Nel diritto.it
MASSIMA
I comportamenti volgari,
irriguardosi e umilianti, caratterizzati da una serie
indeterminata di aggressioni verbali ed ingiuriose
abitualmente poste in essere nei confronti del coniuge,
possono configurare il reato di maltrattamenti quando,
valutati unitariamente, evidenziavano l'esistenza di una
volontà finalizzata a realizzare un regime di vita
avvilente e mortificante per il coniuge stesso.
CASUS DECISUS
La Corte di appello di Napoli, con
decisione del 27.04.2010, confermava la sentenza emessa
in data 22.01.09 dal Tribunale di Santa Maria Capua
Vetere che aveva condannato l’imputato per i reati di
tentata estorsione, lesioni personali, maltrattamenti in
famiglia in danno della moglie. Ricorre per cassazione
l’imputato, evidenziando, tra gli altri motivi, che la
sentenza era da censurare per avere ritenuto il reato di
maltrattamenti in famiglia, omettendo illogicamente di
considerare che le dichiarazioni della moglie si
riferivano ad isolati e sporadici episodi, inidonei a
dimostrare l'esistenza di un disegno persecutorio nei
suoi confronti.
ANNOTAZIONE
Nella sentenza in epigrafe la
Suprema Corte è chiamata a valutare la responsabilità
penale di un marito che per anni aveva fatto vivere la
moglie in un clima di terrore, tanto da cercare riparo
prima dai figli e poi addirittura da dormire in
automobile. I giudici di legittimità confermano la
sentenza impugnata, affermando che la penale
responsabilità dell'imputato emergeva dalle ripetute
manifestazioni di violenza sia di carattere fisico,
mediante percosse, sia di carattere morale, mediante
ingiurie ed umiliazioni, comportamenti sistematicamente
espletati durante la convivenza ventennale. Tale
conclusione si fonda su un costante orientamento
giurisprudenziale ad avviso del quale i comportamenti
volgari, irriguardosi e umilianti, caratterizzati da una
serie indeterminata di aggressioni verbali ed ingiuriose
abitualmente poste in essere dall'imputato nei confronti
del coniuge, possono configurare il reato di
maltrattamenti quando essi realizzino un regime di vita
avvilente e mortificante. Inoltre, evidenzia la Corte,
sussiste l'esistenza di un programma criminoso diretto a
ledere l'integrità morale della persona offesa, perché
tutte le condotte, valutate unitariamente, evidenziavano
l'esistenza di una volontà finalizzata a rendere
disagevole e, per quanto possibile, penosa l'esistenza
del coniuge, tanto da costringerla a cercare riparo
attraverso i figli.
TESTO DELLA SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE
- SENTENZA 11 novembre 2011, n.41011 - Pres. Carmenini –
est. Gentile
Considerato in fatto
La Corte di appello di Napoli, con
decisione del 27.04.2010, confermava la sentenza emessa
in data 22.01.09 dal Tribunale di Santa Maria Capua
Vetere che aveva condannato: M.G. per i reati di:
- tentata estorsione in danno della
moglie D.G.A. (artt. 56 – 629 - 649/3 co. cp) -lesioni
personali (artt. 582 – 585 – 577 - 576 cp) -
maltrattamenti in famiglia (art. 572 cp), - fatti
commessi fino al (omissis) ;
- Ricorre per cassazione
l’imputato, deducendo: motivi ex art. 606, 1 co., lett.
b) e) c.p.p..
