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I vantaggi del contratto di rete-Articolo 21.04.2011 (Annarita Zingaropoli)-Altalex.it

 

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L’art. 3 del D.L. 10 febbraio 2009, n. 5 (il “Decreto Incentivi”), convertito con modificazioni nella L. 9 aprile 2009, n. 33, che ha introdotto un nuovo strumento di cooperazione fra imprese, la c.d. “rete”, è stato di recente innovato dall’art. 42 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni nella L. 30 luglio 2010, n. 122 (la “Manovra Economica”). Le modifiche apportate delineano un certo favor nei confronti del contratto di rete, infatti la Manovra Economica ha previsto una serie di disposizioni, volte ad incentivare la creazione di reti di impresa, tra le quali la possibilità di stipulare convenzioni con l’ABI, nei termini che verranno definiti con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, emanato ai sensi dell’art. 17 comma 3 della L. 400/98, entro 45 giorni dalla data di entrata in vigore del D.L. 78/2010, e una misura fiscale agevolativa che consiste in un regime temporaneo di sospensione di imposta di cui possono fruire gli utili d’esercizio accantonati in un’apposita riserva e destinati alla realizzazione di investimenti previsti dal programma comune, purché questo sia stato preventivamente asseverato. La quota degli utili accantonata e destinata alla realizzazione dell’obiettivo comune, sarà dunque esclusa dal calcolo del reddito imponibile per la durata del contratto medesimo. Al riguardo si segnala che, con decisione C(2010)8939 def. del 26 gennaio 2011, la Commissione europea, sulla base di quanto previsto dall’art. 107, paragrafo 1, del TFUE, secondo cui “sono incompatibili con il mercato comune, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza”, ha ritenuto che la misura agevolativa in favore delle reti di imprese non costituisca “aiuto” di Stato. In particolare, la Commissione ha osservato come l’agevolazione in esame non è una misura selettiva, nel senso che non favorisce solo “talune imprese o talune produzioni”, ma essendo destinata a tutte le imprese che partecipano alla ”rete”, è una misura di carattere generale, che compete tanto alle piccole e medie imprese quanto alle grandi imprese, a prescindere dal loro ambito di attività.

 

Con la Circolare n. 4/E del 15 febbraio 2011, l’Agenzie delle Entrate ha fornito le istruzioni operative in merito alla corretta applicazione dell’agevolazione di cui all’art. 42, D.L. 78/2010.

 

Come noto, la “rete” è un contratto sottoscritto da imprese che, per accrescere la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato, si impegnano reciprocamente, in attuazione di un programma comune, a collaborare, ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa. Partecipanti alla rete possono essere tutte le imprese, sia individuali che collettive, senza limiti di dimensioni, senza vincoli di localizzazione territoriale e/o tipologia di business. Si tratta di un contratto a struttura “aperta”, al quale vale a dire, possono aderire imprese diverse da quelle che hanno in origine dato vita alla rete, secondo modalità di adesione predeterminate e stabilite nel contratto medesimo.

 

Il contratto di rete è differente dal raggruppamento temporaneo di imprese e dal consorzio. Per raggruppamento temporaneo di imprese si intende il sistema a cui le imprese ricorrono per partecipare a gare d'appalto quando non possiedono le categorie richieste nel bando, caratterizzato da un rapporto di mandato con rappresentanza, gratuito ed irrevocabile, conferito collettivamente all’impresa “capogruppo”. “I raggruppamenti temporanei tra imprese sono previsti dalla legge ed hanno ragion d'essere solo nel contesto delle gare e dei rapporti con la stazione appaltante, costituendo essi una modalità agevolativa di partecipazione alle gare bandite dalla P.A. che non può trovare applicazione oltre i casi in cui è prevista, senza che per questo possa ritenersi violato il principio comunitario di tutela della concorrenza” (T.A.R. Reggio Calabria Calabria sez. I,, 10 dicembre 2009, n. 1197).

 

Il consorzio è invece il contratto con il quale due o più imprenditori “istituiscono un’organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese” (art. 2602 cod. civ.).

 

E’ evidente come la differenza fondamentale di tali forme di cooperazione imprenditoriale risieda nello “scopo” specifico dell’aggregazione fra le imprese partecipanti e nell’assenza nel raggruppamento temporaneo di imprese e nel consorzio di un programma comune duraturo e non limitato al compimento di un affare specifico o alla disciplina delle “fasi” della rispettiva attività di impresa. In particolare, la stessa giurisprudenza amministrativa ha chiarito che il raggruppamento temporaneo di imprese non è altro che un mezzo tecnico tramite il quale ciascuna impresa persegue un interesse “proprio”, distinto da quello delle altre imprese partecipanti.

 

Sotto il profilo formale, il contratto di rete deve essere redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, ai fini degli adempimenti pubblicitari richiesti dal comma 4-quater dell’art. 3, in base al quale, del contratto di rete deve essere data pubblicità nel registro delle imprese presso cui è iscritta ciascuna impresa partecipante.

