L’ordine degli avvocati non può
negare l’iscrizione all’albo riservato agli avvocati
comunitari stabiliti in Italia, al legale italiano che
si è laureato in Spagna e poi torna a lavorare in
patria.
Lo afferma la Corte di Cassazione a
Sezioni unite civili, che, con la sentenza 28340/2011
pubblicata il 22 dicembre, sdogana gli “abogados”, vale
a dire i neo-laureati in legge che ottengono il
riconoscimento del titolo in Spagna senza sostenere
l’esame professionale attraverso il percorso
«stabilimento-integrazione» consentito dalle norme
comunitarie.
Esclusa dunque qualsiasi
possibilità, sia per gli ordini professionali sia per il
Consiglio nazionale forense, di derogare a quanto
previsto dalle norme comunitarie e in particolare dalle
direttive 98/5/Ce e 5/36/Ce, in merito all’esercizio
della professione.
Inoltre, la Suprema Corte sancisce
anche l’alternatività del tirocinio triennale presso un
avvocato italiano alla prova attitudinale prevista dal
ministero della Giustizia. Per cui, svolgendo il primo
si può evitare la seconda.
In Spagna infatti, almeno fino al
31 ottobre scorso, il conseguimento dell’abilitazione
all’esercizio della professione forense prescindeva
dalla frequentazione di corsi di formazione successivi
alla laurea e al superamento di esame finale di
abilitazione. E gli Ermellini non hanno dubbi:
l’iscrizione nel registro generale del Collegio degli
abogados (nella specie quello di Barcellona) è l’unica
condizione richiesta dalle norme Ue e da quelle italiane
di recepimento per l’iscrizione nella sezione speciale
degli avvocati comunitari stabiliti.
Il Cnf non può pertanto opporre un
rifiuto di natura discrezionale alla domanda
dell’abogado. Non conta che nel Paese omologante, cioè
l’Italia, per l’esercizio della professione sia
richiesto il superamento dell’esame di abilitazione:
secondo il legislatore comunitario l’interesse pubblico
al corretto svolgimento dell’attività professionale
risulta tutelato in modo adeguato dalla prova
attitudinale prevista dalle direttive 89/48/Ce e
05/36/Ce. E quest’ultima deve ritenersi alternativa al
tirocinio: tre anni di esercizio della professione con
il titolo di “abogado” presso l’avvocato italiano e la
verifica dell’attività svolta fanno scattare la totale
integrazione di chi non ha sostenuto l’esame.
L’abogado nostrano vince dunque una
battaglia che aveva perso in prima battuta con l’ordine
di Palermo e poi con il Cnf. Diverse le motivazioni
fornite a sostegno di un rifiuto che aveva comunque
accomunato i due pareri. Secondo l’ordine palermitano la
direttiva 98/5/Ce, invocata dal ricorrente, si
applicherebbe soltanto ai cittadini comunitari di
nazionalità diversa da quella dello stato membro al
quale si chiede l’abilitazione. Mentre il Consiglio
nazionale forense subordinava l’iscrizione allo
svolgimento di un tirocinio teorico pratico presso un
legale abilitato e al superamento dell’esame di Stato.
”Paletti‐ spiega la Suprema corte ‐ che sono il segnale
di una discrezionalità vietata dalle norme dell’Unione”.
E i giudici non mancano di
ricordare le uniche due strade, che possono essere
imposte a chi si laurea in un altro paese membro, per
ottenere l’abilitazione in Italia:
1) Chi vuole il riconoscimento
immediato del titolo può avvalersi infatti della
normativa sul riconoscimento delle qualifiche
professionali, indicata dalla direttiva 5/36/Ce attuata
dal decreto legislativo 115/1992. La richiesta di
iscrizione immediata va fatta al ministero della
Giustizia che, su parere dell’apposita conferenza di
servizi, individua con un decreto, le prove da sostenere
per compensare eventuali diversità di formazione.
2) Diversa la strada scelta dal
ricorrente che, con l’opzione due, aveva deciso per la
procedura di stabilimento-integrazione fissata dalla
direttiva 98/5/Ce, attuata con il decreto legislativo
96/2001. L’iscrizione alla sezione speciale degli
avvocati comunitari stabiliti è subordinata, in questo
caso, soltanto alla prova dell’iscrizione presso la
corrispondente autorità di un altro Stato membro, è poi
necessario solo agire d’intesa con un avvocato iscritto
all’albo italiano. Dopo tre anni di effettiva attività
in Italia è possibile chiedere l’iscrizione all’albo
ordinario, dimostrando al consiglio dell’ordine di aver
svolto un’attività regolare. La strada del ‘parcheggio’
triennale, nell’albo dei comunitari stabiliti, salva
dalla prova attitudinale imposta invece a chi chiede
l’immediato riconoscimento del titolo e il conseguimento
della qualifica.
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