1) Il ricorrente censura la
decisione impugnata per omessa motivazione in relazione
alla richiesta di rinnovazione dell'istruzione
dibattimentale in appello mediante l'escussione
dell'altro figlio della coppia, mai sentito;
il predetto era restato nella casa
coniugale con la madre, per un periodo più lungo
rispetto all'altro fratello già esaminato, M.A. , e
quindi avrebbe 'potuto apportare al processo un dato
cognitivo essenziale in punto di riscontro alle
dichiarazioni della D.G. ', riscontro necessario stante
l'inattendibilità della parte offesa, animata da
inimicizia con l'imputato;
2) La sentenza sarebbe incorsa in
violazione di legge per avere ritenuto il tentativo di
estorsione valorizzando l'episodio del 07.04.2006, nel
corso del quale il M. avrebbe minacciato la moglie di
morte se non avesse venduto i suoi beni, trascurando
illogicamente di considerare che tale episodio non era
finalizzato ad ottenere la vendita del bene ereditario,
ma era determinato dalla reazione del M. allorché si era
accorto che la moglie aveva dormito nell'auto;
- la sentenza era da censurare
anche per avere ritenuto il reato di maltrattamenti in
famiglia, omettendo illogicamente di considerare che le
dichiarazioni della D.G. si riferivano ad isolati e
sporadici episodi, inidonei a dimostrare l'esistenza di
un disegno persecutorio nei suoi confronti, essendo per
altro ininfluente a tale riguardo la deposizione del
figlio già escusso, M.A. ;
3) - la decisione impugnata sarebbe
incorsa in violazione di legge, per omessa motivazione
riguardo alla richiesta di applicazione dell'attenuante
di cui all'art. 62 n. 2 cp che, invece, andava
riconosciuta atteso che la reazione violenta
dell'imputato alla quale fecero seguito le lesioni
patite dalla D.G. , era conseguente all'atteggiamento
provocatorio tenuto da quest'ultima che anziché restare
nella casa coniugale dormiva in auto;
- la sentenza andava censurata
anche per non avere ritenuto le attenuanti generiche, da
concedere attraverso un'adeguata ponderazione degli
elementi postivi emergenti dalla condotta antecedente e
successiva al reato, oltre che per adeguare la pena al
fatto;
- ugualmente censurabile era
l'omessa motivazione in ordine alla richiesta di
applicazione, nella misura minima, degli aumenti ex art.
81 cpv cp, CHIEDE l'annullamento della sentenza
impugnata.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
Sotto l’apparenza della censura per
violazione di legge in relazione ai reati di cui agli
artt. 629 e 572 c.p., il ricorrente finisce in parte con
il proporre interpretazioni alternative delle prove già
analizzate in maniera conforme dai giudici di primo
grado e di secondo grado, richiamando una diversa
valutazione dei fatti, che risultano vagliati dalla
Corte di appello con una sequenza motivazionale ampia,
analitica e coerente con i principi della logica, sicché
non risulta possibile in questa sede procedere ad una
rivalutazione di tali elementi probatori senza scadere
nel terzo grado di giudizio di merito.
La Corte territoriale ha
evidenziato:
- riguardo al reato di tentativo di
estorsione, che la penale responsabilità dell’imputato
emergeva in maniera chiara dalla circostanza che la
D.G., dopo avere venduto altri beni ereditari, si
rifiutava di vendere l’ultimo terreno rimasto, volendo
“lasciare qualcosa ai figli”, sicché la minaccia di
morte e la violenza che l’imputato aveva esercitato
nell’episodio in contestazione “non fu affatto slegata
dalla richiesta di vendetta ma fu il coronamento di un
insistente atteggiamento teso alla realizzazione di
denaro attraverso la costrizione della D.G.
all’alienazione” (pag. 4 motivaz.).
Si tratta di motivazione congrua
perché fondata su dati fattuali oggettivi ed immuni da
illogicità in quanto conformi alle massime di comune
esperienza, per contro, i motivi di ricorso proposti, si
risolvono in prospettazioni alternative dei fatti,
inammissibili in questa sede, ove in tema di sindacato
del vizio della motivazione, il giudice di legittimità
non è chiamato a sovrapporre la propria valutazione a
quella compiuta dai giudici di merito in ordine alla
affidabilità delle fonti di prova, essendo piuttosto suo
compito stabilire – nell’ambito di un controllo da
condurre direttamente sul testo del provvedimento
impugnato – se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli
elementi a loro disposizione, se ne abbiano fornito una
corretta interpretazione, dando esaustiva e convincente
risposta alle deduzioni delle parti, in modo da fornire
la giustificazione razionale della scelta di determinate
conclusioni a preferenza di altre (Cassazione penale,
sez. IV, 29 gennaio 2007, n. 12255).
