Nel diritto.it
MASSIMA
In tema di risarcimento del danno,
al fine di integrare la fattispecie di cui all'art.
1227, primo comma, c.c. - applicabile per l'espresso
richiamo di cui all'art. 2056 c.c. anche alla
responsabilità extracontrattuale - il comportamento
omissivo del danneggiato rilevante non è solo quello
tenuto in violazione di una norma di legge, ma anche più
genericamente in violazione delle regole di diligenza e
correttezza. Ciò comporta che, ai fini di un concorso
del fatto colposo del danneggiato ex art. 1227, comma,
c.c., sussiste il comportamento omissivo colposo del
danneggiato ogni qual volta tale inerzia contraria a
diligenza, a prescindere dalla violazione di un obbligo
giuridico di attivarsi, abbia concorso a produrre
l'evento lesivo in suo danno.
CASUS DECISUS
La C. Strutture s.r.l. convenne
davanti al tribunale di Ancona il Comune di Ancona,
assumendo che, nel mentre eseguiva lavori edili di
realizzazione di un complesso immobiliare in zona
(omissis), il 25.8.1995 dovette sospendere gli stessi a
causa di allagamento del cantiere per straripamento di
un canale scolmatore di proprietà del Comune, per
difetti di costruzione dell'argine del canale ed omessa
manutenzione dello stesso. L'attrice chiedeva la
condanna del Comune al risarcimento del danno. Il Comune
chiamò in causa il suo assicuratore della responsabilità
civile, s.p.a. Ina Assitalia, che eccepì l'incompetenza
territoriale del tribunale ordinario, in favore del
tribunale regionale delle acque pubbliche. Il Tribunale
dichiarò la nullità della chiamata in causa
dell'assicuratore e l'incompetenza per materia. La C.
srl, con atto del 29.6.2001, riassunse la causa davanti
al Tribunale regionale delle acque pubbliche di Roma,
che, con sentenza del 25.8.1995, dichiarò il Comune
responsabile del 50% dei danni, accolse la domanda di
manleva del Comune nei confronti di Ina Assitalia e
condannò il Comune a pagare alla C. Euro. 35000,00.
Proponevano appello la C. Strutture s.r.l. ed appelli
incidentali l'Ina Assitalia ed il Comune di Ancona. Il
Tribunale Superiore delle acque pubbliche, con sentenza
depositata l'11 marzo 2010, accoglieva l'appello della
C. e condannava il Comune di Ancona al pagamento nei
confronti di questa della somma di Euro. 70.000,00.
Riteneva il Tsap che, giusto quanto accertato dal c.t.u.,
per evitare l'allagamento era necessario che l'argine
posto sul lato del cantiere fosse stato innalzato di
ulteriori cm. 110 con una struttura in cemento armato;
che questa doveva essere effettuata dal Comune
proprietario del canale e non dall'attrice; che
l'impresa non poteva intervenire per modificare una
proprietà pubblica; che, ove avesse innalzato l'argine,
l'attrice sarebbe andata incontro a responsabilità
penali, civili ed amministrative, anche tenendo conto
che il più alto argine avrebbe provocato esondazioni a
valle, danneggiando terzi; che nessuna responsabilità
poteva ravvisarsi nel fatto che l'erigendo fabbricato
aveva una fondazione a platea e non a pali trivellati,
perché al momento dell'avvio dei lavori la scelta della
fondazione su platea non poteva ritenersi imprudente o
negligente. Avverso la detta sentenza ha proposto
ricorso per cassazione il Comune di Ancona. Resistono
con rispettivi controricorsi la C. Struttura s.p.a. e
l'Ina - Assitalia s.p.a. Quest'ultima ha anche proposto
un ricorso incidentale condizionato. Il Comune di Ancona
e la C. Struttura hanno presentato memorie.
ANNOTAZIONE
Nella sentenza in epigrafe, le
sezioni unite della corte di cassazione si soffermano
sulla rilevanza della condotta omissiva del danneggiato
nella causazione dell’illecito civile.
L’analisi muove dall’esame della
norma di cui all’art. 1227 c.c. che con specifico
riferimento alla responsabilità contrattuale disciplina
il concorso del fatto colposo del creditore.
