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Il delitto di maltrattamenti è,
come ogni reato abituale, "reato di durata", sicché
mutua la disciplina della prescrizione da quella
prevista per i reati permanenti: per questo, per i reati
abituali "il decorso del termine di prescrizione avviene
dal giorno dell'ultima condotta tenuta (la quale chiude
il periodo consumativo iniziatosi con la condotta che,
insieme alle precedenti, forma la serie minima di
rilevanza"). Fatti/condotte che, insieme tra loro,
costituiscono il maltrattamento, possono singolarmente
avere pure autonoma rilevanza penale, costituendo così
ipotesi di reati concorrenti. Quando tali condotte, di
autonoma concorrente rilevanza penale, risultano
consumate in un periodo temporale antecedente a quello
di prescrizione del singolo reato (concorrente), cessano
di avere rilevanza penale quanto a tale titolo autonomo
(concorrente), ma non vengono affatto cancellate o
dissolte, nella loro storicità, da tale prescrizione,
mantenendo quindi piena rilevanza in relazione al
diverso ed autonomo titolo costituito dal delitto di
maltrattamenti, per il quale la prescrizione, appunto,
non decorre se non dall'ultima condotta idonea a
suffragare/integrare una componente di tale fattispecie.
In altre parole, e per mutuare la felice locuzione della
richiamata dottrina, quando alcuna condotta costituisce
anche autonomo reato, altro dall'art. 572 c.p., la
prescrizione del primo non determina affatto una
interruzione fattuale tale da determinare ed imporre la
decorrenza di una nuova "serie minima di rilevanza",
quanto al diverso reato di maltrattamenti, con le
conseguenze propugnate dal ricorrente
Cassazione, sez. VI, 28 ottobre
2011, n. 39228
(Pres. Milo – Rel. Citterio)
Ragioni della decisione
1. Avverso la sentenza con cui in
data 15.2.2011 la Corte d'appello di Roma ha confermato
la sua condanna deliberata dal locale Tribunale il
28.3.2007, per il delitto di maltrattamenti in danno
della moglie R..B. , ritenuto consumato fino all'aprile
2004, ricorre a mezzo del difensore fiduciario S.P.G. ,
deducendo:
- erronea applicazione dell'art.
572 c.p. e mancanza di motivazione, perché la Corte
distrettuale avrebbe argomentato solo sul dolo di
sopraffazione ma non sull'obiettiva sussistenza
dell'abitualità di condotta; il peculiare rapporto tra i
coniugi, descritto come di tipo sadomasochista con
molteplici inversioni di ruolo, sarebbe incompatibile
con continue sistematiche ed unilaterali vessazioni;
- erronea applicazione della
prescrizione del reato, che avrebbe dovuto escludere
dalla valutazione probatoria i singoli fatti pregressi,
sì da escludere che quelli residui potessero integrare
il requisito dell'abitualità: nella specie avrebbero
dovuto essere esclusi tutti gli episodi di ingiurie e
percosse collocati temporalmente prima dell'agosto 2003
(tenuto conto della data della sentenza d'appello);
- vizi di motivazione in merito
alle censure mosse con l'atto d'appello, in ordine: alla
credibilità della B. con particolare riferimento alle
sue azioni civili ed alle denunce indicative del suo
interesse anche patrimoniale, nonché alle dichiarazioni
sulle ragioni del matrimonio, con risposte della Corte
distrettuale non pertinenti; all'incompatibilità tra il
carattere della donna, quale descritto anche in
sentenza, ed il ruolo di abituale vittima; ai riscontri,
quanto alle dichiarazioni testimoniali ed ai documenti
sanitari;
vizi di motivazione in ordine al
trattamento sanzionatorio in ordine al diniego
dell'attenuante ex art. 62 n.2 c.p. ed al beneficio
della non menzione;
- erronea applicazione della legge
processuale in ordine alla valutazione equitativa del
danno morale risarcito, secondo il ricorrente preclusa
laddove consentirebbe quantificazioni in assenza di
puntuale indicazione ed allegazione delle ragioni che
fonderebbero il danno morale.
