Nell’ordinanza cautelare, il Giudice di Bari affronta la questione
(ancora poco affrontata dalla giurisprudenza di
legittimità del Giudice ordinario) relativa ai poteri
della P.A. datrice di lavoro, in relazione alla
contrapposta posizione del contraente-lavoratore.
In particolare, il provvedimento del Giudice del Lavoro
indaga i limiti entro i quali l’Amministrazione possa,
provvedendo ad una rilettura delle norme di legge
sottostanti alla sottoscrizione del contratto di lavoro
subordinato, pretendere lo scioglimento del contratto di
lavoro sulla base dell’annullamento, in via di
autotutela, dell’atto amministrativo prodromico alla
stipula del contratto stesso.
L’ordinanza del Tribunale di Bari si distingue poiché
esamina la vicenda non soltanto alla luce della
disciplina contenuta nel D.Lgs. 165/2001 (che comunque
vincola l’Amministrazione ad agire “con i poteri e con
le prerogative del datore di lavoro privato”, art. 2,
D.Lgs. 165/2001), bensì affrontando anche la più ampia
questione dell’affidamento del lavoratore e della
irretroattività della “reinterpretazione unilaterale
delle norme di legge”.
Nel provvedimento cautelare si evidenzia che la condotta
dell’Amministrazione – che proceda, in via di
autotutela, all’annullamento di un atto amministrativo
(sulla base di una reinterpretazione delle norme di
legge) e che voglia da ciò far discendere, tout court,
lo scioglimento del contratto già perfezionatosi – “si
traduce nella violazione dei più basilari principi
propri del nostro ordinamento giuridico e che
costituiscono conquiste di civiltà giuridica
irrinunciabili, quali quello della tutela dei terzi,
dell'apparenza del diritto, della rilevanza della buona
fede, del formalismo giuridico, della certezza del
diritto”.
[Avv.
Fabio Cardanobile]
Tribunale
Civile
Ordinanza 25.03.11
Tribunale di Bari: ordinanza cautelare illegittimo
scioglimento del contratto di lavoro dalla pa sulla base
dell’annullamento in via di autotutela
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI BARI
SEZIONE LAVORO
Il giudice, dott.ssa S. Rubino
sciogliendo la riserva formulata all’udienza del
24.2.11, nella causa tra D., rappresentato e difeso
dagli Avv.ti Piero e Fabio Cardanobile, e la A.S.L.,
rappresentata e difesa dall’Avv. E.T.;
letti gli atti di causa e uditi i procuratori delle
parti,
premesso il ricorso ex art. 700 c.p.c. promosso dal sig.
D. ed inteso a sentir disporre la disapplicazione della
Delibera n. 388 del 2010 e per l’effetto per sentir
dichiarare il diritto alla conservazione delle mansioni
di CPS – Tecnico della Prevenzione categoria D;
richiamate le difese dell’azienda;
osserva quanto segue.
È opportuno brevemente riassumere i fatti di causa.
Il ricorrente veniva assunto dalla USL BA/4 come
Ausiliario Specializzato a seguito del superamento di
pubblico concorso transitando poi nei ruoli della
attuale ASL con inquadramento sino al 18.7.06 nella
Categoria A per l’espletamento delle relative mansioni.
In seguito, vincitore di avviso pubblico, poneva in
aspettativa il rapporto in atto e stipulava con la ASL
contratto di lavoro a tempo determinato in data 17.7.06
per la durata dal 19.7.06 al 18.7.07 con inquadramento
nel ruolo sanitario “profilo professionale:
Collaboratore Professionale Sanitario – Tecnico della
Prevenzione Categoria D” per la esecuzione delle
prestazioni proprie della detta posizione. Da detta data
pertanto, egli svolgeva le relative prestazioni presso
il Dipartimento di Prevenzione SISP di Modugno ove era
stato assegnato.