E’ noto, infatti, che “se il fatto
colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno,
il risarcimento è diminuito secondo la gravità della
colpa e le conseguenze che ne sono derivate. Il
risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore
avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza”.
In tema di risarcimento del danno,
l'art. 1227 c.c. quindi, nel disciplinare il concorso di
colpa del creditore nella responsabilità contrattuale -
applicabile per l'espresso richiamo di cui all'art. 2056
c.c. anche alla responsabilità extracontrattuale -
distingue l'ipotesi in cui il fatto colposo del
creditore o del danneggiato abbia concorso al
verificarsi del danno (comma primo), da quella in cui il
comportamento dei medesimi ne abbia prodotto soltanto un
aggravamento senza contribuire alla sua causazione
(secondo comma).
Secondo la dottrina classica, nel
nostro ordinamento esisterebbe, quindi, un principio di
autoresponsabilità, segnatamente previsto dall'art.
1227, primo comma c.c., che imporrebbe ai potenziali
danneggiati doveri di attenzione e diligenza.
La dottrina più recente ha
abbandonato l'idea che la regola di cui all'art. 1227,
primo comma, cc. sia espressione del principio di
autoresponsabilità, ravvisandosi piuttosto un corollario
del principio della causalità, per cui al danneggiante
non può far carico quella parte di danno che non è a lui
causalmente imputabile.
Ne deriva, pertanto, che la colpa,
cui fa riferimento l'art. 1227 c.c., va intesa non nel
senso di criterio di imputazione del fatto (perché il
soggetto che danneggia se stesso non compie un atto
illecito di cui all'art. 2043 c.c.), bensì come
requisito legale della rilevanza causale del fatto del
danneggiato.
Una volta riconosciuta all'art.
1227, primo comma, c.c., la funzione di regolare, ai
fini della causalità di fatto, l'efficienza causale del
fatto colposo del leso, con conseguenze sulla
determinazione dell'entità del risarcimento, ed una
volta ritenuto che detta norma trova il suo
inquadramento nel principio causalistico, secondo cui se
tutto l'evento lesivo è conseguenza del comportamento
colposo del danneggiato, risulta interrotto il nesso di
causalità con le possibili cause precedenti, rimane da
esaminare quando il comportamento omissivo del
danneggiato possa essere idoneo a costituire causa
esclusiva o concausa dell'evento lesivo.
La risposta a tale quesito, impone,
però, la soluzione di un contrasto giurisprudenziale.
E invero, come rilevato dalle
sezioni unite, in tema di nesso causale per illeciti
omissivi e con riferimento al comportamento dell'autore
dell'illecito (diverso quindi dal comportamento del
danneggiato) nella giurisprudenza di legittimità
coesistono due orientamenti ispirati rispettivamente
alla tipicità ed all'atipicità dell'illecito omissivo.
Secondo il primo di tali
orientamenti (che fa capo all'art. 40, c. 2, c.p., nella
sua valenza letterale: "non impedire un evento, che si
ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a
cagionarlo"), ai fini della responsabilità per danni da
condotta omissiva non è sufficiente richiamarsi al
principio del "neminem laedere" o ad una generica
antidoverosità sociale dell'inerzia, ma occorre
individuare, caso per caso, un vero e proprio obbligo
giuridico di impedire l'evento che può derivare, oltre
che dalla norma, da uno specifico rapporto negoziale o
di altra natura che leghi danneggiato e soggetto
chiamato a rispondere (Cass. 25.9.1998, n. 9590; Cass.
6.4.1992, n. 2134; Cass. 9.1.1979, n. 116; Cass. 28
giugno 2005 n. 13982;).
Secondo l'altro orientamento, un
obbligo giuridico di impedire l'evento può derivare
anche da una specifica situazione che esiga una
determinata attività a tutela di un diritto altrui
(Cass. 8.1.1997, n. 72; Cass. 14.10.1992, n. 11207;
Cass. 29/07/2004, n.14484; Cass. 23/05/2006, n. 12111).
Orbene, le sezioni unite ritengono
di dover aderire a questo secondo orientamento, tenuto
conto che esso si appalesa più conforme al principio
solidaristico di cui all'art. 2 Cost., nonché al dovere
di comportamento secondo correttezza, che attiene anche
alla fase genetica dell'obbligazione (art. 1175 c.c.)
