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IL LIQUIDATORE DI CONCORDATO PREVENTIVO PUO' ESSERE RICOMPRESO TRA I SOGGETTI ATTIVI DEL REATO DI BANCAROTTA?" - Mirijam CONZUTTI

 

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 Il concordato preventivo è una procedura concorsuale attraverso la quale l’imprenditore ricerca un accordo con i suoi creditori per non essere dichiarato fallito o comunque per cercare di superare la crisi in cui versa l’impresa. L’imprenditore, pertanto, se vuole evitare la dichiarazione di fallimento deve prevenire i creditori e presentare al tribunale del luogo dove l’impresa ha la sede principale domanda di ammissione alla procedura di concordato, sulla base di un piano che può prevedere oltre ad una transazione fiscale, la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei creditori attraverso qualsiasi forma; l’attribuzione delle attività ad un assuntore o più, la suddivisione dei creditori in classi, trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse.
Alla domanda, che va proposta con ricorso, deve essere allegata una aggiornata relazione della situazione patrimoniale, lo stato analitico delle attività, l’elenco dei creditore, dei titolari dei diritti reali o personali, il valore dei beni e i creditore particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili.

Il piano e la documentazione devono essere accompagnati da una relazione di un professionista che ne attesti la veridicità. Il tribunale, quindi, sentito il Pm e, occorrendo, anche il debitore, con decreto, non soggetto a reclami, dichiara inammissibile la proposta se non ci sono i presupposti soggettivi o se ritiene che non corrisponda a requisiti oggettivi.
Per converso, se la proposta è ammessa, il tribunale dichiara aperta la procedura di concordato preventivo e delega un giudice a seguire la procedura, nominando un commissario giudiziale, ordinando la convocazione dei creditore e stabilendo un limite entro il quale il debitore deve depositare in cancelleria la somma ritenuta necessaria per far fronte alle spese dell’intera procedura. Per quanto concerne gli effetti della procedura; il debitore conserva l’amministrazione dei suoi beni e l’esercizio dell’impresa, sotto la vigilanza del commissario giudiziale. Gli atti di straordinaria amministrazione, in particolare quelli indicati dal 167 comma 2 sono inefficaci, rispetto ai creditori anteriori al concordato se non c’e’ l’autorizzazione del giudice delegati. Per quanto riguarda i creditori, questi non possono iniziare o proseguire azioni esecutive per titolo o causa anteriore al decreto, anche se le prescrizioni rimangono interrotte.
Viene nominato un commissario giudiziale che provvede alla verifica dell’elenco dei credito e debitori, sulla scorta delle scritture contabili apportando eventuali rettifiche e provvedendo alla convocazione dei creditori.
Il commissario, se accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell’attivo, che ha dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, apre d’ufficio il procedimento per la revoca dell’ammissione al concordato e, se vi sia istanza di un creditore o richiesta del PM, per la dichiarazione di fallimento.
Il concordato può consistere nella cessione dei beni; in questo caso il tribunale provvede a nominare con decreto di omologazione, uno o più liquidatori e un comitato di tre o cinque creditori per assistere alla liquidazione. La cessione si configura come un mandato irrevocabile conferito agli organi della procedura per gestire e liquidare i beni del debitore, il cui realizzo è destinato al soddisfacimento dei creditori e non come trasferimento della proprietà agli stessi. È di tutta evidenza la natura privatistica dell’istituto, pertanto, in sede di vendita dei beni, il terzo può far valere eventuale diritto di prelazione

