L’art. 3
del D.L. 10 febbraio 2009, n. 5 (il “Decreto
Incentivi”), convertito con modificazioni nella L. 9
aprile 2009, n. 33, che ha introdotto un nuovo strumento
di cooperazione fra imprese, la c.d. “rete”, è stato di
recente innovato dall’art. 42 del D.L. 31 maggio 2010,
n. 78, convertito con modificazioni nella L. 30 luglio
2010, n. 122 (la “Manovra Economica”). Le modifiche
apportate delineano un certo favor nei confronti del
contratto di rete, infatti la Manovra Economica ha
previsto una serie di disposizioni, volte ad incentivare
la creazione di reti di impresa, tra le quali la
possibilità di stipulare convenzioni con l’ABI, nei
termini che verranno definiti con decreto del Ministero
dell’economia e delle finanze, emanato ai sensi
dell’art. 17 comma 3 della L. 400/98, entro 45 giorni
dalla data di entrata in vigore del D.L. 78/2010, e una
misura fiscale agevolativa che consiste in un regime
temporaneo di sospensione di imposta di cui possono
fruire gli utili d’esercizio accantonati in un’apposita
riserva e destinati alla realizzazione di investimenti
previsti dal programma comune, purché questo sia stato
preventivamente asseverato. La quota degli utili
accantonata e destinata alla realizzazione
dell’obiettivo comune, sarà dunque esclusa dal calcolo
del reddito imponibile per la durata del contratto
medesimo. Al riguardo si segnala che, con decisione
C(2010)8939 def. del 26 gennaio 2011, la Commissione
europea, sulla base di quanto previsto dall’art. 107,
paragrafo 1, del TFUE, secondo cui “sono incompatibili
con il mercato comune, nella misura in cui incidano
sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli
Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi
forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni,
falsino o minaccino di falsare la concorrenza”, ha
ritenuto che la misura agevolativa in favore delle reti
di imprese non costituisca “aiuto” di Stato. In
particolare, la Commissione ha osservato come
l’agevolazione in esame non è una misura selettiva, nel
senso che non favorisce solo “talune imprese o talune
produzioni”, ma essendo destinata a tutte le imprese che
partecipano alla ”rete”, è una misura di carattere
generale, che compete tanto alle piccole e medie imprese
quanto alle grandi imprese, a prescindere dal loro
ambito di attività.
Con la
Circolare n. 4/E del 15 febbraio 2011, l’Agenzie delle
Entrate ha fornito le istruzioni operative in merito
alla corretta applicazione dell’agevolazione di cui
all’art. 42, D.L. 78/2010.
Come
noto, la “rete” è un contratto sottoscritto da imprese
che, per accrescere la propria capacità innovativa e la
propria competitività sul mercato, si impegnano
reciprocamente, in attuazione di un programma comune, a
collaborare, ovvero a scambiarsi informazioni o
prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica
o tecnologica ovvero ad esercitare in comune una o più
attività rientranti nell’oggetto della propria impresa.
Partecipanti alla rete possono essere tutte le imprese,
sia individuali che collettive, senza limiti di
dimensioni, senza vincoli di localizzazione territoriale
e/o tipologia di business. Si tratta di un contratto a
struttura “aperta”, al quale vale a dire, possono
aderire imprese diverse da quelle che hanno in origine
dato vita alla rete, secondo modalità di adesione
predeterminate e stabilite nel contratto medesimo.
Il
contratto di rete è differente dal raggruppamento
temporaneo di imprese e dal consorzio. Per
raggruppamento temporaneo di imprese si intende il
sistema a cui le imprese ricorrono per partecipare a
gare d'appalto quando non possiedono le categorie
richieste nel bando, caratterizzato da un rapporto di
mandato con rappresentanza, gratuito ed irrevocabile,
conferito collettivamente all’impresa “capogruppo”. “I
raggruppamenti temporanei tra imprese sono previsti
dalla legge ed hanno ragion d'essere solo nel contesto
delle gare e dei rapporti con la stazione appaltante,
costituendo essi una modalità agevolativa di
partecipazione alle gare bandite dalla P.A. che non può
trovare applicazione oltre i casi in cui è prevista,
senza che per questo possa ritenersi violato il
principio comunitario di tutela della concorrenza”
(T.A.R. Reggio Calabria Calabria sez. I,, 10 dicembre
2009, n. 1197).
Il
consorzio è invece il contratto con il quale due o più
imprenditori “istituiscono un’organizzazione comune per
la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi
delle rispettive imprese” (art. 2602 cod. civ.).
E’
evidente come la differenza fondamentale di tali forme
di cooperazione imprenditoriale risieda nello “scopo”
specifico dell’aggregazione fra le imprese partecipanti
e nell’assenza nel raggruppamento temporaneo di imprese
e nel consorzio di un programma comune duraturo e non
limitato al compimento di un affare specifico o alla
disciplina delle “fasi” della rispettiva attività di
impresa. In particolare, la stessa giurisprudenza
amministrativa ha chiarito che il raggruppamento
temporaneo di imprese non è altro che un mezzo tecnico
tramite il quale ciascuna impresa persegue un interesse
“proprio”, distinto da quello delle altre imprese
partecipanti.
Sotto il
profilo formale, il contratto di rete deve essere
redatto per atto pubblico o per scrittura privata
autenticata, ai fini degli adempimenti pubblicitari
richiesti dal comma 4-quater dell’art. 3, in base al
quale, del contratto di rete deve essere data pubblicità
nel registro delle imprese presso cui è iscritta
ciascuna impresa partecipante.