(indicazioni in questo senso emergono già da Cass. S.U.
n. 576 del 2008).
E invero, secondo quanto statuito
dalle sezioni unite “al fine di integrare la fattispecie
di cui all'art. 1227, c. 1, c.c., il comportamento
omissivo del danneggiato rilevante non è solo quello
tenuto in violazione di una norma di legge, ma anche più
genericamente in violazione delle regole di diligenza e
correttezza”.
Specificamente, “proprio perché è
rimasta superata la teoria del principio di
autoresponsabilità del danneggiato, la colposità del
comportamento del creditore-danneggiato, pur richiesta
dall'art. 1227, 1 c., c.c., è l'unico elemento di
selezione dei vari possibili comportamenti
eziologicamente idonei del danneggiato, qualunque possa
essere l'interpretazione dell'obbligo giuridico, cui si
richiama l’art. 40, c. 2, c.p.c., allorché il danno
trovi la sua causa nel comportamento omissivo di altro
soggetto. Così ristretta nella funzione la portata della
colpa del creditore-danneggiato, stante la genericità
dell'art. 1227, c. 1, cc. sul punto, la colpa sussiste
non solo in ipotesi di violazione da parte del
creditore-danneggiato di un obbligo giuridico, ma anche
nella violazione della norma comportamentale di
diligenza, sotto il profilo della colpa generica. Ciò
comporta che, ai fini dell'art. 1227, c. 1, c.c.,
sussiste il comportamento omissivo colposo del
danneggiato ogni qual volta tale inerzia contraria a
diligenza, a prescindere dalla violazione di un obbligo
giuridico di attivarsi, abbia concorso a produrre
l'evento lesivo in suo danno”.
TESTO DELLA SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE
- SENTENZA 21 novembre 2011, n.24406 - Pres. Vittoria –
est. Sergreto
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo del ricorso
principale il Comune ricorrente lamenta la violazione e
falsa applicazione degli artt. 4 l. n. 696/1994, 12,
d.lgs n. 494/1996 (ora d. lgs. 81/2008), 57 e 58 r.d.
523/1904, in relazione all'art. 200 r.d. 1175/1933;
lamenta altresì l'eccesso di potere per illogicità e
contraddittorietà della motivazione ex art. 200 r.d.
1175/1933, nonché ex art. 3 L. 31 marzo 1877, n. 3761,
in relazione alla negata corresponsabilità della soc. C.
nella causazione dell'evento dannoso. Secondo il
ricorrente ha errato il TSAP nel ritenere che la C.
strutture non poteva di sua iniziativa innalzare di cm.
110 l'argine del canale scolmatore, perché ciò
costituiva un illecito civile (operando sulla proprietà
pubblica) e penale, per costruzione abusiva. Ritiene il
ricorrente che l'attrice aveva l'obbligo, a norma
dell'art. 2087 c.c. e del d.lgs. n. 494/1996, trasfuso
nel d. lgs. 81/2008, di predisporre il piano di
sicurezza ed adottare tutti gli ausili possibili per la
sicurezza del cantiere. Secondo il ricorrente la natura
precaria dell'opera comportava la non necessità della
concessione edilizia ed inoltre, poiché si trattava di
opera temporanea, l'innalzamento dell'argine del canale
di circa cm. 110 non necessitava di permesso di
costruzione.
Sostiene il ricorrente che,
trattandosi di opere temporanee per quanto sulla sponda
del canale, esse non erano vietate a norma dell'art. 96
del r.d. n. 523/1904.
2.1. Il motivo è infondato.
Il nucleo centrale della censura,
come emerge anche dal titoletto del motivo, è costituito
dalla doglianza avverso la sentenza impugnata nella
parte in cui questa non ha rilevato che l'attrice aveva
una corresponsabilità nella causazione dell'evento
dannoso, non avendo realizzato l'innalzamento
dell'argine del canale, idonea ad evitare l’esondazione,
pur avendo un obbligo di realizzazione di tale misura di
sicurezza. Sotto questo profilo il motivo di ricorso si
articola nell'individuazione delle norme giuridiche che
fonderebbero l'obbligo giuridico della società C. di
innalzare il muro di sponda del canale.
