Presso il Palazzo S. Macuto
(Biblioteca della Camera dei Deputati) sono intervenute
delle personalità tra cui l'On. Maria Antonietta Farina
Coscioni e l'On. Maurizio Turco, interessati ad
esplorare il fenomeno del mobbing nel mondo del lavoro
in uniforme. Tra i diversi interventi esposti da
illustri esperti giuridici, medici e psicologi del
settore, riportiamo quelli del Prof. Mauro Di Fresco,
chiamato come esperto in Diritto Sanitario, che ha
disaminato, brevemente, il mobbing strategico e
vessatorio dell'infermiere. In particolare il Prof.
Mauro Di Fresco si è soffermato sulla mentalità che
porta l'infermiere a subire il mobbing e sulle condotte
ingiuriose (abuso verbale) di cui l'infermiere è spesso
vittima. L'esperto conclude il proprio intervento con
una battuta sarcastica che, però, ha fatto riflettere
gli invitati che hanno apprezzato con un lungo e
particolare applauso quanto esposto.
Sono stato il primo presidente del
Comitato per il fenomeno del Mobbing dell'Università di
Roma "Sapienza" e fin dall'inizio mi sono accorto che
avremmo dovuto intraprendere una battaglia non contro le
persone ma contro il sistema. Il mobbing, in verità, è
un modo, seppur patologico, di vivere, lavorare,
interagire con gli altri, predominare o subire secondo
il valore sociale che diamo a chi abbiamo davanti.
Frequentemente il mobbing è un
fenomeno a senso unico discendente (esistono forme
ascendenti, seppur rare) quindi è più facile vedere un
coordinatore mobbizzare l'infermiere piuttosto che un
infermiere mobbizzare il coordinatore.
L'infermiere mobbizzato che magari
è stato per anni la vittima prediletta del mobber,
quando sale nella scala gerarchica aziendale (si ricordi
che l'azienda è un'aggregazione sociale dove si
relazionano molteplici realtà) sarà spontaneamente in
grado di mobbizzare a sua volta gli ex colleghi che
prima difendeva dal mobber, perché assorbe i sistemi di
comando imposti dai comportamenti ripetuti e considerati
"normali" da chi copre quel dato livello di comando.
In poche parole il problema del
mobbing sta nel sistema che trasforma le persone in un
unico stereotipo e che pretende un determinato
comportamento secondo il livello di comando occupato
all'interno della scala gerarchica.
La soluzione del mobbing è
evidente: cambiare radicalmente il modo di pensare il
potere e, soprattutto, di considerare i sottoposti (il
termine è sgradevole ma è migliore di quello che si
ritrova nella legislazione, come il D.P.R. 10.01.1957 n.
3, che utilizza il termine "inferiori").
Partendo da questa considerazione
ideologica, la giurisprudenza ha ritagliato il mobbing
sui valori costituzionali della persona, la sua
immagine, la sua dignità, la sua manifestazione della
personalità sul luogo di lavoro, definendolo nella sua
connotazione negativa.
Senza addentrarci nella specificità
giurisprudenziale, oggi mi preme considerare il mobbing
dal punto di vista sanitario e, precisamente, dal fronte
infermieristico.
Per l'infermiere il mobbing si
manifesta essenzialmente in due forme:
Il mobbing vessatorio-persecutorio.
L'infermiere subisce ingiurie cioè offese dirette alla
persona e non anche alla professione. Il tipo di lavoro
svolto qualifica lo stato sociale della persona, così se
l'attività svolta è considerata non importante sul piano
sociale, allora le offese si considerano legittime e
giustificate. La prova dell'esistenza di questa forma di
mobbing l'ho avuta direttamente qualche giorno fa,
quando un chirurgo plastico mi ha detto: "Tra le lauree
che hai preso quella dell'infermiere è la meno nobile".
Sulla base di questi presupposti psicologici, offendere
ed umiliare un infermiere, non è considerato sbagliato.
Il mobbing strategico. L'azienda
vive grazie al mobbing cioè l'organizzazione interna del
datore di lavoro non può esistere se si rispettano i
valori costituzionali, essa, invece, esiste grazie ad un
sistema che lega rigidamente le risorse umane in modo da
annullare ogni valore della persona che rientra in una
precisa categoria.
