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ELEMENTO PSICOLOGICO DEL REATO DI MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA-CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE - SENTENZA 11 novembre 2011, n.41011

 

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MASSIMA

I comportamenti volgari, irriguardosi e umilianti, caratterizzati da una serie indeterminata di aggressioni verbali ed ingiuriose abitualmente poste in essere nei confronti del coniuge, possono configurare il reato di maltrattamenti quando, valutati unitariamente, evidenziavano l'esistenza di una volontà finalizzata a realizzare un regime di vita avvilente e mortificante per il coniuge stesso.

 

 

CASUS DECISUS

La Corte di appello di Napoli, con decisione del 27.04.2010, confermava la sentenza emessa in data 22.01.09 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che aveva condannato l’imputato per i reati di tentata estorsione, lesioni personali, maltrattamenti in famiglia in danno della moglie. Ricorre per cassazione l’imputato, evidenziando, tra gli altri motivi, che la sentenza era da censurare per avere ritenuto il reato di maltrattamenti in famiglia, omettendo illogicamente di considerare che le dichiarazioni della moglie si riferivano ad isolati e sporadici episodi, inidonei a dimostrare l'esistenza di un disegno persecutorio nei suoi confronti.

 

 

ANNOTAZIONE

Nella sentenza in epigrafe la Suprema Corte è chiamata a valutare la responsabilità penale di un marito che per anni aveva fatto vivere la moglie in un clima di terrore, tanto da cercare riparo prima dai figli e poi addirittura da dormire in automobile. I giudici di legittimità confermano la sentenza impugnata, affermando che la penale responsabilità dell'imputato emergeva dalle ripetute manifestazioni di violenza sia di carattere fisico, mediante percosse, sia di carattere morale, mediante ingiurie ed umiliazioni, comportamenti sistematicamente espletati durante la convivenza ventennale. Tale conclusione si fonda su un costante orientamento giurisprudenziale ad avviso del quale i comportamenti volgari, irriguardosi e umilianti, caratterizzati da una serie indeterminata di aggressioni verbali ed ingiuriose abitualmente poste in essere dall'imputato nei confronti del coniuge, possono configurare il reato di maltrattamenti quando essi realizzino un regime di vita avvilente e mortificante. Inoltre, evidenzia la Corte, sussiste l'esistenza di un programma criminoso diretto a ledere l'integrità morale della persona offesa, perché tutte le condotte, valutate unitariamente, evidenziavano l'esistenza di una volontà finalizzata a rendere disagevole e, per quanto possibile, penosa l'esistenza del coniuge, tanto da costringerla a cercare riparo attraverso i figli.

 

 

TESTO DELLA SENTENZA

 

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE - SENTENZA 11 novembre 2011, n.41011 - Pres. Carmenini – est. Gentile

 

Considerato in fatto

 

 

 

La Corte di appello di Napoli, con decisione del 27.04.2010, confermava la sentenza emessa in data 22.01.09 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che aveva condannato: M.G. per i reati di:

 

- tentata estorsione in danno della moglie D.G.A. (artt. 56 – 629 - 649/3 co. cp) -lesioni personali (artt. 582 – 585 – 577 - 576 cp) - maltrattamenti in famiglia (art. 572 cp), - fatti commessi fino al (omissis) ;

 

- Ricorre per cassazione l’imputato, deducendo: motivi ex art. 606, 1 co., lett. b) e) c.p.p..

 

1) Il ricorrente censura la decisione impugnata per omessa motivazione in relazione alla richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in appello mediante l'escussione dell'altro figlio della coppia, mai sentito;

 

il predetto era restato nella casa coniugale con la madre, per un periodo più lungo rispetto all'altro fratello già esaminato, M.A. , e quindi avrebbe 'potuto apportare al processo un dato cognitivo essenziale in punto di riscontro alle dichiarazioni della D.G. ', riscontro necessario stante l'inattendibilità della parte offesa, animata da inimicizia con l'imputato;

 

2) La sentenza sarebbe incorsa in violazione di legge per avere ritenuto il tentativo di estorsione valorizzando l'episodio del 07.04.2006, nel corso del quale il M. avrebbe minacciato la moglie di morte se non avesse venduto i suoi beni, trascurando illogicamente di considerare che tale episodio non era finalizzato ad ottenere la vendita del bene ereditario, ma era determinato dalla reazione del M. allorché si era accorto che la moglie aveva dormito nell'auto;

 

- la sentenza era da censurare anche per avere ritenuto il reato di maltrattamenti in famiglia, omettendo illogicamente di considerare che le dichiarazioni della D.G. si riferivano ad isolati e sporadici episodi, inidonei a dimostrare l'esistenza di un disegno persecutorio nei suoi confronti, essendo per altro ininfluente a tale riguardo la deposizione del figlio già escusso, M.A. ;

 

3) - la decisione impugnata sarebbe incorsa in violazione di legge, per omessa motivazione riguardo alla richiesta di applicazione dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 2 cp che, invece, andava riconosciuta atteso che la reazione violenta dell'imputato alla quale fecero seguito le lesioni patite dalla D.G. , era conseguente all'atteggiamento provocatorio tenuto da quest'ultima che anziché restare nella casa coniugale dormiva in auto;

 

- la sentenza andava censurata anche per non avere ritenuto le attenuanti generiche, da concedere attraverso un'adeguata ponderazione degli elementi postivi emergenti dalla condotta antecedente e successiva al reato, oltre che per adeguare la pena al fatto;

 

- ugualmente censurabile era l'omessa motivazione in ordine alla richiesta di applicazione, nella misura minima, degli aumenti ex art. 81 cpv cp, CHIEDE l'annullamento della sentenza impugnata.