2.2.Va preliminarmente osservato
che, in tema di risarcimento del danno, l'art. 1227 cod.
civ.,nel disciplinare il concorso di colpa del creditore
nella responsabilità contrattuale, applicabile per
l'espresso richiamo di cui all'art. 2056 cod. civ. anche
alla responsabilità extracontrattuale,distingue
l'ipotesi in cui il fatto colposo del creditore o del
danneggiato abbia concorso al verificarsi del danno
(comma primo), da quella in cui il comportamento dei
medesimi ne abbia prodotto soltanto un aggravamento
senza contribuire alla sua causazione (secondo comma).
Secondo la dottrina classica nel
nostro ordinamento esisterebbe un principio di
autoresponsabilità, segnatamente previsto dall'art.
1227, c. 1 c.c., oltre che da altre norme, che
imporrebbe ai potenziali danneggiati doveri di
attenzione e diligenza. L'autoresponsabilità
costituirebbe un mezzo per indurre anche gli eventuali
danneggiati a contribuire, insieme con gli eventuali
responsabili, alla prevenzione dei danni che potrebbero
colpirli.
2.3.Senza entrare nella questione
dell'esistenza nel nostro ordinamento del detto
principio di autoresponsabilità, va solo rilevato che la
dottrina più recente, che questa Corte ritiene di dover
condividere, ha abbandonato l'idea che la regola di cui
all'art. 1227, c. 1, cc. sia espressione del principio
di autoresponsabilità, ravvisandosi piuttosto un
corollario del principio della causalità, per cui al
danneggiante non può far carico quella parte di danno
che non è a lui causalmente imputabile. Pertanto la
colpa, cui fa riferimento l'art. 1227 c.c., va intesa
non nel senso di criterio di imputazione del fatto
(perché il soggetto che danneggia se stesso non compie
un atto illecito di cui all'art. 2043 c.c.), bensì come
requisito legale della rilevanza causale del fatto del
danneggiato.
2.4.Una volta riconosciuta all'art.
1227, c. 1, c.c., la funzione di regolare, ai fini della
causalità di fatto, l'efficienza causale del fatto
colposo del leso, con conseguenze sulla determinazione
dell'entità del risarcimento, ed una volta ritenuto che
detta norma trova il suo inquadramento nel principio
causalistico, secondo cui se tutto l'evento lesivo è
conseguenza del comportamento colposo del danneggiato,
risulta interrotto il nesso di causalità con le
possibili cause precedenti, rimane solo da esaminare
quando il comportamento omissivo del danneggiato possa
essere idoneo a costituire causa esclusiva o concausa
dell'evento lesivo.
Va, anzitutto, rilevato che in tema
di nesso causale per illeciti omissivi e con riferimento
al comportamento dell'autore dell'illecito (diverso
quindi dal comportamento del danneggiato) nella
giurisprudenza di questa Corte coesistono due
orientamenti ispirati rispettivamente alla tipicità ed
all'atipicità dell'illecito omissivo.
Secondo il primo di tali
orientamenti (che fa capo all'art. 40, c. 2, c.p., nella
sua valenza letterale: 'non impedire un evento, che si
ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a
cagionarlo'), ai fini della responsabilità per danni da
condotta omissiva non è sufficiente richiamarsi al
principio del 'neminem laedere' o ad una generica
antidoverosità sociale dell'inerzia, ma occorre
individuare, caso per caso, un vero e proprio obbligo
giuridico di impedire l'evento che può derivare, oltre
che dalla norma, da uno specifico rapporto negoziale o
di altra natura che leghi danneggiato e soggetto
chiamato a rispondere (Cass. 25.9.1998, n. 9590; Cass.
6.4.1992, n. 2134; Cass. 9.1.1979, n. 116; Cass. 28
giugno 2005 n. 13982;).
Secondo l'altro orientamento, un
obbligo giuridico di impedire l'evento può derivare
anche da una specifica situazione che esiga una
determinata attività a tutela di un diritto altrui
(Cass. 8.1.1997, n. 72; Cass. 14.10.1992, n. 11207;
Cass. 29/07/2004, n.14484; Cass. 23/05/2006, n. 12111).
