(Pres. Triola – Rel. Mazzacane)
Svolgimento del processo
Con atto pubblico per notaio Pietro
Speranza del 12-12-1991 I.E. donava a M.G..C. , nipote
del coniuge della donante, la nuda proprietà di un
immobile urbano sito in (OMISSIS); con lo stesso atto la
donante riservava l'usufrutto per sé e, per il tempo
successivo alla sua morte, per il proprio coniuge
I.M..C. .
Premorto alla donante il coniuge,
la I. con due missive rispettivamente del 29-1-1996 e
del 4-6-1997 indirizzate alla donataria rappresentava a
quest'ultima lo stato di solitudine in cui versava dopo
la morte del marito, le sue infermità, l'esiguità dei
propri redditi, e soprattutto manifestava l'esigenza di
avere moralmente e fisicamente presso di sé la donataria
per ragioni di assistenza.
La I. poi in data 3-11-1997
conveniva in giudizio dinanzi ai Tribunale di Bari la C.
chiedendo revocarsi la suddetta donazione ex art. 801
c.c. ritenendo ricorrente l'ipotesi dell'ingiuria grave
di cui alla norma ora citata, concretatasi nello stato
di abbandono e solitudine, morale e fisica, in cui
versava la donante.
Costituendosi in giudizio la
convenuta eccepiva la decadenza dall'azione poiché,
essendo stato il giudizio introdotto il 3-11-1997, era
trascorso il termine annuale di decadenza per la
proposizione dell'azione stessa decorrente dalla
completa conoscenza, da parte della donante, della causa
di ingratitudine, già ampiamente nota alla I. dall'epoca
della prima missiva del 29-1-1996, come rivelato dal suo
contenuto; chiedeva inoltre nel merito il rigetto della
domanda attrice in quanto la fattispecie non integrava
l'ipotesi di ingiuria grave nei confronti della donante.
Il Tribunale adito con sentenza del
1-3-2001 rigettava la domanda ritenendo essersi
verificata la decadenza dall'azione, e comunque
escludendo la ricorrenza dell'ingiuria grave prevista
dall'art. 801 c.c..
Proposta impugnazione da parte
della I. cui resisteva la C. che proponeva altresì
appello incidentale la Corte di Appello di Bari con
sentenza del 16-9-2005 ha rigettato entrambe le
impugnazioni.
Per la cassazione di tale sentenza
la I. ha proposto un ricorso articolato in tre motivi
cui la C. ha resistito con controricorso; le parti hanno
successivamente depositato delle memorie.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la ricorrente,
denunciando violazione e falsa applicazione dell'art.
802 primo comma c.c. anche in relazione agli artt.
1324-1362 e seguenti-2697-2727-2735 c.c. e 115-116
c.p.c. nonché insufficiente e contraddittoria
motivazione, censura la sentenza impugnata per aver
ritenuto l'inammissibilità dell'azione proposta sul
rilievo che già all'epoca della prima missiva del
29-1-1996 la donante, nell'esternare la propria
solitudine con conseguente richiesta della presenza
della donataria, nonché nel riferirsi all'antica
acrimonia sussistente tra la stessa donante ed i parenti
del marito, era in grado di constatare se la condotta
della C. integrasse gli estremi dell'ingiuria grave.
La ricorrente assume che il giudice
di appello è giunto a tale conclusione sulla base di
elementi neutri ai fini del decidere (quali la
solitudine della donante, la richiesta della presenza
della donataria, l'acrimonia con i parenti del marito),
svolgendo quindi un ragionamento non corretto sul piano
logico-giuridico, considerato che sul punto era stato
formulato uno specifico motivo di appello con il quale
era stato addebitato al giudice di primo grado di avere
ingiustificatamente enfatizzato la missiva del
29-1-1996, finalizzata esclusivamente ad una richiesta
di aiuto alla C. , senza alcuna specifica contestazione
di comportamenti idonei ad integrare l'ingiuria grave;
nello stesso senso la I. aggiunge che non è stato
considerato che con la suddetta missiva l'esponente per
la prima volta si era rivolta alla donataria con una
richiesta di aiuto, circostanza inconciliabile con una
pretesa acquisita consapevolezza di una pregressa
condotta della C. integrante gli estremi dell'ingiuria
grave.
Infine la ricorrente deduce
l'inconsistenza logica degli ulteriori rilievi in base
ai quali la Corte territoriale ha ravvisato
l'intervenuta consapevolezza, sempre all'epoca della
citata missiva, da parte della donante,
dell'ingratitudine della donataria, per essere da un
lato irrilevante l'acrimonia della I. nei confronti dei
parenti del marito, e dall'altro lato illogica la
presunzione dell'acrimonia nei confronti della donataria
quale conseguenza di essere quest'ultima appartenente
alla famiglia del defunto marito della donante.
