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La sentenza n° 303 del 09 novembre
2011 emessa dalla Corte Costituzionale, si è espressa in
merito alla questione di legittimità costituzionale
dell’Art. 32, commi 5,6 e 7, della legge 04 novembre
2010, n° 183, promossi dalla Corte di Cassazione con
ordinanza del 28/01/2011 e dal Tribunale di Trani con
ordinanza del 20/12/2010, in riferimento agli art.li
3,4,11,24,101,102,111e 117 della Costituzione .
Il comma 5 dell'Art. 32 stabilisce
che, nel casi in cui il contratto di lavoro precario si
converta a tempo indeterminato a causa della illegittima
apposizione del termine, il giudice condanna il datore
di lavoro al risarcimento in favore del lavoratore
stabilendo una indennità "onnicomprensiva" nella misura
compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12
mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto
percepita dal lavoratore.
Il comma 6 dello stesso Articolo,
dimezza questa indennità in presenza di contratti ovvero
accordi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati
con le organizzazioni sindacali comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale, che prevedano
l'assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori
già occupati con contratto a termine nell'ambito di
specifiche graduatorie.
Il comma 7 invece, precisa doversi
applicare i commi testé citati a tutti i giudizi,
compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore
della legge ( 24 novembre 2010 ).
Tale sentenza nell’attuale panorama
giurisprudenziale, assume una importanza fondamentale,
in quanto consentirà la ripresa di numerosi processi
civili, i quali sono stati sospesi o rinviati in attesa
della pronuncia della stessa Consulta su tale delicata
questione.
Il Giudice delle Leggi, non si è
limitato a dichiarare la legittimità costituzionale
dell’Art. 32 del Collegato Lavoro, ma con una pronuncia
interpretativa di rigetto, ne ha esplicato le
motivazioni, delineando limiti e ambito di applicazione
dello stesso collegato lavoro.
L’Ordinanza della Corte di
Cassazione
Con ordinanza interlocutoria n°
2112 del 28/01/2011, la Suprema Corte di Cassazione
sollevava questione di legittimità costituzionale dei
commi 5,6,7 dell'Art. 32 della Legge 183/2010.
A parere della S.C., tale articolo
di legge, si pone in chiaro contrasto con l'orientamento
consolidato della giurisprudenza.
In relazione alla censura formulata
al comma 5 dell'Art. 32, la S.C. non ritiene possibile
quantificare economicamente ed in via preventiva, un
danno che è futuro ed incerto, determinando il suo
ammontare facendo riferimento all'indennità prevista
dall'Art.8 della legge 15 luglio 1966 n° 604. Inoltre a
parere della Corte, una indennità probabilmente
sproporzionata per difetto rispetto all'ammontare del
danno, può indurre il datore di lavoro a persistere
nell'inadempimento.
Il rimedio introdotto dal
legislatore, è ritenuto dai Giudici della Cassazione, in
contrasto con il principio affermato da una secolare
dottrina processualista ( recepita dagli art.li 24 Cost.
e 111 Cost. II comma ), la quale esige l'esatta, per
quanto materialmente possibile, corrispondenza tra la
perdita conseguita alla lesione del diritto soggettivo
ed il rimedio ottenibile in sede giudiziale.
Il limite risarcitorio introdotto
con la legge 183/2010, sarebbe anche in contrasto con
l'Art. 117 Cost., comma 1, per violazione dell'obbligo
assunto dall'Italia con la sottoscrizione e ratifica
della Convenzione Europea dei Diritti dell'uomo, il cui
art. 6 comma 1, sancendo il diritto di ogni persona ad
un giusto processo, impone al potere legislativo, di non
intromettersi nell'amministrazione della giustizia allo
scopo di influire sulla decisione di una singola
controversa o su un gruppo di esse. Tale ingerenza,
sarebbe giustificata solo da ragioni imperative di
interesse generale ( Corte Cost. n° 311 del 2009 e
giurisprudenza della Corte EDU).
Tali ragioni, sono ricondotte ad
ipotesi tassative espressamente indicate dalle sentenze
della Corte EDU, e di fatto non contemplate nel corpus
della legge 183/2010.
Nella ordinanza di rimessione, i
Giudici di legittimità ribadiscono ulteriormente che, le
ragioni di opportunità economica, non possono essere
considerate ragioni imperative o di interesse generale.
Ravvisa la Corte altresì, la
violazione della Direttiva n°1999/70 CE, la quale
obbliga gli Stati membri, di prevenire l'utilizzo
abusivo dei contratti a termine, così come da
interpretazione costante della giurisprudenza
comunitaria.
