La Cassazione ha ribadito che "il
reato di bancarotta semplice documentale, punendo il
comportamento omissivo del fallito che non ha tenuto le
scritture contabili, rappresenta un reato di pericolo
presunto che mira ad evitare che sussistano ostacoli
alla attività di ricostruzione del patrimonio aziendale
e dei movimenti che lo hanno costituito e persegue la
finalità di consentire ai creditori l'esatta conoscenza
della consistenza patrimoniale, sulla quale possano
soddisfarsi. La fattispecie, pertanto, consistendo nel
mero inadempimento di un precetto formale (il
comportamento imposto all'imprenditore dall'art. 2214
Codice Civile), integra un reato di pura condotta, che
si realizza anche quando non si verifichi, in concreto,
danno per i creditori".
Pertanto, la Cassazione ha
ricordato il proprio consolidato orientamento secondo
cui "L'obbligo di tenere le scritture contabili non
viene meno se l'azienda non ha formalmente cessato la
attività, anche se manchino passività insolute; esso
viene meno solo quando la cessazione della attività
commerciale sia formalizzata con la cancellazione dal
registro delle imprese".
Nel caso di specie la Cassazione ha
rilevato che "La esatta e piena integrazione della
fattispecie, di natura formale ed a pericolo presunto,
rende evidente come non sia correttamente evocato, la
figura del reato impossibile di cui all'art. 49 comma 2
Codice Penale, dovendosi osservare che non ricorre né il
caso della "inidoneità della azione" né quello della
"inesistenza dell'oggetto" della condotta: al contrario,
è quantomeno da osservare che la redazione
dell'inventario, da redigersi ogni anno, serve ad
evidenziare le attività e le passività della impresa
oltre a quelle dell'imprenditore, estranee alla
medesima. Esso si chiude con il bilancio e con il conto
dei profitti e delle perdite il quale deve dimostrare
gli utili conseguiti o le perdite subite (art. 2217
Codice Civile)".
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