1.1 Il difensore ha depositato
memoria, in particolare a sostegno della non
configurabilità del reato in relazione alle sole due
condotte che dovrebbero considerarsi non prescritte.
2. Il primo ed il terzo motivo sono
infondati perché, pur richiamando lo schema formale dei
soli vizi ammessi nel giudizio di legittimità, in realtà
svolgono entrambi deduzioni volte a sollecitare una
rivalutazione del materiale probatorio in termini
diversi da quelli, tra loro conformi, cui sono giunti i
Giudici dei due gradi di merito.
La Corte d'appello, in particolare,
dopo aver dato puntuale conto delle doglianze difensive
(pag. 1), ha espressamente motivato: sull'attendibilità
della persona offesa pur nello specifico contesto
evidenziato dai motivi d'appello, confrontandosi in
particolare con il tema dei ricorsi per separazione ed i
loro contenuti, la querela e le richieste economiche;
sulla peculiarità del rapporto tra moglie e marito e
sugli aspetti definiti di sadomasochismo, spiegando
perché quella peculiarità non era incompatibile con le
condotte ascritte all'imputato e perché il carattere
anche non remissivo della donna non evitasse una sua
situazione di debolezza e fragilità nei confronti del
marito; sulla sussistenza di riscontri esterni rispetto
al punto delle conseguenze di condotte di obiettiva
violenza; sul legame unitario - anche in ordine al dolo
di maltrattamenti - tra i singoli episodi, sorretto da
un atteggiamento mentale di vero e proprio disprezzo del
S. nei confronti della moglie, per le ragioni ed il
contesto che aveva dato luogo al loro matrimonio,
protrattosi per tutta la durata della convivenza. Si
tratta di un apprezzamento articolato, che si salda a
quello pure specifico del Giudice di primo grado, non
incongruo agli atti richiamati, attento al confronto con
le doglianze di impugnazione (in gran parte riproducesti
prospettazioni già esaminate e disattese dal Tribunale),
sorretto da motivazione non apparente e immune dai soli
vizi - di manifesta illogicità e contraddittorietà -
che, soli, rilevano nel giudizio di legittimità. E
poiché, come noto, alla corte di cassazione compete non
la scelta tra la più opportuna o adeguata ricostruzione
dei fatti, ma solo la verifica logico/giuridica della
decisione dei Giudici del merito, ogni censura che in
realtà costituisce critica alla ricostruzione ed
all'apprezzamento del fatto non può trovare ingresso.
Infondato è anche il secondo
motivo. In sintesi, il ricorrente pare sostenere che la
prescrizione dovrebbe coprire, e quindi vanificare anche
storicamente, le condotte concretizzatesi prima
dell'agosto 2003, prescindendo dalla loro eventuale
autonoma rilevanza penale, sicché le condotte successive
andrebbero valutate nella loro assoluta ed esclusiva
storicità, senza tener conto alcuno della pregressa
vicenda: da qui, in particolare, l'impossibilità di
tener conto delle condotte precedenti per apprezzare la
riconducibilità delle condotte consumate nel periodo
successivo alla data di prescrizione alla caratteristica
incriminatrice dell'abitualità.
La tesi è, appunto, infondata. Come
già sostenuto da autorevole dottrina, il delitto di
maltrattamenti è, come ogni reato abituale, "reato di
durata", sicché mutua la disciplina della prescrizione
da quella prevista per i reati permanenti: per questo,
per i reati abituali "il decorso del termine di
prescrizione avviene dal giorno dell'ultima condotta
tenuta (la quale chiude il periodo consumativo
iniziatosi con la condotta che, insieme alle precedenti,
forma la serie minima di rilevanza"). Fatti/condotte
che, insieme tra loro, costituiscono il maltrattamento,
possono singolarmente avere pure autonoma rilevanza
penale, costituendo così ipotesi di reati concorrenti.
