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1. Il neo “decreto sulle
liberalizzazioni”. - Il “decreto
sulle liberalizzazioni” approvato dal
Consiglio dei ministri nella riunione del 20
gennaio 2012 interviene anche sulla professione
forense, abrogando le tariffe ed imponendo il
preventivo per iscritto col cliente, consentendo
di fare tirocinio durante l’ultimo biennio
dell’università, auspicando l’assicurazione
professionale. Gli scopi dichiarati sono di
agevolare i giovani, incrementare il Pil,
abbattere le restrizioni nel mercato.
In particolare nel testo del decreto, nel CAPO
III (SERVIZI PROFESSIONALI) così statuisce
all’art. 10 (Disposizioni sulle tariffe
professionali):
1. Sono abrogate tutte le tariffe professionali,
sia minime sia massime, comprese quelle di cui
al capo V, titolo III, della legge 16 febbraio
1913, n. 89.
2. Al primo comma dell’articolo 2233 del codice
civile, sono apportate le seguenti
modificazioni:
a) le parole “le tariffe o” sono soppresse;
b) le parole “sentito il parere
dell’associazione professionale a cui il
professionista appartiene.” sono sostituite
dalle seguenti “secondo equità.” .
3. Al primo comma dell’articolo 636 del codice
procedura civile, le parole da “e corredata da”
fino a “in base a tariffe obbligatorie” sono
soppresse.
4. Alla legge 16 febbraio 1913, n.89 sono
apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 2 dell’articolo 74 è soppresso;
b) all’articolo 79: la parola “379” è sostituita
dalla parola “636”; le parole da “al pretore”
fino a “competenza per valore” sono sostituite
dalle seguenti: “al giudice competente che
decide ai sensi dell’articolo 2233 del codice
civile”; l’ultimo periodo è soppresso.
Quanto poi al preventivo, l’art. 11 (Obbligo di
comunicazione del preventivo) sancisce che:
1. Tutti i professionisti concordano in forma
scritta con il cliente il preventivo per la
prestazione richiesta. La redazione del
preventivo è un obbligo deontologico e
l’inottemperanza costituisce illecito
disciplinare.
2. Nell’atto di determinazione del preventivo il
professionista indica l’esistenza di una
copertura assicurativa, se stipulata, per i
danni provocati nell’esercizio dell’attività
professionale, la sua durata e il suo massimale.
3. Il presente articolo non si applica
all’esercizio delle professioni reso nell’ambito
del servizio sanitario nazionale o in rapporto
di convenzione con lo stesso.
4. Entro novanta giorni dall’entrata in vigore
della legge di conversione del presente decreto
legge i codici deontologici si adeguano alle
previsioni del presente articolo.
Ed infine l’art. 12 (Accesso dei giovani
all’esercizio delle professioni) così prevede:
1. All’articolo 6 della legge 9 maggio 1989,
n.168, dopo il comma 3, è inserito il seguente:
“3 bis. Le università possono prevedere nei
rispettivi statuti e regolamenti che il
tirocinio ovvero la pratica, finalizzati
all’iscrizione negli albi professionali, siano
svolti nell’ultimo biennio di studi per il
conseguimento del diploma di laurea
specialistica o magistrale; il tirocinio ovvero
la pratica così svolti sono equiparati a ogni
effetto di legge a quelli previsti nelle singole
leggi professionali per l’iscrizione negli albi.
Sono esclusi dalla presente disposizione i
tirocini per l’esercizio delle professioni
mediche o sanitarie. Resta ferma la durata
massima dei tirocini prevista dall’articolo 33,
comma 2 del decreto legge 6 dicembre 2011, n.
201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n.
214”.