2.5. Ritiene questa Corte di dover
aderire a questo secondo orientamento, tenuto conto che
esso si appalesa più conforme al principio solidaristico
di cui all'art. 2 Cost., nonché al dovere di
comportamento secondo correttezza, che attiene anche
alla fase genetica dell'obbligazione (art. 1175 c.c.)
(indicazioni in questo senso emergono già da Cass. S.U.
n. 576 del 2008) Già solo rapportando tale
interpretazione del nesso causale da comportamento
omissivo alla situazione in cui tale condotta dannosa è
dello stesso danneggiato, deve ritenersi che questi è
tenuto ad attivarsi per evitare che si verifichi un
evento lesivo in suo danno, secondo comuni principi di
diligenza.
2.6. Sennonché vi è anche una più
specifica ragione per ritenere che, al fine di integrare
la fattispecie di cui all'art. 1227, c. 1, c.c., il
comportamento omissivo del danneggiato rilevante non è
solo quello tenuto in violazione di una norma di legge,
ma anche più genericamente in violazione delle regole di
diligenza e correttezza.
Proprio perché è rimasta superata
la teoria del principio di autoresponsabilità del
danneggiato, la colposità del comportamento del
creditore-danneggiato, pur richiesta dall'art. 1227, 1
c., c.c., è l'unico elemento di selezione dei vari
possibili comportamenti - eziologicamente idonei - del
danneggiato, qualunque possa essere l'interpretazione
dell'obbligo giuridico, cui si richiama l’art. 40, c. 2,
c.p.c., allorché il danno trovi la sua causa nel
comportamento omissivo di altro soggetto.
Così ristretta nella funzione la
portata della colpa del creditore-danneggiato, stante la
genericità dell'art. 1227, c. 1, cc. sul punto, la colpa
sussiste non solo in ipotesi di violazione da parte del
creditore-danneggiato di un obbligo giuridico, ma anche
nella violazione della norma comportamentale di
diligenza, sotto il profilo della colpa generica.
2.7. Ciò comporta che, ai fini
dell'art. 1227, c. 1, c.c., sussiste il comportamento
omissivo colposo del danneggiato ogni qual volta tale
inerzia contraria a diligenza, a prescindere dalla
violazione di un obbligo giuridico di attivarsi, abbia
concorso a produrre l'evento lesivo in suo danno.
Né va trascurato il rilievo che la
contraria tesi finirebbe per svuotare parzialmente di
contenuto il principio di cui all'art. 1227, c. 1, cc.
(anche nell'ipotesi di causalità esclusiva) in tutti i
casi di comportamento omissivo colposo del danneggiato,
in quanto generalmente l'ordinamento non pone obblighi
giuridici a carico di un soggetto per la tutela delle
posizioni giuridiche di questi, mentre la regola di cui
all'art. 1227 c.c. va inquadrata esclusivamente
nell'ambito del rapporto causale ed è espressione del
principio che esclude la possibilità di considerare
danno risarcibile quello che ciascuno procura a se
stesso (Cass. 26/04/1994, n.3957; Cass. 08/05/2003, n.
6988).
2.8. Non può, quindi condividersi
il principio rigido di Cass. 30/09/2008, n. 24320,
secondo cui il concorso del fatto colposo del
danneggiato, che ai sensi dell'art. 1227, c. 1, c.c.,
esclude o limita il diritto al risarcimento, non può
essere invocato allorché la vittima del fatto illecito
abbia omesso di rimuovere tempestivamente una situazione
pericolosa creata dallo stesso danneggiante, dalla quale
- col concorso di ulteriori elementi causali - sia
derivato il pregiudizio del quale si chiede il
risarcimento. Anche in questo caso il giudice di merito
dovrà valutare se il comportamento omissivo tenuto dal
danneggiato, rilevante sotto il profilo eziologico, sia
stato connotato da colpa sia pure generica, nei termini
sopra detti.
3.1. Nella fattispecie
correttamente la sentenza impugnata ha escluso che
sussistesse un comportamento colposo dell'attrice, per
avere questa omesso di alzare l'argine del canale
scolmatore con una struttura in cemento armato alta cm.