La questione che è stata proposta recentemente alle Sezioni Unite è se il liquidatore di un concordato preventivo diretto alla cessione di beni, sia o meno, sussumibile nella fattispecie di bancarotta delle condotte distrattive o fraudolente poste in essere dal liquidatore
La Corte rinviene un unico antecedente favorevole, laddove con la locuzione “liquidatore di società” di cui all ’art 236 LF non identificherebbe solo la figura soggettiva del liquidatore nominato dai soci ex 2275 cc., ma anche il liquidatore investito del compito di procedere alla cessione dei beni nell’ambito di una procedura di concordato preventivo.
Le ragioni sono essenzialmente due; in primo luogo il dato letterale, ovvero il riferimento al solo liquidatore privato non ha, secondo questa prima tesi, una valenza tale da escludere ogni altro tipo di liquidatore; in secondo luogo , vi sarebbe una sostanziale assimilabilità delle due figure ovvero quella del liquidatore di società e quella del liquidatore nominato ex legge fallimentare, perché entrambi assumono la disponibilità dei beni societari in vista della definizione dei rapporti giuridici.
La Corte, inoltre, precisa che il liquidatore concordatario opera nei limiti della modalità stabilite con la sentenza di omologazione del concordato, senza necessità di ulteriori autorizzazioni. Infine,ogni interpretazione restrittiva del dato normativo porterebbe ad un vuoto di tutela, perché l’eventuale condotta fraudolenta del liquidatore non potrebbe essere sussunta nell’ambito dell’appropriazione indebita.
A questa impostazione se ne contrappone un’altra, che sottolinea le nette differenze fra il liquidatore di società e il liquidatore concordatario, sia sotto il profilo delle modalità di nomina, in un caso privata, nell’altro giudiziale, sia per quanto concerne l’esercizio dei poteri.
Con maggiore impegno esplicativo per il liquidatore di società esisterebbero tutti gli obblighi e le responsabilità previsti per gli amministratori, con il solo limite di intraprendere nuove operazioni, per le quali sarebbe chiamato a rispondere personalmente e solidamente; per converso, il liquidatore del concordato preventivo svolge le sue attività sotto il controllo di un commissario giudiziale con un mandato limitato alla liquidazione dei beni.
Le Sezioni Unite nel settembre 2010, preso atto del contrasto, chiariscono che il liquidatore di beni del concordato preventivo non può essere soggetto attivo dei reati di bancarotta di cui agli artt 223, 224 LF richiamati dal 236 Lf secondo comma, n. 1, perché non espressamente menzionato tra gli autori propri dei suddetti reati, né può essere ricompreso nella categoria dei liquidatori di società.
Le ragioni si basano sul fatto che la figura del liquidatore concordatario presenta delle connotazioni peculiari rispetto al liquidatore delle società; quest’ultimo, infatti viene nominato dall’assemblea e rimane come un vero e proprio organo sociale cui vengono assegnati compiti e funzioni coerenti rispetto al rapporto societario; convoca l’assemblea, redige i bilanci in corso di liquidazione e il bilancio finale ed è anche responsabile del suo operato secondo le norme sulla responsabilità degli amministratori.
Il liquidatore di cui all’art 182 LF, invece, per il compito che espleta e il rapporto che lo lega agli organi, in particolare al commissario giudiziale, che è tenuto a vigilare sull’esecuzione del concordato, si trova in una posizione di terzietà rispetto al debitore, e ciò esclude  il determinarsi di un rapporto organico con la società e circoscrive la sua sostituzione agli organi di quest’ultima nei limiti funzionali all’esecuzione del mandato.

Manca nel liquidatore concordatario il tratto che caratterizza il liquidatore societario, ovvero il rapporto organico con la società, che accomuna i soggetti richiamati dal 236 LF secondo comma 1. Che sono gli stessi che l’art 146 LF indica come destinatari degli stessi obblighi del fallito in caso di fallimento della società, e che costituisce sostanzialmente la ratio dell’applicabilità delle norme di cui al 223, 224 LF ai fini dell’estensione penale degli effetti dell’insolvenza dell’imprenditore. È questa mancanza che preclude l’analoga estensione nei confronti del liquidatore di cui all’art 182 LF, e che costituisce la ratio dell’applicabilità delle norme agli art 223, e 224 LF in una naturale estensione ad essi, ai fini penali, degli effetti dell’insolvenza dell’imprenditore. Ed è questa mancanza che preclude un’analoga estensione nei confronti del liquidatore di cui all’art 182 lf.

