Nel caso
della solidarietà passiva si configura una
pluralità di rapporti giuridici di credito -
debito tra loro distinti ed autonomi, correnti
tra il creditore ed ogni singolo debitore
solidale ed aventi in comune solo l'oggetto
della prestazione, di tal che il creditore ha la
facoltà, ex art. 1292 cod. civ., di scegliere il
condebitore solidale a cui chiedere l'integrale
adempimento, con la conseguenza che la garanzia
patrimoniale generica di cui all'art. 2740 cod.
civ. grava sul patrimoniale di ciascun
coobbligato, separatamente e per l'intero
credito. Pertanto, qualora un condebitore
solidale compia atti di disposizione
patrimoniale che diminuiscano la detta garanzia
generica gravante sul suo patrimonio sì da
renderla insufficiente in relazione all'entità
del credito, il creditore può esercitare, nei
confronti suoi e dell'acquirente, in presenza
degli altri requisiti, l'azione revocatoria ex
art. 2901 cod. civ., ancorché i rispettivi
patrimoni degli altri coobbligati, siano
sufficienti a fornire - ciascuno di essi - la
garanzia ex art. 2740 cod. civ.
Cassazione, sez.
II, 22 marzo 2011, n. 6486
(Pres. Oddo –
Rel. Migliucci)
Svolgimento del
processo
L'architetto
V..A. conveniva in giudizio davanti al Tribunale
di Fermo M.T..S. al fine di ottenere la
dichiarazione di inefficacia, ai sensi dell'art.
2901 cod. civ., degli atti pubblici di donazione
in data 5 luglio 1993 e di costituzione del
fondo patrimoniale del 30 agosto 1993 che la
predetta aveva compiuto, assumendo che gli
stessi sarebbero stati posti in essere allo
scopo di non adempiere all’obbligazione di
pagamento del credito di L. 150.735.610 di cui
l'istante era titolare nei confronti della
convenuta in virtù di sentenza del Tribunale di
Ascoli Piceno del 22 luglio 1993.
Si costituiva la
convenuta chiedendo il rigetto della domanda.
Spiegava
intervento volontario F..S. .
Con sentenza non
definitiva del 17 gennaio 1997 il Tribunale
dichiarava l'inefficacia dell'atto di
costituzione del fondo patrimoniale del 30
agosto 1993, rimettendo la causa in istruttoria
per l'integrazione del contraddittorio nei
confronti di R.A. e M..R. , i quali si
costituivano in giudizio eccependo la nullità
del primo atto di integrazione del
contraddittorio; era rigettata la domanda
proposta da S.F. .
Con sentenza
definitiva dell'11 agosto 1999 il Tribunale
dichiarava inefficaci gli atti donazione di cui
all'atto di citazione. Con sentenza dep. il 9
ottobre 2004 la Corte di appello di Ancona
rigettava l'impugnazione proposta dalla S. , da
R.A. e M..R. avverso la sentenza definitiva. Nel
disattendere l'eccezione di nullità dell'atto di
integrazione del contradditorio sollevata dai
chiamati in causa, i Giudici di appello
rilevavano la presenza dei requisiti prescritti
dagli artt. 163 e 164 cod. proc. civ., mentre
era esclusa la nullità della notificazione del
primo atto di integrazione effettuata ai sensi
dell'art. 140 cod. proc. civ., avendo
l'ufficiale giudiziario compiuto le attività
previste da tale norma; d'altra parte,
osservavano che era stato rispettato il termine
fissato dal giudice per la notifica, tenuto
conto che la notificazione si perfeziona nel
momento in cui vengono compiute la formalità
prescritte dalla norma citata e non in quello di
ricezione della raccomandata.
Nel merito, era
ritenuta la sussistenza dell'eventus damni,
tenuto conto che, in considerazione dell'importo
del credito, lo stesso non poteva trovare
sufficiente garanzia per effetto della revoca
dell'atto di costituzione del fondo patrimoniale
che aveva ad oggetto l'usufrutto dei medesimi
beni di cui alle donazioni; per quanto
concerneva la esistenza di altre proprietà della
convenuta, la sentenza rilevava che era corretta
e priva di censure l'affermazione del primo
giudice di incerta realizzazione di tali cespiti
in quanto sottoposti a esecuzione immobiliare.
Infine, era
ritenuta provata la consapevolezza nella
convenuta del pregiudizio arrecate alle ragioni
del creditore tenuto conto che gli atti di
disposizione erano stati posti in essere poco
prima del deposito della sentenza con cui la
medesima era stata condannata al pagamento in
favore dell'attore della somma di L.
150.735.610.
