di Alberto Marcheselli
L'art. 316 ter codice penale punisce
chiunque mediante l'utilizzo o la presentazione di
dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non
vere, ovvero mediante l'omissione di informazioni
dovute, consegue indebitamente, per se' o per altri,
contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre
erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate,
concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o
dalle Comunita' europee.
L'art. 316 ter codice
penale punisce chiunque mediante l'utilizzo o la
presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o
attestanti cose non vere, ovvero mediante l'omissione di
informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o
per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o
altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate,
concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o
dalle Comunità europee.
Quando il vantaggio sia
inferiore a 3999 euro la condotta non costituisce reato.
Diventa quindi molto
rilevante la distinzione della fattispecie da quella
della truffa: ove non ne ricorrano gli estremi, il fatto
è punito più lievemente, per i fatti di poca entità
addirittura non dalla legge penale.
In effetti, le due
fattispecie presentano a tutta prima una certa
similitudine: c'è una condotta falsa o omissiva che
induce un danneggiato a erogare delle utilità.
La Cassazione osserva
che, perché esista truffa occorre:
a) un inganno;
b) un errore della
vittima;
c) un danno di
quest'ultima e un profitto dell'agente.
Per vero, gli ultimi due
elementi ricorrono anche nella ipotesi del delitto di
cui all'art. 316 ter.
Ne consegue che la
truffa non ricorre, ma solo la violazione penale o
amministrativa di cui all'art. 316 ter, solo ove difetti
l'artificio o raggiro, ovvero la induzione in errore.
Artifici o raggiri non
sussistono sicuramente nell'ipotesi in cui la
autocertificazione sia solo reticente ma non menzognera,
possono ricorrere o meno quando la autocertificazione
afferma positivamente circostanze false, fermo restando
che la semplice menzogna non è sufficiente.
La Corte ritiene che sul
punto il giudice debba espressamente motivare sul perché
in concreto ricorressero artifici o raggiri.
Meno spazio sembra
lasciare l'ipotesi in cui il raggiro vi sia, vi sia
l'erogazione, ma difetti l'errore dell'ente che eroga il
compenso.
In effetti, perché
l'erogazione sia indebita ma il raggiro non abbia
indotto in errore occorre che il funzionario abbia
percepito la verità nascosta dietro la menzogna ma
erogato ugualmente l'importo in contestazione (ipotesi
che pare realtivamente peregrina).
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