Sommario: 1. Nozione 2. Ratione
temporis 3. Specificità ed incompatibilità 4. Continenza
logica 5. Relevatio ab onere probandi? 6. Qual è il dies
ad quem? 7. Revoca 8. Litisconsorzio 9. Perimetrazione
applicativa.
1. Nozione
Come noto la legge 69/2009 ha
novellato l’art. 115 c.p.c., codificando il c.d.
principio di non contestazione; recita l’odierno[1]
primo comma dell’art. 115 c.p.c. che “salvi i casi
previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento
della decisione le prove proposte dalle parti o dal
pubblico ministero nonché i fatti non specificatamente
contestati dalla parte costituita”.
Tale norma è rubricata
“disponibilità delle prove” ed è sistematicamente
inserita nell’ambito delle “disposizioni generali”.
Dalla mera lettera della legge,
come è stato già detto[2], sono desumibili alcuni
rilievi:
che le parti devono essere
costituite, così escludendo che la novella possa
riguardare il processo contumaciale[3]; è così esclusa
anche ogni incidenza sulla fase pre-giudiziale o
stragiudiziale[4];
che il nuovo principio riguarda
entrambe le parti, non limitandosi la norma ad indicare
attore o convenuto, ma utilizzando piuttosto l’inciso
“parte costituita”;
che la contestazione deve essere
specifica; la genericità equivale a non
contestazione[5];
la contestazione deve essere
riferita ai fatti, per cui la mancata qualificazione
giuridica delle contestazioni è irrilevante; non è
richiesto, in altri termini, di qualificare i fatti in
modo diverso da quanto fatto da controparte;
che la contestazione deve
riguardare sia i fatti principali che secondari, visto
che la legge de qua non pone alcuna differenziazione.
2. Ratione temporis
Chiarita la nozione e portata della
novella, per come desumibile dalla mera lettera della
legge, è discusso il dies a quo dal quale incominciare
ad applicare il nuovo art. 115 c.p.c.
Difatti, seppur la legge 69/2009
prevede l’entrata in vigore della normativa de qua dal
4.7.2009, si è sostenuto che il suo carattere meramente
ricognitivo ne permetterebbe l’applicazione anche a
cause instaurate ante novella.
A favore di questa tesi (del
carattere ricognitivo della norma) sostenuta da parte
della giurisprudenza di merito[6] deporrebbero i
rilievi:
l’art. 167 c.p.c., con l’inciso
“prendendo posizione sui fatti” ha sempre richiesto la
contestazione;
il processo civile è essenzialmente
“tra parti”, configurando una struttura dialettica a
catena[7], con la conseguenza che diviene onere delle
parti contestare.
Accogliendo tale tesi, ne
seguirebbe che la novella dovrebbe essere applicata
anche ai processi instaurati prima del 4.7.2009.
Secondo altra opzione
interpretativa, diversamente, la riforma della legge
69/2009 avrebbe inteso innovare l’art. 115 c.p.c., con
la conseguenza di poter trovare riscontro applicativo
post 4.7.2009.
A favore di tale tesi (del
carattere innovativo della norma) rileverebbero[8] le
osservazioni che:
l’art. 88 c.p.c., imponendo alle
parti lealtà e probità vieterebbe (implicitamente) a
queste di approfittare “di dimenticanze di specifiche
contestazioni”;
se il legislatore avesse voluto
prevedere il principio di non contestazione (prima della
novella) lo avrebbe fatto espressamente (si lex voluit
dixit), come avvenuto nei casi di riconoscimento tacito
delle scritture private, ex art. 215 c.p.c., ovvero di
mancate risposte all’interrogatorio, ex art. 232 c.p.c.,
ovvero di processo del lavoro.
Accogliendo tale ricostruzione, il
principio di non contestazione riguarderebbe solo le
cause post 4.7.2009.
