Con
sentenza n. 15450/2011 di pochissimi giorni fa la Corte
di Cassazione ha confermato la condanna per molestie
emessa dal Tribunale di Pordenone a carico di un signore
che si posizionava sul proprio terrazzo e spiava
insistentemente nell’appartamento dei vicini di casa.
Perlatro,l’imputato
sbeffeggiava anche i poveri vicini di casa facendo gesti
con la bocca e con le mani sghignazzando e fischiando
ogni volta che li incontrava sulle scale condominiali.
Ebbene,
il molestatore in questione è stato condannato dal
Tribunale di Pordenone alla pena dell’ammenda di €uro
600,00.
Questo è
il testo della sentenza della Suprema Corte:
Corte di
Cassazione, sez. I Penale, sentenza 8 marzo – 15 aprile
2011, n. 15450
Presidente Chieffi – Relatore Capozzi
Ritenuto
in fatto
1. Con
sentenza del 31 marzo 2010 il Tribunale di Pordenone ha
condannato D. V. M. alla pena di Euro 600 di ammenda,
siccome ritenuto responsabile del reato di cui agli
articoli 81, 660 c.p. (avere in più occasioni arrecato
molestie ai coniugi D. B. S. e R.G., suoi vicini di
casa, posizionandosi su di un terrazzo posto a
brevissima distanza dall’appartamento abitato dai
predetti, scrutando in continuazione all’interno di
esso, che aveva cinque finestre prospicienti su detto
terrazzo, in tal modo costringendo le parti offese a
tirare i tendaggi ed ad accendere la luce anche in pieno
giorno per proteggersi dalla sua intrusione; per avere
altresì fatto gesti con la bocca e con le mani a titolo
beffardo, in tal modo arrecando fastidio alle parti
offese, da lui altresì apostrofate con frasi irridenti,
sghignazzi e fischi, quando erano da lui incontrate
sulle scale dell’edificio ovvero sulla pubblica via).
2. Il
Tribunale ha ritenuto provata la penale responsabilità
dell’imputato in ordine al reato ascrittogli, avendo
valorizzato le deposizioni rese dalle parti offese ed
avendo rilevato come le dichiarazioni rese da queste
ultime erano state altresì confermate dagli stessi due
testi introdotti dall’imputato.
3.
Avverso detta sentenza D. V. M. propone ricorso per
cassazione per il tramite del suo difensore, che ha
dedotto:
a) –
inosservanza di norme processuali, in quanto l’udienza
dell’8 marzo 2010 era stata tenuta dal Tribunale
nonostante che il proprio difensore di fiducia, per il
tramite di un sostituto nominato allo scopo, avesse
chiesto un differimento dell’udienza per un proprio
impedimento consistito nel suo stato influenzale,
opportunamente documentato da certificazione medica;
nonostante tale richiesta il Tribunale aveva ritenuto di
procedere oltre nel dibattimento, assumendo le
deposizioni dei testi indicati dal pubblico ministero e
dalla parte civile e nonostante che il proprio difensore
di fiducia non avesse potuto esercitare il proprio
mandato difensionale;
b) –
travisamento dei fatti e manifesta illogicità della
motivazione, in quanto la sentenza di condanna emessa
nei suoi confronti si era basata sulla sola
testimonianza resa dalle parti offese, senza che fosse
tenuto nel debito conto quanto riferito dai testi da lui
indotti, D.V.F. e C.L., nonché dal teste DE. BI.,
ispettore di polizia; in particolare quest’ultimo teste
aveva rilevato come diverse persone frequentavano il
terrazzo, dal quale si sarebbe affacciato esso
ricorrente e che dall’esame delle riprese video
effettuate dalle stesse parti offese il teste non aveva
desunto che esso ricorrente avesse posto in essere gesti
od altri atti all’indirizzo delle patti offese; il
Tribunale poi neppure aveva tenuto nella debito conto i
contrasti che da tempo sussistevano fra le parti offese
e la famiglia di esso ricorrente, tali da inficiare la
genuinità delle dichiarazioni rese dalle prime;
dagli
elementi acquisiti in corso di causa, era emerso che la
terrazza, su cui esso ricorrente si trovava, era
visibile soltanto da coloro che abitavano nello stabile
frontistante; che trattavasi di terrazza che non
costituiva oggetto di proprietà comune fra esso
ricorrente e le parti offese, atteso che soltanto i
proprietari degli appartamenti siti al primo ed al
secondo piano dello stabile avevano diritto di
accedervi; si che trattavasi di un luogo privato, con
conseguente non ravvisabilità nella specie del reato
previsto dall’articolo 660 c.p., per mancanza del
requisito della pubblicità del luogo.