Alla scadenza del contratto la ASL deliberava di
prorogarlo dal 19.7.07 sino al 31.12.07 in applicazione
dell’art. 31 della legge Regionale n. 10/2007.
Conseguentemente in data 1.8.07 le parti sottoscrivevano
un ulteriore contratto a termine.
Nel frattempo la ASL, in attuazione della predetta L. n.
10/2007, con delibera n. 1657 del 15.10.07 stabiliva che
“al personale in servizio presso le Aziende Regionali
Sanitarie e gli IRCCS pubblici, destinatari della
stabilizzazione, sino alla stipula del contratto a tempo
indeterminato, viene prorogato il contratto in essere a
tempo determinato”. Di conseguenza il Commissario
Straordinario della ASL con delibera n. 4839 del 6.12.07
disponeva la proroga tra gli altri, anche del rapporto
dell’odierno istante.
[omissis]
Quindi, a seguito della ulteriore proroga del contratto
dal 21.11.08 al 17.7.09, le parti, in data 10.2.09
sottoscrivevano il contratto di lavoro a tempo
indeterminato per il profilo di Coll. Prof. Sanit. –
Tecnico della Prevenzione Cag. D. posto che, come
espressamente stabilito nel contratto, il ricorrente “si
trovava nelle condizioni previste dalla normativa per
accedere alla stabilizzazione del rapporto di lavoro”.
Ebbene, con nota del 21.9.09 la ASL BA comunicava al
ricorrente di aver avviato un procedimento per la
risoluzione/annullamento di tutti gli atti
amministrativi e/o contratti che lo vedevano inquadrato
nel predetto profilo professionale; ciò avveniva in
quanto la ASL procedeva alla reinterpretazione della
normativa sulla stabilizzazione fornita dall’Assessorato
alle Politiche della Salute della Regione Puglia,
secondo cui “le stabilizzazioni non avrebbero potuto
interessare i lavoratori con rapporto di lavoro a tempo
indeterminato che usufruivano dell’istituto della
aspettativa in quanto costoro non avrebbero potuto
essere considerati “precari”.
Quindi, con deliberazione n. 388 notificata al
ricorrente in data 31.3.10, la ASL disponeva
l’annullamento del contratto.
[omissis]
Tutto ciò premesso, il ricorrente rivendica con la
presente azione la conservazione del posto di lavoro di
cui al contratto sottoscritto in data 10.2.2009
denunciando la illegittimità della condotta tenuta
dall’Azienda sotto i diversi profili che di seguito di
vanno ad esaminare.
Orbene, ad avviso di questo giudice il ricorso merita
accoglimento.
Circa il fumus boni iuris.
L’intervenuto scioglimento del vincolo contrattuale
quale disposto dalla azienda appare invero connotato da
illegittimità.
Come evidenziato, la azienda, in seguito alla rilettura
della normativa sulla stabilizzazione quale fornita
dall’Assessorato delle Politiche Sociali, ha ritenuto di
avviare la procedura di annullamento del contratto
sottoscritto con il ricorrente.
Dunque, a prescindere per il momento dalla analisi circa
la legittimità o meno della rilettura della normativa e
sulla scorta della quale l’ASL ha proceduto ad annullare
il rapporto in essere con l’istante, ci si intende qui
soffermare su un punto assolutamente rilevante e nel
contempo decisivo della questione in esame, quello cioè,
attinente alla possibilità per la pubblica
amministrazione di rileggere una determinata normativa
e, in via di autotutela, di poterla applicare
retroattivamente a rapporti già regolarmente
perfezionati.
Molteplici e diverse sono le ragioni per le quali non
può ammettersi che diritti regolarmente acquisiti
vengano in tal modo rimossi.
