1.
L'evento morte non rileva di per sè ai fini del
risarcimento, atteso che la morte (e cioè: la perdita
della vita) è fuori dal danno biologico, poichè il danno
alla salute presuppone pur sempre un soggetto in vita;
ma è altrettanto vero che nessun danno alla salute è più
grave, per entità ed intensità, di quello che, trovando
causa nelle lesioni che esitano nella morte,
temporalmente la precede. In questo caso, infatti, il
danno alla salute raggiunge quantitativamente la misura
del 100%, con l'ulteriore fattore "aggravante", rispetto
al danno da inabilità temporanea assoluta, che il danno
biologico terminale è più intenso perchè l'aggressione
subita dalla salute dell'individuo incide anche sulla
possibilità di essa di recuperare (in tutto o in parte)
le funzionalità perdute o quanto meno di stabilizzarsi
sulla perdita funzionale già subita, atteso che anche
questa capacità recuperatoria o, quanto meno
stabilizzatrice, della salute risulta irreversibilmente
compromessa. La salute danneggiata non solo non recupera
(cioè non "migliora") nè si stabilizza, ma degrada verso
la morte; quest'ultimo evento rimane fuori dal danno
alla salute, per i motivi sopra detti, ma non la
"progressione" verso di esso, poichè durante detto
periodo il soggetto leso era ancora in vita
2. In caso di lesione
che abbia portato a breve distanza di tempo ad esito
letale, sussiste in capo alla vittima che abbia
percepito lucidamente l'approssimarsi della morte, un
danno biologico di natura psichica, la cui entità non
dipende dalla durata dell'intervallo tra lesione e
morte, bensì dell'intensità della sofferenza provata
dalla vittima dell'illecito ed il cui risarcimento può
essere reclamato dagli eredi della vittima (Cass. sez.
3^, 14.2.2007 n. 3260; Cass. sez. 3^, 2.4.2001 n. 4783,
che in maniera incisiva fa riferimento alla "presenza di
un danno "catastrofico" per intensità a carico della
psiche del soggetto che attende lucidamente l'estinzione
della propria vita").
3. Il danno biologico,
consistente nel danno non patrimoniale da lesione della
salute, costituisce una categoria ampia ed
ornnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve
tenere conto di tutti i pregiudizi alla salute
concretamente patiti dal soggetto, ma senza duplicare il
risarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi a
pregiudizi identici. Ne consegue che è inammissibile,
perchè costituisce una duplicazione risarcitoria, la
congiunta attribuzione al soggetto del risarcimento sia
per il danno biologico, inteso per come detto quale
danno alla salute, che per il danno morale, inteso, nel
caso di specie, quale intensa sofferenza psichica. Non
può invero dubitarsi che quest'ultima fattispecie di
danno costituisce necessariamente una componente del
primo, atteso che qualsiasi lesione della salute implica
necessariamente una sofferenza psichica. E quindi, ove
siano dedotte sofferenze di natura psichica, si rientra
nell'ambito del danno biologico, del quale ogni
sofferenza, fisica o psichica, per sua natura
intrinseca, costituisce componente
Cassazione, sez. Lav.,
18 gennaio 2011, n. 1072
(Pres. Vidiri – Rel.
Zapia)
Fatto
Con ricorso al
Tribunale, giudice del lavoro, di Crotone, ritualmente
notificato, P.A.M., in proprio e nella qualità di erede
legittima di B.S., dipendente della società "Graziani
Francesco e C. s.a.s.", deceduto il 6.7.1991 a seguito
di infortunio sul lavoro verificatosi il 2.7.1991 (nel
quale aveva trovato la morte anche l'altro dipendente
G.P.) nel corso della effettuazione, presso la
stabilimento industriale "Nuovo Pastificio S. Antonio
Biagio Lecce s.p.a.", di un ponte elettrico di
collegamento tra due serbatoi, a causa dell'esplosione
dell'olio combustibile contenuto in uno dei serbatoi
predetti, chiedeva la condanna della società datoriale,
ai sensi dell'art. 2087 c.c., al risarcimento di tutti i
danni conseguenti all'evento verificatosi, la liquidarsi
iure proprio e iure successionis.