Il problema interpretativo posto
non è di facile soluzione, anche se si ritiene di optare
per la preferibile tesi dell’innovatività; ciò alla luce
del seguente argomento dirimente[9]:
- per capire se vi è innovatività o
meno, bisogna confrontare l’orientamento
giurisprudenziale favorevole al principio della non
contestazione con il novellato art. 115 c.p.c., con la
conseguenza che:
1) se il nuovo art. 115 c.p.c. ha
un contenuto uguale all’orientamento giurisprudenziale
precedente, allora, non c’è innovatività;
2) se il nuovo art. 115 c.p.c. ha
contenuto diverso dall’orientamento giurisprudenziale
precedente, allora, c’è innovatività.
Da tale raffronto emerge che, a
rigore, c’è innovatività, con la conseguenza
logico-giuridica che il principio di non contestazione,
come codificato, sarà giustamente applicabile solo alle
cause post 4.7.2009.
Nel dettaglio:
il novellato art. 115 c.p.c. non si
applica alle controversie contumaciale, diversamente da
quanto si diceva nell’orientamento giurisprudenziale
precedente;
il novellato art. 115 c.p.c.
riguarda tutte le parti, ivi compresi i terzi, nonché
fatti principali e secondari, diversamente da quanto
affermato dalla giurisprudenza[10] ante novella.
Alla luce, pertanto, di tale
difformità tra giurisprudenza che ricavava il principio
di non contestazione dal “sistema” e novellato art. 115
c.p.c., si può ben ritenere che vi sia innovatività, con
la conseguenza che la novella riguarderà solo le cause
post 4.7.2009.
3. Specificità ed incompatibilità
Si è detto che la contestazione
deve essere specifica; tuttavia, ciò equivale a dire che
debba anche essere espressa? E’ ammissibile una
contestazione implicita, laddove la parte si limiti a
narrare un fatto logicamente e strutturalmente
incompatibile con quando dedotto dalla parte avversa?
In sostanza: se vi è
incompatibilità logico-funzionale tra i fatti narrati
dall’attore e quelli del convenuto, potrà ciò costituire
“mancata contestazione specifica” così da divenire
prova?
Se si opta per la tesi negativa,
l’attore potrebbe già ritenere provati i fatti narrati,
senza alcuna dimostrazione, per merito della mancata
contestazione specifica, ex art. 115 c.pc.; se, al
contrario, si opta per la tesi positiva, l’attore dovrà
pur sempre provare i fatti narrati, non operando il
meccanismo della mancata contestazione come prova, ex
art. 115 c.p.c.
A favore della tesi negativa
deporrebbero gli argomenti che:
l’inciso “fatti non
specificatamente contestati” sembrerebbe suggerire che
la mancata ed espressa specificazione vale come mancata
contestazione e, dunque, prova; ciò perché, la
contestazione, per essere valida ai sensi dell’art. 115
c.p.c. deve essere specifica: non è specifica
contestazione la narrazione di un fatto incompatibile
con quanto già affermato da controparte; per certi
versi, la narrazione incompatibile non sarebbe neanche
una “contestazione”, al di là della necessità del
requisito della specificità;
la ratio della norma, tesa a
“specificare” meglio la “struttura dialettica a catena”
verrebbe del tutto vulnerata; anzi, addirittura si
opterebbe per un’interpretatio abrogans del novellato
art. 115 c.p.c.
A sostegno della tesi positiva
preferibile, invece, militerebbero gli argomenti che:
in effetti, il Legislatore
sembrerebbe richiedere il requisito della specificità
della contestazione, ma con ciò non si può intendere la
necessaria espressione di contestazione, essendo ammesse
contestazioni implicite[11]; più chiaramente, non viene
richiesto che i fatti siano “espressamente” contestati,
ma che la contestazione sui fatti sia specifica, con la
conseguenza logico-deduttiva che, a rigore, dovrebbero
essere ammesse le contestazioni implicite, purchè
specifiche; ne segue, ancora, de plano, che la
narrazione di un fatto incompatibile con le
esplicitazioni avverse, se specificatamente riferibili a
queste ultime, ancorché in modo implicito, dovrà
ritenersi contestazione specifica; id est: il requisito
della specificità non richiede che la contestazione sia
espressa, così ammettendosi narrazioni incompatibili,
purchè riferibili a fatti narrati dall’avversa parte
processuale;
inoltre, non sarebbe possibile
considerare il fatto incompatibile tamquam non esset,
privo di rilievo giuridico, in quanto la nullità, pure
di parti di atti, può emergere solo nei casi di mancato
raggiungimento dello scopo, ex art. 156 c.p.c.,
diversamente dall’ipotesi de quo; la narrazione di un
fatto incompatibile, precisamente, permette a
controparte una difesa congrua, così raggiungendo lo
scopo, senza alcuna elusione; la materia processuale, in
fondo, tende alla sostanza delle cose, che viene
salvaguardata pure nei casi di narrazioni incompatibili;
la ratio, poi, verrebbe comunque
salvaguardata, in quanto la narrazione dei fatti dovrà
essere riferibile specificatamente a quanto già dedotto
dall’altra parte, seppur in modo implicito, così
assicurando una maggiore specificità delle rispettive
contestazioni.