Innanzitutto si consideri che il ricorrente, in data
10.2.2009 veniva riconosciuto dalla stessa ASL in
possesso dei requisiti per accedere alla procedura di
stabilizzazione del proprio rapporto tanto che in detta
data sottoscriveva il relativo contratto. Ciò significa
che la azienda aveva evidentemente, ma altrettanto
espressamente riconosciuto in capo al ricorrente
contraente la sussistenza delle condizioni perché questi
beneficiasse della stabilizzazione del proprio rapporto
lavorativo. Ciò significa altresì che in capo al
ricorrente, con la sottoscrizione del contratto, si
cristallizzava il diritto soggettivo a quella situazione
sostanziale e che il medesimo legittimamente confidava
nella conservazione di quel determinato posto di lavoro.
Orbene, una successiva diversa interpretazione di quella
medesima normativa alla luce della quale la ASL aveva
espressamente riconosciuto di poter stabilizzare il
rapporto lavorativo del ricorrente, non legittimava
affatto la azienda stessa a rimuovere quella situazione
soggettiva legittimamente acquisita. Infatti la azienda
aderiva ad una lettura della normativa sulla
stabilizzazione intervenuta allorquando il rapporto con
il ricorrente era già perfezionato. In alcun modo la
azienda poteva applicare detta nuova interpretazione
normativa, intervenuta nel giugno 2009, retroattivamente
ed unilateralmente a rapporti già definiti. Tale operato
si traduce nella violazione dei più basilari principi
propri del nostro ordinamento giuridico e che
costituiscono conquiste di civiltà giuridica
irrinunciabili quali quello della tutela dei terzi,
dell'apparenza del diritto, della rilevanza della buona
fede, del formalismo giuridico, della certezza del
diritto. Sul punto efficacemente il Consiglio Stato sez.
VI nella pronuncia del 30 maggio 2003 evidenzia come “…
sarebbe infatti incongruo che l'annullamento di un atto
amministrativo potesse intervenire con efficacia
caducante su una serie di atti giuridici privatistici
senza apprezzamento alcuno delle posizioni soggettive
che i paciscenti hanno tenuto nel contrarre”.
Innanzitutto, come efficacemente evidenziato dalla
difesa attorea, ammettendo tale operato significherebbe
violare innanzitutto il principio di irretroattività
della legge sancito dall’art. 14 delle Preleggi e
dall’art. 3 Cost..
Non di meno esso comporta una inammissibile violazione
della regola della vincolatività degli obblighi assunti
dalle parti con la sottoscrizione del contratto, quale
sancito dall’art. 1372 c.c.; non ultima rileva la
lesione del principio dell’affidamento riposto dal
soggetto nella certezza dei rapporti giuridici già
regolarmente perfezionati.
Sul punto si richiama il monito espresso dalla Corte
Costituzionale nella pronuncia n.525 del 2000:
“l’affidamento del cittadino sulla certezza giuridica –
essenziale elemento dello Stato di diritto – non può
essere leso da disposizioni retroattive che trasmodino
in un regolamento irrazionale di situazioni sostanziali
fondate su leggi anteriori”. Dunque già un serio
rispetto del principio dell’affidamento evidenzia la
illegittimità dell’operato dell’azienda convenuta.
Si consideri peraltro che l’affidamento generato nel
ricorrente nel diritto alla conservazione della
posizione lavorativa acquisita è stato ulteriormente
alimentato dalla stessa azienda mercè le diverse
delibere e bandi emanati con i quali espressamente la
stessa evidenziava che “vanno ovviamente compresi i
dipendenti a tempo indeterminato, risultanti incaricati…
a tempo determinato per altro profilo professionale (ed
eventualmente altra categoria) rispetto al profilo
professionale di appartenenza” (circ. prot. N. 205272
del 6.11.07); in particolare si richiama la delibera n.
960 del 21.4.08 con cui espressamente la ASL riconosceva
in capo al ricorrente la sussistenza dei requisiti
legittimanti la stabilizzazione del proprio rapporto
lavorativo.