Disposta la chiamata
in garanzia, su istanza della società convenuta, della
compagnia Reale Mutua Assicurazioni s.p.a., con sentenza
in data 18.10.2006 il Tribunale adito condannava la
Graziani s.a.s. e la terza chiamata, quest'ultima nei
limiti del massimale assicurativo, al pagamento, in
favore di P.G., nella qualità di erede di P.A.M.,
deceduta nelle more dell'espletamento del giudizio,
della somma di Euro 158.200,00 a titolo di danno non
patrimoniale iure proprio, Euro 164,00 a titolo di danno
da invalidità temporanea iure successionis, Euro
693.020,00 a titolo di danno biologico iure
successionis, Euro 175.269,00 a titolo di danno morale
iure successionis, oltre agli interessi legali dalla
data dell'evento sul capitale devalutato ed annualmente
rivalutato in base agli indici Istat.
Avverso tale sentenza
proponeva appello la società Graziani Francesco e C.
s.a.s. lamentandone la erroneità sotto diversi profili e
chiedendo il rigetto delle domande proposte da
controparte con il ricorso introduttivo.
Proponeva altresì
appello incidentale la Società Reale Mutua Assicurazioni
riproponendo le censure mosse dalla società datoriale e
sollevando autonoma censura in relazione alla
statuizione con la quale, sebbene condannata al
risarcimento nei limiti del massimale di polizza, era
stata condannata altresì al pagamento degli interessi,
oltre tale limite.
E proponeva infine
appello incidentale P.G., nella predetta qualità di
erede di P.A.M., chiedendo la condanna di controparte al
risarcimento del danno patrimoniale iure proprio e del
danno esistenziale derivante dalla lesione del diritto
costituzionalmente garantito alla integrità dei rapporti
familiari.
La Corte di Appello di
Catanzaro, con sentenza in data 10.7.2008, rigettava gli
appelli proposti dalla società datoriale e dalla
compagnia di assicurazioni e, in parziale accoglimento
dell'appello proposto dalla P., condannava le
controparti al pagamento della ulteriore somma di Euro
100.000,00 a titolo di danno esistenziale, oltre agli
interessi legali.
Avverso questa
sentenza propone ricorso per cassazione la Graziani
Francesco s.r.l. (già Graziani Francesco e C. s.a.s.)
con nove motivi di impugnazione.
Resiste con
controricorso la P..
La Compagnia di
assicurazione non ha svolto alcuna attività difensiva.
La società ricorrente
ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Diritto
Col primo motivo di
ricorso la società lamenta violazione o falsa
applicazione dell'art. 2087 c.c. anche in relazione
all'art. 2697 c.c..
In particolare osserva
la ricorrente che erroneamente la Corte territoriale
aveva ritenuto la responsabilità della società datoriale
per l'evento verificatosi sotto il profilo che l'assunto
della stessa, secondo cui non sarebbe stata a conoscenza
della presenza di olio combustibile all'interno del
serbatoio nel quale si era verificata l'esplosione, si
appalesava non sostenibile atteso che la presenza di
tale olio costituiva un dato fattuale senz'altro noto,
essendo il serbatoio comunque utilizzato dal pastificio
Lecce per l'attività produttiva, ed anche necessario ai
fini della verifica della corretta realizzazione del
ponte di collegamento fra i due serbatoi; e pertanto la
condotta della società integrava la violazione della
norma di cui all'art. 2087 c.c. non risultando che la
stessa avesse predisposto le opportune cautele
nell'esecuzione dell'attività, sino al limite della
sospensione della prestazione per mancanza delle
previste condizioni di sicurezza.
