Staiano Rocchina
1. Premessa
La pronuncia in esame ribadisce
che, nei procedimenti disciplinari a carico di avvocati,
la concreta individuazione delle condotte costituenti
illecito disciplinare, definite dalla legge mediante una
clausola generale (mancanze nell'esercizio della
professione o comunque fatti non conformi alla dignità e
al decoro professionale), è rimessa alla valutazione
dell'Ordine professionale ed il controllo di legittimità
sull'applicazione di tali valutazioni non consente alla
Corte di Cassazione di sostituirsi al Consiglio
nazionale forense nell'enunciazione di ipotesi di
illecito, se non nei limiti di una valutazione di
ragionevolezza" (1).
Infatti, va rilevato che
nell'ambito del procedimento disciplinare, il Consiglio
dell'Ordine è tenuto a porre in essere una verifica
sulla sussistenza del requisito della condotta
specchiatissima ed illibata" tanto che "ove il Consiglio
dell'Ordine (lo) ritenga insussistente non potrà
procedere all'applicazione di una sanzione "lieve"
(quale l'ammonimento o la censura) ma dovrà procedere
alla cancellazione dall'albo per sopravvenuto venir meno
di un requisito di iscrizione.
2. Ipotesi di comportamenti
censurabili dell’avvocato e consiglio nazionale forense
L'avvocato che presenti
tardivamente un ricorso di opposizione a sanzione
amministrativa e tenti di convincere il cliente a
presentare ricorso in cassazione per
sopperire alla sua negligenza pone
in essere un comportamento deontologicamente rilevante
perché lesivo dei canoni di correttezza e lealtà che
costituiscono il cardine dell'attività forense e
impongono al professionista di tenere i rapporti con il
cliente in modo chiaro leale e senza artifìci tali da
incriminare il rapporto fiduciario che li lega. (Nella
specie è stata confermata la sanzione della censura:
Cons. Naz. Forense, 01/10/2002, n. 167).
Pone in essere un comportamento
deontologicamente rilevante l'avvocato che nella sua
qualità di difensore d'ufficio non compaia nell'udienza
dibattimentale di due procedimenti e si renda
irreperibile il giorno in cui era indicato di turno.
(Nella specie è stata confermata la sanzione della
censura: Cons. Naz. Forense, 25/09/2002, n. 146).
Pone in essere un comportamento
deontologicamente rilevante l'avvocato che, in
violazione di quanto prescritto dall'art. 14 c.d.f.,
effettui dichiarazioni false in udienza per indurre il
magistrato a un provvedimento vantaggioso per il proprio
assistito. (Nella specie l'avvocato dichiarava
falsamente che il tribunale della libertà, nei confronti
di un coindagato, aveva assunto una misura cautelare più
lieve di quella che il magistrato d'udienza avrebbe
voluto disporre nei confronti del proprio assistito. È
stata confermata la sanzione della censura: Cons. Naz.
Forense, 06/09/2002, n. 123). giudizio civile, faccia
rilevare l'esistenza di un esposto presentato nei
confronti dell'organo giudicante, ove la circostanza
risulti veritiera e documentata e non vi siano elementi
tali da indurre a ritenere fondatamente che l'iniziativa
si ponesse lo scopo di influenzare negativamente il
giudice o di porlo in condizioni di non svolgere
serenamente la propria attività. (Nella specie è stato
assolto il professionista a cui era stata inflitta la
sanzione della censura: Cons. Naz. Forense, 30/08/2002,
n. 116).
Pone in essere un comportamento
disciplinarmente rilevante, e contrario agli obblighi di
lealtà e correttezza propri della professione forense,
l'avvocato che registri un colloquio con un magistrato
all'insaputa di quest'ultimo e che successivamente si
adoperi per la pubblica diffusione di tale
registrazione. (Nella specie è stata confermata la
sanzione disciplinare della censura: Cons. Naz. Forense,
04/11/2000, n. 139).
Costituisce illecito disciplinare
l'uso abusivo del titolo di avvocato e l'esercizio
dell'attività professionale al di fuori del distretto,
da parte di un procuratore legale effettuato
antecedentemente alla l. n. 27 del 1997; infatti tale
disposizione normativa, che ha sostituito il titolo di
avvocato a quello di procuratore, non costituisce
certamente "ius superveniens" rilevante ai fini del
giudizio disciplinare in corso, e non ha neppure
efficacia retroattiva,
nè effetto sanante per l'infrazione
precedentemente commessa. (Nella specie è stata inflitta
la sanzione della censura: Cons. Naz. Forense,
07/10/2000, n. 100).
Pone in essere un comportamento
deontologicamente rilevante il professionista che usi
abusivamente il titolo di avvocato a nulla rilevando che
il termine di "avvocato" sia stato correntemente
attribuito all'esercente l'attività forense, e che il
termine "procuratore legale" sia stato sostituito con
quello di avvocato, essendo tale sostituzione successiva
all'infrazione commessa. (Nella specie la sanzione della
sospensione per mesi due è stata sostituita con la
sanzione della censura: Cons. Naz. Forense, 10/03/1999,
n. 14).