Alla luce di tali rilievi, la
narrazione di fatti incompatibili con le affermazioni
della parte avversa, purchè riferibili in modo
specifico, ancorché in modo non espresso, è compatibile
con i requisiti di necessaria specificità della
contestazione, oggi codificati nell’art. 115 c.p.c.,
perché tale impostazione è:
coerente con il dato letterale (il
Legislatore richiede la “specificità”, e non un richiamo
“espresso”);
coerente con i principi generali
(in particolare, quello del raggiungimento dello scopo);
coerente con la ratio sottesa alla
novella del 2009;
non infligge in alcun modo un
vulnus al diritto di difesa, assicurando pur sempre un
contraddittorio leale.
4. Continenza logica
Ulteriore interrogativo che sorge
alla luce della lettera del novellato art. 115 c.p.c.
attiene essenzialmente al rapporto tra an e quantum
debatur.
Cosa succede, poi, se la
contestazione riguarda solo un segmento delle deduzioni
dell’altra parte processuale? Più chiaramente, se la
contestazione si limita a criticare, ad esempio, il solo
an, vorrà dire che una volta provato questo,
automaticamente, si riterrà provato pure il quantum
debeatur (non specificatamente contestato)?
Il problema si può porre perché, in
effetti, l’art. 115 c.p.c., richiedendo una
contestazione specifica, potrebbe indurre a pensare che,
pur con riferimento al medesimo fatto, la mancata
contestazione di singoli rilievi possa determinare la
prova, idonea a giustificare una decisione basata su
questa così acquisita.
Invero, la sola contestazione
dell’an non può, a rigore, ritenere non contestato pure
il quantum debeatur, perché:
l’art. 115 c.p.c. richiede la
contestazione dei fatti, e non quella delle
qualificazioni giuridiche, con la conseguenza che va
criticato l’accadimento, ma non la consequenziale
quantificazione[12], che è operazione di “qualificazione
giuridica”, seppur in termini monetari;
prendendo posizione sul profilo
dell’an, invero, si prende posizione pure sul quantum,
considerandolo pari a zero; ciò in virtù di una sorta di
continenza logica[13], in base alla quale nella “critica
del più, sta anche il meno”; tale rilievo è, ovviamente,
estensibile anche ad altri profili, come quelli del
quomodo, ad esempio;
optare per la tesi contraria,
vorrebbe dire eludere la solidarietà processuale,
desumibile dall’art. 88 c.p.c., letto in combinato
disposto con l’art. 2 Cost., sconfinando in un abuso
processuale[14].
In questo senso sembra essersi
espressa anche la prima giurisprudenza di merito[15].
5. Relevatio ab onere probandi?
Uno dei problemi più spinosi che la
novella pone riguarda il valore giuridico da attribuire
alla non contestazione, quale strumento di economia
processuale[16]: non contestare equivale a provare,
oppure equivale ad esonerare controparte dalla prova
(relevatio)?
Il problema posto non è meramente
teorico, in quanto:
se si ritiene che la non
contestazione equivale a prova, allora, ne seguirà che
l’effettiva prova successivamente acquisita nel processo
avrà pari valore, richiedendo così una nuova istruttoria
alla luce della contraddittorietà probatoria emersa;
se, diversamente, si ritiene che la
non contestazione equivale a relavatio ab onere
probandi, allora, la successiva prova di segno opposto
che dovesse emergere prevarrà sulla non contestazione,
così evitando una nuova istruttoria, non emergendo
alcuna contraddittorietà.