Rileva per contro la
ricorrente che dal dovere di prevenzione imposto al
datore di lavoro dall'art. 2087 c.c. non può desumersi
la prescrizione di un obbligo assoluto di rispettare
ogni cautela possibile ed innominata diretta ad evitare
qualsiasi danno, occorrendo che l'evento sia sempre
riferibile a sua colpa, per violazione di obblighi di
comportamento imposti da norme di fonte legale o
suggeriti dalla tecnica, ma concretamente individuati;
di talchè incombe al lavoratore l'onere di fornire la
prova della concreta conoscenza, o quanto meno
conoscibilità, da parte del datore di lavoro, del fatto
o della situazione da cui l'evento dannoso trae origine,
al fine di verificare che lo stesso rientri nell'ambito
nella sfera di controllo del datore predetto, altrimenti
verrebbe a configurarsi una sorta di responsabilità
oggettiva ricomprendendo nella previsione dell'art. 2087
c.c. la prevenzione di rischi del tutto ignoti o affatto
ipotetici.
Col secondo motivo di
ricorso la società lamenta carenza o contraddittorietà
della motivazione su un fatto controverso e decisivo,
costituito dall'accertamento in ordine alla concreta
conoscenza, o prevedibilità, in capo al datore, del
fatto da cui origina l'evento dannoso nonchè
dall'accertamento in ordine alla circostanza se la causa
scatenante l'evento rientrasse o meno nella sfera di
controllo e di concreta prevedibilità del datore di
lavoro.
In particolare la
ricorrente, premesso che la presenza di olio
combustibile nel serbatoio in questione costituiva un
fatto decisivo e controverso ai fini dell'accertamento
della responsabilità del datore di lavoro, ha rilevato
l'esistenza di un salto logico nella motivazione dei
giudice di appello tra la premessa (il fatto che il
serbatoio sarebbe stato utilizzato dal pastificio Lecce
per l'attività produttiva) e la conseguenza (il fatto
che la società ricorrente sapesse, o dovesse sapere,
della presenza dell'olio combustibile nel serbatoio da
collegare a quello di nuova istallazione).
Col terzo motivo di
ricorso la società lamenta violazione o falsa
applicazione degli artt. 2043, 2059, 2087 e 2697 c.c. e
art. 116 c.p.c. in tema di successione e quantificazione
del danno biologico e morale terminale in un caso di
evento letale susseguito a breve distanza
dall'infortunio.
In particolare rileva
la ricorrente che erroneamente la Corte territoriale
aveva ritenuto di quantificare il risarcimento della
danno biologico iure successionis nell'importo
spropositato di Euro 693.020,00, disattendendo il
principio posto dalla Suprema Corte secondo cui ai fini
del risarcimento del danno biologico in caso di
infortunio seguito da morte assume preminente rilievo il
trascorrere di un lasso di tempo apprezzabile fra il
sinistro e l'evento letale, dando per contro rilievo
alla situazione di massima sofferenza fisica e psichica
in cui il B. era venuto a trovarsi nei pochi giorni (dal
2 luglio al 7 luglio 1991) intercorsi fra l'incidente e
la morte, così pervenendo al risarcimento del suddetto
danno biologico per intero, nella misura del 100%, come
se il lavoratore fosse sopravvissuto alle lesioni per il
tempo corrispondente alla sua ordinaria speranza di
vita.
Col quarto motivo di
ricorso la società lamenta carenza di motivazione su un
fatto controverso e decisivo, rappresentato dalla
rilevanza ai fini della determinazione dell'entità del
danno biologico terminale da risarcire dell'arco
temporale intercorrente tra fatto lesivo ed evento
letale.
Rileva in particolare
che erroneamente la Corte territoriale, pur ritenendo
che il criterio del lasso di tempo apprezzabilmente
decorso tra il sinistro e l'evento letale si appalesa in
astratto condivisibile, ha peraltro disatteso siffatto
criterio pervenendo al diverso risultato del
risarcimento per intero del danno biologico solo sulla
base dell'asserita intensità delle sofferenze patite dal
lavoratore nel pur breve periodo di quattro giorni; di
talchè sul punto la motivazione della sentenza si
appalesava quanto meno carente.
Col quinto motivo di
ricorso la società lamenta violazione o falsa
applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c., anche in
relazione all'art. 1223 c.c..
In particolare rileva
che erroneamente la Corte territoriale, dopo aver
liquidato il danno biologico di natura psichica come un
danno consolidato, aveva proceduto altresì alla
liquidazione del danno morale, sul presupposto della
accentuata ed intensa sofferenza psichica patita dal B.
derivante dalla consapevolezza della sua condizione,
operando in tal modo una duplicazione dello stesso
risarcimento, mentre per contro siffatta sofferenza
psichica doveva ritenersi siccome rientrante nell'area
del danno biologico.