Allora, a ben vedere, la nota dell’Assessorato Regionale
che forniva una diversa interpretazione della normativa
sulla stabilizzazione avrebbe potuto, una volta recepita
dalla ASL, avere incidenza e spiegare i sui conseguenti
effetti sul rapporto de quo solo nella fase antecedente
la sottoscrizione dello stesso. Tuttavia, in quanto
intervenuta solo nel giugno 2009, allorquando il
rapporto con il ricorrente era già definitivamente
concluso, avrebbe legittimato una diversa
regolamentazione solo con riferimento ai rapporti ancora
da stabilizzare.
Ma, come accennato, ulteriori sono le ragioni per cui
l’operato della azienda non può assolutamente
considerarsi legittimo.
Ai sensi infatti dell’art. 2 del D.LGS 165/2001 la
Pubblica Amministrazione opera nei rapporti con i
privati, con i poteri propri del privato datore di
lavoro. Ciò vuol dire che ad essa ormai resta precluso
l’esercizio di poteri autoritativi. In altre parole il
cd. potere di agire in autotutela ha oggi spazi
assolutamente limitati non potendo spingersi esso sino a
violare diritti acquisiti dai terzi in buona fede. In
altre parole il nuovo modello di rapporto quale appunto
delineato all’indomani della contrattualizzazione del
pubblico impiego, impone alla PA di agire nel pieno
rispetto dell’assetto negoziale conferito al rapporto.
Trattasi di principio assolutamente pacifico ed
acquisito come tale nell’ordinamento giuridico. In tal
senso numerose e conformi sono le pronunce rese sia
nella giurisprudenza di legittimità che in quella di
merito. Si consideri Cass. Sez Un. 26 luglio 1993 n.
8347: “una volta che la volontà dell’ente e quella del
concorrente si siano trasfuse in un atto di autonomia
privata, come appunto il contratto di impiego, evocare
il principio dell’autotutela significherebbe
neutralizzare e porre nel nulla la rilevanza giuridica
ed il conseguente regime di disciplina dell’assetto
negoziale di interessi”. Parimenti il Consiglio di Stato
stabilisce che “ la violazione delle norme attinenti
alla fase di scelta dei contraenti nei procedimenti di
formazione dei contratti ad evidenza pubblica, con
conseguente annullamento del provvedimento di
aggiudicazione, determina la inefficacia del contratto
stipulato… tale caducazione trova però temperamento
nella salvezza dei diritti acquistati dai terzi in buona
fede” (Cons. Stato Sez VI 30 maggio 2003 n. 2992).
Così nella giurisprudenza di merito: “la risoluzione del
contratto di lavoro a tempo indeterminato stipulato con
un docente, disposta dal provveditore agli Studi in via
di autotutela è illegittima, presupponendo un'ottica
provvedimentale incompatibile con il nuovo modello di
rapporto di lavoro delineato dal D.L.vo 3 febbraio 1993
n. 29 e successive modificazioni e con la conseguente
privatizzazione del pubblico impiego" (T.a.r. Lazio,
sez. Latina, 15 ottobre 1997, n. 977).
Dunque il richiamo al principio dell’autotutela,
richiamato dalla difesa dell’azienda convenuta, resta
assolutamente irrilevante in quanto configgente con il
modello contrattuale delineato dal D.LGS 165/01 che vede
la P.A. operante con i medesimi limiti propri del potere
esercitato dal privato datore di lavoro: “In seguito
alla contrattualizzazione del rapporto di pubblico
impiego prevista dal d.lg. n. 165 dei 2001 la p.a.
adotta le misure inerenti alla gestione dei rapporti di
lavoro con la capacità e i poteri del privato datore di
lavoro per cui non può più adottare unilateralmente
modifiche od ancor peggio risoluzioni, rescissioni,
revoche del contratto di lavoro, potendo conseguire il
suddetto risultato solo con il ricorso all'autorità
giudiziaria con gli strumenti del diritto comune (azione
di annullamento, di risoluzione, di accertamento della
nullità). La posizione equiordinata delle parti
introdotta dalla nuova normativa rende infatti
inammissibile il ricorso da parte della p.a. a strumenti
di autotutela” (Tribunale Roma 03 marzo 2002).