Il ricorrente lamenta che la
sentenza avrebbe trascurato di considerare che
l’episodio violento del 7.4.06 sarebbe il frutto di una
reazione all’atteggiamento provocatorio della D.G. che
dormiva in auto e censura la sentenza per aver omesso di
motivare riguardo all’applicazione dell’attenuante ex
art. 62 n. 2 c.p. (per mero errore materiale indicata in
sentenza con l’art. 62 n. 3 c.p.) ma il motivo non
coglie nel segno perché trascurata la motivazione della
Corte di appello che sottolinea congruamente, per un
verso, come la circostanza che la D.D. dormisse in
macchina era ormai una consuetudine, che si ripeteva
tutti i giorni a partire dal marzo 2005, sicché non
poteva integrare il fatto nuovo idoneo a giustificare
l’esplosione di violenza e la permanenza dello stato
d’ira (Cassazione penale, sez. I, 03/06/2009, n. 29775)
e, per altro verso, che il comportamento della D.D.,
lungi dal costituire un fatto ingiusto, era determinato
dalle minacce e violenze dell’imputato, così gravi da
costringere la donna a dormire nell’automobile per paura
del marito (pag. 4 motivaz.).
Invero ai fini della sussistenza
della circostanza attenuante della provocazione, il
concetto di 'fatto ingiusto', pur comprendendo in sé
qualsiasi comportamento, intenzionale o colposo,
legittimo o illegittimo, purché idoneo a scatenare
l'altrui reazione, presuppone pur sempre la volontarietà
dello stesso e, pertanto, lo stato d'ira che scatena la
reazione offensiva al fatto ingiusto altrui deve essere
a questo legata da un nesso di causalità, non già di
semplice occasionalità, essendo indispensabile
l'esistenza di un rapporto di proporzione e di
adeguatezza tra fatto provocante e fatto provocato
(Cassazione penale, sez VI, 03/04/1992);
Esula, pertanto nella fattispecie,
l'attenuante della provocazione avendo evidenziato la
Corte di appello come la reazione iraconda dell'imputato
risultava determinata da un comportamento della moglie
che non poteva essere ritenuto ingiusto in quanto, pur
se anomalo, era provocato dall'attività delittuosa dello
steso M. .
- riguardo al reato di
maltrattamenti in famiglia: che la penale responsabilità
dell'imputato emergeva dalle ripetute manifestazioni di
violenza: - sia di carattere fisico, mediante percosse,
e:
- sia di carattere morale, mediante
ingiurie ed umiliazioni, comportamenti sistematicamente
espletati durante la convivenza ventennale, ad eccezione
dei primi due o tre anni (pag. 3 motivaz.) e di tale
intensità che la D.G. 'per paura del marito, dapprima fu
costretta a dormire con il figlio A. , nella stanza
chiusa a chiave, poi, e precisamente fino al marzo del
2005, con l'altro figlio, ed infine, quando entrambi i
ragazzi lasciarono l'abitazione familiare, all'interno
dell'autovettura' (pag. 3 - 4 motivaz.).
Si tratta di una motivazione
congrua ed esente da illogicità evidenti, del tutto
conforme alla giurisprudenza di legittimità che, in
materia ha sancito il principio per il quale i
comportamenti volgari, irriguardosi e umilianti,
caratterizzati da una serie indeterminata di aggressioni
verbali ed ingiuriose abitualmente poste in essere
dall'imputato nei confronti del coniuge, possono
configurare il reato di maltrattamenti quando essi
realizzino un regime di vita avvilente e mortificante (
Cassazione penale, sez VI, 16/11/2010. n. 45547).
La motivazione impugnata si colloca
in tale alveo giurisprudenziale evidenziando come nella
specie le condotte descritte evidenziavano l'esistenza
di un programma criminoso diretto a ledere l'integrità
morale della persona offesa, perché valutate
unitariamente evidenziavano l'esistenza di una volontà
finalizzata a rendere disagevole e, per quanto
possibile, penosa l'esistenza del coniuge, tanto da
costringerla a cercare riparo attraverso i figli.