Un esempio lampante è il
demansionamento.
Se l'infermiere non viene
sfruttato, l'ospedale chiude.
Quando paventai al mio direttore
sanitario, la possibilità di perorare una causa per
demansionamento, mi disse che se avessi vinto avrebbe
chiuso l'ospedale.
Estensioni del fenomeno si vedono
in alcuni specifici comportamenti: pazienti che si
rivolgono all'infermiere dandogli del tu (non con tono
amichevole, ma di non considerazione, di importanza, di
valore, come per dire tu non conti niente, non hai
potere decisionale sulla mia salute) tanto da ritenersi
più competenti fornendo consigli medici non richiesti;
impiegati della stessa amministrazione ospedaliera che
trattano in maniera superficiale e con tracotanza gli
infermieri, e, cosa ancor più grave, direttori sanitari
o generali che usano terminologie diverse nei
provvedimenti amministrativi secondo la tipologia dei
destinatari (es. gli infermieri devono chiudere i ROT
dei reparti; i signori medici sono pregati di chiudere
le cartelle cliniche prima della fine del turno). Anche
l'accesso alle informazioni ed alla cultura è visto in
maniera diversa secondo la categoria che ne beneficia:
non è strano vedere un medico che, durante l'orario di
lavoro, usa il computer per aggiornarsi, ma quando lo fa
l'infermiere, immediatamente, la stessa caposala, lo
riprende dicendogli: "Non sei pagato per stare sul
computer", oppure "Dai alzati, fai qualcosa!". Gli
stessi medici ed anche gli stessi colleghi
dell'infermiere, lo giudicano come uno scansafatiche.
L'infermiere non è visto come un
professionista al pari del medico, ma come un operaio,
uno che deve faticare, deve fare e non pensare perché
per pensare ci sono altre persone.
L'infermiere si deve muovere e deve
eseguire gli ordini.
Anche la terminologia è importante.
Del medico si dice che è "un luminare", "uno
scienziato", "in gamba", "preparato". Dell'infermiere si
dice che è "umano", "affezionato", "un gran lavoratore",
"non si ferma mai", "risponde a tutti i campanelli". Per
valutare la professionalità di un medico si contano i
pazienti guariti; per valutare quella di un infermiere
si vede la pulizia e la brillantezza del carrello.
Per estirpare il mobbing si deve
combattere questa mentalità.
Si deve dare dignità ad ogni
lavoratore, cominciando dall'infermiere che, nonostante
la laurea, non è meglio considerato.
Minacciare un infermiere di azioni
disciplinari, è mobbing.
Pretendere da un infermiere una
prestazione inferiore, è mobbing.
Sgridare davanti gli astanti un
infermiere, è mobbing.
Umiliare, denigrare, dubitare della
professionalità di un infermiere, è mobbing.
Certo, tutte queste azioni devono
essere perpetrate in modo sistematico e per un congruo
periodo di tempo (circa di 6 mesi se azioni sporadiche),
ma tali fenomeni, soprattutto quelli isolati, sono in
crescita perché dal D.Lgs. 27.10.2009 n. 150 alla legge
04.11.2010 n. 183, il potere sanzionatorio si è
inasprito e le tutele di garanzia ridotte.
L'INAIL ha cercato di fare un passo
in avanti a favore dei lavoratori, considerando il
mobbing una malattia professionale indennizzabile. Con
Circolare 17.12.2003 n. 71 ha dichiarato malattia
professionale indennizzabile, ogni stato patologico
determinato dal mobbing strategico concretamente
realizzato attraverso specifiche condotte illecite del
datore di lavoro, ovvero:
- Marginalizzazione della attività
lavorativa;
- Svuotamento delle mansioni;
- Mancata assegnazione dei compiti
lavorativi, con inattività forzata;
- Mancata assegnazione degli
strumenti di lavoro;
- Ripetuti trasferimenti
ingiustificati;
- Prolungata attribuzione di
compiti dequalificanti rispetto al profilo professionale
posseduto;
- Prolungata attribuzione di
compiti esorbitanti o eccessivi anche in relazione a
eventuali condizioni di handicap psico-fisici;
- Impedimento sistematico e
strutturale all'accesso a notizie;
- Inadeguatezza informativa,
strutturale e sistematica, inerente l'ordinaria attività
di lavoro;
- Esclusione reiterata del
lavoratore rispetto ad iniziative formative, di
riqualificazione e aggiornamento professionale;
- Esercizio esasperato ed eccessivo
di forme di controllo.
