Il
concordato preventivo è una procedura concorsuale
attraverso la quale l’imprenditore ricerca un accordo
con i suoi creditori per non essere dichiarato fallito o
comunque per cercare di superare la crisi in cui versa
l’impresa. L’imprenditore, pertanto, se vuole evitare la
dichiarazione di fallimento deve prevenire i creditori e
presentare al tribunale del luogo dove l’impresa ha la
sede principale domanda di ammissione alla procedura di
concordato, sulla base di un piano che può prevedere
oltre ad una transazione fiscale, la ristrutturazione
dei debiti e la soddisfazione dei creditori attraverso
qualsiasi forma; l’attribuzione delle attività ad un
assuntore o più, la suddivisione dei creditori in
classi, trattamenti differenziati tra creditori
appartenenti a classi diverse.
Alla domanda, che va proposta con ricorso, deve essere
allegata una aggiornata relazione della situazione
patrimoniale, lo stato analitico delle attività,
l’elenco dei creditore, dei titolari dei diritti reali o
personali, il valore dei beni e i creditore particolari
degli eventuali soci illimitatamente responsabili.
Il piano e la documentazione devono essere accompagnati
da una relazione di un professionista che ne attesti la
veridicità. Il tribunale, quindi, sentito il Pm e,
occorrendo, anche il debitore, con decreto, non soggetto
a reclami, dichiara inammissibile la proposta se non ci
sono i presupposti soggettivi o se ritiene che non
corrisponda a requisiti oggettivi.
Per converso, se la proposta è ammessa, il tribunale
dichiara aperta la procedura di concordato preventivo e
delega un giudice a seguire la procedura, nominando un
commissario giudiziale, ordinando la convocazione dei
creditore e stabilendo un limite entro il quale il
debitore deve depositare in cancelleria la somma
ritenuta necessaria per far fronte alle spese
dell’intera procedura. Per quanto concerne gli effetti
della procedura; il debitore conserva l’amministrazione
dei suoi beni e l’esercizio dell’impresa, sotto la
vigilanza del commissario giudiziale. Gli atti di
straordinaria amministrazione, in particolare quelli
indicati dal 167 comma 2 sono inefficaci, rispetto ai
creditori anteriori al concordato se non c’e’
l’autorizzazione del giudice delegati. Per quanto
riguarda i creditori, questi non possono iniziare o
proseguire azioni esecutive per titolo o causa anteriore
al decreto, anche se le prescrizioni rimangono
interrotte.
Viene nominato un commissario giudiziale che provvede
alla verifica dell’elenco dei credito e debitori, sulla
scorta delle scritture contabili apportando eventuali
rettifiche e provvedendo alla convocazione dei
creditori.
Il commissario, se accerta che il debitore ha occultato
o dissimulato parte dell’attivo, che ha dolosamente
omesso di denunciare uno o più crediti, apre d’ufficio
il procedimento per la revoca dell’ammissione al
concordato e, se vi sia istanza di un creditore o
richiesta del PM, per la dichiarazione di fallimento.
Il concordato può consistere nella cessione dei beni; in
questo caso il tribunale provvede a nominare con decreto
di omologazione, uno o più liquidatori e un comitato di
tre o cinque creditori per assistere alla liquidazione.
La cessione si configura come un mandato irrevocabile
conferito agli organi della procedura per gestire e
liquidare i beni del debitore, il cui realizzo è
destinato al soddisfacimento dei creditori e non come
trasferimento della proprietà agli stessi. È di tutta
evidenza la natura privatistica dell’istituto, pertanto,
in sede di vendita dei beni, il terzo può far valere
eventuale diritto di prelazione
La questione che è stata proposta recentemente alle
Sezioni Unite è se il liquidatore di un concordato
preventivo diretto alla cessione di beni, sia o meno,
sussumibile nella fattispecie di bancarotta delle
condotte distrattive o fraudolente poste in essere dal
liquidatore
La Corte rinviene un unico antecedente favorevole,
laddove con la locuzione “liquidatore di società” di cui
all ’art 236 LF non identificherebbe solo la figura
soggettiva del liquidatore nominato dai soci ex 2275 cc.,
ma anche il liquidatore investito del compito di
procedere alla cessione dei beni nell’ambito di una
procedura di concordato preventivo.