Motivazioni della Corte
Costituzionale
La Corte Costituzionale, investita
dalle autorevoli richieste di censure, argomenta in
termini generali, precisando che la norma scrutinata,
non si limita a forfettizzare il risarcimento del danno
dovuto al lavoratore illegittimamente assunto a termine,
ma, in via prevalente, assicura a quest'ultimo, la
garanzia di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato,
considerando quest'ultimo, la protezione più intensa che
possa essere riconosciuta ad un lavoratore precario.
A parere della Corte dunque, la
normativa impugnata risulta nell'insieme adeguata a
realizzare un equilibrato componimento dei contrapposti
interessi, nonché a limitare il ricorso abusivo del
rapporto di lavoro a termine.
Sull'applicabilità dell'Art. 32
della legge 183/2010 nel settore del pubblico impiego
Commento
A parere dello scrivente, si
appalesa la necessità di verificare e dimostrare la
inapplicabilità della disciplina introdotta con l'Art.
32 della legge 183/2010 a tutti i settori della Pubblica
Amministrazione, al fine di evitare che le stesse P.A.,
le quali abbiano abusato dei contratti a termine e di
conseguenza abbiano violato la Direttiva Comunitaria
1999/70 CE, possano usufruire della parziale sanatoria
introdotta dal legislatore con la novella del 2010.
L'Art. 32 della legge 183/2010, non
brilla certo per chiarezza espositiva.
Dalla lettura del comma 3 lettera
d) dell'art. 32, tali disposizioni si applicano
all'azione di nullità del termine apposto al contratto
di lavoro ai sensi del decreto legislativo 368/2001 e
successive modificazioni.
La lettera b) del comma 4 dell'Art.
32 della legge 183/2010, applica tale normativa ai
contratti di lavoro a termine, stipulati anche in virtù
di leggi previgenti al decreto legislativo 06 settembre
2001 n° 368 e già conclusi in vigore della presente
legge.
Dal combinato disposto dei citati
comma 3 lettera d) dell'Art. 32, e dal comma 4 lettera
b) dello stesso articolo, sembrerebbe prima facie, che
il limite risarcitorio onnicomprensivo stabilito ex ante
dal legislatore, si applicherebbe a tutti i rapporti di
lavoro a termine, a prescindere dalla natura e dal tipo
del rapporto di lavoro, includendo pertanto tutti i
rapporti di lavoro precari precedenti o successivi al
D.lgs. 368/2001, ivi inclusi quelli appartenenti al
settore pubblico.
Nel dubbio interpretativo, onde
evitare applicazioni speculative della norma impugnata,
contrarie invece alla sua autentica ratio, riscontrando
l'orientamento della stessa Corte Costituzionale
espresso con sentenza n° 303/2011, è necessario fare
chiarezza e circoscrivere con certezza l'ambito di
applicazione dell'Art. 32 della legge 183/2010,
argomentando sulle ragioni che ostano ad includere nella
fattispecie oggetto di attenzione, il rapporto di lavoro
dei dipendenti pubblici precari.
Innanzi tutto si rileva che, la
fattispecie sottoposta al controllo di legittimità
costituzionale da parte dei Giudici delle leggi, trae
origine da lavoratori a termine assunti dall’Ente Poste,
i quali erano stati dismessi dal servizio, pertanto
trattasi di dipendenti appartenenti al settore privato.
L'Art. 32 della legge 183/2010, si
riferisce espressamente ai rapporti di lavoro
disciplinati dal D.lgs. 368/2001, e qualora il
legislatore avesse voluto disciplinare anche le
conseguenze risarcitorie dei lavoratori illegittimamente
precari delle pubbliche amministrazioni, avrebbe incluso
nell'Art. 32, le forme contrattuali atipiche utilizzate
dalla P.A..
La legge 183/2010, quando lo ha
ritenuto opportuno, ha modificato citandolo, il D.lgs.
165/2001 ; lo ha fatto sostituendo il comma 2 dell'Art.
57 del D.lgs. 165/2001, in virtù del quale : " Le P.A.,
adottano tutte le misure per attuare le direttive
dell’Unione Europea in materia di pari opportunità,
contrasto alle discriminazioni ed alla violenza morale e
psichica, sulla base di quanto disposto dalla Presidenza
del Consiglio dei Mnistri - Dipartimento della Funzione
pubblica ".
Dalla precisa lettura della
sentenza della Corte Costituzionale n° 303/2011, si
evince chiaramente che "lo Stato datore di lavoro
pubblico a termine.....omissis, non figura neppure tra i
destinatari delle disposizioni censurate ".
Ed ancora nella sentenza n°
303/2011, la Corte Costituzionale ribadisce che "..la
normativa de qua, escluso ogni vantaggio mirato per lo
Stato od altro soggetto pubblico...omissis.. ".