Con il secondo motivo la I. ,
deducendo ulteriore violazione dell'art. 802 c.c. ed
omessa e comunque insufficiente motivazione, sostiene
che erroneamente la sentenza impugnata ha respinto il
terzo motivo di appello, affermando che la censura in
esso contenuta non segnalava in che modo ed in quale
parte la lettera del 4-6-1997 e la citazione
introduttiva contenessero elementi conoscitivi di "fatti
ulteriori" rispetto a quelli contenuti nella missiva del
29-1-1996; in realtà con tale motivo di appello era
stato evidenziato come l'ingiuria grave avrebbe dovuto
essere configurata nel comportamento della donataria,
rimasta assolutamente insensibile alla situazione di
abbandono e di degrado morale in cui la donante era
venuta a trovarsi, situazione che l'aveva spinta a
formulare insistenti richieste di aiuto e soprattutto di
conforto morale; pertanto solo a seguito del predetto
comportamento di insensibilità la I. aveva potuto avere
effettiva e definitiva contezza del comportamento
ingrato della C. , così integrandosi quei "fatti
ulteriori" che la Corte territoriale non ha saputo
ricercare e ravvisare.
Le enunciate censure, da esaminare
contestualmente per ragioni di connessione, sono
fondate.
La Corte territoriale ha
evidenziato che dalla lettura della missiva del
29-1-1996 inviata dalla I. alla C. emergeva con
chiarezza sia la disaffezione della donataria nei
confronti della donante, sia la solitudine di costei,
sia la sua richiesta di presenza della donataria, ma
anche nel contempo l'antica acrimonia che la I. nutriva
verso i parenti del marito (tra cui anche la C. ), ai
quali rimproverava condotte meschine nonostante la sua
generosità e dai quali si era ritenuta insolentita;
pertanto la donante già all'epoca di tale prima lettera
aveva potuto rendersi conto se la condotta della C.
integrasse gli estremi dell'ingiuria grave, essendo già
in grado di conoscere il comportamento asseritamele
ingiurioso della donataria e la difficoltà dei rapporti
con la stessa.
Il giudice di appello, inoltre,
nell’esaminare il terzo motivo di gravame con il quale
l'appellante aveva dedotto di aver avuto contezza
dell'ingiuria grave della C. nei propri confronti solo
all'epoca della missiva del 4-6-1997 valutando
addirittura la condotta della controparte successiva
all'introduzione del presente giudizio, ha rilevato la
genericità della censura nella parte in cui non
segnalava in che modo ed in quale parte tale ultima
lettera e la citazione introduttiva contenessero
elementi conoscitivi di fatto ulteriori rispetto a
quelli già ravvisabili nella missiva del 29-1-1996.
Orbene il convincimento della Corte
territoriale non può essere condiviso per il decisivo
rilievo che dalle argomentazioni sopra richiamate non
risulta chiarito quali inequivocabili elementi
contenesse la lettera del 29-1-1996 dai quali trarre la
conclusione della piena consapevolezza da parte della I.
di fatti ascrivibili alla C. che legittimassero la
revoca della suddetta donazione per ingiuria grave.
Invero il generico riferimento
all'acrimonia che la donante nutriva per i parenti del
marito o la disaffezione della donataria nei confronti
della I. non integrano all'evidenza gli estremi
dell'ingiuria grave che ai sensi dell'art. 801 c.c.
legittima la revoca della donazione, consistente in un
qualsiasi atto o comportamento il quale leda in modo
rilevante il patrimonio morale del donante, e palesi per
ciò solo un sentimento di avversione da parte del
donatario.
In proposito si osserva non solo
che non sono stati indicati i presunti atti o
comportamenti riconducibili alla C. che avrebbero
configurato una ingiuria grave verso la donante, ma che
anzi la richiesta di assistenza formulata dalla I. nei
confronti della donataria nella missiva del 29-1-1996,
di cui pure il giudice di appello ha dato atto,
contraddice il convincimento espresso nella sentenza
impugnata, in quanto evidenzia che la donante confidava
ancora che le proprie sollecitazioni in tal senso
avrebbero potuto essere accolte dalla C. , circostanza
che smentisce l'assunto di una pretesa consapevolezza
già in allora da parte dell'attuale ricorrente di un
comportamento della donataria integrante gli estremi
dell'ingiuria grave, consapevolezza invece raggiunta
solo all'esito dell'inerzia manifestata dalla C. alla
suddetta richiesta di assistenza, ciò che spiega la
successiva lettera del 4-7-1997 e poi l'introduzione del
presente giudizio; pertanto l’iter argomentativo seguito
dalla Corte territoriale si rivela insanabilmente sia
carente sia contradditorio.