110, che avrebbe modificato l'immobile di proprietà di
ente pubblico. Corretta in diritto ed immune da vizi
motivazionali è l'osservazione che tale intervento non
era esigibile nei confronti dell'attrice (e quindi il
suo comportamento non è carente di diligenza), poiché
l'avrebbe esposta al rischio di incorrere in un illecito
civile per violazione del diritto di proprietà pubblica
ed un illecito penale per la realizzazione di manufatti
non previsti dalla concessione, nonché alla
responsabilità nei confronti dei terzi confinanti, a cui
veniva traslato da parte di un privato, ed in assenza di
ogni autorizzazione, l'evento dannoso dell'inondazione.
3.2.Inconferenti sono i richiami a
pretesi obblighi giuridici per la sopraelevazione del
muro, che secondo il ricorrente deriverebbero dall'art.
2087 c.c. e dal decreto legislativo n. 494 del 1996.
Entrambe tali fonti normative
attengono alla sicurezza dei cantieri in relazione ai
danni alla persona e non alla tutela dei beni privati in
prossimità di corsi d'acqua.
Inoltre correttamente ha ritenuto
il TSAP che l'innalzamento dell'argine di cm. 110 con
struttura in cemento armato, necessitava
dell'autorizzazione della P.A. competente. Le
disposizioni degli artt. 57 e 58 stesso t.u. r.d. 25
luglio 1904, n. 523, mentre assoggettano al controllo
della pubblica amministrazione 'i progetti per
modificazioni di argini e per costruzioni e
modificazioni di altre opere di qualsiasi genere che
possono direttamente o indirettamente influire sul
regime dei corsi d'acqua, ecc.' (art. 57),consentono una
eccezione per 'le opere eseguite dai privati per
semplice difesa, aderente alle sponde dei loro beni, che
non alterino in alcun modo il regime dell'alveo' (art.
58).
Sennonché nella fattispecie non si
trattava di opera a difesa di bene privato aderente alle
sponde, ma di opera di un privato che modificava
direttamente l'argine, mediante innalzamento dello
stesso con opera in struttura cementizia armata, e
quindi, tutt'altro che precaria e transitoria, come
assume il ricorrente, la quale opera finisce per
influire sul regime delle acque, perché impedisce in
quel punto le esondazioni, traslandole in altra zona e
quindi nei terreni di terzi.
4. Con il secondo motivo di ricorso
il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione
dell'art. 4 l. 10/1977 (ora in relazione all'art. 12
d.p.r. 380/2001), in relazione all'art. 200 r.d.
1175/1993.
Assume il ricorrente che la
sentenza impugnata erroneamente ha ritenuto che il
Comune avrebbe dovuto subordinare il rilascio della
concessione edilizia a specifiche opere di presidio,
chiedendo al privato di intervenire sul bene pubblico
con modalità e forme indicate nella concessione.
5. Il motivo è inammissibile.
Infatti il TSAP, dopo aver ritenuto
che i lavori non potevano essere effettuati dalla parte
privata in assenza di autorizzazione del Comune, ha
considerato che il Comune 'avrebbe dovuto semmai
subordinare il rilascio della concessione edilizia a
specifiche opere di presidio, chiedendo al privato di
intervenire sul bene pubblico con modalità e forme
specificamente autorizzate ed indicate nella
concessione'.
Trattasi di un argomento di
supporto a quello su cui si basa la motivazione di
accoglimento dell'appello e cioè che l'unico soggetto
legittimato ad intervenire sugli argini del canale era
il Comune.
Ne consegue che nella fattispecie
l'argomentazione è adottata dalla corte ad abundantiam,
consistente cioè in argomentazione rafforzativa di
quella costituente la premessa logica della statuizione
contenuta nel dispositivo.
Tali affermazioni vanno considerate
di regola superflue e quindi giuridicamente irrilevanti
ai fini della censurabilità qualora, come nella
fattispecie, l'argomentazione rafforzata sia per sé
sufficiente a giustificare la pronuncia adottata.
Infatti le argomentazioni ad
abundantiam non sono suscettibili di impugnazione in
sede di legittimità indipendentemente dalla loro
esattezza o meno, se il dispositivo sia fondato su
corretta argomentazione avente carattere principale ed
assorbente.