La tesi letterale, condivisa da
parte della recente giurisprudenza di merito[17], induce
ad equiparare la mancata contestazione ad una vera e
propria prova; ciò in quanto l’art. 115 c.p.c. recita:
che il giudice “deve porre”, così
imponendo un obbligo al pari di ciò che avviene con la
valutazione delle prove;
che sia le prove devono essere
poste a fondamento della decisione “nonché i fatti non
specificatamente contestati”, così con la congiunzione
“nonché” equiparando la prova alla non contestazione.
La tesi logica preferibile si
poggia sull’unico rilievo (a contrario) che,
diversamente opinando, si arriverebbe all’aporia logica
difficilmente superabile per cui il silenzio, come la
mancata contestazione, varrebbe quanto ciò che viene
detto, ad esempio tramite una testimonianza, così
finendo per trattare in modo uguale situazioni
giuridiche diverse, così vulnerando l’art. 3 Cost.: la
mancata specifica contestazione esonera l’altra parte
dall’onere probatorio, integrando – di fatto - una sorta
di “presunzione processuale[18]” (se si esonera una
parte dall’onere probatorio, vuol dire che il fatto
narrato non necessita di prova e, dunque, si presume che
si sia davvero verificato, fino a prova contraria).
Tale tesi è condivisa anche dalla
giurisprudenza nomofilattica[19] e da parte della
giurisprudenza di merito[20].
6. Qual è il dies ad quem?
Ulteriori dubbi interpretativi che
si pongono, in ordine al novellato art. 115 c.p.c.,
attengono al dies ad quem: fino a quando è possibile
contestare specificamente, di modo che il fatto addotto
possa ritenersi tempestivamente contestato?
In un sistema ancora a preclusioni
“temporali” un dies ad quem deve necessariamente
sussistere.
Il problema posto non è di facile
soluzione, in quanto la normativa de qua non affronta
expressis verbis la questione posta.
In base ad una prima opzione
interpretativa, si potrebbe ritenere che il dies ad quem
coincida con la seconda memoria di cui all’art. 183
c.p.c. perché è con tale memoria che è possibile
“replicare” ed, a rigore, la contestazione specifica è
una forma di replica.
Se, difatti, si evidenzia che la
contestazione specifica è una forma di replica, allora
ne segue de plano che il dies ad quem sarà determinato
dalla seconda memorie indicata all’art. 183 c.p.c.,
perché è con questa che si replica.
Per una seconda opzione
interpretativa[21], invece, la contestazione specifica
atterrebbe pur sempre al thema probandum, riguardando la
prova, tant’è vero che l’art. 115 c.p.c. è rubricato
“disponibilità delle prove”, con la conseguenza di
cristallizzare il dies ad quem con la terza memoria
dell’art. 183 c.p.c.; più chiaramente: poiché la
contestazione specifica attiene al thema probandum,
allora, è possibile contestare (in modo specifico)
finchè non viene definitivamente perimetrato il tema
della prova e ciò avviene con la terza memoria di cui si
è detto.
Tuttavia sembra più convincente la
terza opzione interpretativa, seguita anche dalla
giurisprudenza[22]: la contestazione specifica va fatta
con la prima occasione utile, ciò emergendo da tutto il
sistema processuale (come risulta dal carattere
dispositivo del processo, che comporta una struttura
dialettica a catena; dal sistema di preclusioni, che
comporta per entrambe le parti l'onere di collaborare,
fin dalle prime battute processuali, a circoscrivere la
materia controversa; dai principi di lealtà e probità
posti a carico delle parti e, soprattutto, dal generale
principio di economia che deve informare il processo,
avuto riguardo al novellato art. 111 Cost.).
La prima occasione utile coincide:
con la comparsa di risposta, ex
art. 167 c.p.c., per quanto attiene al convenuto;
con la prima udienza di
trattazione, ex art. 183 c.p.c., per quanto attiene
all’attore[23].