Pone in essere un comportamento
deontologicamente rilevante l'avvocato che rappresenti
in giudizio una parte nei confronti della quale il
proprio coniuge abbia formulato richieste di condanna
(tanto più in quanto questi svolga l'attività
professionale nell'ambito dello stesso studio), ed
altresì, sostituisca in udienza il collega
rappresentante di altra parte processuale, anche se
questa abbia assunto una linea difensiva di piena
adesione alla tesi della propria assistita. (Nella
specie è stata confermata la sanzione della censura:
Cons. Naz. Forense, 29/09/1998, n. 123).
Pone in essere un comportamento
deontologicamente scorretto l'avvocato che si faccia
intestare una quietanza ed il relativo assegno in modo
da poter poi auto - liquidare il proprio compenso.
(Nella specie la sanzione della sospensione per mesi due
è stata sostituita con la sanzione della censura: Cons.
Naz. Forense, 16/12/1997).
Pone in essere un comportamento
rilevante deontologicamente l'avvocato che condizioni la
prosecuzione dell'assistenza legale al versamento di
somme particolarmente elevate ed addebiti al cliente,
dopo la rinuncia al mandato, una ingente spesa per
attività non richiesta svolta da società fiduciaria
avente sede presso il proprio studio. (Nella specie è
stata confermata la sanzione della censura: Cons. Naz.
Forense, 11/12/1997).
Rocchina Staiano
Docente all’Univ. Teramo; Docente
formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e
Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre
2010; Avvocato
__________
(1) Cass. civ., Sez. Un., n. 20024
del 2004.
Professionisti: fatti privati che colpiscono la
reputazione professionale dell’iscritto compromettendo
l’intera classe forense (Cass. n. 23020/2011)
Svolgimento del processo
1 - Con decisione in data 22 settembre 2008 il Consiglio
dell'Ordine degli Avvocati di Trapani inflisse
all'iscritto V.B. L. la sanzione disciplinare della
censura, avendo ritenuto che le sentenze dei giudici
penali che, rispettivamente, avevano dichiarato non
doversi procedere nei suoi confronti in ordine ai reati
di molestie e ingiurie per intervenuta remissione di
querela e lo avevano assolto dall'imputazione di tentata
violenza privata, non potessero estinguere nè scriminare
comportamenti sanzionati dal codice deontologico dal
momento che essi, pur avendo valenza squisitamente
personale, avevano inevitabilmente colpito la
reputazione professionale dell'iscritto e compromesso
l'intera classe forense.
2 - Con decisione in data 22 aprile - 2 novembre 2010 il
Consiglio Nazionale Forense rigettò il ricorso del V.,
affermando che l'art. 5 del codice deontologico, di cui
era stata chiesta la disapplicazione, non configgeva con
il diritto al rispetto della vita privata e familiare
sancito dall'art. 8 C.E.D.U..
3 - Il V. ricorre ritualmente alle Sezioni Unite della
Corte di Cassazione formulando un unico motivo, mediante
il quale ripropone il tema della compatibilità dell'art.
5, comma 2 Codice deontologico con l'art. 8 della
Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo.
Gli intimati non hanno espletato difese.
Motivi della decisione
1 - Il ricorrente denuncia violazione e falsa
applicazione dell'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in
relazione all'art. 8 C.E.D.U. e all'art. 5, comma 2 del
Codice deontologico.
Egli assume che il diritto della persona al rispetto
della vita privata e familiare, costituendo uno dei
diritti fondamentali della persona, non può subire
ingerenza da parte di una autorità pubblica, a meno che
tale ingerenza sia prevista dalla legge quale misura
necessaria in una società democratica per garantire la
sicurezza nazionale, la pubblica sicurezza, il benessere
economico del paese, la protezione della morale pubblica
o per la tutela dei diritti altrui.
Quindi censura la decisione impugnata per non avere
affrontato la verifica della correlazione e incidenza
del disposto dell'art. 5, comma 2 codice deontologico
con l'art. 8 C.E.D.U., in tal modo violando l'art. 112
c.p.c..
Evidenzia che la giurisprudenza di questa Corte ha
ritenuto che l'interpretazione più coerente dell'art. 5
cod. deont. debba essere nella direzione della sanzione
per un disvalore e non invece per un comportamento
(Cass. Sez. Un. 16 novembre 2007, n. 2372). Rileva che
l'art. 5, comma 2, c.d. tipicizza una previsione a forma
libera ove il substrato materiale della fattispecie cui
è ancorata la sanzione in caso di violazione non
riguarda una condotta ben determinata o un evento già
individuato nei suoi confronti fattuali, ma piuttosto un
evento la cui configurazione è rimessa ad una ulteriore
verifica di ordine sociale e/o ad un comune sentire del
tessuto culturale, appunto il senso etico della probità
e del decoro, profili ben diversi dai doveri di
correttezza e lealtà tipici dell'attività professionale.