È quindi inammissibile il motivo di
ricorso per cassazione che censura un'argomentazione
della sentenza impugnata svolta 'ad abundantiam', e
pertanto non costituente 'ratio decidendi' della
medesima, non avendo nessuna influenza sul dispositivo
e, quindi, non producendo effetti giuridici (Cass.
12/08/2004, n. 15635; Cass. 17/02/2004, n. 3002; Cass. 4
agosto 2000, n. 10241; Cass. 10 giugno 1999, n. 5714).
6. Con il terzo motivo di ricorso
il ricorrente lamenta l'eccesso di potere ex art. 200
r.d. 1175/1933, nonché dell'art. 3 l. 31 marzo 1877 n.
3761 per carenza, contraddittorietà ed illogicità della
motivazione con cui è stato rigettato l'appello
incidentale condizionato del Comune in relazione
all'affermata irrilevanza del tipo di fondazione scelta
dalla soc Cepi: e cioè fondazione a platea invece che
con pali trivellati profondi.
Secondo il ricorrente erroneamente
la sentenza impugnata ha ritenuto che la realizzazione
della fondazione a platea, in luogo di quella su pali
trivellati non avrebbe avuto alcun rilievo.
7.1. Il motivo è infondato.
Con esso, in buona sostanza, il
ricorrente sostiene che se l'attrice avesse adottato il
sistema della fondazione con pali trivellati e non con
platea, non si sarebbero avuti gravi effetti deformativi
con l'esondazione e quindi ci sarebbe stata una
limitazione dei danni.
Anche in questo caso la
prospettazione attiene ad un concorso della condotta
colposa del danneggiato nella causazione dell'evento
dannoso (sul quale istituto si è già detto).
7.2. Sul punto la decisione del
Tsap è chiara e corretta.
Anzitutto va ricordato che avverso
le sentenze del Tribunale superiore delle acque
pubbliche - alle quali sia applicabile 'ratione
temporis' il d.lgs. n. 40 del 2006 -, il ricorso per
cassazione è ammesso anche per denunziare il vizio di
motivazione di cui all'art. 360, primo comma, n. 5, cod.
proc. civ.. (Cass. Sez. Unite, 02/12/2008, n. 28547).
La sentenza impugnata ha rilevato
che la questione del tipo di fondazione è irrilevante.
Infatti, poiché la scelta di una fondazione a platea
risultava conforme ai canoni tecnici ed era stata
approvata dalle autorità competenti, secondo le
conclusioni del ctu non poteva addebitarsi alla Cepi
alcun profilo di colpa per aver adottato tale soluzione,
in quanto non potrebbe individuarsi una colpa per non
aver previsto che in caso di alluvione del cantiere (e
quindi in corso d'opera senza carichi stabilizzanti la
fondazione a platea) i danni per una fondazione su pali
trivellati sarebbero stati inferiori.
La questione, quindi, non è quale
fosse la migliore fondazione possibile, su cui si è
diffuso il ricorrente, ma se l'attrice fosse in colpa
(quella rilevante ex art. 1227 c.c.) nell'aver adottato
la fondazione a platea.
Con la suddetta argomentazione,
immune da vizi logici o giuridici, il Tsap ha escluso
l'esistenza di tale colpa nella fattispecie in esame. Le
contrarie censure del ricorrente si risolvono in una
diversa lettura delle risultanze processuali,
inammissibile in questa sede di sindacato di
legittimità.
8. Con il quarto motivo di ricorso
il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione
degli artt. 1362, 1363, 1366, 1370 c.c. in relazione
all'art. 200 c. 1, lett. B) r.d. 1175/1933, l'eccesso di
potere in relazione all'art. 200 cit., nonché la
violazione dell'art. 3 l. 31 marzo 1877, n. 3761 per
insufficiente motivazione circa l'esclusione della
copertura assicurativa.
Il ricorrente lamenta che il Tsap
abbia ritenuto che la tracimazione del canale non
rientrasse nell'ambito dei rischi di evento dannoso
coperti dalla polizza assicurativa stipulata tra il
Comune e l'Ina Assitalia s.p.a..