Il T.A.R. Lazio, con sentenza
04.07.2005 n. 5454, ha annullato la circolare che nel
frattempo era stata assunta dal D.M. 27.04.2004, perché
stante la completa assenza nel nostro ordinamento di una
specifica legislazione antimobbing che lo definisca con
precisione, non è possibile assurgere a malattia
professionale il mobbing che a causa della lacuna e
l'inerzia politica, deve oggi essere provato nella sua
consistenza e realtà secondo le regole processuali che
disciplinano l'art. 2087 C.C., l'art. 2103 C.C. e l'art.
15 della Legge 20.05.70 n. 300 (oltre, ovviamente, i
reati eccepiti all'uopo dalla vittima).
La giurisprudenza sostiene le
vittime di mobbing, anche se l'onus probandi è divenuto
molto più ferreo.
Interessante Suprema Corte di
Cassazione n. 6326 del 23.03.2005 che considera il
mobbing una violazione dei diritti costituzionali, ex
artt. 2 e 3, co. 1 (dignità e diritti fondamentali del
lavoratore), come anche la n. 22858/2008 che ha punito
il datore di lavoro (400.000 euro) per non aver
considerato le lamentele di una dipendente mobbizzata
dai colleghi.
Non vi è dubbio che la
giurisprudenza sta andando verso un assetto della
fattispecie definendo con precisione i contorni del
mobbing.
Per questioni di tempo devo
terminare qui il mio intervento; ma voglio concludere
con qualche curiosità. Le ingiurie sul posto di lavoro
sono considerate mobbing se ripetitive e finalizzate ad
umiliare, vessare e costringere il lavoratore a lasciare
il posto di lavoro o a piegarsi alla volontà della
maggioranza o del superiore gerarchico. Tra le ingiurie
mobbizzanti compaiono:
spintonare, sezione feriale del
10.08.2001;
buono a nulla, n. 9361/2006;
maleducato, n. 9799/2006;
cicciona, n. 395/2007 (non è reato
se lo dice un medico alla paziente per incoraggiarla a
dimagrire quando il sovrappeso minaccia la salute);
hai rotto le p..., n. 35548/2007;
hai una veneranda età, n.
35968/2007;
buffone, n. 4129/08 (interessante
che si può dare del buffone al politico che non mantiene
le promesse);
sputare, n. 3344/2008;
dilettante, n. 8639/2008;
hai una natura lewinskiana, fai
delle farneticazioni uterine, n. 44887/2008;
non capisci un ca..., n. 31388/2008
(non è ingiuria, è un rafforzativo);
hai un metodo di stampo hitleriano,
n. 3131/2008;
pazzo, n. 16780/2008 (lecito se il
collega o il superiore è manesco o minaccia);
scansafatica, n. 6758/2009;
vattene, questa non è la tua terra,
n. 10358/2009;
recchione, n. 19967/2009;
tu non sei nessuno, n. 29241/2009;
vai a cacare, n. 15350/2010.
per questo lavoro serve un uomo, n.
10164/2010;
gay, n. 10248/2010;
vaffa (è reato solo se si mostra il
dito medio n. 17680/2003; non è reato anche se si mostra
il dito medio ma si deve litigare incidentalmente cioè
senza conoscersi n. 24864/2010; se ci si conosce è reato
n. 3931/2010);
ti sistemo io, n. 14659/11.
Comunque la sent. n. 20750/2010
parla dell'ingiuria difensiva, se siamo noi ad essere
aggressivi e abbiamo torto, possiamo essere ingiuriati!
Tratto da: Il mobbing
infermieristico. L'Intervento del Prof. Mauro Di Fresco
alla Camera dei Deputati
(Fonte: StudioCataldi.it) |