Diritto.it
A proposito dell’utilità della
mediazione vorrei sottoporre all’attenzione della
Redazione e, poi, dei lettori del sito qualche
brevissima considerazione, con l’impegno di un ulteriore
approfondimento ove se ne ravvisasse l’interesse.
Parto da una domanda: era davvero
necessaria l’adozione del D. Lgs 4 marzo 2010, n. 28
recante norme di “Attuazione dell'articolo 60 della
legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione
finalizzata alla conciliazione delle controversie civili
e commerciali. (10G0050)(GU n. 53 del 5-3-2010)” ?
La giustificazione corrente
dell’intervento normativo è quella che la cosiddetta
media-conciliazione rappresenti un quasi indispensabile
strumento di deflazione del contenzioso .
In tal senso s’è espressa su “ L
Voce.info” Leonarda d’Urso il 15 luglio scorso
sottolineando che la mediaconiliazione :<< contribuirà a
ridurre drasticamente i tempi della giustizia civile, a
costo zero per lo Stato>> con positivi riverberi
sull’andamento dell’economia.
Al riguardo mi permetto di
registrare, proprio a partire dalle considerazioni
dell’Autrice, una sorta di traslazione dell’asse
valoriale attorno al quale si pretenda ruoti ora il
sistema dell’amministrazione delle giustizia in Italia.
Mi pare di poter dire infatti, che
l’interesse del mercato venga individuato ad un tempo
come il perno sul quale assestare il sistema dei valori
della nostra collettività e come il paradigma dal quale
declinare, in tutte le varie articolazioni, le regole
della convivenza.
Ciò determinerebbe, a mio sommesso
parere ( con riserva di meglio argomentare eventualmente
in una prossima occasione sul punto) la messa in mora
del sistema delineato dal nostro Costituente nel patto
fondativo della nostra Repubblica - che inserisce
l’amministrazione della giustizia in un sistema di
valori incentrato principalmente sulla persona umana,
sulla solidarietà sociale ( art. 2 Cost), sull’
uguaglianza sostanziale dei cittadini ( art. 3) da
realizzarsi anche mediante la garanzia da parte dello
Stato dell’accesso di tutti ( cittadini e non) alla
giustizia( art. 24)- e la sua sostituzione con valori
del tutto differenti praticati come fossero da ritenersi
legittimi prima e condivisi poi, sulla base di una sorta
di presunzione juris et de jure da desumersi
dall’appartenenza dell’Italia ad organismi
internazionali a forte connotazione mercantile come ad
es l’UE.
Faccio questa premessa per
introdurre un argomento che pur assecondando la logica-
da me non condivisa- dell’intervento, ne dimostra la
oggettiva superfluità.
Un legislatore frettoloso e/o
distratto o ( ma non vogliamo neppure pensarlo) attratto
da ben altri interessi, ha dimenticato che il nostro
Legislatore già nel 1940 aveva predisposto un meccanismo
di prevenzione delle liti perfettamente sovrapponibile
-segnatamente con riferimento agli effetti pratici -
all’attuale media conciliazione.
All’ articolo 322 del codice di
procedura civile, rubricato come “Conciliazione in sede
non contenziosa” , aveva infatti testualmente stabilito
:<< L'istanza per la conciliazione in sede non
contenziosa è proposta anche verbalmente al conciliatore
( ora al giudice di pace) competente per territorio
secondo le disposizioni della sezione III, capo I,
titolo I, del libro primo.
Il processo verbale di
conciliazione in sede non contenziosa costituisce titolo
esecutivo a norma dell'articolo 185, ultimo comma, se la
controversia rientra nella competenza del conciliatore (
ora giudice di pace) .
Negli altri casi il processo
verbale ha valore di scrittura privata riconosciuta in
giudizio >>.
Modello preprocessuale semplice ed
efficace.
Basta presentare anche in forma
verbale al Giudice di pace ( d’ora innanzi GdP)
un’istanza di conciliazione prima di iniziare una lite
ed il GdP è tenuto a convocare le parti per tentare di
metterle d’accordo.
Se l’accoro si raggiunge ed il
giudice di pace è competente, il verbale che raccoglie
l’accordo è titolo esecutivo.
Se l’accordo si raggiunge dinanzi
ad un GdP incompetente ( pensiamo a controversie in
materia immobiliare) il verbale che lo raccoglie è
equiparato a scrittura privata verificata in giudizio e
come tale titolo idoneo alla trascrizione ai sensi
dell’art. 2657 c.c. .
Se l’accordo non viene raggiunto le
parti possono iniziare la lite.
A questo meccanismo semplice ed
armonico rispetto ai predetti principi costituzionali,
s’è voluto aggiungere quello della media conciliazione .
Uso il verbo “aggiungere” perché
l’art. 322 del codice di rito è rimasto in vigore non
essendo stato abrogato né potendosi ritenere oggetto di
abrogazione implicita per effetto del’entrata in vigore
del D. Lgs 4 marzo 2010, n. 28.
La perdurante efficacia dell’art.
322 pone tra l’altro non pochi interrogativi sul piano
pratico; ne cito solo uno per brevità: se esperisco con
insuccesso il tentativo di conciliazione in sede non
contenziosa sono poi obbligato ugualmente alla
mediaconciliazione prima di iniziare un giudizio?
Il complesso iter della mediazione
sarà pure a costo zero per lo Stato ma non è a costo
zero per il cittadino il quale è chiamato al versamento
di una quota iniziale ( intorno ai 50 euro) per avviare
la media conciliazione ed a corrispondere, a metà con
l’altra parte, il compenso al mediatore ; compenso
parametrato sul valore della lite.
Ora se la mediazione ha buon esito,
non sorgono problemi, ma se la mediazione da esito
infausto, alle somme già sborsate per la media
conciliazione obbligatoria si debbono poi sommare quelle
per il versamento del contributo unificato necessario
per avviare l’azione giudiziaria.
Con un aggravio di spese che ha
l’unico effetto di deflazionare il sistema giudiziario
per le liti aventi ad oggetto i diritti dei poveri ma di
non scalfire minimamente l’accesso a chi ha corposi
interessi ed altrettanto corposi patrimoni
rispettivamente da difendere ed impiegare.
Il meccanismo deflattivo di cui
all’art. 322 cpc, al contrario, non prevede alcun costo
a parità del servizio offerto.
Altra singolarità- che interseca
incidendoli negativamente i principi costituzionali ai
quali prima ci siamo riferiti e che spinge alla
riflessione sulla natura dei mutamenti in atto
nell’assetto dei valori della nostra collettività- è
rappresentata dal fatto che sia pur in costanza
dell’esistenza di un istituto pubblico preordinato ad
evitare le liti giudiziarie, si sia preferito, mediante
l’introduzione della sua obbligatorietà, imporre il
ricorso alla giustizia privata.
Siamo di forse, forse senza
accorgecene, di fronte ai prodromi di una rivoluzione
antropologica che contempla, tra le sue premesse
un’accentuazione in chiave darwiniana dei canoni della
convivenza.
Avv. Giovanni Golotta- Giudice di
pace Coordinatore dell’Ufficio di Locri (RC) |