Avverso tale
decisione propongono ricorso per cassazione S. ,
da A..R. e M..R. sulla base di quattro motivi.
Resiste con
controricorso l'intimato.
Motivi della
decisione
Con il primo
motivo i ricorrenti, lamentando violazione e
falsa applicazione degli artt. 163 e 164
cod.proc. civ. nonché erronea e insufficiente
motivazione su un punto decisivo della
controversia (art. 360 n.3 e 5 cod.proc. civ.),
censurano la decisione gravata che aveva escluso
la nullità dell'atto di integrazione del
contraddittorio, quando esso avrebbe dovuto
contenere la enunciazione di tutti gli atti del
procedimento - che peraltro si era concluso con
una sentenza parziale - con la indicazione dei
documenti prodotti e dei provvedimenti adottati
e non solo della sentenza non definitiva, in
modo da consentire una adeguata difesa.
Il motivo è
infondato.
Premesso che,
come del resto riconosciuto dalla stessa
ricorrente, l'atto di integrazione conteneva
l'enunciazione del petitum e della causa
petendi, doveva escludersi la configurabilità
della dedotta nullità, posto che lo stesso
doveva riprodurre esclusivamente il contenuto
dell'atto di citazione introduttivo del giudizio
- che era stato notificato alla sola ricorrente
ma che avrebbe dovuto essere notificato anche ai
litisconsorti necessari - oltre al provvedimento
con cui era stata disposta l'integrazione del
contraddittorio.
Occorre chiarire
che la mancata notificazione dell'atto di
citazione ai litisconsorti necessari comportava
che gli atti processuali compiuti in precedenza
non potevano avere alcuna efficacia nei
confronti dei soggetti che non avevano
partecipato al giudizio e nei confronti dei
quali, per tale ragione, erano affetti da
nullità: poiché per le parti pretermesse il
giudizio iniziava ex novo con l'atto di
integrazione riproduttivo del'atto di citazione,
non era configurabile la lesione del diritto di
difesa dei soggetti chiamati ad integrare il
contraddittorio, nei confronti dei quali nessuna
rilevanza rivestivano gli atti, i documenti e i
provvedimenti relativi alla fase del giudizio
precedente all'integrazione del contraddittorio,
che pertanto non dovevano essere enunciati e
tanto meno notificati.
Con il secondo
motivo i ricorrenti, lamentando violazione e
falsa applicazione degli artt. 137, 139, 140
cod. proc. civ., nullità della sentenza e del
procedimento (art. 360 n.3 cod.proc. civ.)
nonché erronea motivazione su un punto decisivo
della controversia (art. 360 n. 5 cod.proc.
civ.), censurano la sentenza impugnata laddove
aveva escluso la nullità della notificazione del
primo atto di integrazione, non essendo stata
verificata la sussistenza dei presupposti per il
procedimento di cui all'art. 140 cod. proc.
civ.: in considerazione della nullità della
prima notifica, non poteva essere concesso un
nuovo termine ma doveva essere ordinata la
cancellazione della causa dal ruolo con
estinzione del giudizio.
Il motivo è
inammissibile.
I ricorrenti non
hanno interesse a fare valere la denunciata
doglianza perché, anche ove si fosse verificata
la nullità della notificazione dell'atto di
integrazione del contraddittorio per mancata
osservanza da parte dell'ufficiale giudiziario
dei presupposti prescritti dal'art. 140 citato,
il giudice avrebbe dovuto disporre la
rinnovazione della notificazione per un vizio
evidentemente non imputabile alla parte, non
potendo certo applicare l'art. 270 cod. proc.
civ. che sanziona l'inattività della parte al
quale incombe l'onere di provvedere alla
integrazione del contradditorio: nella specie,
per l'appunto, il Giudice ha disposto la
rinnovazione della notificazione che è stata
effettuata con effetto sanante ex tunc.
Con il terzo
motivo i ricorrenti, lamentando violazione e
falsa applicazione degli artt. 137,13 9, 140,
270 e 307 cod. proc. civ. nonché omessa ed
erronea motivazione su un punto decisivo della
controversia (art. 360 n. 3 e 5 cod. proc.
civ.), deducono che la notificazione ex art. 140
citato era stata compiuta oltre il termine
fissato dal giudice (28-2-3997), posto che la
raccomandata era stata spedita il 1-3-1997: la
sentenza non aveva colto l'essenza della censura
al riguardo svolta.
Il motivo va
disatteso.
A prescindere
dalle assorbenti considerazioni sopra formulate
è appena il caso di ricordare che, ai fini di
verificare la decadenza sancita per il
notificante, occorre considerare il momento
della consegna dell'atto all'ufficiale
giudiziario, del tutto irrilevante essendo il
momento di spedizione della raccomandata ex art.