Col sesto motivo di
ricorso la società lamenta carenza di motivazione in
ordine ad un fatto controverso e decisivo, costituito
dalla rilevanza del contemporaneo riconoscimento del
risarcimento del danno biologico iure successionis in
sede ed ai fini della liquidazione del danno morale iure
successionis.
In particolare rileva
che la Corte territoriale aveva omesso ogni motivazione
in ordine alla possibilità di cumulare le predette voci
risarcitorie.
Col settimo motivo di
ricorso la società lamenta violazione o falsa
applicazione degli artt. 1223, 2043, 2059 e 2697 c.c..
Rileva in particolare
la ricorrente che erroneamente la Corte territoriale, in
accoglimento dell'appello incidentale proposto dalla P.,
aveva liquidato in favore della stessa il danno
esistenziale, quantificato nella misura di Euro
100.000,00, sotto il profilo che la lesione incideva su
interessi di livello costituzionale, conseguenti alla
perdita del rapporto parentale, atteso che il decesso
del figlio aveva fatto venir meno, nei confronti della
stessa, l'intangibilità degli affetti familiari, la
solidarietà nell'ambito della famiglia, la possibilità
di esplicazione della persona umana nella società
familiare. In tal modo peraltro la Corte territoriale
aveva proceduto ad una duplicazione del danno non
patrimoniale, avendo il Tribunale già riconosciuto in
favore della P. il risarcimento del danno morale ex art.
2059 c.c. (danno morale soggettivo) inteso come prezzo
per il patema d'animo transeunte, considerato che il B.
era l'unico figlio convivente della predetta. Ciò
comportava, alla stregua dell'insegnamento delle Sezioni
Unite della Corte di Cassazione di cui alla sentenza n.
26972/08, una violazione o falsa applicazione degli
artt. 2043 e 2059 c.c., stante l'attribuzione di
autonoma dignità risarcitoria al danno esistenziale
congiuntamente al danno morale soggettivo iure proprio
in favore del congiunto della vittima.
Con l'ottavo motivo di
ricorso la società lamenta carenza o contraddittorietà
della motivazione su un fatto controverso e decisivo per
il giudizio, costituito dalle circostanze in ipotesi
rilevanti ai fini del riconoscimento, in favore del
congiunto della vittima di un fatto illecito con effetti
letali, che già aveva ottenuto in primo grado il
riconoscimento del danno morale soggettivo, di
un'ulteriore posta risarcitoria relativa a profili di
asserito danno esistenziale.
Ciò in quanto si
appalesa contraddicono assumere uno stesso referente
fattuale - la condizione del B. di unico figlio della P.
- per riconoscere due distinte poste risarcitorie, tanto
più nella prospettiva della necessaria unitarietà del
riconoscimento e del risarcimento del danno alla
persona; dovendosi ritenere altresì una vistosa carenza
di motivazione sotto il profilo degli elementi di prova
del predetto danno, che non possono essere individuati e
negli stessi termini apprezzati ai fini di una distinta
posta risarcitoria.
Col nono motivo di
ricorso la società lamenta violazione e falsa
applicazione degli artt. 1277, 1282 e 1284 c.c..
In particolare rileva
che erroneamente la Corte territoriale aveva disatteso
la censura relativa al computo degli interessi, atteso
che gli interessi su una somma attribuita a titolo di
risarcimento dei danni da fatto illecito non possono
essere calcolati dalla data dell'illecito sulla somma
liquidata per capitale e rivalutata sino al momento
della decisione, posto che in tal modo si finirebbe per
attribuire al creditore un valore cui non ha diritto;
ciò in quanto gli interessi non costituiscono un debito
di valore, ma un criterio di commisurazione del danno da
ritardo nel conseguimento di una somma di denaro che,
all'epoca del fatto, non era quella rivalutata e solo
progressivamente aveva raggiunto l'ammontare liquidato
dalla sentenza di condanna, dovendo pertanto gli
interessi essere riconosciuti dalla data di
pubblicazione della sentenza e non da quella dell'evento
letale.
l primi due motivi del
ricorso, che il Collegio ritiene di dover esaminare
unitariamente in quanto strettamente connessi, non sono
fondati.
