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Silvia D., assunta nel febbraio
2003 alle dipendenze dell'azienda commerciale Medial
s.r.l. con qualifica di commessa di quinto livello
presso un punto vendita di Olbia, è stata richiesta
dalla datrice di lavoro, nell'aprile del 2004, di
recarsi in trasferta a Nuoro per partecipare ad un corso
pratico di perfezionamento della durata di trenta giorni
da svolgersi a giorni alterni, ovvero il martedì, il
giovedì e il sabato. La lavoratrice ha rifiutato di
eseguire la disposizione aziendale ritenendola priva di
giustificazione e ritorsiva. Conseguentemente l'azienda
l'ha licenziata. Ella ha chiesto al Tribunale di Tempio
Pausania di dichiarare illegittimo sia il trasferimento
che il successivo licenziamento. L'azienda si è difesa
sostenendo la legittimità del provvedimento di trasferta
in quanto rientrante nei suoi poteri organizzativi e in
considerazione del fatto che si trattava di un breve
periodo di formazione, reso necessario da carenze
professionali della lavoratrice. Il Tribunale, con
sentenza del maggio 2008, ha accolto il ricorso
dichiarando l'illegittimità sia della trasferta che del
successivo licenziamento e ordinando la reintegrazione
della commessa nel posto di lavoro. Questa decisione è
stata confermata, in grado di appello, dalla Corte di
Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, con sentenza
del febbraio 2009. La Corte ha rilevato tra l'altro che
l'azienda non aveva fornito alcuna prova in ordine alle
esigenze che il processo formativo fosse effettuato a
Nuoro e non già ad Olbia, sede principale della società.
L'azienda ha proposto ricorso per cassazione, censurando
la decisione della Corte di Sassari per vizi di
motivazione e violazione di legge ed in particolare per
non avere considerato che all'atto dell'assunzione
l'interessata aveva consentito ad essere inviata in
qualunque sede.
La Suprema Corte (Sezione Lavoro n.
23673 dell'11 novembre 2011, Pres. Vidiri, Rel. Zappia)
ha rigettato il ricorso. In base al potere di
organizzazione e di direzione che gli compete ai sensi
degli artt. 2086 e 2104 c.c. - ha osservato la Corte -
l'imprenditore può predisporre, anche unilateralmente,
norme interne di regolamentazione attinenti
all'organizzazione tecnica e disciplinare del lavoro
nell'impresa, con efficacia vincolante per i prestatori
di lavoro, ma perché questo potere privato non trasmodi
in arbitrio e perda ogni collegamento con l'interesse
all'ordinato svolgersi dell'attività lavorativa,
occorre, principalmente sulla base delle regole di
correttezza (art. 1175 c.c.), che il suo esercizio sia
funzionale alle esigenze tecniche, organizzative e
produttive dell'azienda, restando escluso che il datore
di lavoro possa impartire disposizioni e prescrizioni
che, incidendo sulla posizione lavorativa del prestatore
d'opera, risultino prive di fondamento logico o del
tutto avulse dalle ragioni attinenti all'organizzazione,
alla disciplina e all'attività produttiva dell'impresa.
In altri termini - ha affermato la Corte - non possono
trovare legittimazione nei poteri datoriali quei
provvedimenti che, in assenza di ragioni attinenti ai
fini della organizzazione aziendale, arrecano
ingiustificato disagio ai lavoratori; la relativa
valutazione costituisce tipico accertamento di fatto di
talché, se congruamente motivata dal giudice del merito,
non è suscettibile di riesame in sede di giudizio di
legittimità. Nel caso di specie - ha rilevato la
Cassazione - la Corte territoriale, constatato che da un
punto di vista astratto il provvedimento di trasferta si
appalesava formalmente ineccepibile in quanto
l'assegnazione temporanea del dipendente ad una sede di
lavoro diversa da quella abituale costituisce legittima
estrinsecazione del potere datoriale, né dalla lettura
del provvedimento emergeva alcuna volontà punitiva o
ritorsiva, ha evidenziato - attraverso un excursus delle
deposizioni testimoniali assunte - come in concreto il
detto provvedimento fosse illegittimo non avendo la
società datoriale fornito la prova della necessità che
la lavoratrice acquisisse maggiore professionalità né
della circostanza che tale maggiore professionalità
fosse acquisibile presso il punto vendita di Nuoro
piuttosto che presso quello di Olbia; ed ha
correttamente ritenuto priva di rilevanza la circostanza
che in sede di stipula del contratto di lavoro
l'interessata avesse consentito l'invio in qualunque
sede, avendo in buona sostanza evidenzato come la
società datoriale non avesse comunque fornito la prova
dell'esistenza di quei presupposti che legittimavano -
alla stregua dei principi posti dall'art. 1175 c.c. - la
disposta trasferta formativa; di conseguenza, ritenuta
l'illegittimità del provvedimento di trasferta, ha
evidenziato che l'inottemperanza della lavoratrice al
detto provvedimento trovava giustificazione alla stregua
del disposto dell'art. 1460 c.c., ravvisando nella
condotta datoriale un inadempimento, sia pur parziale,
degli obblighi assunti con il contratto di lavoro;
pertanto è pervenuta, con motivazione assolutamente
corretta sotto il profilo della applicazione dei
principi normativi e giurisprudenziali in materia, oltre
che congrua sotto il profilo argomentativo, alla
conclusione della illegittimità del successivo
licenziamento. |