Si sottolinea come dal dato normativo emerga l’intenzione del legislatore di non estendere in via generale la tutela offerta dalle fattispecie incriminatrici legate al fallimento ai fatti commessi nell’ambito delle procedure alternative a quest’ultimo, ma di limitarne l’applicabilità a specifici ambiti. In quest’ottica non è possibile ricomprendere tra le figure indicate nell’art 236 comma secondo n. 1 LF e, in particolare, all’interno della nozione “liquidatori della società” quella del liquidatore del concordato preventivo, perché sarebbe del tutto fuorviante estende a quest’ultimo incriminazioni riservate dal legislatore al commissario giudiziale.

Con maggiore impegno esplicativo, sul campo si confrontano due tesi; la prima ispirata allo schema privatistico – negoziale e l’altra a quello pubblicistico processuale.
Per la prima il concordato sarebbe un accordo di natura negoziale, transattiva tra il debitore e i creditori, intesi come unità collettiva rispetto al quale l’omologazione giudiziaria rappresenterebbe una mera condizione di efficacia.

Per i fautori della tesi pubblicistica, il concordato preventivo sarebbe un processo giurisdizionale nel senso di omologazione, della quale l’accordo tra il debitore e i creditori sarebbe sostanzialmente il mero presupposto.
La giurisprudenza in un primo momento ha dimostrato di aderire alla concezione contrattualistica, mentre successivamente, ponendo l’accento sul controllo di merito effettuato da parte del tribunale, si è orientata verso la tesi pubblicistica.
La compresenza di elementi pubblicistici e privatistici non è stata superata nemmeno con le recenti modifiche.
Le principali novità sono costituite dalla modificazione del presupposto di accesso alla procedura, che viene ora individuato nello stato di crisi in cui si trova l’impresa, che viene definita nel nuovo art 160 Lf come stato di insolvenza. Lo stato di insolvenza è, dunque, rimasto il presupposto della procedura.
Al debitore la riforma concede una più ampia autonomia nella scelta dei contenuti del piano concordatario e la possibilità di dividere i creditori in classi; ne consegue che la natura del concordato riformato appare connotata da una prevalenza di elementi privatistici che denunciano la volontà di contrarre l’intervento statuale nella procedura anticipatoria, rafforzando invece il ruolo dei protagonisti dei debitori e creditori.
La Corte ricorda, inoltre, come la riforma continua ad attribuire l’espressa qualifica di pubblico ufficiale al solo commissario giudiziale.
Più nello specifico, la legge fallimentare all’art 236 , al comma 2 n. 1, laddove estende, in caso di concordato preventivo agli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società le incriminazioni di cui al precedente 223, e 224, non ha subito modifica alcuna.
Di fatto risulta evidente come la figura del liquidatore concordatario presenta sicuramente connotazioni molto peculiari rispetto all’ordinario liquidatore di società, e non è ricompresa nell’estensione analogica di cui sopra.
Il liquidatore societario, infatti, nominato dall’assemblea, resta un vero e proprio organo sociale cui sono assegnati compiti e funzioni coerenti rispetto al rapporto societario. Per converso, il liquidatore di cui all’art 182 LF è, per il compito che espleta e il rapporto che lo lega agli organi della procedura, terzo rispetto al debitore. Manca, pertanto, nel liquidatore concordatorio proprio il tratto tipico che accomuna i soggetti richiamati nella LF art 236 comma 2 n. 1 e che costituisce la ratio stessa dell’applicabilità delle richiamate disposizioni della Lf, artt 223, 224 in una naturale estensione ad essi, ai fini penali, degli effetti dell’insolvenza dell’imprenditore. Ed è questa mancanza che preclude l’analoga estensione nei confronti del liquidatore di cui alla legge fallimentare ( art 182)
In conclusione, la corte enuncia il principio secondo cui il liquidatore dei beni del concordato preventivo di cui alla LF art 182 non può essere soggetto attivo di bancarotta di cui agli artt 223, 224 comma 2, indicati nella stessa legge, perche’ non può ritenersi ricompreso negli elenchi dei soggetti espressamente indicati, in particolare, tra i liquidatori di società, presentando le due categorie di soggetti caratteristiche del tutto peculiari che impediscono l’estensione analogica della normativa.

 

 

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