Osserva il Collegio
che la responsabilità del datore di lavoro in materia di
infortuni è fondata sul disposto dell'art. 2087 c.c., in
base al quale l'imprenditore è tenuto ad adottare,
nell'esercizio dell'impresa, le misure che, secondo la
particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica,
sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la
personalità morale dei prestatori di lavoro; la norma
suddetta impone pertanto al datore di lavoro un obbligo
generale di diligenza; nel sistema della tutela delle
condizioni di lavoro prevista dal legislatore, la
disposizione di cui all'art. 2087 c.c. ha una funzione
integratrice della normativa che prevede le singole
misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro,
ponendo a carico del datore di datore un obbligo
generale di garanzia delle condizioni di sicurezza del
lavoro. Ciò non determina l'insorgere di una ipotesi di
responsabilità oggettiva, tuttavia non è circoscritta
alla violazione di specifiche regole di esperienza o di
regole tecniche, ma deve ritenersi volta a sanzionare,
anche alla luce delle garanzie costituzionali del
lavoratore, l'omessa predisposizione di tutte quelle
misure e cautele atte a preservare, in relazione alle
effettive modalità e condizioni di lavoro, l'integrità
psicofisica del lavoratore, in considerazione altresì
della possibilità di conoscenza di tutti quegli elementi
che, in relazione alla fattispecie concreta, possono
incidere sulla sicurezza del lavoratore.
Alla stregua di quanto
sopra non può dubitarsi che la Corte territoriale abbia
correttamente ritenuto la violazione del predetto art.
2087 c.c. ed abbia coerentemente e compiutamente
motivato in ordine alla responsabilità della società
datoriale, avendo rilevato come la presenza di olio
combustibile nel serbatoio già in uso costituiva un dato
fattuale assolutamente noto, essendo il detto serbatoio
comunque utilizzato dal pastificio Lecce per l'attività
produttiva, ed anche necessario, al fine di verificare
la corretta realizzazione del ponte di collegamento fra
il serbatoio già in uso e quello di nuova istallazione.
E pertanto correttamente ha ritenuto che non potesse
dubitarsi della piena conoscenza e consapevolezza da
parte della società della presenza in uno dei due
serbatoi, e precisamente in quello già in uso al
pastificio Lecce, di olio di combustibile; donde la
responsabilità per violazione della disposizione di cui
all'art. 2087 c.c. per non avere la società predetta,
nonostante siffatta conoscenza e consapevolezza,
provveduto a rendere edotti i lavoratori addetti alla
saldatura del ponte fra i due serbatoi, delle
particolari cautele da osservare nell'esecuzione
dell'attività fornendoli di attrezzature adeguate allo
scopo e predisponendo sul luogo quanto necessario per
eventuali emergenze, sino al limite della sospensione
della prestazione in mancanza delle necessarie
condizioni di sicurezza.
Di conseguenza nessuna
violazione o falsa applicazione di norme può ravvisarsi
nella fattispecie, nè alcun salto logico di motivazione.
I suddetti motivi del
ricorso non possono pertanto trovare accoglimento.
Del pari infondati si
appalesano il terzo e quarto motivo del ricorso che il
Collegio ritiene, parimenti, di dover trattare in
maniera unitaria.