 

 

 

Considerato in diritto

 

 

 

Il ricorso è infondato.

 

Sotto l’apparenza della censura per violazione di legge in relazione ai reati di cui agli artt. 629 e 572 c.p., il ricorrente finisce in parte con il proporre interpretazioni alternative delle prove già analizzate in maniera conforme dai giudici di primo grado e di secondo grado, richiamando una diversa valutazione dei fatti, che risultano vagliati dalla Corte di appello con una sequenza motivazionale ampia, analitica e coerente con i principi della logica, sicché non risulta possibile in questa sede procedere ad una rivalutazione di tali elementi probatori senza scadere nel terzo grado di giudizio di merito.

 

La Corte territoriale ha evidenziato:

 

- riguardo al reato di tentativo di estorsione, che la penale responsabilità dell’imputato emergeva in maniera chiara dalla circostanza che la D.G., dopo avere venduto altri beni ereditari, si rifiutava di vendere l’ultimo terreno rimasto, volendo “lasciare qualcosa ai figli”, sicché la minaccia di morte e la violenza che l’imputato aveva esercitato nell’episodio in contestazione “non fu affatto slegata dalla richiesta di vendetta ma fu il coronamento di un insistente atteggiamento teso alla realizzazione di denaro attraverso la costrizione della D.G. all’alienazione” (pag. 4 motivaz.).

 

Si tratta di motivazione congrua perché fondata su dati fattuali oggettivi ed immuni da illogicità in quanto conformi alle massime di comune esperienza, per contro, i motivi di ricorso proposti, si risolvono in prospettazioni alternative dei fatti, inammissibili in questa sede, ove in tema di sindacato del vizio della motivazione, il giudice di legittimità non è chiamato a sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova, essendo piuttosto suo compito stabilire – nell’ambito di un controllo da condurre direttamente sul testo del provvedimento impugnato – se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se ne abbiano fornito una corretta interpretazione, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cassazione penale, sez. IV, 29 gennaio 2007, n. 12255).

 

Il ricorrente lamenta che la sentenza avrebbe trascurato di considerare che l’episodio violento del 7.4.06 sarebbe il frutto di una reazione all’atteggiamento provocatorio della D.G. che dormiva in auto e censura la sentenza per aver omesso di motivare riguardo all’applicazione dell’attenuante ex art. 62 n. 2 c.p. (per mero errore materiale indicata in sentenza con l’art. 62 n. 3 c.p.) ma il motivo non coglie nel segno perché trascurata la motivazione della Corte di appello che sottolinea congruamente, per un verso, come la circostanza che la D.D. dormisse in macchina era ormai una consuetudine, che si ripeteva tutti i giorni a partire dal marzo 2005, sicché non poteva integrare il fatto nuovo idoneo a giustificare l’esplosione di violenza e la permanenza dello stato d’ira (Cassazione penale, sez. I, 03/06/2009, n. 29775) e, per altro verso, che il comportamento della D.D., lungi dal costituire un fatto ingiusto, era determinato dalle minacce e violenze dell’imputato, così gravi da costringere la donna a dormire nell’automobile per paura del marito (pag. 4 motivaz.).

 

Invero ai fini della sussistenza della circostanza attenuante della provocazione, il concetto di 'fatto ingiusto', pur comprendendo in sé qualsiasi comportamento, intenzionale o colposo, legittimo o illegittimo, purché idoneo a scatenare l'altrui reazione, presuppone pur sempre la volontarietà dello stesso e, pertanto, lo stato d'ira che scatena la reazione offensiva al fatto ingiusto altrui deve essere a questo legata da un nesso di causalità, non già di semplice occasionalità, essendo indispensabile l'esistenza di un rapporto di proporzione e di adeguatezza tra fatto provocante e fatto provocato (Cassazione penale, sez VI, 03/04/1992);

 

Esula, pertanto nella fattispecie, l'attenuante della provocazione avendo evidenziato la Corte di appello come la reazione iraconda dell'imputato risultava determinata da un comportamento della moglie che non poteva essere ritenuto ingiusto in quanto, pur se anomalo, era provocato dall'attività delittuosa dello steso M. .

