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1. La causa di giustificazione,
cosiddetta non codificata, dell'esercizio di attività
sportiva presuppone che l'azione lesiva non integri
infrazione di regola sportiva o comunque, laddove la
integri, sia compatibile con la natura della disciplina
sportiva praticata ed il contesto agonistico di
svolgimento; in assenza della causa di giustificazione
detta, il fatto di reato sarà doloso o colposo a seconda
che la condotta sia connotata da volontà diretta a
ledere l'incolumità dell'avversario o a preventiva
accettazione del relativo rischio ovvero sia meramente
colposa
2. Il discrimen tra condotta
integrante fatto-reato ammessa al beneficio della
scriminante e condotta illecita ad essa estranea sia
l'inquadramento della stessa nell'ordinaria dinamica di
gioco che sia conforme alle regole tecniche che
disciplinano quella determinata pratica sportiva.
Cassazione, sez. V, 16 novembre
2011, n. 42114
(Pres. Amato – Rel. Bruno)
Motivi della decisione
1. - Con il primo motivo di
impugnazione parte ricorrente denuncia vizio
motivazionale ai sensi dell'art. 606 lett. e) c.p.p.. Si
duole, in particolare, della erronea valutazione delle
risultanze di causa e della conseguente ricostruzione
dei fatti, che avevano disatteso le risultanze
favorevoli allo stesso imputato.
Lamenta, altresì, inosservanza od
erronea applicazione della legge penale, ai senso dello
stesso art. 606 lett. b) per mancata applicazione della
scriminante o causa di non punibilità del c.d. rischio
consentito nell'ambito di attività sportiva, sul rilievo
che il fatto traumatico, generatore di lesioni in danno
della persona offesa, era avvenuto in fase di gioco.
Il secondo motivo deduce difetto di
motivazione con riferimento alla contestata aggravante
della gravità delle lesioni, ed erronea valutazione
delle risultanze della consulenza tecnica del PM,
redatta dal dr. P. , e della difesa, redatta dal dr. L.
.
2 - La prima ragione di doglianza è
destituita di fondamento. Non è, infatti, ravvisabile il
denunciato vizio motivazionale, dovendo, piuttosto,
ritenersi che la struttura argomentativa della decisione
impugnata sia pienamente adeguata ed esaustiva
nell'esposizione delle ragioni del ribadito giudizio di
colpevolezza a carico dell'imputato. Ed infatti, in
esito all'esame delle contrapposte versioni delle parti,
i giudici di merito hanno espresso motivata opzione in
favore della ricostruzione offerta dalle testimonianze
favorevoli alla persona offesa, rendendo, all'uopo,
ragioni giustificative affatto logiche e plausibili.
È infondato anche il profilo di
censura che si duole della mancata applicazione, nel
caso di specie, della scriminante non codificata del
c.d. rischio consentito, notoriamente operante
nell'ambito delle attività sportive, con riguardo ai
possibili pregiudizi all'integrità fisica derivanti
dalla pratica dello sport, per sua natura potenzialmente
pericolosa, tanto più nelle competizioni che comportino
uso di forza fisica e consentano il contatto fisico tra
i partecipanti. Con argomentazioni pertinenti il giudice
a quo ha rigettato identica questione sollevata in sede
di gravame, rilevando che la condotta illecita era stata
posta in essere dall'imputato al di fuori dell'ordinaria
azione di gioco. Così pronunciando ha fatto corretta
applicazione dei principi di diritto più volte enunciati
in materia da questa Corte di legittimità, che ha
delimitato l'area del rischio consentito in rapporto
all'osservanza delle regole tecniche del gioco
praticato, la violazione delle quali, peraltro, va
valutata in concreto, con riferimento all'elemento
psicologico dell'agente il cui comportamento può essere
- pur nel travalicamento di quelle regole - colposa,
involontaria evoluzione dell'azione fisica
legittimamente esplicata o, al contrario, consapevole e
dolosa intenzione di ledere l'avversario approfittando
della circostanza del gioco (cfr. Cass. Sez. 5,
20.1.2005, n. 19473, rv. 231534; cfr., nello stesso
senso, id. sez. 5, 13.2.2009, n. 17923, rv. 243611, che
ha ulteriormente precisato che in tema di cosiddette
lesioni sportive, non è applicabile la previsione di
eccesso colposo (art. 55 cod. pen.) in quanto la causa
di giustificazione, cosiddetta non codificata,
dell'esercizio di attività sportiva presuppone che
l'azione lesiva non integri infrazione di regola
sportiva o comunque, laddove la integri, sia compatibile
con la natura della disciplina sportiva praticata ed il
contesto agonistico di svolgimento; in assenza della
causa di giustificazione detta, il fatto di reato sarà
doloso o colposo a seconda che la condotta sia connotata
da volontà diretta a ledere l'incolumità dell'avversario
o a preventiva accettazione del relativo rischio ovvero
sia meramente colposa). Insomma, correttamente è stato
ritenuto che il discrimen tra condotta integrante
fatto-reato ammessa al beneficio della scriminante e
condotta illecita ad essa estranea sia l'inquadramento
della stessa nell'ordinaria dinamica di gioco che sia
conforme alle regole tecniche che disciplinano quella
determinata pratica sportiva.