Seguendo l'iter logico giuridico
seguito dalla stessa Corte, qualora fosse ritenuto
applicabile l'Art. 32 del collegato lavoro ai dipendenti
pubblici, si concretizzerebbe uno scolastico esempio di
violazione dell'Art. 6 comma uno della Convenzione
Europea dei Diritti dell'Uomo, per ingiustificata
ingerenza dello Stato nell' amministrazione della
giustizia in cui è evidentemente parte, anche tramite le
diverse pubbliche amministrazioni in cui esso si
articola.
Per tali motivi, è evidente
pertanto che, le norme introdotte nell'Art. 32 della
legge 183/2010, nel dettato interpretativo della stessa
Corte Costituzionale, si applicano esclusivamente nei
confronti del datore di lavoro privato.
Ed ancora, l'azione di nullità del
termine apposto al contratto di lavoro, è chiaramente
un' azione imprescrittibile e il lavoratore pubblico, ha
sempre potuto prolungare sine die il tempo dell'azione
di nullità, e per dieci anni ( art. 2946 c.c. ) quello
dell'azione risarcitoria.
Con l'entrata in vigore della legge
183/2010, è stato introdotto un termine di decadenza per
l'esercizio dell'azione, così come espressamente
disciplinato dall'Art. 32 comma 3 lettera d.
Tale limite temporale apposto a
pena di decadenza dell'azione, sarebbe chiaramente un
termine in danno dei lavoratori pubblici, contrastando
altresì la giurisprudenza costante in materia, la quale
più volte ha sottolineato la necessità, di differire la
decorrenza del termine prescrizionale, al momento della
certa esistenza della stabilità del rapporto di lavoro,
e tanto perché solo in tale data, si presume cessi la
situazione psicologica di timore del lavoratore ( Cass.
S.U. 05/03/1991 n° 2334, Cass. 12/01/2002 n° 325, Cass.
22/06/2004 n° 11644, Cass. 13/12/2004 n° 23227 ). La
Cassazione ha espressamente motivato il differimento del
termine prescrizionale, giustificato dall’evidente metus
del lavoratore, di perdere l’occupazione nella
successione di contratti illegittimi ( Cass. 03/07/2003
n° 10542, Cass. 21/05/2007 n° 11736 ).
Numerosi sono i casi in cui le
P.A., hanno abusato dei contratti a termine, anche nei
confronti di quei lavoratori vincitori di regolare
concorso pubblico.
E' il caso della procedura di
infrazione n°2007/4734 ( Abuso dei contratti di
formazione e di lavoro a tempo determinato ) nei
confronti dello Stato Italiano, a seguito della messa in
mora ex. Art. 226 TCE.
Nel caso di specie, la Commissione
Europea accertava l’abuso da parte dello Stato Italiano
e della Pubblica Amministrazione, per aver
illegittimamente prorogato “sine die” il contratto di
lavoro di un lavoratore pubblico vincitore di regolare
concorso.
I limiti e le modalità risarcitorie
indicate dal collegato lavoro, non potrebbero in casi
analoghi a quest'ultimo citato, ristorare in maniera
adeguata i lavoratori..
L'espressione " onnicomprensiva "
adoperata dal legislatore e riferita all'entità massima
del danno risarcibile, di cui al comma 5 dell'Art. 32
della legge 183/2010, acquista significato solo
escludendo qualsiasi altro credito del lavoratore,
indennitario o risarcitorio.
E' fin troppo evidente che l'entità
del danno così come espressamente circoscritta dalla
Legge, in caso di illegittimità del termine apposto al
contratto di lavoro, elimina tout court una serie di
voci risarcitorie che nel pubblico impiego hanno una
valenza particolare.
Infatti, se fosse applicato tale
limite risarcitorio, i lavoratori pubblici, non
potrebbero ottenere il ristoro economico per non aver
potuto godere di una serie di istituti contrattuali,
riconosciuti per tantissimi anni solo ai lavoratori
assunti a tempo indeterminato.
Inoltre, la fedele applicazione dei
principi contenuti nell'Art. 32 della legge 183/2010 nel
settore del pubblico impiego, renderebbero vane le
legittime richieste di risarcimento del danno da perdita
di chance, per quei lavoratori, i quali sono stati per
decenni esclusi dalle procedure concorsuali interne, in
quanto illegittimamente precari.
Tale assunto infine, contrasterebbe
anche con l'orientamento costante della giurisprudenza
della Corte di Giustizia dell' Unione Europea, in virtù
del quale anche i lavoratori precari, hanno diritto a
partecipare alle procedure concorsuali interne, e non
possono in alcun modo essere discriminati rispetto ai
lavoratori assunti a tempo indeterminato. Si veda per
tutte la recente sentenza della Corte di Giustizia
(Seconda Sezione ) n° C - 177/10. |