Per fare ciò si è seguito un metodo
veramente singolare: a) nessuna concertazione
con le parti interessate; b) tecnica legislativa
gretta, poiché si introducono norme senza
armonizzarle con l’esistente e senza porsi le
gravi conseguenze che produrranno (tra le tante:
il potere del giudice di liquidare le parcelle
sulla base di parametri ministeriali allo stato
inesistenti, e comunque una sorta di tariffe di
ritorno, ed anche in difformità al preventivo
pattuito col cliente; l’imposizione di un
preventivo dinanzi ad una attività
giurisdizionale aleatoria anche nei tempi e
nelle modalità così accollando il rischio
economico soprattutto sull’avvocato, etc.); c)
si invocano da tempo e anche di recente alibi
surreali, quali “l’Europa ce lo chiede” e
abbiamo il placet del Forum giovani, anzi
di un componente del Forum giovani (cfr.
discorso del premier del 20.1.12; mentre invece
non è stato consultato il presidente dell’A.I.G.A.
che comunque rappresenta il 50% dell’avvocatura,
costituita da giovani avvocati infra 45enni).
E’ dunque lecito domandarsi se ora l’avvocatura
italiana sarà più libera e se i cittadini
saranno più tutelati e soprattutto se
spenderanno di meno. Invero, se si supera la
patina finto liberale che pervade questo governo
di economisti-banchieri parrebbe proprio di no.
In premessa e in generale per vari motivi di
carattere generale: a) intanto il
“decreto sulle liberalizzazioni” non tocca i
veri settori cruciali dell’economia (trasporti e
ferrovie, autostrade e concessioni, banche,
benzina e petrolieri, solo per citare quelle più
rilevanti rimarcati dai giornali), dunque è già
di per se ingannevole e tale da non smuovere
alcun Pil come si pretende di far credere; b)
quanto all’avvocatura il “legislatore” palesa
una grave e inescusabile conoscenza di tale
professione (di rilievo costituzionale e secondo
pilastro della giustizia italiana); c) si denota
una mancanza progettuale complessiva posto che
l’avvocatura andrebbe riformata in un disegno di
ristrutturazione della giustizia, poiché solo
rendendo efficiente la “giustizia italiana” si
aumenta il Pil (in quanto la tutela dei diritti
diverrebbe effettiva e celere, inclusi i diritti
di credito, e ciò restituirebbe fiducia a tutti
gli investitori, nazionali e internazionali;
oltre a comportare un risparmio di centinaia di
milioni ogni anno, tra indennizzi ex lege
Pinto e nuovi contenziosi; lo ripete ad ogni
inaugurazione dell’anno giudiziario il primo
Presidente della Corte di Cassazione, l’ha
evidenziato di recente il Guardasigilli ma poi
non consegue alcuna azione!).
2. La liberalizzazione dell’avvocatura. –
Occorre innanzitutto ricordare
necessariamente come l’avvocatura sia una
professione intellettuale sui generis,
paragonabile per certi versi alla ars
medica, poiché mentre i medici gestiscono il
bene prezioso della salute (e della vita) dei
pazienti, gli avvocati gestiscono il bene
altrettanto prezioso dei diritti dei
pazienti-clienti. Il cui diritto più importante
è la libertà. Senza tutela dei diritti non v’è
uno Stato di diritto e viene meno la democrazia.
Infine l’avvocatura sorregge, insieme al primo
pilastro della magistratura, il bene pubblico e
preziosissimo della Giustizia.
Ciò impone quanto meno di non accorpare
grettamente qualsivoglia riforma (finto
liberalizzatrice) che interessi l’avvocatura a
tutte le altre ma di ponderarle in un disegno
più ampio di riforma della giustizia che
sappia finalmente garantire a tutti noi alcuni
punti fermi: a) una giustizia celere, snella ed
efficiente; b) accessibile a tutti; c) dove vige
la regola della responsabilità (chi sbagli
paghi); d) fondata sul merito e nella quale
operino dunque i migliori magistrati e i
migliori avvocati possibili.
Nella fattispecie delle norme del decreto che
hanno investito (e non meramente interessato,
posto che le norme sono state imposte con grave
malafede, come poi si sottolineerà)
l’avvocatura, occorre forse partire da lontano
per giungere a comprendere se tali novità siano
realmente positive per tutti gli italiani.