Innanzi tutto osserva
il Collegio che l'evento morte non rileva di per
sè ai fini del risarcimento, atteso che la morte (e
cioè: la perdita della vita) è fuori dal danno
biologico, poichè il danno alla salute presuppone pur
sempre un soggetto in vita; ma è altrettanto vero che
nessun danno alla salute è più grave, per entità ed
intensità, di quello che, trovando causa nelle lesioni
che esitano nella morte, temporalmente la precede. In
questo caso, infatti, il danno alla salute raggiunge
quantitativamente la misura del 100%, con l'ulteriore
fattore "aggravante", rispetto al danno da inabilità
temporanea assoluta, che il danno biologico terminale è
più intenso perchè l'aggressione subita dalla salute
dell'individuo incide anche sulla possibilità di essa di
recuperare (in tutto o in parte) le funzionalità perdute
o quanto meno di stabilizzarsi sulla perdita funzionale
già subita, atteso che anche questa capacità
recuperatoria o, quanto meno stabilizzatrice, della
salute risulta irreversibilmente compromessa. La salute
danneggiata non solo non recupera (cioè non "migliora")
nè si stabilizza, ma degrada verso la morte;
quest'ultimo evento rimane fuori dal danno alla salute,
per i motivi sopra detti, ma non la "progressione" verso
di esso, poichè durante detto periodo il soggetto leso
era ancora in vita (in tal senso, Cass. sez.
3^, 23.6.2006 n. 3766).
Posto ciò ritiene il
Collegio di dover aderire al principio secondo cui,
in caso di lesione che abbia portato a breve
distanza di tempo ad esito letale, sussiste in capo alla
vittima che abbia percepito lucidamente l'approssimarsi
della morte, un danno biologico di natura psichica, la
cui entità non dipende dalla durata dell'intervallo tra
lesione e morte, bensì dell'intensità della sofferenza
provata dalla vittima dell'illecito ed il cui
risarcimento può essere reclamato dagli eredi della
vittima (Cass. sez. 3^, 14.2.2007 n. 3260; Cass. sez.
3^, 2.4.2001 n. 4783, che in maniera incisiva fa
riferimento alla "presenza di un danno "catastrofico"
per intensità a carico della psiche del soggetto che
attende lucidamente l'estinzione della propria vita").
Ritenuta pertanto
l'irrilevanza del lasso di tempo intercorrente fra il
sinistro e l'evento letale, osserva il Collegio che la
giurisprudenza di questa Corte ha posto in rilievo che
il giudice, nel caso ritenga di applicare i criteri di
liquidazione tabellare o a punto, deve procedere
necessariamente alla cd. "personalizzazione" degli
stessi, costituita dall'adeguamento al caso concreto
atteso che, siccome più volte ribadito da questa Corte,
la legittimità dell'utilizzazione di detti ultimi
sistemi liquidatori è pur sempre fondata sul potere di
liquidazione equitativa del giudice.
E la liquidazione del
quantum, se supportata da una motivazione congrua e
coerente sul piano logico, e rispettosa dei principi
giuridici applicabili alla materia, è sottratta a
qualsiasi censura in sede di legittimità.
Orbene, nel caso di
specie la Corte territoriale, nel confermare la
statuizione sul punto del primo giudice, ha rilevato,
riportandosi agli esiti della consulenza medico legale
effettuata, che il B., nei quattro giorni precedenti il
decesso, aveva "subito un danno psichico totale per la
presenza di una sofferenza e di una disperazione
esistenziale di tale intensità da determinare nella
percezione del defunto un danno catastrofico", in una
situazione di "attesa lucida e disperata dell'estinzione
della vita".
Alla stregua di quanto
sopra i suddetti motivi di gravame non possono trovare
accoglimento.
Sono per contro
fondati il quinto ed il sesto motivo di
gravame.
Ed invero il
danno biologico, consistente nel danno non patrimoniale
da lesione della salute, costituisce una categoria ampia
ed ornnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice
deve tenere conto di tutti i pregiudizi alla salute
concretamente patiti dal soggetto, ma senza duplicare il
risarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi a
pregiudizi identici. Ne consegue che è inammissibile,
perchè costituisce una duplicazione risarcitoria, la
congiunta attribuzione al soggetto del risarcimento sia
per il danno biologico, inteso per come detto quale
danno alla salute, che per il danno morale, inteso, nel
caso di specie, quale intensa sofferenza psichica. Non
può invero dubitarsi che quest'ultima fattispecie di
danno costituisce necessariamente una componente del
primo, atteso che qualsiasi lesione della salute implica
necessariamente una sofferenza psichica. E quindi, ove
siano dedotte sofferenze di natura psichica, si rientra
nell'ambito del danno biologico, del quale ogni
sofferenza, fisica o psichica, per sua natura
intrinseca, costituisce componente (Cass.
