Svolgimento del processo
Con atto spedito in data 23/3/2011,
l'avv. P.D. ha proposto ricorso contro la decisione in
epigrafe indicata, inviatagli a mezzo posta il 21/2/2011
e ritirata il successivo 24/2/2011. Il Consiglio
dell'Ordine degli Avvocati di Monza non ha svolto
attività difensiva e la controversia è stata decisa
all'esito della pubblica udienza dell'8/11/2011.
Motivi della decisione
Dalla lettura della sentenza
impugnata emerge in fatto che dopo avergli revocato ogni
mandato, il sig. M.L. ha presentato un esposto nei
confronti dell'avv. P.D., a carico del quale il
Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Monza ha poi
aperto procedimento disciplinare per i seguenti capi d'incolpazione:
1) per avere violato gli artt. 33, 42 e 43 CDF perchè,
dopo la revoca della sua nomina a difensore avvenuta con
racc. r.r. del 25 luglio 2006, ricevuta il 3 agosto
2006, non si adoperava affinchè la successione nei
mandati avvenisse senza danni per l'assistito sig. M.L.
ed anzi, agiva in senso inverso non consegnando la
documentazione nè la contabilità delle spese sostenute
ed in particolare: a) richiedendo in data 3 novembre
2006 (e cioè a revoca già avvenuta), due copie
autentiche con formula esecutiva della sentenza n.
789/2006 dei Giudice di Pace di Monza,
pronunciata nella causa M.
L./Comune di Villasanta ed Esatri spa e non
consegnandole nè al cliente nè al nuovo difensore
precludendo e/o comunque rendendo più difficoltosa ed
onerosa la prosecuzione della difesa ed in particolare
l'esecuzione del titolo in esame; b) non fornendo al
cliente e al nuovo difensore copia delle fatture
relative agli assegni fatti sulla Banca Popolare di
Bergamo per l'importo rispettivamente di Euro 250,00,
1.000,00 e 1.400,00, precludendo in tal modo e comunque
rendendo più difficoltosa ed onerosa l'eventuale
attività di recupero di detti importi e comunque non
fornendo al cliente informazioni che è obbligato a
fornire ex art. 42 CDF, comma 2; c) non fornendo al
cliente e al nuovo difensore copia della documentazione
inerente un sinistro trattato nell'interesse del sig.
M.L. con la Fondiaria Ass.ni (e in particolare copia
della quietanza che ha definito il sinistro), violando
in tal modo il disposto di cui all'art. 42 CDF ed
impedendo e/o comunque rendendo più difficoltosa
l'attività di verifica inerente la posizione.
2) Per aver violato gli artt. 5, 6,
7 e 8 CDF in quanto, in violazione dei doveri di
probità, lealtà, correttezza, fedeltà e diligenza non
consegnava al sig. M.L., suo assistito che inpiù sedi e
forme gliene faceva esplicita richiesta a far tempo dal
25 luglio - 3 agosto 2006, i documenti di cui al capo
1)... E ciò nonostante esplicito impegno in tal senso
assunto avanti alla Commissione Disciplinare dell'Ordine
di Monza in data 26 marzo 2007".
Citato a giudizio per l'udienza del
6 aprile 2009, l'avv. P. ha depositato memoria ed al
termine del dibattimento il Consiglio dell'Ordine lo ha
assolto da una parte degli addebiti, infliggendogli la
sanzione della censura per la mancata consegna delle
copie della sentenza del Giudice di pace. L'avv. P. si è
gravato al Consiglio Nazionale Forense che, però, ha
rigettato l'appello con decisione contro cui l'incolpato
ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro
motivi, con il primo dei quali ha dedotto violazione di
legge ed incongruità della motivazione, in quanto il
giudice a quo avrebbe dovuto riconoscere la insanabile
contraddittorietà della pronuncia del Consiglio
dell'Ordine, che nel dispositivo aveva riferito la
condanna ai capi le e 2, mentre nella motivazione
l'aveva assolto da tali addebiti, ritenendolo
responsabile di quelli di cui ai punti la e 2.
Con il secondo motivo, l'avv. P. ha
sostenuto che il sig. M. non gli aveva
corrisposto alcun compenso, per cui
non poteva aver risentito nessun danno dalla mancata
messa in esecuzione della sentenza del Giudice di pace,
il quale si era limitato a condannare il Comune di
Villasanta solo al rimborso di quelle spese legali che
il M. non aveva, in realtà, mai pagato.
Con il terzo motivo, l'avv. P. ha
nuovamente dedotto la violazione di legge e
l'incongruenza della motivazione, sottolineando da un
lato che la richiesta delle copie non aveva
rappresentato un atto processuale o, in ogni caso,
un'iniziativa arbitraria, bensì la semplice attuazione
di una precisa volontà del M. e, dall'altro, che dal
canto suo non era tenuto ad andare a consegnarle, ma
soltanto a metterle a disposizione come, del resto,
aveva puntualmente fatto senza frapporre alcun ostacolo
al loro ritiro da parte dell'ex cliente che, anzi, aveva
dovuto ad un certo punto citare addirittura in giudizio
per costringerlo a prendere quanto, solo apparentemente,
invocava.