Occorre ricordare le direttive comunitarie
in materia di libere professioni, con cui in
realtà si chiede solo di consentire l’accesso
alla professione nei singoli Paesi (ossia da
Paese a Paese) preservandone certo la
qualità, autonomia e indipendenza, a tutela
di tutti i cittadini comunitari. L’intento
dunque, pregevole, è di assicurare comunque ai
cittadini la massima qualità possibile delle
libere professioni (intellettuali in primis).
Non certo di agevolare il percorso ai singoli
Paesi membri nella disgregazione dei principi
fondanti le professioni intellettuali, con il
risultato di farle scadere.
Da Bersani in poi, sino al Monti odierno, molte
figure apicali hanno strumentalizzato tali
direttive (“l’Europa ce lo chiede”) ed in
mala fede hanno orientato e guidato lo
Stato-legislatore, con l’irresponsabile avallo
dell’Antitrust (Agcm italiana), verso la
distruzione dei principi fondanti l’avvocatura
quali appunto l’autonomia, l’indipendenza, ma
anche la dignità, l’autorevolezza, l’etica.
Certo, occorre scriverlo forte e chiaro, come un
tale percorso sia stato agevolato dal malgoverno
dell’avvocatura stessa che negli ultimi 15 anni
non ha saputo comprendere, anticipare e gestire
i cambiamenti che la società pretendeva o che
comunque avrebbe avallato. Soprattutto
l’avvocatura non ha saputo cambiare la propria
inamovibile classe dirigente. Ma questa è
un’altra storia, che presto sarà affrontata, e
che si inserisce nel malcostume italiano di
impedire un rinnovamento (anche e soprattutto
anagrafico) della classe dirigente, politica e
non.
Tornando al tema prevalente, tale percorso è
stato condotto in palese mala fede poiché
in realtà occulta un servigio reso a
Confindustria, e all’Abi in particolare, che già
a partire dall’l’introduzione del “socio di
capitale” inserito nella c.d. legge di
stabilità, potrà iniziare ad impossessarsi
dell’avvocatura, minandone autonomia,
indipendenza e ingenerando conflitti di
interesse, in danno della collettività. Le
dichiarazioni entusiastiche dei suoi
rappresentanti sono solo la conferma di tale
indirizzo.
L’autonomia e l’indipendenza dell’avvocatura non
sono solo principi fini a se stessi, non sono
solo l’impalcatura che sorreggono la deontologia
(dunque il dna etico) dell’avvocatura. Sono un
patrimonio di tutti. Disgregati i quali,
vi saranno solo avvocati diretti da soci di
capitali, putacaso rinvenibili nelle banche e
assicurazioni.
Certo non tutto ciò che è stato imposto
dall’alto è da buttare. Sarebbe sciocco
pensarlo.
Le tariffe andavano quanto meno cambiate. Non
abrogate. La cialtroneria di chi invoca “l’Europa
ce lo chiede” trascura di ricordare come nel
Paese più rappresentativo (la Germania) le
tariffe esistano, anche se è possibile pattuire
una parcella fissa, e come l’Europa,
abusivamente invocata dagli stessi cialtroni,
mai abbia proferito alcuna parola sulle tariffe,
rimanendo a ciascun Paese la libertà di
organizzarsi come meglio crede.
La pattuizione di un preventivo, oramai
richiesta da anni dai clienti, è una buona
prassi ma è limitativa nel momento in cui la
causa assume modalità (fase istruttoria
complicata e lunga) e tempi (rinvii per colpa
dei giudici) gravosi.
L’auspicio dell’assicurazione per responsabilità
professionale è cosa buona e giusta poiché i
clienti devono essere messi nelle condizioni di
essere realmente tutelati dagli errori del
proprio difensore. Tuttavia potrà orientare (per
i difensori coperti da maggiori polizze) le
scelte dei consumatori, così ostacolando i
giovani che potranno pagare premi più bassi
verso l’acquisizione di una clientela di peso.
Il tirocinio consentito anche nell’ultimo
biennio dell’università è cosa buona e giusta a
condizione che le università siano di eccellente
qualità (quante lo sono oggi?).