Le ragioni sono essenzialmente due; in primo luogo il
dato letterale, ovvero il riferimento al solo
liquidatore privato non ha, secondo questa prima tesi,
una valenza tale da escludere ogni altro tipo di
liquidatore; in secondo luogo , vi sarebbe una
sostanziale assimilabilità delle due figure ovvero
quella del liquidatore di società e quella del
liquidatore nominato ex legge fallimentare, perché
entrambi assumono la disponibilità dei beni societari in
vista della definizione dei rapporti giuridici.
La Corte, inoltre, precisa che il liquidatore
concordatario opera nei limiti della modalità stabilite
con la sentenza di omologazione del concordato, senza
necessità di ulteriori autorizzazioni. Infine,ogni
interpretazione restrittiva del dato normativo
porterebbe ad un vuoto di tutela, perché l’eventuale
condotta fraudolenta del liquidatore non potrebbe essere
sussunta nell’ambito dell’appropriazione indebita.
A questa impostazione se ne contrappone un’altra, che
sottolinea le nette differenze fra il liquidatore di
società e il liquidatore concordatario, sia sotto il
profilo delle modalità di nomina, in un caso privata,
nell’altro giudiziale, sia per quanto concerne
l’esercizio dei poteri.
Con maggiore impegno esplicativo per il liquidatore di
società esisterebbero tutti gli obblighi e le
responsabilità previsti per gli amministratori, con il
solo limite di intraprendere nuove operazioni, per le
quali sarebbe chiamato a rispondere personalmente e
solidamente; per converso, il liquidatore del concordato
preventivo svolge le sue attività sotto il controllo di
un commissario giudiziale con un mandato limitato alla
liquidazione dei beni.
Le Sezioni Unite nel settembre 2010, preso atto del
contrasto, chiariscono che il liquidatore di beni del
concordato preventivo non può essere soggetto attivo dei
reati di bancarotta di cui agli artt 223, 224 LF
richiamati dal 236 Lf secondo comma, n. 1, perché non
espressamente menzionato tra gli autori propri dei
suddetti reati, né può essere ricompreso nella categoria
dei liquidatori di società.
Le ragioni si basano sul fatto che la figura del
liquidatore concordatario presenta delle connotazioni
peculiari rispetto al liquidatore delle società;
quest’ultimo, infatti viene nominato dall’assemblea e
rimane come un vero e proprio organo sociale cui vengono
assegnati compiti e funzioni coerenti rispetto al
rapporto societario; convoca l’assemblea, redige i
bilanci in corso di liquidazione e il bilancio finale ed
è anche responsabile del suo operato secondo le norme
sulla responsabilità degli amministratori.
Il liquidatore di cui all’art 182 LF, invece, per il
compito che espleta e il rapporto che lo lega agli
organi, in particolare al commissario giudiziale, che è
tenuto a vigilare sull’esecuzione del concordato, si
trova in una posizione di terzietà rispetto al debitore,
e ciò esclude il determinarsi di un rapporto organico
con la società e circoscrive la sua sostituzione agli
organi di quest’ultima nei limiti funzionali
all’esecuzione del mandato.
Manca nel liquidatore concordatario il tratto che
caratterizza il liquidatore societario, ovvero il
rapporto organico con la società, che accomuna i
soggetti richiamati dal 236 LF secondo comma 1. Che sono
gli stessi che l’art 146 LF indica come destinatari
degli stessi obblighi del fallito in caso di fallimento
della società, e che costituisce sostanzialmente la
ratio dell’applicabilità delle norme di cui al 223, 224
LF ai fini dell’estensione penale degli effetti
dell’insolvenza dell’imprenditore. È questa mancanza che
preclude l’analoga estensione nei confronti del
liquidatore di cui all’art 182 LF, e che costituisce la
ratio dell’applicabilità delle norme agli art 223, e 224
LF in una naturale estensione ad essi, ai fini penali,
degli effetti dell’insolvenza dell’imprenditore. Ed è
questa mancanza che preclude un’analoga estensione nei
confronti del liquidatore di cui all’art 182 lf.