7. Revoca
Altra questione degna di attenzione
riguarda la revocabilità della non contestazione
specifica: è possibile la revoca della contestazione
specifica?
Più chiaramente: quando una parte
contesta specificamente fatti dedotti da controparte,
può successivamente revocarla[24]?
Per la verità, nessuna norma
espressamente parla di revoca, così che a rigore al più
tale comportamento potrà incidere come comportamento
processuale, ex art. 116 c.p.c.
Così la mancata reiterazione della
contestazione non può tradursi in implicita revoca della
stessa contestazione, come affermato anche dalla
giurisprudenza di merito[25].
8. Litisconsorzio
Può accadere che un processo si
instauri tramite la forma litisconsortile (necessaria o
facoltativa), ma una parte resti concretamente
contumace, così ponendo dubbi sulla concreta
applicabilità, anche in questo caso, del disposto di cui
all’art. 115 c.p.c..
Laddove, cioè, si realizzi un
litisconsorzio, ma una parte resti contumace, potrà
ciononostante valere il principio di non contestazione
di cui si è detto?
A favore di una risposta positiva
depongono i rilievi che:
sussiste una “parte costituita”,
come richiede l’art. 115 c.p.c.;
poiché nulla è detto in senso
contrario, allora, si applica il principio generale che
è quello della non contestazione[26].
A favore della risposta
negativa[27] preferibile depongono le osservazioni che:
l’art. 115 c.p.c. non riguarda il
contumace e, dunque, neanche nella forma
litisconsortile;
diversamente opinando si avrebbe
una contraddizione logica non spiegabile in quanto
avremmo un principio (quale quello della non
contestazione) operante solo verso la parte costituita e
non verso il contumace, con la conseguenza che si
avrebbe un fatto accertato per una parte e,
contemporaneamente, non accertato per l’altra (quasi
come se un fatto “c’è e contemporaneamente non c’è”);
ciò davvero sarebbe un’aporia logica incomprensibile.
9. Perimetrazione applicativa
Infine, si discute circa la portata
applicativa del novellato art. 115 c.p.c..
Alla luce della collocazione
sistematica dell’art. 115 c.p.c. nell’ambito delle
“Disposizioni generali” bisognerebbe affermare una
generale applicabilità.
Ciò vale, pertanto, per il processo
in appello, anche in considerazione del fatto che l’art.
359 c.p.c. rinvia essenzialmente alle norme inerenti il
primo grado, dove è sicuramente applicabile l’art. 115
c.p.c..
Di massima dovrebbe valere anche
per il “rito cautelare[28]”, dove l’esigenza di
“speditezza” ben si concilia con il suddetto principio;
lo stesso, a rigore, andrebbe detto per quanto attiene
al rito sommario di cognizione, ex art. 702bis c.p.c..
Articolo di Luigi Viola)
__________________
Il presente scritto rappresenta la
rielaborazione della relazione tenuta a Siracusa, in
data 11.2.2011, al convegno organizzato dal Consiglio
dell’Ordine degli Avvocati, dal titolo “Il nuovo
principio di non contestazione”.
[1] Per approfondimenti esaustivi
sul dibattito prima della legge 69/2009 in tema di non
contestazione, si veda CIACCIA CAVALLARI, La
contestazione nel processo civile, Milano, 1993.
[2] VIOLA, Il nuovo principio di
non contestazione nella riforma del processo civile,
Altalex.com, 2009.
[3] Da qui si ricaverebbe, secondo
parte della dottrina, quasi un implicito invito a
restare contumace, piuttosto che costituirsi quando si
ha poco da dire. In questo senso BALENA - CAPONI –
CHIZZINI - MENCHINI, La riforma della giustizia civile,
Torino, 2009, 37; TEDOLDI, La non contestazione nel
nuovo art. 115 c.p.c., in Rivista di diritto
processuale, 1, 2011, 85.