Con il quarto motivo, l'avv. P. ha
infine lamentato che pur avendo egli dedotto la
inammissibilità della motivazione dal Consiglio
dell'Ordine, che aveva giustificato l'applicazione della
censura con l'esistenza di altri procedimenti
disciplinari non ancora conclusi, il Consiglio Nazionale
non aveva minimamente risposto, ma siera limitato a
confermare la sanzione sulla base di argomentazioni
diverse da quelle utilizzate dal Consiglio locale.
Così riassunte le difese del
ricorrente, osserva il Collegio che secondo il Consiglio
Nazionale Forense, l'inesatto richiamo dei capi
d'incolpazione operato dal dispositivo della decisione
del Consiglio dell'Ordine era stato il frutto di un mero
errore materiale che aveva determinato una semplice
discrepanza chiaramente percepibile e, perciò, incapace
d'ingenerare ragionevoli dubbi sul contenuto e le
ragioni della condanna dell'incolpato che, infatti,
aveva impugnato in modo ampio ed articolato, mostrando
così di non aver risentito alcun pregiudizio del suo
diritto di difesa. Trattandosi di valutazione di merito
non inficiata da vizi logici o giuridici nè
adeguatamente contestata dall'incolpato, che in
violazione del principio di autosufficienza del ricorso
non ha nemmeno riprodotto il testo del provvedimento del
Consiglio dell'Ordine, il primo motivo del ricorso
dev'essere di conseguenza rigettato.
Parimenti da rigettare è anche il
secondo motivo, a proposito del quale è sufficiente
sottolineare che l'inadempimento del M. agli obblighi su
di lui gravanti nei rapporti interni con il proprio
difensore, non poteva comportare il venir meno del suo
interesse a disporre del titolo esecutivo per ottenere,
nei rapporti esterni con il Comune, il
pagamento delle somme da
quest'ultimo dovute.
Quanto al terzo motivo, giova
innanzitutto precisare che il Consiglio Nazionale non si
è interrogato sulla natura, processuale o meno, della
richiesta delle copie nè ha sostenuto che l'avv. P.
avrebbe dovuto spingersi a consegnarle anzichè limitarsi
a metterle a disposizione, ma si è attenuto alle
risultanze istruttorie, ritenendo ampiamente dimostrato
dalle raccomandate in atti, nonchè dalle dichiarazioni
del M. e del suo nuovo difensore, che ad un certo punto
della vicenda l'incolpato aveva cominciato a porre in
essere una condotta finalizzata ad ostacolare il suo ex
cliente. In un quadro del genere, ha osservato il
Consiglio Nazionale, risultava irrilevante accertare se
la richiesta delle copie fosse stata o meno fatta su
sollecitazione del M., perchè anche a prescindere dal
fatto che la presentazione dell'istanza era avvenuta tre
mesi dopo la revoca del mandato e, cioè, quando l'ex
dente aveva già più volte domandato la restituzione
della documentazione, quello che in realtà contava era
che l'avv. P. non poteva non sapere che la loro mancata
acquisizione avrebbe impedito al M. di procedere in
forma esecutiva.
Malgrado tale consapevolezza,
l'avv. P. si era però "univocamente mosso nella
direzione di evitare la consegna delle copie della
sentenza, ed" era "questo l'atteggiamento sostanziale
che" andava iscritto a suo carico, "nessun rilievo
potendosi dare a declaratorie di disponibilità" cui, al
di là delle forme, erano "puntualmente seguiti
atteggiamenti di segno" esattamente contrario.
In considerazione di quanto sopra,
il Consiglio Nazionale ha quindi concluso per la
sussistenza della responsabilità disciplinare dell'avv.
P., esprimendo in tal modo un giudizio che non può
essere sindacato in questa sede perchè basato su di una
ricostruzione dell'accaduto immune da errori logici o
giuridici.
Pure il terzo motivo del ricorso
dev'essere, pertanto, rigettato al pari, d'altronde, del
quarto, in relazione al quale sembra sufficiente
rilevare che a fronte di una motivazione incongrua del
Consiglio dell'Ordine, il CNF non era certo vincolato a
darne atto e ad annullare di conseguenza la sanzione
della censura, in quanto essendo anche lui giudice del
merito (C. Cass. n. 8429 del 2004 e 15972 del 2009), ben
poteva legittimamente confermarla sulla base di
considerazioni diverse che, nel caso di specie, sono
state ragionevolmente indicate nella "rilevanza del
comportamento illecito" e nel mancato compimento di
"alcun atto emendativo" da parte dell'incolpato.
Nulla per le spese, stante il
mancato svolgimento di attività difensiva da parte del
Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Monza e la
natura di parte in senso solo formale del Procuratore
Generale presso la Corte di Cassazione.
P.Q.M.
La Corte, a Sezioni Unite, rigetta
il ricorso. |