2 - Occorre subito precisare, seguendo un iter logico
corretto, che la decisione impugnata in realtà ha posto
in correlazione l'art. 5, comma 2 cod. deont. con l'art.
8 C.E.D.U., escludendo la configurabilità del preteso
conflitto sul rilievo che, per il primo, la condotta
dell'avvocato non deve uscire dall'ambito privato e
familiare, come tale del tutto rispettabile, e non deve
riflettersi negativamente sulla reputazione
professionale o compromettere l'immagine della classe
forense.
La conseguenza logica da trame è, dunque, che - secondo
la decisione impugnata - la condotta dell'avvocato è
censurabile disciplinarmente proprio allorchè travalichi
l'ambito privato e familiare, che è quello tutelato
dall'art. 8 C.E.D.U..
Viene, quindi, a cadere il riferimento all'art. 112
c.p.c., del resto non prospettato ritualmente dal V..
3 - La costruzione teorica del ricorrente viene
compromessa alla radice da un elemento di fatto
adeguatamente sottolineato dalla decisione impugnata:
nei fatti vennero coinvolti soggetti appartenenti
all'ambiente forense e giudiziario ed essi vennero
pubblicizzati da "numerosi articoli di stampa".
Non può essere invocata una norma che tutela - anche a
fronte di una autorità pubblica - il rispetto della vita
privata e familiare della persona, ogni volta che i
fatti potenzialmente lesivi siano usciti da tale ambito,
siano divenuti di pubblico dominio e abbiano ingenerato
notorietà e commenti idonei ad incidere oltre i limiti
della sfera strettamente privata e familiare e a
riverberare riflessi negativi sull'attività
professionale.
4 - Si osserva, sul piano giuridico, che l'art. 5 cod.
deont. impone all'avvocato di ispirare la propria
condotta all'osservanza dei doveri di probità, dignità e
decoro e, in particolare, al secondo comma, prevede il
procedimento disciplinare per fatti anche non
riguardanti l'attività forense quando si riflettano
sulla sua reputazione professionale o compromettano
l'immagine della classe forense.
E' certo che quella in esame sia una norma in bianco, ma
è agevole rilevare che non potrebbe essere diversamente
dal momento che una tipicizzazione rigida delle ipotesi
regolate sarebbe, al tempo stesso, eccessivamente
analitica e riduttiva. D'altra parte questa tecnica
normativa è comunemente applicata nella materia
disciplinare. Questa Corte ha già avuto occasione di
affermare (Cass. Sez. Un. 5 dicembre 2007, n. 37) la
legittimità costituzionale delle norme dell'ordinamento
disciplinare forense anche nella parte in cui, con
riguardo alla materia disciplinare, omettono una precisa
individuazione delle regole di deontologia
professionale, poichè la predeterminazione e la certezza
dell'incolpazione ben può ricollegarsi a concetti
diffusi e generalmente compresi dalla collettività in
cui il giudice opera e poichè all'esercizio del potere
disciplinare, quale espressione di potestà
amministrativa, sono estranei i precetti costituzionali
concernenti la funzione giurisdizionale.
Rientra nei compiti precipui degli organi professionali
e ne costituisce una delle ragioni di esistere il
controllo che i comportamenti dei propri iscritti non si
riflettano sulla reputazione professionale e non
compromettano l'immagine della categoria.
5 - L'art. 8 C.E.D.U., premesso che ogni persona ha
diritto al rispetto della sua vita privata e familiare,
del suo domicilio e della sua corrispondenza, vieta
ingerenze anche da parte di un'autorità pubblica
nell'esercizio di tale diritto, fatti salvi il caso di
esplicita previsione normativa e la necessità per la
sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per il
benessere economico del paese, per la difesa dell'ordine
e per la prevenzione dei reati, per la protezione della
salute o della morale, o per la protezione dei diritti e
delle libertà altrui.
Ma la norma in esame non è certo di ostacolo al
perseguimento dei reati e, di conseguenza, anche degli
illeciti disciplinari.
Essa inibisce indebite intrusioni e aggressioni alla
sfera privata e familiare delle persone, ma lascia
integro il potere - dovere delle autorità competenti di
valutare e, occorrendo, sanzionare comportamenti che si
pongano in contrasto con i rispettivi ordinamenti.
Nella specie i fatti addebitati al ricorrente avevano
formato oggetto di verifiche da parte del giudice penale
che, pur se concluse con esiti a lui favorevoli, avevano
determinato l'uscita dei medesimi dall'ambito tutelato
dalla norma in esame.
6 - Non giova alla tesi del ricorrente il riferimento
alla citata sentenza n. 2372 del 2007, secondo cui
l'interpretazione più coerente dell'art. 5 cod. deont.
deve essere in direzione della sanzione per un disvalore
e non per un comportamento, poichè, a prescindere
dall'erroneità del riferimento, la decisione impugnata
ha posto in evidenza proprio il disvalore sociale della
condotta del ricorrente.
7 - Pertanto il ricorso va rigettato. Nulla spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Nulla spese.
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