L’Avv. …………, con
istanza pervenuta il 16 maggio 2011, ha chiesto un
parere deontologico in merito alla possibilità di creare
e far parte di una Associazione ONLUS insieme ad altri
Colleghi non specificati.
Detta
Associazione, di cui viene fornito il nome, non avrebbe
fini di lucro, ma di solidarietà sociale e volti a
realizzare una tutela dei diritti civili a beneficio di
persone svantaggiate per condizioni fisiche, psichiche,
economiche e familiari.
L’oggetto
dell’attività dell’Associazione riguarderebbe la tutela
dei diritti civili dei medici, degli operatori del
settore della medicina e dei pazienti, mediante attività
di informazione, orientamento, consulenza e composizione
legale delle controversie, nel settore della c.d
“malasanità”, all’occorrenza agendo anche in sede
giudiziale.
Le cariche
sociali verrebbero ricoperte dagli stessi avvocati che
si occuperebbero dell’attuazione dei fini
dell’Associazione.
Il parere viene
chiesto sulla conformità alle norme deontologiche per la
costituzione di detta Associazione, con particolare
riferimento al divieto di accaparramento di clientela.
Il Consiglio
- Udito il
Consigliere Avv. Livia Rossi quale Coordinatore della
Commissione Deontologica;
Premesso che
nulla dice la Legge Professionale a proposito della
partecipazione di avvocati a Organismi associativi di
carattere non lucrativo con finalità come sopra
indicate, nè l’art. 16 del Codice Deontologico Forense,
il quale si limita a stabilire nella regola deontologica
che “E’dovere dell’avvocato evitare situazioni di
incompatibilità ostative alla permanenza all’albo ... ”,
nè la dottrina, né la giurisprudenza, infine, hanno
avuto modo, a quanto sembra, di interessarsi del caso in
argomento. Il primo canone complementare di detto
articolo prescrive che “L’avvocato non deve porre in
essere attività commerciale o di mediazione” in linea
con l’art. 3 della stessa Legge Professionale che
recita: “L’esercizio della professione di avvocato è
incompatibile [omissis] con l’esercizio di commercio in
nome proprio o in nome altrui [omissis]. La ratio di
tale disposizione risiede nella necessità di evitare che
i principi della concorrenza commerciale tra
professionisti possano inficiare la rispettabilità degli
stessi, perdendo la propria autonomia e indipendenza,
osserva
-che il Codice
Deontologico Forense nel Preambolo configura i principi
e le modalità di esercizio dell’Avvocatura, a partire
dalla tutela dei “diritti e interessi della persona,
assicurando la conoscenza delle leggi e contribuendo in
tal modo all’attuazione dell’ordinamento per i fini
della giustizia”;
- che il
suddetto art. 16 del Codice Deontologico Forense pur non
escludendo, sottacendola, l’eventuale partecipazione di
un avvocato a Organismi associativi e, quindi, di fatto
non impedendola -in ossequio ai principi
dell’Ordinamento forense- suggerisce l’inopportunità
della partecipazione a Organi in cui l’avvocato stesso
abbia funzione amministrativa e/o gestionale, anche e
soprattutto non escludendo i requisiti della continuità
e della retribuzione;
- che, pertanto,
risultano invece compatibili con la norma soltanto
quegli incarichi che prevedano la sottrazione
dell’avvocato alla gestione operativa, connotando così
la carica dell’iscritto nell’Albo con una funzione di
rappresentanza o di garanzia, incarichi che preservino,
dunque, l’indipendenza e l’autonomia di giudizio che
devono permanere in capo al libero professionista;
- che, come più
volte evidenziato da questo Consiglio, le cause di
incompatibilità, previste tassativamente dalla legge,
non possono essere derogate da alcun parere e/o
decisione dell’Istituzione forense;
- che sotto il
profilo meramente deontologico si richiamano:
a)i pareri del
Consiglio Nazionale Forense del 28 dicembre 2005, n. 217
“La gratuità delle prestazioni rese [dall’avvocato] non
dà luogo ad alcuna lesione ove sia determinata ed
ispirata da motivi esclusivamente etici e sociali, nè
viola il divieto di accaparramento di clientela ex art.
19 c.d.f.”. Diversamente, quando il carattere della
gratuità assume “un chiaro sapore accaparratorio di
clientela lesivo del prestigio e del decoro della classe
forense (Consiglio Nazionale Forense 19 dicembre 2008,
n. 169);
b) gli articoli
del Codice Deontologico Forense: n. 5 “Doveri di
probità, dignità e decoro”, n. 10 “Dovere di
indipendenza”, n. 37 “Conflitto di interessi”,
esprime parere
nel senso che la
soluzione al quesito formulato debba conformarsi ai
limiti sopra rappresentati.
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