[4] La “non contestazione” che
permette la pronuncia di ordinanza ex art. 186 bis
c.p.c. consiste in un contegno processuale, non potendo
concorrere ad integrarla atteggiamenti assunti dalla
parte prima e al di fuori del giudizio. Il provvedimento
in questione, pertanto, non può essere pronunciato
dall’istruttore ove una parte, dichiaratasi disponibile
stragiudizialmente al pagamento di una certa somma, in
giudizio contesti i presupposti della domanda
avversaria; così Tribunale Lamezia Terme, sez. civile,
sentenza 18.03.2010, in Massimario.it, 12, 2010; in
senso contrario Tribunale Piacenza, sentenza 01.02.2011
n. 61, in Massimario.it, 7, 2011.
[5] BUFFONE, Il principio di non
contestazione, relazione tenuta al seminario di
formazione professionale, presso il Consiglio
dell’Ordine degli avvocati di Catanzaro, il 14.7.2009.
[6] Tribunale di Piacenza 2.2.2010,
G.u. Morlini.
[7] Parla di struttura dialettica a
catena, tipica del processo civile, Cass. civ. Sez.
Unite, 09-10-2008, n. 24883, in Giur. It., 2009, 2, 406
con nota di VACCARELLA – SOCCI.
[8] Ritiene Cassazione civile, Sez.
III, 28.10.2004, n. 20916, in Foro It., 2005, 1, 727 con
nota di CEA che “I fatti allegati da una parte, in tanto
possono considerarsi pacifici, in quanto siano stati
esplicitamente ammessi dall'altra parte, ovvero quando
quest'ultima abbia impostato le proprie difese su
argomenti logicamente incompatibili con il
disconoscimento dei fatti stessi, oppure si sia limitata
a contestarne esplicitamente e specificamente taluni
soltanto, evidenziando in tal modo il proprio
disinteresse ad un accertamento degli altri (e ciò
perché nel vigente ordinamento non sussiste un principio
che vincoli alla contestazione specifica di ogni
situazione di fatto dichiarata dalla controparte).”.
[9] SCHIRO’, Il principio di non
contestazione dopo la riforma del processo civile, in
Relazione tenuta al CSM, 2010
(http://appinter.csm.it/incontri/relaz/19594.pdf);
afferma Schirò (Consigliere Suprema Corte di Cassazione)
che “a tale riguardo assume rilievo la disciplina in
concreto applicabile al principio enunciato dall’art.
115 c.p.c., confrontata con quella in precedenza
elaborata dalla giurisprudenza”.
[10] Secondo Cassazione civile,
Sez. I, 27.2.2008, n. 5191, in Mass. Giur. It., 2008 “In
materia di prove, l'onere del convenuto, previsto
dall'art.416 cod. proc. civ. per il rito del lavoro, e
dall'art.167 cod. proc. civ. per il rito ordinario, di
prendere posizione, nell'atto di costituzione, sui fatti
allegati dall'attore a fondamento della domanda,
comporta che il difetto di contestazione implica
l'ammissione in giudizio solo dei fatti cosiddetti
principali, ossia costitutivi del diritto azionato,
mentre per i fatti cosiddetti secondari, ossia dedotti
in esclusiva funziona probatoria, la non contestazione
costituisce argomento di prova ai sensi dell'art.116,
secondo comma, cod. proc. civ.”.
[11] In materia di contestazione
implicita, si vedano Cass. civ. Sez. lavoro, 26-02-2007,
n. 4395; Cass. civ. Sez. III, 1 marzo
2000, n. 2301, in Mass. Giur. It., 2000; Cass. civ. Sez.
III, 26 novembre 1998, n. 11980, in Mass. Giur.
It., 1998.
[12] Per CEA, Commento all’art. 115
c.p.c., in Nuove leggi civili commentate, 2010, 4-5,
798, “la mancata contestazione del quantum diventa
processualmente rilevante ogni volta che essa abbia ad
oggetto fatti la cui esistenza non è esclusa
automaticamente dalla contestazione dell’an del
diritto”.
[13] Si parla di continenza logica,
ad esempio, in Cass. civ. Sez. I, 7 maggio 1997, n.
3984, in Mass. Giur. It., 1997. In dottrina, si veda
BEI, Sulle delibere implicite, con particolare
riferimento al compenso degli amministratori, in
Società, 2009, 1, 28; PASSARO, Intermediazione
finanziaria e violazione degli obblighi informativi:
validità dei contratti e natura della responsabilità
risarcitoria, in Nuova Giur. Civ., 2006, 9, 897.