Nel caso di specie, relativo ad un
incontro di calcio, è stato accertato - con
insindacabile apprezzamento di merito - che il B. ha
colpito l'avversario al di fuori di una comune azione di
gioco, che si stava, invece, sviluppando in altra zona
del campo. In particolare, dopo avere escluso che il
colpo fosse stato occasionalmente inferto durante la
contesa aerea del pallone proveniente da rimessa
laterale, si è ritenuto che il B. avesse colpito
l'avversario, per una sorta di senso di frustrazione a
seguito della precedente azione di contrasto, quando il
gioco si stava sviluppando in altra zona del terreno di
gioco, a ridosso dell'area di porta avversaria, tanto da
portare, nell'occasione, ad una segnatura.
Alle inappuntabili argomentazioni
di merito, andrebbe solo aggiunta, in risposta alle
odierne obiezioni di parte ricorrente, la precisazione
che nella disciplina calcistica l'azione di gioco è
quella focalizzata dalla presenza del pallone ovvero da
movimenti, anche senza palla, funzionali alle più
efficaci strategie tattiche (blocco degli avversari;
marcamenti vari, tagli in area e quant'altro) e non può
ricomprendere indiscriminatamente tutto ciò che avvenga
in campo, sia pure nei tempi di durata regolamentare
dell'incontro.
Pertanto, un pugno inferto
all'avversario quando il pallone sia giocato in altra
zona del campo è condotta gratuita, estranea alla logica
dello sport praticato, nonché dolosa aggressione fisica
dell'avversario per ragioni affatto avulse dalla
peculiare dinamica sportiva.
Priva di fondamento è anche la
seconda censura, riguardante il preteso travisamento
delle risultanze delle consulenze mediche in atti. Anche
sul punto la risposta motivazionale della Corte di
merito è inappuntabile avendo ritenuto, con logica
argomentazione, che la sublussazione di un incisivo, con
conseguente devitalizzazione, avesse comportato
indebolimento della funzione masticatoria, intendendosi
per tale, secondo indiscusso insegnamento di questa
Corte regolatrice, qualsiasi alterazione dell'apparato
dentario, indipendentemente dalla possibilità di
applicazione di protesi (cfr., tra le altre, Cass., sez.
5, 3.2.1989 n.14768 rv. 182417).
In tale prospettiva, anche la
devitalizzaizone di un dente rappresenta, pertanto, una
compromissione dell'originaria integrità del sistema
dentario, costituendo vulnus capace nel tempo di
evoluzione peggiorativa.
2. - Per quanto precede, il ricorso
deve essere rigettato, senza statuizione di condanna
trattandosi di imputato minorenne all'epoca dei fatti.
Inoltre, stante la minore età delle persone coinvolte,
va disposto, a norma delle vigenti disposizioni a tutela
della privacy, l'oscuramento dei dati identificativi.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso, disponendo
l'oscuramento dei dati identificativi.
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