- A tale ultimo riguardo la
sentenza impugnata osserva che la D.G. risulta del tutto
attendibile perché riscontrata, sia dalla certificazione
medica allegata e sia dalle dichiarazioni del figlio
M.A. , della cui deposizione riporta ampi stralci, da
tali osservazioni discende, sia pure in maniere
indiretta, la motivazione riguardo al rigetto della
richiesta di rinnovazione dell'istruzione che, pur se
implicitamente, è stata respinta dalla Corte di merito
sulla scorta degli elementi probatori sopra riportati,
relativi all'affermazione di responsabilità del M. , che
la Corte del Merito ritiene chiari e tali da escludere
la necessità di rinnovazione dell'istruzione
dibattimentale.
È noto, infatti, per un verso, che
la rinnovazione del dibattimento in appello è istituto
di carattere eccezionale, in relazione al quale vale la
presunzione che l'indagine istruttoria abbia ormai
raggiunto la sua completezza nel dibattimento svoltosi
innanzi al primo giudice.
L'art. 603, comma 1, c.p.p.,
infatti, non riconosce carattere di obbligatorietà
all'esercizio del potere del giudice d'appello di
disporre la rinnovazione del dibattimento, anche quando
è richiesto per assumere nuove prove, ma vincola e
subordina tale potere, nel suo concreto esercizio, alla
rigorosa condizione che il giudice ritenga, nella sua
discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli
atti. In una tale prospettiva, se è vero che il diniego
dell'eventualmente invocata rinnovazione dell'istruzione
dibattimentale deve essere spiegato nella sentenza di
secondo grado, la relativa motivazione può anche
ricavarsi per implicito dal complessivo tessuto
argomentativo, qualora il giudice abbia dato comunque
conto delle ragioni in forza delle quali abbia ritenuto
di poter decidere allo stato degli atti. (Cassazione
penale, sez. IV. 06/11/2009. n. 43966).
- Parimenti infondati appaiono i
motivi relativi al trattamento sanzionatorio, atteso che
la sentenza impugnata ha fatto uso dei criteri di cui
all'art. 133 c.p., ritenuti sufficienti dalla
Giurisprudenza di legittimità, per la congrua
motivazione in termini di determinazione della pena,
anche ex art. 81 cpv cp, e di concessione delle
attenuanti generiche, atteso che riguardo alla pena si è
richiamata la gravità del fatto e riguardo alle
attenuanti generiche si è fatto riferimento all'assenza
di elementi sufficienti ai fini della concessione
dell'attenuante.
Va ricordato che, ai fini della
concessione o del diniego delle circostanze attenuanti
generiche, è sufficiente che il giudice di merito prenda
in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 cp.,
quello (o quelli) che ritiene prevalente e atto a
consigliare o meno la concessione del beneficio.
Ciò vale, 'a fortiori', anche per
il giudice d'appello, il quale, pur non dovendo
trascurare le argomentazioni difensive dell'appellante,
non è tenuto a un'analitica valutazione di tutti gli
elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti,
ma, in una visione globale di ogni particolarità del
caso, è sufficiente che dia l'indicazione di quelli
ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione
o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e
superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta
contestazione. (Cassazione penale, sez. IV, 04 luglio
2006. n. 32290 - Occorre osservare, altresì, che in tema
di determinazione della pena, quando la pena venga
irrogata in misura prossima al minimo edittale (come nel
caso) che l'obbligo di motivazione del giudice si
attenua, sicché è sufficiente anche il richiamo a
criteri di adeguatezza della pena nel suo complesso, nel
quale sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 cp.
(Cassazione penale, sez. IV, 21 settembre 2007, n.
38536).
La presente motivazione è
assorbente di tutti i motivi e deduzioni proposti.
Il ricorso è da rigettare atteso
che i motivi proposti in punto di diritto non consentono
la pronunzia di inammissibilità; consegue la condanna
alle spese in ragione dell'art. 616 cpp.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali. |