Con il terzo motivo la ricorrente,
deducendo violazione degli artt. 800 e 801 c.c. anche in
relazione all'art. 2 della Costituzione, censura la
sentenza impugnata per aver escluso la sussistenza
dell'ingiuria grave nell'ipotesi del donatario che
consapevolmente, pur potendo intervenire, lasci il
donante in una situazione di indecoroso abbandono e di
degrado morale prima ancora che materiale, e per aver
omesso nella fattispecie ogni accertamento sui fatti al
riguardo addebitati alla C. e da quest'ultima comunque
non contestati in giudizio.
La I. sostiene che, contrariamente
all'assunto del giudice di appello, l'ingiuria grave non
deve ravvisarsi esclusivamente come conseguenza di una
condotta commissiva, ma anche nella voluta omissione di
quell'assistenza, necessaria sotto il profilo
esistenziale, invocata nella specie dalla donante per
ovviare ad una condizione di assoluto degrado,
incompatibile con le sue primarie esigenze di vita e con
la sua dignità di persona, lesa ed offesa
dall'insensibilità dai soggetto a suo tempo gratificato
e patrimonialmente arricchito; tale conclusione era
legittimata da una interpretazione del concetto di
ingiuria grave previsto dall'art. 801 c.c. in conformità
dell'art. 2 della Costituzione, norma fondamentale di
tutela dei diritti inviolabili della persona, e dei
principi di solidarietà da cui essa trae ispirazione.
La censura è infondata.
Il giudice di appello ha ritenuto
che l'indisponibilità della donataria ad assistere la
donante ed a venire incontro alle sue esigenze di
assistenza lasciandola così in una situazione di
abbandono e di solitudine non configuravano gli estremi
dell'ingiuria grave prevista dall'art. 801 c.c., non
sostanziandosi in alcun atto di aggressione al
patrimonio morale della I., e che d'altra parte tale
comportamento della C. doveva essere inquadrato nel
degrado dei rapporti personali intercorrenti tra la
donante ed i familiari del marito, tra cui la donataria,
contrassegnati da antica acrimonia e disaffezione.
Tale convincimento è corretto ed
immune dai profili di censura sollevati dalla
ricorrente, posto che il rifiuto della C. di prestare
qualsiasi forma di aiuto e di assistenza alla I. , che
aveva fatto reiterate richieste in tal senso, non
integra gli estremi dell'ingiuria grave quale
presupposto necessario per la revocabilità di una
donazione per ingratitudine, essendo al riguardo
necessario un comportamento suscettibile di ledere in
modo rilevante il patrimonio morale del donante ed
espressivo di un reale sentimento di avversione da parte
del donatario tale da ripugnare alla coscienza comune
(Cass. 5-4-2005 n. 7033; Cass. 28-5-2008 n. 14093; Cass.
31-3-2011 n. 7487); nella specie del resto la ricorrente
non contesta almeno specificamente i sentimenti di
ostilità e di disaffezione esistenti tra le parti ed in
genere tra la I. ed i parenti del marito, cosicché
correttamente la Corte territoriale ha valutato il
comportamento omissivo della C. in tale più ampio
contesto; al riguardo infatti questa Corte ha affermato
che l'ingiuria grave di cui all'art. 801 c.c., non può
essere desunta da singoli accadimenti che, pur
risultando di per sé censurabili, per il contesto in cui
si sono verificati e per una situazione oggettiva di
aspri contrasti esistenti tra le parti, non possono
essere ricondotti ad espressione di quella profonda e
radicata avversione verso il donante che costituisce il
fondamento della revocazione della donazione per
ingratitudine (Cass. 24-6-2008 n. 17188).
Infine si osserva l'ininfluenza del
richiamo comunque generico della ricorrente ai principi
solidaristici sottesi all'art. 2 della Costituzione una
volta che, come correttamente rilevato dalla sentenza
impugnata, nella specie la domanda proposta non è basata
su eventuali obblighi alimentari della donataria nei
confronti della donante ai sensi dell'art. 437 c.c.
(obblighi comunque irrilevanti nella fattispecie,
considerato il mancato richiamo di tale norma nell'art.
801 c.c., cosicché il rifiuto degli alimenti da parte
del donatario assume rilievo, ai fini della revocazione
della donazione per ingratitudine, soltanto se opposto
da persona che sia già obbligata a prestarli in virtù di
un rapporto di parentela o di affinità con il donante),
e che la donazione per cui è causa non era sottoposta ad
alcun "modus".
Il ricorso deve pertanto essere
rigettato; ricorrono giusti motivi, avuto riguardo alla
natura della controversia, per compensare interamente
tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
LA CORTE
Rigetta il ricorso e compensa
interamente tra le parti le spese di giudizio. |