Assume il ricorrente che la polizza
assicurativa sarebbe stata erroneamente interpretata dal
giudice di merito.
9.1. Il motivo è inammissibile.
A tal fine osserva questa Corte che
in tema di ricorso per cassazione, l'art. 366, primo
comma, n. 6, cod. proc. civ., novellato dal d.lgs. n. 40
del 2006, oltre a richiedere l’indicazione degli atti,
dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti
a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in
quale sede processuale il documento risulti prodotto;
tale prescrizione va correlata all'ulteriore requisito
di procedibilità di cui all'art. 369, secondo comma, n.
4 cod. proc. civ., per cui deve ritenersi, in
particolare, soddisfatta: a) qualora il documento sia
stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso
ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la
produzione del fascicolo, purché nel ricorso si
specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede
in cui il documento è rinvenibile; b) qualora il
documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito,
dalla controparte, mediante l'indicazione che il
documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di
merito di controparte, pur se cautelativamente si rivela
opportuna la produzione del documento, ai sensi
dell'art. 369, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., per il
caso in cui la controparte non si costituisca in sede di
legittimità o si costituisca senza produrre il fascicolo
o lo produca senza documento; c) qualora si tratti di
documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo
alla nullità della sentenza od all'ammissibilità del
ricorso (art. 372 p.c.) oppure di documento attinente
alla fondatezza del ricorso e formato dopo la fase di
merito e comunque dopo l'esaurimento della possibilità
di produrlo, mediante la produzione del documento,
previa individuazione e indicazione della produzione
stessa nell'ambito del ricorso.
Quindi la causa di inammissibilità
prevista dal nuovo art. 366 c.p.c., n. 6, è direttamente
ricollegata al contenuto del ricorso, come requisito che
si deve esprimere in una indicazione contenutistica
dello stesso (si vedano, in termini, Cass. S.U. n. 7161
del 25/03/2010; Cass. S.U. n.28547/2008).
9.2. Nella fattispecie non è
indicato nel ricorso se la polizza assicurativa, posta a
base prima della domanda e poi della censura in questa
sede, sia stata depositata e quando nel giudizio di
merito e se la stessa sia stata depositata e dove in
questo giudizio di legittimità.
9.3. In ogni caso l'inammissibilità
consegue anche al mancato rispetto del principio di
autosufficienza del ricorso. Infatti la polizza
assicurativa non risulta trascritta nel ricorso, quanto
meno nelle parti salienti, mentre ciò doveva essere
effettuato dato che, per il principio di autosufficienza
del ricorso per Cassazione, il controllo deve essere
consentito alla corte di cassazione sulla base delle
deduzioni contenute nell'atto, alle cui lacune non è
possibile sopperire con indagini integrative (Cass.
28/06/2006, n. 14973; Cass. 23.3.2005, n. 6225; Cass.
23.1.2004, n. 1170). 10.11 ricorso va rigettato.
Il ricorso incidentale condizionato
va, quindi, dichiarato assorbito.
Il ricorrente va condannato al
pagamento delle spese del giudizio di cassazione,
sostenute da ciascuna delle resistenti; va, altresì,
condannato (cfr. Cass. civ., Sez. III, 25/03/2009, n.
7248; Cass. N. 3341/2009) al pagamento nei confronti di
CEPI Strutture delle spese del procedimento di
sospensione dell'esecuzione della sentenza impugnata ex
art. 373 c.p.c., conclusosi con ordinanza di rigetto del
TSAP del 9.2.2011, che rimetteva a questa corte la
liquidazione delle spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e
dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato.
Condanna il ricorrente al pagamento
delle spese del giudizio di cassazione, liquidate per
ciascuna delle resistenti, in complessivi Euro. 4200,00,
di cui Euro. 200,00 per spese, oltre spese generali ed
accessori di legge, nonché al pagamento nei confronti
della Cepi Strutture s.r.l. delle spese del procedimento
ex art. 373 c.p.c., liquidate in complessivi Euro.
1000,00, di cui Euro. 200,00 per spese, Euro. 200,00 per
diritti ed Euro. 600,00 per onorario, oltre spese
generali ed accessori di legge.
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