140 cod. proc. civ..
Con il quarto
motivo i ricorrenti, lamentando violazione e
falsa applicazione degli artt. 115 cod. proc.
civ., 2697 in relazione all'art. 2901 cod. civ.
nonché erronea e insufficiente motivazione su un
punto decisivo della controversia (art. 360 n. 3
e 5 cod.proc. civ.), censurano la decisione
gravata laddove aveva ritenuto che gli atti
dispositivi erano stati preordinati ad arrecare
pregiudizio al creditore, senza che fosse stata
al riguardo fornita alcuna prova; in effetti,
era mancata la motivazione circa l'esistenza di
altre proprietà o che l'attore avesse dimostrato
l'inutile esperimento di procedure esecutive e
che avesse agito nei confronti dei debitori
solidali; ancora non si era considerato che il
credito dell'attore era privilegiato e che il
medesimo aveva recuperato quasi per intero il
suo credito, surrogandosi nei diritti della
convenuta nell'esecuzione immobiliare n. 110/92
e aveva ottenuto la revoca dell'atto di
costituzione del fondo patrimoniale;
erroneamente era stato definito ingente il
credito dell'attore sopratutto se si teneva
conto del valore dei beni oggetto di
revocatoria; non era stato considerato il valore
complessivo della residua proprietà della
convenuta, non sminuito dal fatto che i beni
sono assoggettati a esecuzione e che il credito
avrebbe trovato comunque soddisfazione anche con
un esecuzione mobiliare.
Erroneamente era
stato ritenuto l'elemento soggettivo, atteso che
la convenuta non prevedeva l'esito negativo del
giudizio dinanzi al Tribunale di Ascoli Piceno e
i arrecare pregiudizio alle ragioni creditorie
dell’attore; tenuto conto che l'attore avrebbe
potuto agire nei confronti della Edilmar S.r.l.,
la motivazione era insufficiente laddove non
aveva in concreto individuato il comportamento
posto in essere dalla convenuta, nel quale fosse
ravvisabile l'elemento soggettivo. La sentenza
non aveva ammesso le prove al riguardo
articolate.
Il motivo è
infondato.
Per quel che
concerne l'esistenza di altre proprietà
suscettibili di essere sottoposte a esecuzione,
la sentenza ha ritenuto che la decisione di
primo grado che l'aveva esclusa, oltreché
corretta, non era stata oggetto di specifica
censura : in sostanza i Giudici di appello hanno
considerato non suscettibile di essere
riesaminata tale statuizione perché mancava uno
specifico motivo di gravame, per cui la
ricorrente avrebbe dovuto semmai dedurre e
dimostrare di avere formulato uno specifico
motivo di appello.
Per quel che
concerne l'esistenza di altri debitori solidali,
va considerato che nel caso della solidarietà
passiva si configura una pluralità di rapporti
giuridici di credito - debito tra loro distinti
ed autonomi, correnti tra il creditore ed ogni
singolo debitore solidale ed aventi in comune
solo l'oggetto della prestazione, di tal che il
creditore ha la facoltà, ex art. 1292 cod. civ.,
di scegliere il condebitore solidale a cui
chiedere l'integrale adempimento, con la
conseguenza che la garanzia patrimoniale
generica di cui all'art. 2740 cod. civ. grava
sul patrimoniale di ciascun coobbligato,
separatamente e per l'intero credito. Pertanto,
qualora un condebitore solidale compia atti di
disposizione patrimoniale che diminuiscano la
detta garanzia generica gravante sul suo
patrimonio sì da renderla insufficiente in
relazione all'entità del credito, il creditore
può esercitare, nei confronti suoi e
dell'acquirente, in presenza degli altri
requisiti, l'azione revocatoria ex art. 2901
cod. civ., ancorché i rispettivi patrimoni degli
altri coobbligati, siano sufficienti a fornire -
ciascuno di essi - la garanzia ex art. 2740 cod.
civ. (Cass. 2623/1987). Contrariamente a
quanto dedotto dalla ricorrente, la sentenza
impugnata non si è affatto limitata a enunciare
principi di diritto astratti, ma ha indicato le
circostanze di fatto in base alle quali ha
ritenuto la sussistenza del pregiudizio, tra
l'altro evidenziando le ragioni per le quali non
poteva assumere rilevanza la revoca dell'atto di
costituzione del fondo patrimoniale, valutando
in considerazione dell'entità del credito
l'insufficienza della garanzia patrimoniale
residua.
