Persona e danno.it
Nel caso di specie, gli acquirenti
di un’area di 14 ettari dichiarata residenziale, non
appena iniziati i lavori di costruzione di quattro
ville, vedevano intervenire l’Aeronautica Militare che
segnalava l’esistenza in quell’area di un oleodotto
militare, quindi un diritto di servitù preesistente al
contratto di compravendita da loro stipulato. Tale fatto
comportava la necessità di rifare l’intero progetto di
urbanizzazione, con notevole deprezzamento di ciascun
lotto. Così convenivano in giudizio il venditore perché
fosse condannato alla parziale restituzione del prezzo e
al risarcimento dei danni in conseguenza del fatto che
il venditore aveva, oltretutto, venduto una striscia di
terreno di proprietà altrui, interruttiva del
collegamento fra l’area compravenduta e la strada
pubblica. La Corte d’Appello di Trieste e poi la Suprema
Corte di Cassazione, hanno applicato al caso di specie
la garanzia prevista dall’art. 1489 c.c. che tutela il
compratore per il caso che il diritto acquistato non sia
qualitativamente esercitabile in tutta la sua espansione
per la coesistenza di oneri o diritti a favore di terzi,
apprestando a favore dell’acquirente l’azione di
risoluzione dal contratto e l’azione di riduzione del
prezzo ex art. 1480 c.c.. La Corte d’Appello ha
osservato che doveva essere riconosciuto anche il
fondamento dell’azione complementare di risarcimento del
danno, infatti nel merito la domanda era fondata perché
il venditore aveva venduto il fondo come interamente di
sua proprietà fino al confine della via, mentre nella
realtà tra l’area, oggetto della compravendita e la
detta strada vi era una striscia di terreno risultata
aliena. Tale fatto ha integrato l’ipotesi della vendita
di cosa parzialmente altrui di cui all’art.1480 c.c. che
prevede le garanzie viste sopra.
Quest’ultima, disposizione che
regola l’ipotesi di cosa parzialmente altrui, rinvia a
sua volta quanto alle domande di risoluzione e di
risarcimento del danno all’art. 1479 c.c. (il compratore
può chiedere la risoluzione del contratto se, quando
l’ha concluso, ignorava che la cosa non era di proprietà
del venditore), che a proposito del risarcimento del
danno rinvia all’art. 1223 c.c. secondo il quale, sia la
perdita che il mancato guadagno, che concorrono a
perfezionare la fattispecie produttiva del diritto al
risarcimento del danno, devono essere conseguenze
immediate e dirette dell’inadempimento. Così, combinando
l’art. 1479 con l’art. 1223 ed i principi generali, ne
consegue che il diritto al risarcimento presuppone la
sola colpa del debitore e non anche la malafede (art.
1218 c.c. il debitore che non esegue esattamente la
prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se
non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato
determinato da impossibilità della prestazione derivante
da causa a lui non imputabile).
Quindi la questione concernente il
risarcimento del danno secondo le regole generali o
secondo l’art. 1479 c.c. (malafede del venditore) non ha
ragione d’essere perché il diritto al risarcimento del
compratore trova fondamento nelle norme generali di cui
agli artt. 1218 e 1223 c.c. o per via del richiamo
dell’art. 1479 attraverso il rinvio all’art. 1480 c.c. o
per via dell’implicito richiamo alle norme generali, in
materia di inadempimento delle obbligazioni con la
conseguenza che per affermare la responsabilità del
venditore non occorre la malafede essendo sufficiente la
colpa dello stesso. VENDITA Cass. civ. Sez. II,
10-04-1986, n. 2498 Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Rino De Marco e Riccardo Falomo,
assumendo che con atto in data 28 giugno 1968 avevano
acquistato da Giovanni Bortolin un'area di oltre 14
ettari in S. Quirino, dichiarata in precedenza
residenziale e che appena iniziati i lavori di
costruzione di quattro ville era intervenuta
l'Aeronautica Militare che aveva segnalato l'esistenza
in quell'area di un oleodotto militare, il che aveva
comportato la necessità di rifare l'intero progetto di
urbanizzazione, con notevole deprezzamento di ciascun
lotto, convenivano in giudizio il venditore davanti al
tribunale di Pordenone perché fosse condannato alla
parziale restituzione del prezzo e al risarcimento dei
danni in misura da determinarsi in corso di causa.
Il Bortolin costituitosi eccepiva
che l'oggetto della compravendita era stato un terreno
agricolo e non un'area destinata allo sfruttamento
edilizio, si che in relazione alla natura agricola del
fondo era stato stabilito il prezzo; la servitù era
apparente e comunque pubblicizzata con la trascrizione,
la superficie asservita era limitata a solo mq. 172 su
un totale di mq. 145.000 e, quindi non era di ostacolo,
né alla edificazione, né all'interramento di conduttore.
