Bianchini Francesco
Principio dell’effettività
nell’interpretazione del titolo esecutivo – Esecuzione
“mista” con prevalenza di obblighi di fare –
sussumibilità della richiesta di rilascio forzato nel
ricorso ex art.612 c.p.c. – sussistenza
Massima
Il giudice dell’esecuzione deve
interpretare il titolo esecutivo in modo da assicurare
la concreta tutela del diritto, secondo la portata
effettiva del giudicato, per evitare che esso degradi ad
un comando simbolico.
Nel caso di consegna forzata di
chiavi di un immobile, per accedere al quale sia
necessario porre in essere delle opere di una certa
complessità, la prevalenza di tale necessità permette di
configurare una ipotesi di esecuzione forzata “mista”,
con la conseguente sussumibilità dell’istanza di
rilascio nel ricorso per obblighi di fare.
Commento
La recente ordinanza in commento
affronta un argomento che merita attenzione, anche per i
riflessi pratici che ne seguono, in termini di rapidità
del processo esecutivo e di economia processuale.
Nella fattispecie esaminata, le
creditrici avevano promosso l’esecuzione forzata di
obblighi di fare, inserendo nel ricorso ex art.612
c.p.c. anche la richiesta di consegna delle chiavi dei
cancelli di accesso ad un immobile, piuttosto che
procedere separatamente con le diverse modalità di cui
art.608 c.p.c..
Le ricorrenti avevano motivato
l’inconsueta scelta processuale, ritenendo che il
giudicato da eseguire avesse già accertato, nella parte
motiva, l’impossibilità di apertura dei cancelli e che
la mera consegna delle chiavi degli stessi, non
preceduta dalle imprescindibili opere complesse che
rendessero possibile la materiale apertura, avrebbe
vanificato la portata del titolo esecutivo e lo scopo
istituzionale dell’esecuzione forzata.
Con il provvedimento in commento,
il giudice dell’esecuzione ha condiviso la tesi
“dell’effettività” nell’interpretazione del giudicato da
eseguire, affermando che la mera consegna delle chiavi
dei cancelli, ove non accompagnata dall’esecuzione delle
opere dirette a consentire l’effettivo accesso,
finirebbe per svilire la portata della pronuncia
giudiziale ad un comando meramente simbolico.
In proposito, il giudice
dell’esecuzione ha individuato la sussistenza di
un’esecuzione “mista”, con la conseguente necessità di
stabilire preventivamente le attività da porre in
essere, per rendere effettivo ed attuale il diritto di
accesso dai cancelli, riconosciuto nella parte motiva
del giudicato.
L’ordinanza riconosce, pertanto,
l’esistenza, nel nostro ordinamento, di un procedimento
esecutivo “misto”, a cavallo tra l’esecuzione per
consegna e rilascio e quello di obblighi di fare e di
non fare.
L’esecuzione “mista” è
caratterizzata dalla preesistente (e preaccertata)
necessità di opere (facere) propedeutiche e prevalenti
rispetto all’effettività della tutela del diritto alla
consegna o al rilascio consacrato nel titolo esecutivo.
Tali opere connesse all’obbligo di
consegna o di rilascio si atteggiano come prevalenti,
purché complesse ed imprescindibili.
Riguardo al rito da applicare,
giova ricordare che l’intervento del giudice è previsto
sia nel procedimento di obblighi di fare e di non fare,
che in quello per consegna e rilascio.
Tuttavia, mentre il ricorso al
giudice è essenzialmente preventivo nell’esecuzione
degli obblighi di fare e di non fare, nel rito esecutivo
per consegna e rilascio esso è eventuale e sempre
successivo.
In particolare, nel processo di
esecuzione per consegna e rilascio, l’art.610 c.p.c.
prevede che l’intervento del giudice sia eventuale e
relegato all’ipotesi di difficoltà insorte nel corso del
processo esecutivo.
In tale ipotesi, ciascuna parte può
ricorrere al giudice per chiedere i provvedimenti
occorrenti, sollecitando così un intervento
giurisdizionale in itinere, che tale procedura specifica
non contempla in alcuna fase antecedente.
Viceversa, nel processo esecutivo
per obblighi di fare e di non fare, il giudice
dell’esecuzione interviene necessariamente e prima.
Stabilisce preventivamente le modalità dell’esecuzione e
previene, nei limiti del possibile, l’insorgere di
problemi ostativi, fermo restando che lo stesso giudice
può essere nuovamente interpellato in itinere, ex
art.613 c.p.c., per i provvedimenti tesi a superare
eventuali non previste difficoltà, insorte
successivamente.
In tale sistema, che si snoda
intorno al ruolo del giudice dell’esecuzione, non può
negarsi piena tutela al diritto di consegna o rilascio
che presupponga un facere complesso e previo.
La tutela giudiziale ex post,
disciplinata dall’art.610 c.p.c., mal si attaglia alla
fattispecie “mista”, dato che le circostanze ostative
risultano già accertate e la previa e complessa attività
(facere) per superarle si appalesa come prevalente e
necessaria rispetto alla traditio.
In tal caso, sarebbe irragionevole
aspettare che le già accertate difficoltà vengano
confermate nel corso dell’esecuzione, per sospendere la
stessa in attesa che il giudice si pronunci su esse.
Sembra, invece, coerente col
sistema, poter prevenire le sicure difficoltà che
insorgeranno nell’esecuzione forzata per consegna o
rilascio e permettere il ricorso anticipato al giudice.
Del resto, la finalità
dell’esecuzione “mista” sarebbe giusto quella di
prevenire le preaccertate difficoltà che si
riproporranno nel corso dell’esecuzione ex artt.602 e
ss. c.p.c. ed evitare un rallentamento dell’iter
esecutivo, rispettando nel contempo il principio di
economia processuale.
In tale prospettiva, il processo
“misto” segue la procedura preventiva dell’esecuzione
degli obblighi di fare e di non fare, con fissazione
anticipata delle relative modalità propedeutiche alla
consegna o al rilascio. Ciò consente di invocare un
provvedimento giudiziale che determini, sin da subito,
le modalità di attuazione anticipata delle attività
risolutive delle difficoltà, non soltanto prevedibili,
ma già accertate e previste.
La decisione commentata condivide
la soluzione nel ricorso preventivo al giudice della
esecuzione “mista” e segna un significativo passo avanti
nella direzione della tutela esecutiva, più celere ed
effettiva. |