Si sottolinea come dal dato normativo emerga
l’intenzione del legislatore di non estendere in via
generale la tutela offerta dalle fattispecie
incriminatrici legate al fallimento ai fatti commessi
nell’ambito delle procedure alternative a quest’ultimo,
ma di limitarne l’applicabilità a specifici ambiti. In
quest’ottica non è possibile ricomprendere tra le figure
indicate nell’art 236 comma secondo n. 1 LF e, in
particolare, all’interno della nozione “liquidatori
della società” quella del liquidatore del concordato
preventivo, perché sarebbe del tutto fuorviante estende
a quest’ultimo incriminazioni riservate dal legislatore
al commissario giudiziale.
Con maggiore impegno esplicativo, sul campo si
confrontano due tesi; la prima ispirata allo schema
privatistico – negoziale e l’altra a quello
pubblicistico processuale.
Per la prima il concordato sarebbe un accordo di natura
negoziale, transattiva tra il debitore e i creditori,
intesi come unità collettiva rispetto al quale
l’omologazione giudiziaria rappresenterebbe una mera
condizione di efficacia.
Per i fautori della tesi pubblicistica, il concordato
preventivo sarebbe un processo giurisdizionale nel senso
di omologazione, della quale l’accordo tra il debitore e
i creditori sarebbe sostanzialmente il mero presupposto.
La giurisprudenza in un primo momento ha dimostrato di
aderire alla concezione contrattualistica, mentre
successivamente, ponendo l’accento sul controllo di
merito effettuato da parte del tribunale, si è orientata
verso la tesi pubblicistica.
La compresenza di elementi pubblicistici e privatistici
non è stata superata nemmeno con le recenti modifiche.
Le principali novità sono costituite dalla modificazione
del presupposto di accesso alla procedura, che viene ora
individuato nello stato di crisi in cui si trova
l’impresa, che viene definita nel nuovo art 160 Lf come
stato di insolvenza. Lo stato di insolvenza è, dunque,
rimasto il presupposto della procedura.
Al debitore la riforma concede una più ampia autonomia
nella scelta dei contenuti del piano concordatario e la
possibilità di dividere i creditori in classi; ne
consegue che la natura del concordato riformato appare
connotata da una prevalenza di elementi privatistici che
denunciano la volontà di contrarre l’intervento statuale
nella procedura anticipatoria, rafforzando invece il
ruolo dei protagonisti dei debitori e creditori.
La Corte ricorda, inoltre, come la riforma continua ad
attribuire l’espressa qualifica di pubblico ufficiale al
solo commissario giudiziale.
Più nello specifico, la legge fallimentare all’art 236 ,
al comma 2 n. 1, laddove estende, in caso di concordato
preventivo agli amministratori, direttori generali,
sindaci e liquidatori di società le incriminazioni di
cui al precedente 223, e 224, non ha subito modifica
alcuna.
Di fatto risulta evidente come la figura del liquidatore
concordatario presenta sicuramente connotazioni molto
peculiari rispetto all’ordinario liquidatore di società,
e non è ricompresa nell’estensione analogica di cui
sopra.
Il liquidatore societario, infatti, nominato
dall’assemblea, resta un vero e proprio organo sociale
cui sono assegnati compiti e funzioni coerenti rispetto
al rapporto societario. Per converso, il liquidatore di
cui all’art 182 LF è, per il compito che espleta e il
rapporto che lo lega agli organi della procedura, terzo
rispetto al debitore. Manca, pertanto, nel liquidatore
concordatorio proprio il tratto tipico che accomuna i
soggetti richiamati nella LF art 236 comma 2 n. 1 e che
costituisce la ratio stessa dell’applicabilità delle
richiamate disposizioni della Lf, artt 223, 224 in una
naturale estensione ad essi, ai fini penali, degli
effetti dell’insolvenza dell’imprenditore. Ed è questa
mancanza che preclude l’analoga estensione nei confronti
del liquidatore di cui alla legge fallimentare ( art
182)
In conclusione, la corte enuncia il principio secondo
cui il liquidatore dei beni del concordato preventivo di
cui alla LF art 182 non può essere soggetto attivo di
bancarotta di cui agli artt 223, 224 comma 2, indicati
nella stessa legge, perche’ non può ritenersi ricompreso
negli elenchi dei soggetti espressamente indicati, in
particolare, tra i liquidatori di società, presentando
le due categorie di soggetti caratteristiche del tutto
peculiari che impediscono l’estensione analogica della
normativa.
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