SS.UU., 11.11.2008 n. 26972).
E parimenti fondati si
appalesano il settimo ed ottavo motivo del ricorso.
Ed invero, alla
stregua del suddetto principio della inammissibilità
della duplicazione delle poste risarcitorie, rileva il
Collegio che, una volta riconosciuto alla P., iure
proprio, il risarcimento del danno morale, per la
perdita dell'unico figlio convivente della stessa,
appare di tutta evidenza che la liquidazione di una
ulteriore somma a titolo di danno esistenziale per il
venir meno del rapporto parentale, avente incidenza su
interessi di rilievo costituzionale, costituisce una
duplicazione del predetto danno morale soggettivo
riconosciuto alla madre sostanzialmente con la medesima
motivazione.
Infatti, per come
rilevato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la
predetta sentenza n. 26972/08, "determina duplicazione
di risarcimento la congiunta attribuzione del danno
morale, nella sua rinnovata configurazione, e del danno
da perdita del rapporto parentale, poichè la sofferenza
patita nel momento in cui la perdita è percepita e
quella che accompagna l'esistenza del soggetto che l'ha
subita altro non sono che componenti del complesso
pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente
ristorato".
E' infine infondato
l'ultimo motivo del ricorso.
Ed invero il
risarcimento dei danni da fatto illecito si configura
quale debito di valore non avendo ad oggetto sin
dall'origine una somma di denaro. Correttamente pertanto
la Corte territoriale, dopo aver quantificato il danno
alla data della decisione, ha proceduto alla
determinazione degli interessi legali a decorrere dalla
data della verificazione del fatto lesivo, ma procedendo
alla "devalutazione" a tale data del capitale, per poi
rivalutarlo annualmente secondo gli indici Istat,
applicando quindi gli interessi dalla data di
verificazione dell'evento sul predetto capitale
"devalutato", con le successive rivalutazioni annuali;
deve escludersi pertanto che si sia verificata alcuna
duplicazione degli interessi medesimi.
In conclusione il
ricorso della società deve essere parzialmente accolto,
limitatamente al quinto, sesto, settimo ed ottavo motivo
di gravame; di conseguenza, in relazione ai suddetti
motivi, deve cassarsi la sentenza impugnata e, non
essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la
causa può essere decisa nel merito con il rigetto della
domanda di P.G. volta al pagamento del danno
esistenziale, quantificato nell'impugnata sentenza,
nella misura di Euro 100.000,00, e del danno morale iure
successionis, quantificato in sentenza nella misura di
Euro 175.296,00; va nel resto confermata l'impugnata
sentenza.
Ricorrono giusti
motivi, avuto riguardo al solo parziale accoglimento del
ricorso proposto dalla società Graziani s.r.l., per
dichiarare interamente compensate tra la stessa e la
resistente P. G., le spese relative al presente giudizio
di cassazione, ferme restando le statuizioni sulle spese
relative a giudizio di merito. Nessuna statuizione in
ordine alle spese del presente giudizio di cassazione va
per contro operata nei confronti della Società Reale
Mutua di Assicurazioni, non avendo la stessa svolto
alcuna attività difensiva, dovendosi anche nei confronti
della predetta confermare la liquidazione delle spese
relative ai giudizi di merito.
P.Q.M.
La Corte accoglie il
quinto, sesto, settimo ed ottavo motivo di ricorso;
cassa parzialmente la sentenza impugnata e, decidendo
nel merito, rigetta la domanda di P.G. volta al
pagamento del danno esistenziale, quantificato
nell'impugnata sentenza nei a misura di Euro 100.000,00,
e del danno morale iure successionis, quantificato in
sentenza nella misura di Euro 175.296,00; conferma nel
resto l'impugnata sentenza. Compensa tra la società
ricorrente e la resistente P.G. le spese relative al
presente giudizio di cassazione; nulla per le spese
relative al suddetto giudizio nei confronti della
Società Reale Mutua di Assicurazioni;
conferma le
statuizioni sulle spese relative al giudizio di merito.
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