Il Tribunale adito, con sentenza
dell'8 febbraio 1978 accoglieva la domanda e condannava
il convenuto al pagamento della somma di lire 1.000.000.
Avverso tale decisione il Falomo e
il De Marco proponevano appello deducendo che: 1) la
fattispecie andava inquadrata nell'ambito dell'art. 1484
c.c. perché si ha evizione parziale della cosa non solo
quando c'é la perdita del possesso, ma anche quando c'é
la perdita del possesso, ma anche quando per effetto di
diritti che un terzo fa valere su di essa, ne diminuisce
il pieno godimento da parte del compratore. La più
esatta qualificazione giuridica del rapporto, avrebbe
comportato la irrilevanza dell'accertamento della
conoscenza della servitù da parte del compratore, a
differenza dell'azione fondata sulla norma di cui
all'art. 1489 c.c.; 2) la riparazione patrimoniale
accordata dal tribunale era inadeguata anche con
riferimento ai criteri risarcitori previsti dalla norma
applicata; 3) il tribunale aveva completamente omesso di
prendere in esame la domanda risarcitoria relativa al
fatto che il Bortolin aveva venduto una striscia di
terreno di proprietà altrui, interruttiva del
collegamento fra l'area compravenduta e la strada
pubblica.
La corte di appello di Trieste, in
parziale riforma della decisione impugnata, con sentenza
9 marzo 1982 condannava il Bortolin a pagare la
complessiva somma di lire 14.043.000.
La Corte premesso che esattamente i
primi giudici avevano applicato al caso di specie la
garanzia prevista dall'art. 1489 che tutela il
compratore per il caso che il diritto acquistato non sia
qualitativamente esercitabile in tutta la sua espansione
per la coesistenza di oneri e diritti a favore di terzi,
apprestando a favore dell'acquirente l'azione di
risoluzione dal contratto e l'azione di riduzione del
prezzo e per entrambe quella ulteriore per il
risarcimento del danno, ove sussista la colpa del
venditore, osservava che alla stregua degli elementi di
fatto analizzati doveva essere riconosciuto il
fondamento non solo dell'azione di riduzione del prezzo
ex art. 1489, ma anche di quella complementare di
risarcimento del danno essendo rimasta provata la buona
fede degli acquirenti e per contrapposizione la malafede
del venditore.
Nel caso di specie quindi gli
acquirenti avevano diritto non solo alla riduzione del
prezzo, ma anche al risarcimento del danno stante la
colpa e la mala fede del venditore.
Il danno subito dal Falomo e dal De
Marco dovendo essere valutato in riferimento alla
destinazione agricola del terreno, si risolveva nel
deprezzamento, inteso, come diminuzione del valore del
terreno stesso per l'esistenza in esso della servitù di
oleodotto.
Tale danno sulla base dei criteri
estimativi e valutativi indicati dalla consulenza
tecnica poteva essere determinato nella misura di lire
1.775.600 per il minor valore della superficie asservita
all'oleodotto e in lire 9.784.200 per l'incidenza della
servitù nella misura del 3% sul valore dell'intera area.
Nel risarcimento del danno così
liquidato doveva ritenersi assorbito ogni ragione di
credito a titolo di riduzione del prezzo, perché una
volta attribuito ai compratori quella stessa entità
economica, sia pure in parte per equivalente,
l'equilibrio economico contrattuale, così pattuito tra
le parti si era pienamente ristabilito.
La corte riteneva poi che
effettivamente la domanda degli attori, relativa al
risarcimento dei danni per la striscia di terreno al
confine con la strada pubblica compresa nella
compravendita e risultata invece di proprietà aliena era
stata proposta tardivamente e come tale sarebbe stata
inammissibile se il convenuto non avesse accettato il
contraddittorio.
Nel merito la domanda era fondata
perché era risultato che il Bortolin vendette il fondo
come interamente di sua proprietà fino al confine della
via Cittanova d'Istria, mentre nella realtà tra l'area,
oggetto della compravendita e la detta strada vi era una
striscia di terreno risultata aliena.
Tale fato integrava l'ipotesi della
vendita di cosa parzialmente altrui di cui all'art.1480
e comportava il riconoscimento, a titolo di danno
risarcibile dell'equivalente del valore della striscia,
determinato in base allo stesso prezzo per mq. stabilito
per la parte del fondo gravato dalla servitù.
Contro questa sentenza ha proposto
ricorso per cassazione Giovanni Bortolin deducendo tre
motivi di censura.
Resistono con controricorso
Riccardo Falomo e Rino De Marco.