Considerato in diritto
1. È
infondato il motivo di ricorso proposto da D. V. M. sub
a). Non sussiste invero la dedotta nullità del giudizio
di primo grado, per essersi l’udienza dell’8 marzo 2010
svolta, sebbene il difensore di fiducia del ricorrente
avesse chiesto un rinvio per motivi di salute.
Dall’esame degli atti emerge invero come il Tribunale
abbia adeguatamente motivato il diniego di rinviare
l’udienza, avendo rilevato come la certificazione
prodotta dal difensore di fiducia del ricorrente non
fosse idonea a provare un assoluto suo impedimento ad
essere presente, ai sensi dell’art. 420 ter quinto comma
c.p.p., riferendo il certificato medico da lui prodotto
solo di una sindrome influenzale del difensore, senza
neppure indicare il grado di temperatura del medesimo
(cfr., in termini, Cass. Sez. 5, 20/09/2005 n. 35170,
dep. 30/09/2005, imp. Ornaghi, Rv. 232568).
Va
inoltre ritenuto che il difensore di fiducia
dell’imputato è stato regolarmente presente alla
successiva udienza del 31 marzo 2010, nel corso della
quale è stata pronunciata la sentenza, in tal modo
mostrando di avere fatto acquiescenza al diniego di
rinvio della precedente udienza, non emergendo dal
relativo verbale di udienza che il medesimo abbia fatto
constare alcuna sua riserva in ordine al diniego di
rinvio disposto dal Tribunale nella precedente udienza.
2. È
altresì infondato al limite della inammissibilità il
motivo di ricorso proposto dal ricorrente sub b).
Esso
contiene invero censure improponibili nella presente
sede di legittimità, siccome riferite al merito della
controversia, avendo esse ad oggetto la valutazione
delle deposizioni rese dai testi escussi nel corso del
giudizio di primo grado; in tal modo il ricorrente si è
fatto promotore di una qualificazione dei fatti
alternativa rispetto a quella ritenuta dal primo
giudice. Questa Corte di legittimità è tenuta al
contrario a valutare esclusivamente se la motivazione
addotta dal primo giudice per ritenere la penale
responsabilità del ricorrente sia o meno conforme ai
principi della logica e della non contraddizione; e
sotto tale aspetto la sentenza impugnata è pienamente
condivisibile, avendo essa fondato la declaratoria di
penale responsabilità del D. V. sulle concordi e
convergenti deposizioni rese dalle parti offese D. B. S.
e R.G., ritenute credibili anche perché indirettamente
confermate dalle stesse dichiarazioni rese dai testi
indotti dal ricorrente e cioè dai suoi genitori D. V. F.
e C. L..
Non è
poi idonea a scriminare la condotta del ricorrente la
circostanza che fra la famiglia di quest’ultimo e le
parti offese fossero insorte nel passato delle liti
connesse proprio alla utilizzazione della terrazza,
dalla quale esso ricorrente aveva posto in essere il
comportamento sanzionato.
3. È
infine infondato il motivo di ricorso proposto da D. V.
M. sub c).
Con esso
il ricorrente ha sostenuto che, essendo la terrazza
dalla quale egli avrebbe posto in essere il
comportamento penalmente sanzionato di proprietà
esclusiva dei condomini proprietari degli appartamenti
siti al primo ed al secondo piano dello stabile, mancava
uno degli elementi indispensabili per aversi reato in
esame e cioè che le molestie fossero state poste in
essere in un luogo pubblico o aperto al pubblico.
Al
riguardo la sentenza impugnata, con motivazione
incensurabile nella presente sede, siccome conforme ai
canoni della logica e della non contraddizione, ha
specificato come la terrazza in questione si trovasse al
piano ammezzato fra il primo piano, dove era ubicato
l’appartamento delle odierne parti offese ed il secondo
piano, dove era ubicato l’appartamento del ricorrente e
che ad essa si accedeva attraverso un’apertura del
comune vano scale condominiale, sicché la terrazza in
questione ben poteva qualificarsi come luogo aperto alla
generalità dei condomini.
4. Il
ricorso proposta da D. V. M. va pertanto respinto, con
sua condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta
il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
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