 

E’ bene chiarire che, dalla “rete” non nasce un soggetto giuridico autonomo e distinto rispetto ai partecipanti, né – conseguentemente – un nuovo soggetto passivo a livello tributario, ma un regolamento di interessi, implicante una serie di diritti e doveri strumentali all’attuazione del programma economico della rete. Diversamente dal consorzio con attività esterna, in base all’art. 42 della legge 122/2010, il contratto di rete “può”, ma non “deve” prevedere l’istituzione di un fondo patrimoniale comune, al quale – se del caso- si applicheranno le disposizioni di cui agli artt. 2614 e 2615 del codice civile.

 

Il contratto di rete è stato visto subito come uno strumento di utile cooperazione fra piccole e medie imprese, le quali attraverso l’unione delle proprie forze e delle rispettive risorse economiche, hanno la possibilità di perseguire un obiettivo di crescita che, uti singuli, non avrebbero potuto raggiungere.

 

A ben vedere, il contratto di rete appare uno strumento da utilizzarsi anche dalle grandi imprese, come testimonia il riferimento alla possibilità di eseguire il conferimento nel fondo comune (ove previsto) tramite apporto di un patrimonio destinato costituito ai sensi dell’art. 2447-bis, primo comma, lettera a), cod. civ..

 

E’ noto che i patrimoni destinati (introdotti dalla novella del 2003) sono strumenti di separazione patrimoniale previsti per le sole società a capitale azionario. In particolare, la figura di patrimonio destinato di cui alla lettera a) dell’art. 2447-bis, primo comma, cod. civ., consente di distaccare una porzione del patrimonio societario di valore complessivamente non superiore al dieci per cento del patrimonio netto, destinandola stabilmente alla realizzazione di uno scopo predeterminato. In tal caso, detto patrimonio “dedicato” potrà essere aggredito solo dai creditori le cui ragioni di credito sono legate allo scopo perseguito, e non anche dai creditori – per così dire – “generali” della società. Per separare una fetta del patrimonio, sottraendola alla garanzia patrimoniale generica dei creditori sociali (cui viene riconosciuto, ex art. 2447-quater cod.civ., il diritto di opposizione), il patrimonio restante deve essere comunque sufficiente di per sé a consentire la prosecuzione dell’oggetto sociale, così come originariamente concepito. E’ pertanto verosimile che la separazione patrimoniale che si attua per il tramite della costituzione di un patrimonio destinato ad un affare specifico, sia più facilmente eseguibile da parte di grandi imprese, dotate di un patrimonio che consente loro una diversificazione del rischio di impresa e del relativo investimento.

 

Tutto questo avalla l’idea che il contratto di rete sia uno strumento “democratico”, utilizzabile tanto per le imprese piccole e medie, che tramite la cooperazione ed integrazione di ricchezza possono raggiungere un obiettivo di sviluppo superiore a quello che riuscirebbero a perseguire agendo da sole, quanto alle grandi imprese: l’aggregazione permette a imprese specializzate in campi diversi di avvalersi della sinergia della rete, per rafforzare il proprio business o per svilupparne uno nuovo, usufruendo dell’expertise maturata dalle altre imprese partecipanti, operando eventualmente anche in un contesto internazionale. Si tenga presente a riguardo che, l’attività esercitata “in comune” potrebbe anche consistere in un’attività di ricerca, che non ha un immediato riscontro economico, l’importante – ai fini della realizzazione della causa del contatto di rete- è che l’attuazione del programma comune consenta di accrescere la capacità innovativa e la competitività sul mercato delle imprese che vi partecipano, non solo “individualmente” ma anche “collettivamente”.

 

Altro aspetto utile a ritenere il contratto di rete uno strumento trasversale, è la possibilità di modulare autonomamente l’organizzazione della rete stessa. La peculiarità di tale contratto consiste proprio nel fatto che, pur non dando vita ad un soggetto giuridico, esso può prevedere l’istituzione di un fondo comune, insensibile alle vicende personali dei partecipanti, nonché la nomina di un organo comune “incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso”.

 

Il legislatore ha dunque lasciato alle imprese la scelta della “governance” della rete: la regolamentazione

 

dell'organo comune è demandata totalmente all’autonomia privata, la quale, ove scelga di istituire detto organo, dovrà altresì indicare nel contratto “la ditta, la ragione o la denominazione sociale del soggetto prescelto per svolgere l'ufficio di organo comune per l'esecuzione del contratto o di una o più parti o fasi di esso, i poteri di gestione e di rappresentanza conferiti a tale soggetto come mandatario comune,nonché le regole relative alla sua eventuale sostituzione durante la vigenza del contratto”. I soggetti che andranno a costituire l’organo comune di gestione della rete risponderanno del loro operato nei confronti delle imprese secondo le regole del mandato. In particolare, stante la pluralità di mandanti, si tratterà di mandato collettivo, ai sensi dell’art. 1726 cod. civ..

 

E’ verosimile pensare che più grandi sono le dimensioni delle imprese partecipanti, più complessa sarà l’organizzazione e la governance della rete e più dettagliato il regolamento contenuto nel contratto. A tal proposito è opportuno specificare che, sebbene nella “rete” non si ravvisi istituzionalmente un’impresa “capogruppo” (come nel R.T.I.), nulla osta a che i partecipanti indichino nel contratto un’impresa leader, che abbia un ruolo centrale nell’attuazione del programma comune.

  Articolo di Annarita Zingaropoli)

 

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