Motivi della decisione
Con il primo motivo denunciando
violazione dell'art. 1489 c.c. il ricorrente censura la
sentenza impugnata perché ai compratori sarebbe stato
riconosciuto oltre alla riduzione del prezzo anche il
risarcimento dei danni in dipendenza della accertata
servitù di oleodotto a carico della res vendita, mentre
l'art. 1489 c.c. attribuisce al compratore la sola
alternativa di chiedere la risoluzione del contratto
oppure la riduzione del prezzo.
La condanna al risarcimento dei
danni a carico del venditore sarebbe ipotizzabile
soltanto nel caso in cui egli sia in malafede, mentre la
corte del merito ha del tutto omesso di considerare che
il Falomo e il De Marco non potevano non conoscere
l'esistenza della servitù di oleodotto perché
generalmente nota e sul luogo esisteva la tabella
indicante l'esistenza della servitù.
Mentre non appariva esatto poi il
giudizio della corte sulla condotta subdola e maliziosa
di esso Bortolin specialmente se fosse stato tenuto
presente che tale onere interessava in minima parte
l'area agricola e non aveva quei riflessi negativi sul
suo valore che gli si era voluto attribuire.
Il motivo è infondato.
La norma che regola il caso di
specie è l'art. 1489 c.c. il quale per la ipotesi che la
cosa venduta sia gravata da diritti reali non conosciuti
dal compratore, dà diritto questo di chiedere la
risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo
secondo le norme dell'art. 1480. Quest'ultima,
disposizione che regola l'ipotesi di cosa parzialmente
altrui, rinvia a sua volta quanto alle domande di
risoluzione e di risarcimento del danno all'art. 1479
che a proposito del risarcimento del danno rinvia
all'art. 1223 c.c. secondo il quale, sia la perdita che
il mancato guadagno, che concorrono a perfezionare la
fattispecie produttiva del diritto al risarcimento del
anno, devono essere conseguenze
immediate e dirette dell'inadempimento.
Combinando l'art. 1479 con l'art.
1223 ed i principi generali ne consegue che l diritto al
risarcimento presuppone la sola colpa dal debitore e non
anche la malafede (art. 1218 il debitore che non esegue
esattamente la prestazione dovuta è tenuto al
risarcimento del danno se non prova che l'inadempimento
o il ritardo è stato determinato da impossibilità della
prestazione derivante da causa a lui non imputabile).
La questione sollevata dal
ricorrente quindi in quanto concernente il dilemma
risarcimento del danno secondo le regole generali o
secondo l'art. 1479 (malafede del venditore) non ha
ragione d'essere perché il diritto al risarcimento del
compratore trova fondamento nelle norme generali di cui
agli artt. 1218 e 1223 c.c. o per via del richiamo
dell'art. 1479 attraverso il rinvio all'art. 1480 o per
via dell'implicito richiamo alle norme generali, in
materia di inadempimento delle obbligazioni con la
conseguenza che per affermare la responsabilità del
venditore non occorre la malafede essendo sufficiente la
colpa dello stesso.
Il fatto poi che la corte del
merito abbia ravvisato addirittura la malafede del
venditore che col suo comportamento ingenerò negli
acquirenti una falsa rappresentazione della realtà
toglie peraltro concreto rilievo alla stessa questione
di diritto, anche perché la sentenza impugnata non
merita censura per aver ritenuto, con ineccepibile
argomentazione, che i compratori erano stati sorpresi
nella loro buona fede dalla ignorata esistenza
dell'altrui diritto reale sulla cosa e perché i primi
giudici avevano manifestato conforme opinione senza che
tale punto della decisione avesse formato oggetto di
doglianza dell'appellato e perché il convincimento della
corte del merito siccome sorretto da congrue ragioni
immuni da vizi logici e giuridici si sottrae al
sindacato in sede di legittimità.
Con il secondo motivo denunciando
violazione art. 1489 c.c. in relazione art. 1223 stesso
codice sostiene il ricorrente che la rivendita
frazionata in lotti di terreno avvenuta dal 1971 al 1973
ha comportato in forza di un comportamento degli stessi
attori, il venir meno di ogni possibile ragione di danno
a favore degli attori medesimi.
La corte del merito ha errato
quindi nel non valutare, come era provato oppure nel non
concedere la relativa prova che il danno per gli attori
era cessata dal 1971 al 1973.
Ha errato poi la corte
nell'accertare acriticamente la determinazione del
consulente tecnico del danno nella misura del 3% o sul
valore totale del terreno, poiché l'oleodotto era
profondamente interrato e pertanto non interferiva con
le normali attività agricole.