Quando tali condotte, di autonoma concorrente rilevanza
penale, risultano consumate in un periodo temporale
antecedente a quello di prescrizione del singolo reato
(concorrente), cessano di avere rilevanza penale quanto
a tale titolo autonomo (concorrente), ma non vengono
affatto cancellate o dissolte, nella loro storicità, da
tale prescrizione, mantenendo quindi piena rilevanza in
relazione al diverso ed autonomo titolo costituito dal
delitto di maltrattamenti, per il quale la prescrizione,
appunto, non decorre se non dall'ultima condotta idonea
a suffragare/integrare una componente di tale
fattispecie. In altre parole, e per mutuare la felice
locuzione della richiamata dottrina, quando alcuna
condotta costituisce anche autonomo reato, altro
dall'art. 572 c.p., la prescrizione del primo non
determina affatto una interruzione fattuale tale da
determinare ed imporre la decorrenza di una nuova "serie
minima di rilevanza", quanto al diverso reato di
maltrattamenti, con le conseguenze propugnate dal
ricorrente.
Né su tale ricostruzione
sistematica ha rilevanza la disciplina introdotta dalla
legge 251/2005. L'estensione dell'innovazione lì
prevista per il reato continuato anche al reato
abituale, pur sostenuta da parte della dottrina, pare
muovere dal presupposto, invero proposto in termini
sostanzialmente apodittici, che la struttura del reato
abituale sia più simile a quella del reato continuato,
piuttosto che a quella del reato permanente. Ma è
proprio il delitto di maltrattamenti che, potendo
constare anche di condotte prive di autonoma rilevanza
penale e tuttavia dimostrative della sussistenza e poi
permanenza di un contesto oggettivo e soggettivo di
maltrattamento, segna l'evidente differenza non solo con
la struttura del reato continuato (dove ogni condotta ha
necessariamente una specifica e delineata, anche
temporalmente, rilevanza penale) ma pure con la ratio
della innovazione introdotta dalla legge 251, che se
trova giustificazione (in termini di razionalità della
scelta, non necessariamente della sua univocità) per il
reato continuato, non certo per caso non è stata estesa
anche al reato permanente, come pure avrebbe in ipotesi
potuto farsi (ben potendosi astrattamente sezionare
anche le condotte permanenti, pur tutte rilevanti a
configurare l'unico reato).
E del resto, che un medesimo fatto
possa essere apprezzato, dal punto di vista della legge
penale, in plurimi modi e con diverse conseguenze anche
sul piano della disciplina sanzionatoria complessiva,
anche nelle sue implicazioni in ambito di prescrizione,
risulta evidente sol che si pensi all'ipotesi della
rapina commessa con oggetto atto ad offendere dove, nel
caso di contestazione autonoma dell'aggravante e
contravvenzione, la (frequente) prescrizione della
seconda mai potrebbe determinare conseguenze sulla
sussistenza della rilevanza penale del fatto ai diversi
fini della circostanza aggravante.
Il motivo sul trattamento
sanzionatolo è diverso da quelli consentiti, perché - a
fronte di motivazione specifica e non apparente della
Corte d'appello su entrambi i punti, con indicazione di
parametri congrui agli assunti cui perviene su di essi
(p.4) - si risolve in censure di merito.
L'ultimo motivo è inammissibile
perché nuovo, non essendo stata la questione proposta
specificamente, nei termini ora presentati, negli
originari motivi d'appello, che si dolevano solo della
sopravvalutazione del danno (pag. 16).
Al rigetto del ricorso segue la
condanna dell'imputato ricorrente al pagamento delle
spese processuali e di quelle sostenute per questo
giudizio di cassazione dalla parte civile liquidate come
da dispositivo, tenuto conto delle tariffe professionali
e dell'attività prestata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché
alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile
B.R. , liquidate in complessivi Euro 2300,00 oltre iva e
cpa. |