Infine, “Qualora datore di lavoro sia la p.a., la
regolamentazione del rapporto di pubblico impiego
comporta per essa l'assoggettamento ad obblighi e doveri
vincolativi che escludono o limitano, in larga misura,
l'esercizio di poteri discrezionali nello svolgimento
del rapporto di pubblico impiego. Ciò non comporta,
tuttavia, che la p.a. difetti, sul piano prettamente
privatistico, della capacità negoziale di transigere in
materia, ma semmai implica che l'inosservanza di una
disposizione inderogabile determina l'illegittimità
degli eventuali atti o comportamenti adottati in
contrasto con la normativa. Tale illegittimità può,
ovviamente, formare oggetto, nelle forme previste
dall'ordinamento, di contestazioni da parte dei soggetti
che ne abbiano interesse ovvero di provvedimenti di
autotutela (purché, in quest'ultimo caso, sussista un
interesse pubblico specifico, adeguatamente motivato,
alla rimozione dell'atto). Nondimeno l'illegittimità
delle procedure amministrative propedeutiche alla
conclusione del contratto non si riverbera nella
successiva fase negoziale come causa di nullità assoluta
o di automatica caducazione del contratto stipulato in
forza di un provvedimento meramente illegittimo (che non
sia precedentemente annullato o sospeso), nè può
comportare una potestà dell'amministrazione di
sciogliere, in via unica ed autoritativa, una
pattuizione contrattuale già assunta negozialmente. Vero
è piuttosto che i vizi del consenso della parte pubblica
possono dar luogo, se del caso, alla annullabilità
relativa del contratto”. (T.A.R. Napoli Campania sez. V
17 dicembre 2001 n. 5478).
Né la posizione acquisita dal ricorrente a seguito della
sottoscrizione del proprio contratto di lavoro può
definirsi “affievolita” a mero interesse legittimo.
Trattasi di assunto assolutamente privo di qualsivoglia
giustificazione giuridica: non può discutersi sulla
valenza di pieno diritto soggettivo quale quello
costituitosi in capo al ricorrente a seguito della
sottoscrizione del contratto: intervenuta la stipula del
contratto a tempo indeterminato ed instaurato quindi
validamente il rapporto di lavoro, le sue vicende
possono essere interpretate e valutate unicamente alla
luce della categoria del diritto soggettivo.
A questo punto, se, in base a quanto sin qui esposto non
può ritenersi legittima la delibera di annullamento n.
388 del 1.3.10, conseguentemente non può ritenersi
operante l’”evento” cui le parti condizionavano la
risoluzione del contratto, laddove e se la azienda
ritiene integrato detto evento risolutivo appunto dalla
reinterpretazione della normativa sulla stabilizzazione.
E’ ben vero che le parti nel contratto stabilivano che
“è in ogni modo condizione risolutiva del contratto
l’annullamento delle procedure che ne costituiscono il
presupposto”. Ed infatti l’ASL nella nota inviata al
ricorrente in data 14.12.10, richiamava, ai fini
dell’annullamento del contratto, “l’annullamento della
procedura di reclutamento”.
Ma è evidente in primo luogo che avrebbe dovuto
trattarsi di procedure evidentemente legittime; ma,
soprattutto la clausola fa evidentemente riferimento a
eventi, interventi normativi nuovi, non certo potendo
detto “evento” risolutivo essere costituito, come nella
fattispecie in esame, dalla mera rilettura di una norma
che ha costituito la base per il riconoscimento del
diritto al reclutamento.