Né il risarcimento doveva essere
rapportato al valore attuale dei fondi dato di divario
esistente rispetto al periodo corrente tra il 1971 e
1973 e quello attuale, tra l'aumento di valore degli
immobili (per la corsa all'investimento) e svalutazione
monetaria.
Le censure sono infondate.
La vendita della cosa menomata
qualitativamente nella sua funzione e quindi nel suo
valore economico non costituisce fatto idoneo a
escludere la esistenza del danno perché questo di regola
influisce negativamente sulla determinazione del prezzo;
è perciò evidente la inconferenza della censura con la
quale si adombra addirittura la insussistenza del danno
stesso risarcibile.
Non meno infondata però è la
censura avanzata dal ricorrente sotto il profilo
metodologico della scelta operata dal giudice del merito
per liquidare il danno risarcibile, in quanto i criteri
adottati dal giudice per la concreta determinazione del
danno costituiscono tipica espressione del suo
potere-dovere di individuare in termini economici la
esatta misura dal pregiudizio sofferto dal danneggiato,
in maniera da ristabilire la situazione patrimoniale che
avrebbe potuto realizzare senza l'esistenza del fatto
menomativo e come tali sono incensurabili in sede di
legittimità, anche in considerazione del fatto che il
preteso divario tra la dinamica della inflazione
monetaria e dell'aumento del costo dei terreni non ha
costituito oggetto di specifico dibattito nel giudizio
di merito e non può prospettarsi ora sotto tale profilo
un difetto di motivazione della sentenza impugnata.
Con il terzo motivo denunciando
violazione dell'art. 1480 e 1223 c.c. sostiene il
ricorrente anzitutto che manca del tutto la prova che la
predetta striscia sia stata effettivamente venduta dal
ricorrente ai De Marco e Falomo e non si coglie in base
a quali elementi la corte abbia determinato la
superficie di quella parte di
terreno.
Contesta inoltre poi l'affermazione
della corte relativa alla necessità di contestazione
della domanda nuova spiegata dagli attori all'udienza di
precisazione della conclusione, trattandosi piuttosto di
mutatio libelli, avendo gli attori immutato, il fatto
costitutivo posto a fondamento dalla pretesa.
Aggiunge il ricorrente che comunque
la corte ha fatto decorrere gli interessi sulla somma
liquidata, dalla notificazione della citazione
introduttiva di primo grado (24 novembre 1969) mentre la
richiesta in ogni caso era del 14 dicembre 1977, data
della udienza di precisazione dalle conclusioni dinanzi
al Tribunale di Pordenone.
Anche tali censure sono infondate.
Anzitutto occorre rilevare che la
dedotta mancanza della prova che la striscia di terreno
fosse compresa nella compravendita costituisce una
affermazione meramente assertiva del ricorrente poiché
la corte del merito ha dato conto con motivazione ampia
e dettagliata delle ragioni che l'hanno indotta a
ritenere che la predetta striscia fosse stata
effettivamente venduta dal Bortolin al De Marco e al
Falomo con l'atto 28 giugno 1968; né d'altra parte la
estensione dell'area in questione ha costituito oggetto
di contestazione nel giudizio di merito.
Non è esatto poi che quanto
attraverso la immutazione del fatto costitutivo si
introduce nel giudizio di primo grado un tema di
indagine e quindi di decisione completamente nuovo si ha
mutatio libelli e non domanda nuova che richiede una
esplicita contestazione della controparte, in quanto
tutto ciò che rinnova l'oggetto della pretesa spostando
i termini della originaria contestazione implica una
mutatio libelli costituente domanda nuova, con la
conseguenza che se la parte non eccepisce la
preclusione, ovvero accetta anche implicitamente il
contraddittorio, la domanda resta definitivamente
acquisita al processo. Da ultimo non può convenirsi col
ricorrente secondo il quale la sentenza impugnata
avrebbe fatto decorrere gli interessi sulla somma
liquidata a titolo di risarcimento per il mancato
trasferimento della striscia di terreno dalla
notificazione dell'atto introduttivo poiché, la sentenza
non ha il significato che le viene attribuito, avendo la
corte triestina espressamente rilevato che la domanda di
risarcimento per la striscia di terreno venne proposta
formalmente dagli attori soltanto all'udienza di
precisazione delle conclusioni nel giudizio di primo
grado per modo che la decorrenza degli interessi per gli
interessi relativi alla somma liquidata a ristoro del
danno per la parziale nullità della vendita, dal momento
della effettiva proposizione di quella domanda.
Al rigetto del ricorso consegue la
condanna del ricorrente alle spese processuali che si
liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e
condanna il ricorrente alle spese in lire 46.000 e agli
onorari in lire 1.000.000.
Così deciso in Roma, addì 2 luglio
1985.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 10
APRILE 1986 |