Per quel
concerne l'elemento soggettivo, per il quale non
è necessario l'intenzione di nuocere alle
ragioni del creditore nel caso in cui l'atto
dispositivo sia successivo al credito, la
sentenza ha con motivazione corretta e congrua
individuato la consapevolezza del pregiudizio
nella conoscenza del credito che era oggetto di
un giudizio pendente dinanzi al Tribunale di
Ascoli Piceno e ormai prossimo alla definizione
in quel grado. La doglianza, pur facendo
riferimento a violazioni di legge e a vizi di
motivazione, da cui - come si è detto - la
sentenza è immune, si risolve nella censura
dell'accertamento di fatto in ordine al
sussistenza dei presupposti voluti dall'art.
2901 cod. civ. attraverso una lettura del
materiale probatorio difforme da quello compiuto
di Giudici nell'ambito dell'indagine riservata
al giudice di merito che, come tale, è
incensurabile in sede di legittimità se non per
vizio di motivazione. Qui va ricordato che, in
tema di ricorso per cassazione, il vizio di
violazione di legge consiste nella deduzione di
un'erronea ricognizione, da parte del
provvedimento impugnato, della fattispecie
astratta recata da una norma di legge e quindi
implica necessariamente un problema
interpretativo della stessa, mentre il vizio di
falsa applicazione delle legge riguarda la
sussunzione del fatto, accertato dal giudice di
merito, nella ipotesi normativa: viceversa,
l'allegazione di un'erronea ricognizione della
fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di
causa è esterna all'esatta interpretazione della
norma di legge e inerisce alla tipica
valutazione del giudice di merito, la cui
censura è possibile, in sede di legittimità,
sotto l'aspetto del vizio di motivazione
Peraltro, il vizio deducibile ai sensi della
norma citata deve consistere in un errore
intrinseco al ragionamento del giudice che deve
essere verificato in base al solo esame del
contenuto del provvedimento impugnato e non può
risolversi nella denuncia della difformità della
valutazione delle risultanze processuali
compiuta dal giudice di merito rispetto a quella
a cui, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuti
pervenire: in sostanza, ai sensi dell’art. 360
n. 5 citato, la (dedotta) erroneità della
decisione non può basarsi su una ricostruzione
soggettiva del fatto che il ricorrente formuli
procedendo a una diversa lettura del materiale
probatorio, atteso che tale indagine rientra
nell'ambito degli accertamenti riservati al
giudice di merito ed è sottratta al controllo di
legittimità della Cassazione che non può
esaminare e valutare gli atti processuali ai
quali non ha accesso, ad eccezione che per gli
errores in procedendo (solo in tal caso la Corte
è anche giudice del fatto). Orbene, le critiche
formulate dai ricorrenti non sono idonee a
scalfire la correttezza e la congruità dell'iter
logico giuridico seguito dalla sentenza: le
censure lamentate, in realtà, non denunciano un
vizio logico della motivazione ma si concretano
in argomentazioni volte a dimostrare -attraverso
la disamina e la discussione delle prove
raccolte - l'erroneo apprezzamento delle
risultanze processuali compiuto dai giudici
laddove, in contrasto con quanto sarebbe emerso
dalle prove, era stata ritenuta la sussistenza
dei requisiti di cui all'art. 2901 cod. civ..
In particolare,
in relazione al vizio di motivazione per omesso
esame delle prove acquisite, va rilevato che il
ricorrente ha l'onere, a pena di inammissibilità
del motivo di censura, di riprodurre nel
ricorso, in osservanza del principio di
autosufficienza del medesimo, il documento o la
prova nella sua integrità in modo da consentire
alla Corte, che non ha accesso diretto agli atti
del giudizio di merito, di verificare la
decisività della censura (Cass. 14973/2006;
12984/2006; 7610/2006; 10576/2003), tenuto conto
che in proposito occorre dimostrare la certezza
e non la probabilità che, ove esso fosse stato
preso in considerazione, la decisione sarebbe
stata diversa: tale onere nella specie non è
stato ottemperato dai ricorrenti che non hanno
trascritto il testo dei documenti ai quali hanno
fatto riferimento Parimenti, nel caso in cui si
invoca la mancata ammissione di una prova
testimoniale, occorre che nel ricorso siano
trascritti integralmente i capitoli: anche tale
onere non è stato ottemperato.
Il ricorso va
rigettato.
Le spese della
presente fase vanno poste in solido a carico dei
ricorrenti, risultati soccombente.
P.Q.M.
Rigetta il
ricorso.
Condanna i
ricorrenti in solido al pagamento in favore del
resistente delle spese relative alla presente
fase che liquida in Euro 2.800,00 di cui Euro
200,00 per esborsi ed Euro 2.600,00 per onorari
di avvocato oltre spese generali ed accessori di
legge.
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