[14] In materia di abuso
processuale, si veda KOFLER, Il forum destinatae
solutionis nelle azioni di accertamento negativo del
credito e di nullità del contratto, in Corriere Giur.,
2004, 2, 207; DONDI, Spunti di raffronto comparatistico
in tema di abuso del processo (a margine della l.
24.3.2001, n. 89), in Nuova Giur. Civ., 2003, 1, 62;
NICOTINA, Questioni processuali controverse in materia
di clausole abusive nei contratti con i consumatori, in
Giur. It., 1999, 11.
[15] E’ una contestazione
specifica, sia in ordine all’an che in ordine al quantum
debeatur, quella con cui una parte chieda l’integrale
rigettato dell’avversa domanda, lamentando che i danni
sofferti dalla controparte non si sarebbero verificati
ove la stessa avesse tenuto un comportamento diligente,
denunciando immediatamente i vizi scoperti ed in via
subordinata invochi una riduzione rispetto all’ammontare
richiesto in quanto non corrispondente all’entità del
pregiudizio sofferto; così recita Tribunale Lamezia
Terme, sez. civile, sentenza 18.03.2010, in
Massimario.it, 12, 2010, già cit.
[16] Afferma TEDOLDI che il
principio di non contestazione è un “semplice strumento
di economia processuale, che consente di risolvere la
quaestio facti senza necessità di far luogo a istruzione
probatoria sui fatti non specificamente contestati”, già
cit., 86.
[17] La non contestazione
stragiudiziale unita a quella giudiziale costituiscono
prova; in questo senso Tribunale Piacenza, sentenza
01.02.2011 n. 61, in Massimario.it, 7, 2011.
[18] L’atto che richiede la forma
ad probationem può essere provato tramite il principio
della non contestazione, ex art. 115 c.p.c.. Così
Tribunale di Lamezia Terme, 30 giugno 2010. Scrive
TESTI, Riflessioni sul principio di non contestazione
nel processo civile, in Giur. It., 2011, 1, che la non
contestazione può essere considerata un comportamento
processuale dal quale si può presuntivamente dedurre la
veridicità del fatto non contestato.
[19] Cassazione civile, Sez. III,
10 novembre 2010, n. 22837, CED Cassazione, 2010.
[20] Tribunale di Varese ord.
1.10.2009, in Tribunale.varese.it, 2009.
[21] GIANI, La non contestazione
nel processo civile tra definizione del thema decidendum
e del thema probandum, in Relazione tenuta al C.S.M.,
2010, http://appinter.csm.it/incontri/relaz/20248.pdf;
CEA, La modifica dell’art. 115 e le nuove frontiere del
principio della non contestazione, in Foro. It., 2009,
V, 268.
[22] Afferma Cassazione civile,
Sez. I, 27 febbraio 2008, n. 5191, in Mass. Giur. It.,
2008 che “ogni volta che sia posto a carico di una delle
parti (attore o convenuto) un onere di allegazione (e
prova), l'altra ha l'onere di contestare il fatto
allegato nella prima difesa utile, dovendo, in mancanza,
ritenersi tale fatto pacifico e non più gravata la
controparte del relativo onere probatorio, senza che
rilevi la natura di tale fatto”.
[23] VIOLA, L’udienza di prima
trattazione ex art. 183 c.p.c., Milano, 2011.
[24] Per approfondimenti sul tema,
si veda MINARDI, La c.d. revoca della non contestazione,
in Lexform.it, 2009.
[25] Tribunale di Mondovì, 12 marzo
2010, Est. Paolo Giovanni Demarchi, in www.ilcaso.it,
2010.
[26] Il principio della non
contestazione è a carattere generale, in quanto l’art.
115 c.p.c. è collocato sistematicamente nell’ambito
delle disposizioni generali.
[27] Tribunale di Varese, 19
gennaio 2010, Tribunale.varese.it, 2010.
[28] TEDOLDI, già cit., 93. |