 

- riguardo al reato di maltrattamenti in famiglia: che la penale responsabilità dell'imputato emergeva dalle ripetute manifestazioni di violenza: - sia di carattere fisico, mediante percosse, e:

 

- sia di carattere morale, mediante ingiurie ed umiliazioni, comportamenti sistematicamente espletati durante la convivenza ventennale, ad eccezione dei primi due o tre anni (pag. 3 motivaz.) e di tale intensità che la D.G. 'per paura del marito, dapprima fu costretta a dormire con il figlio A. , nella stanza chiusa a chiave, poi, e precisamente fino al marzo del 2005, con l'altro figlio, ed infine, quando entrambi i ragazzi lasciarono l'abitazione familiare, all'interno dell'autovettura' (pag. 3 - 4 motivaz.).

 

Si tratta di una motivazione congrua ed esente da illogicità evidenti, del tutto conforme alla giurisprudenza di legittimità che, in materia ha sancito il principio per il quale i comportamenti volgari, irriguardosi e umilianti, caratterizzati da una serie indeterminata di aggressioni verbali ed ingiuriose abitualmente poste in essere dall'imputato nei confronti del coniuge, possono configurare il reato di maltrattamenti quando essi realizzino un regime di vita avvilente e mortificante ( Cassazione penale, sez VI, 16/11/2010. n. 45547).

 

La motivazione impugnata si colloca in tale alveo giurisprudenziale evidenziando come nella specie le condotte descritte evidenziavano l'esistenza di un programma criminoso diretto a ledere l'integrità morale della persona offesa, perché valutate unitariamente evidenziavano l'esistenza di una volontà finalizzata a rendere disagevole e, per quanto possibile, penosa l'esistenza del coniuge, tanto da costringerla a cercare riparo attraverso i figli.

 

- A tale ultimo riguardo la sentenza impugnata osserva che la D.G. risulta del tutto attendibile perché riscontrata, sia dalla certificazione medica allegata e sia dalle dichiarazioni del figlio M.A. , della cui deposizione riporta ampi stralci, da tali osservazioni discende, sia pure in maniere indiretta, la motivazione riguardo al rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruzione che, pur se implicitamente, è stata respinta dalla Corte di merito sulla scorta degli elementi probatori sopra riportati, relativi all'affermazione di responsabilità del M. , che la Corte del Merito ritiene chiari e tali da escludere la necessità di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale.

 

È noto, infatti, per un verso, che la rinnovazione del dibattimento in appello è istituto di carattere eccezionale, in relazione al quale vale la presunzione che l'indagine istruttoria abbia ormai raggiunto la sua completezza nel dibattimento svoltosi innanzi al primo giudice.

 

L'art. 603, comma 1, c.p.p., infatti, non riconosce carattere di obbligatorietà all'esercizio del potere del giudice d'appello di disporre la rinnovazione del dibattimento, anche quando è richiesto per assumere nuove prove, ma vincola e subordina tale potere, nel suo concreto esercizio, alla rigorosa condizione che il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti. In una tale prospettiva, se è vero che il diniego dell'eventualmente invocata rinnovazione dell'istruzione dibattimentale deve essere spiegato nella sentenza di secondo grado, la relativa motivazione può anche ricavarsi per implicito dal complessivo tessuto argomentativo, qualora il giudice abbia dato comunque conto delle ragioni in forza delle quali abbia ritenuto di poter decidere allo stato degli atti. (Cassazione penale, sez. IV. 06/11/2009. n. 43966).

 

- Parimenti infondati appaiono i motivi relativi al trattamento sanzionatorio, atteso che la sentenza impugnata ha fatto uso dei criteri di cui all'art. 133 c.p., ritenuti sufficienti dalla Giurisprudenza di legittimità, per la congrua motivazione in termini di determinazione della pena, anche ex art. 81 cpv cp, e di concessione delle attenuanti generiche, atteso che riguardo alla pena si è richiamata la gravità del fatto e riguardo alle attenuanti generiche si è fatto riferimento all'assenza di elementi sufficienti ai fini della concessione dell'attenuante.

 

Va ricordato che, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 cp., quello (o quelli) che ritiene prevalente e atto a consigliare o meno la concessione del beneficio.

 

Ciò vale, 'a fortiori', anche per il giudice d'appello, il quale, pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell'appellante, non è tenuto a un'analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti, ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione. (Cassazione penale, sez. IV, 04 luglio 2006. n. 32290 - Occorre osservare, altresì, che in tema di determinazione della pena, quando la pena venga irrogata in misura prossima al minimo edittale (come nel caso) che l'obbligo di motivazione del giudice si attenua, sicché è sufficiente anche il richiamo a criteri di adeguatezza della pena nel suo complesso, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 cp. (Cassazione penale, sez. IV, 21 settembre 2007, n. 38536).

 

La presente motivazione è assorbente di tutti i motivi e deduzioni proposti.

 

Il ricorso è da rigettare atteso che i motivi proposti in punto di diritto non consentono la pronunzia di inammissibilità; consegue la condanna alle spese in ragione dell'art. 616 cpp.

 

 

 

P.Q.M.

 

 

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

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