., (1313 gen. 6, m.v.) – Riproduzione di Maria Grazia Bevilacqua – Per gentile concessione dell’Archivio comunale di Chioggia.

Fig. 2 - Archivio comunale di Chioggia, sezione storica “D. Renier”, Serie Ducali, Liber ducalium 4, cod. 13, c. 105 v., 1535 set. 1. – Riproduzione di Maria Grazia Bevilacqua – Per gentile concessione dell’Archivio comunale di Chioggia.

Fig. 3 - Tratto da G. Ortalli, «... pingatur in Palatio...». La pittura infamante nei secoli XIII-XVI, Roma, Jou-vence, 1978

 

 

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