E’ bene
chiarire che, dalla “rete” non nasce un soggetto
giuridico autonomo e distinto rispetto ai partecipanti,
né – conseguentemente – un nuovo soggetto passivo a
livello tributario, ma un regolamento di interessi,
implicante una serie di diritti e doveri strumentali
all’attuazione del programma economico della rete.
Diversamente dal consorzio con attività esterna, in base
all’art. 42 della legge 122/2010, il contratto di rete
“può”, ma non “deve” prevedere l’istituzione di un fondo
patrimoniale comune, al quale – se del caso- si
applicheranno le disposizioni di cui agli artt. 2614 e
2615 del codice civile.
Il
contratto di rete è stato visto subito come uno
strumento di utile cooperazione fra piccole e medie
imprese, le quali attraverso l’unione delle proprie
forze e delle rispettive risorse economiche, hanno la
possibilità di perseguire un obiettivo di crescita che,
uti singuli, non avrebbero potuto raggiungere.
A ben
vedere, il contratto di rete appare uno strumento da
utilizzarsi anche dalle grandi imprese, come testimonia
il riferimento alla possibilità di eseguire il
conferimento nel fondo comune (ove previsto) tramite
apporto di un patrimonio destinato costituito ai sensi
dell’art. 2447-bis, primo comma, lettera a), cod. civ..
E’ noto
che i patrimoni destinati (introdotti dalla novella del
2003) sono strumenti di separazione patrimoniale
previsti per le sole società a capitale azionario. In
particolare, la figura di patrimonio destinato di cui
alla lettera a) dell’art. 2447-bis, primo comma, cod.
civ., consente di distaccare una porzione del patrimonio
societario di valore complessivamente non superiore al
dieci per cento del patrimonio netto, destinandola
stabilmente alla realizzazione di uno scopo
predeterminato. In tal caso, detto patrimonio “dedicato”
potrà essere aggredito solo dai creditori le cui ragioni
di credito sono legate allo scopo perseguito, e non
anche dai creditori – per così dire – “generali” della
società. Per separare una fetta del patrimonio,
sottraendola alla garanzia patrimoniale generica dei
creditori sociali (cui viene riconosciuto, ex art.
2447-quater cod.civ., il diritto di opposizione), il
patrimonio restante deve essere comunque sufficiente di
per sé a consentire la prosecuzione dell’oggetto
sociale, così come originariamente concepito. E’
pertanto verosimile che la separazione patrimoniale che
si attua per il tramite della costituzione di un
patrimonio destinato ad un affare specifico, sia più
facilmente eseguibile da parte di grandi imprese, dotate
di un patrimonio che consente loro una diversificazione
del rischio di impresa e del relativo investimento.
Tutto
questo avalla l’idea che il contratto di rete sia uno
strumento “democratico”, utilizzabile tanto per le
imprese piccole e medie, che tramite la cooperazione ed
integrazione di ricchezza possono raggiungere un
obiettivo di sviluppo superiore a quello che
riuscirebbero a perseguire agendo da sole, quanto alle
grandi imprese: l’aggregazione permette a imprese
specializzate in campi diversi di avvalersi della
sinergia della rete, per rafforzare il proprio business
o per svilupparne uno nuovo, usufruendo dell’expertise
maturata dalle altre imprese partecipanti, operando
eventualmente anche in un contesto internazionale. Si
tenga presente a riguardo che, l’attività esercitata “in
comune” potrebbe anche consistere in un’attività di
ricerca, che non ha un immediato riscontro economico,
l’importante – ai fini della realizzazione della causa
del contatto di rete- è che l’attuazione del programma
comune consenta di accrescere la capacità innovativa e
la competitività sul mercato delle imprese che vi
partecipano, non solo “individualmente” ma anche
“collettivamente”.
Altro
aspetto utile a ritenere il contratto di rete uno
strumento trasversale, è la possibilità di modulare
autonomamente l’organizzazione della rete stessa. La
peculiarità di tale contratto consiste proprio nel fatto
che, pur non dando vita ad un soggetto giuridico, esso
può prevedere l’istituzione di un fondo comune,
insensibile alle vicende personali dei partecipanti,
nonché la nomina di un organo comune “incaricato di
gestire, in nome e per conto dei partecipanti,
l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi
dello stesso”.
Il
legislatore ha dunque lasciato alle imprese la scelta
della “governance” della rete: la regolamentazione
dell'organo comune è demandata totalmente all’autonomia
privata, la quale, ove scelga di istituire detto organo,
dovrà altresì indicare nel contratto “la ditta, la
ragione o la denominazione sociale del soggetto
prescelto per svolgere l'ufficio di organo comune per
l'esecuzione del contratto o di una o più parti o fasi
di esso, i poteri di gestione e di rappresentanza
conferiti a tale soggetto come mandatario comune,nonché
le regole relative alla sua eventuale sostituzione
durante la vigenza del contratto”. I soggetti che
andranno a costituire l’organo comune di gestione della
rete risponderanno del loro operato nei confronti delle
imprese secondo le regole del mandato. In particolare,
stante la pluralità di mandanti, si tratterà di mandato
collettivo, ai sensi dell’art. 1726 cod. civ..
E’
verosimile pensare che più grandi sono le dimensioni
delle imprese partecipanti, più complessa sarà
l’organizzazione e la governance della rete e più
dettagliato il regolamento contenuto nel contratto. A
tal proposito è opportuno specificare che, sebbene nella
“rete” non si ravvisi istituzionalmente un’impresa
“capogruppo” (come nel R.T.I.), nulla osta a che i
partecipanti indichino nel contratto un’impresa leader,
che abbia un ruolo centrale nell’attuazione del
programma comune.
Articolo di Annarita Zingaropoli) |