Né vale, a legittimare le determinazioni aziendali
contestate, richiamare le finalità della stabilizzazione
sottese, a dire della difesa convenuta, nel fornire
stabilità ai lavoratori precari, posto che, come
riconosciuto anche dalla giurisprudenza del Consiglio di
Stato “la finalità principale sottesa alle procedure di
stabilizzazione del personale precario deve ravvisarsi
non già nella esigenza di far venir meno la situazione
di precarietà, bensì in quella di consentire
all’Amministrazione di continuare ad avvalersi di
particolari professionalità acquisite nell’ambito della
stessa” (Cons. Stato n.101/2011). Conseguentemente, il
fatto che il ricorrente avesse già in essere, sebbene
quiescente, un rapporto a tempo indeterminato con
l’Amministrazione, non può in alcun modo costituire
legittimo ostacolo alla stabilizzazione del nuovo
rapporto lavorativo.
Ma trattasi di circostanze e rilievi che perdono la loro
valenza alla luce delle ragioni sin qui esposte che, ad
avviso di questo giudice, travolgono ogni validità ed
efficacia alla delibera impugnata.
Quanto sin qui esposto integra efficacemente il fumus
boni iuris assorbendo ogni questione concernente la
legittimità della interpretazione fornita
dall’Assessorato e recepita dalla Azienda. Non è invero
l’eventuale riconoscimento della legittimità di detta
interpretazione che a sua volta legittimerebbe l’operato
della ASL che, come sin qui spiegato, evidenzia tutta la
propria lesività a prescindere dalle ragioni ad esso
sottese, per il solo fatto che incide su di una
situazione soggettiva già perfezionata.
Quanto all’elemento del periculum in mora, si ritiene
che esso sia nella specie integrato dalla circostanza
che le mansioni proprie della categoria A, affidate
dalla azienda con la delibera n. 388/2010, sono
palesemente inferiori a quelle proprie della categoria D
quali invece afferenti al rapporto stabilizzato.
Dalla lettura del CCNL allegato agli atti, si evince che
le mansioni proprie della categoria D sono connotate da
un indiscutibile rilievo e professionalità richiedendo
autonomia e responsabilità, capacità organizzative,
conoscenze teoriche e pratiche, discrezionalità
operativa, che invece difettano in quelle di cui alla
categoria A. Le mansioni inerenti la categoria D
rilevano senza dubbio per la delicatezza ed importanza,
trattandosi di compiti di prevenzione, di verifica e
controllo (in materia di igiene e sicurezza ambientale
nei luoghi di vita e di lavoro, di igiene degli alimenti
e delle bevande). Si consideri che il ricorrente nello
svolgimento delle mansioni di cui a detta categoria è
Ufficiale Giudiziario, nel mentre, le mansioni di cui
alla categoria A consistono nella pulizia e riordino
degli ambienti, apertura e chiusura degli uffici, nonché
nelle operazioni di trasporto dei materiali in uso.
Orbene, è evidente la palese dequalificazione
professionale che il passaggio alla categoria A
comporterebbe per il ricorrente; e si ritiene che si
tratti di danno non certo quantificabile quindi
risarcibile per equivalente in quanto in gioco vi è
l’immagine professionale del ricorrente costretto a
svolgere, nel medesimo ambiente lavorativo, mansioni
palesemente inferiori a quelle in precedenza svolte.
Detto danno, a parere di questo giudice, legittima una
tutela immediata soprattutto in considerazione del
complessivo atteggiarsi della vicenda.
Conclusivamente, alla luce delle considerazioni sin qui
svolte, il ricorso va accolto e statuito in conformità.
PQM
Il Giudice accoglie il ricorso, sospende l’efficacia
della deliberazione n. 388/2010 e ordina alla ASL
convenuta di rassegnare il ricorrente alle mansioni di
CPS – Tecnico della Prevenzione, Categoria D.
Condanna la ASL a rifondere il ricorrente delle spese di
lite che si liquidano in complessivi *** euro oltre iva
e cpa.
Bari, 14.3.2011
Il giudice
Dr. Simonetta RUBINO
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