3. La dottrina del profitto. - Mi
pare quindi evidente come “a monte del Monti” vi
sia solo la logica del profitto, da egli
ritenuto il faro per risanare l’Italia. Secondo
tale dottrina, dopo avere sistemato i conti (ma
incidentalmente aver distrutto la classe media),
riacquistato fiducia dai mercati (i quali
oramai, attraverso la regia delle agenzie di
rating, hanno sostituito e esautorato alcune
democrazie occidentali), liberalizzando qua e là
(anzi facendo finta, poiché i settori nevralgici
non sono stati toccati), il Pil crescerà e
dunque tutto si sistemerà. Più profitto, più Pil
e tutti a casa felici.
Consumatori tirati a lucido, pronti a drogare il
Pil, secondo una logica perversa di modello di
sviluppo, invece di pensare ad un nuovo modello
di sviluppo fondato sulla “decrescita felice”
(come elaborata da Serge Latouche). Parrebbe
uno scenario di cittadini posti in stato
vegetativo che però devono continuare a produrre
Pil.
4. La mistificazione delle
liberalizzazioni dell’avvocatura. -
Quale dunque il rapporto tra avvocatura,
liberalizzazioni e Pil? A mio avviso nessuno ed
anzi il teorema assurge a vera e propria
mistificazione, che occorre presto e con
vigore smascherare.
I liberi professionisti italiani (oltre 2
milioni) sono liberi proprio perché possono
diventarlo senza incorrere in alcuna restrizione
che non sia giustificata dal rilievo pubblico
della professione (esame di Stato, controllo
deontologico etc.). Essi producono già circa il
15% del Pil italiano e non godono di alcuna
sovvenzione (diversamente dalle imprese). Anzi
vengono assoggettati a sistemi fiscali iniqui
quanto al sistema previdenziale garantito loro
dalle Casse private (che sempre lo
Stato-legislatore nell’ultima manovra
finanziaria, ex art. 24, co. 24, ha inteso
mettere in crisi, pretendendo in pochi mesi non
più una sostenibilità tra entrate ed uscite, per
i prossimi 30 anni ma per i prossimi 50 anni!
Anche in tal caso con il malcelato intento forse
di mettere mano su di un tesoretto di patrimonio
di circa 42 miliardi di euro, pari a 2 manovre
finanziarie).
L’avvocatura italiana è passata da circa 50.000
avvocati al numero esorbitante di 240.000 in
circa 20 anni, ciò a conferma di quanto sia già
“libera”. Essa contribuisce già a quel 15% di
Pil dei liberi professionisti italiani, in modo
significativo.
Si aggiunga poi come il legislatore negli
ultimi anni abbia: a) eroso l’area professionale
dell’avvocatura; b) non approvato la riforma
dell’ordinamento forense presentata
unitariamente dall’avvocatura 3 anni fa; c)
raffazzonato la giustizia italiana con continui
interventi schizofrenici del codice di rito e
altri codici, senza saper-voler proporre un
modello di giustizia efficiente, complessivo e
definitivo, peraltro ingenerando un grave stato
di incertezza del diritto; d) pagato (e paghi)
ogni anno qualche decina di milioni di
indennizzi ex lege Pinto per
irragionevole durata del processo; e)
contribuito con la grave inefficienza della
Pubblica Amministrazione (giustizia in primis)
ad aumentare in modo abnorme il carico
giudiziario; f) non saputo progettare e
inculcare alcuna cultura e/o modello di Adr
(Alternative Dispute Resolution); g)
rimosso reati, prodotto condoni, amnistie in
favore di alcuni.
5. Alienazione della potestà
“defensionale” dell’avvocatura. -
Si legga tutto ciò sistematicamente e si
giungerà ad un “legislatore” certamente imperito
ma ancor più probabilmente in mala fede, in
quanto mosso da un disegno ben preciso: l’alienazione
della potestà effettiva “defensionale”
dell’avvocatura. Tale alienazione non
disturberà così oltremodo il “manovratore” (i
veri centri di interesse economici e politici) e
la tutela dei diritti sarà allentata,
narcotizzata.
Ciò dimostra perché non si vuole e non si fa
alcuna riforma della Giustizia. Perché chi
governa economicamente questo Paese non ha
interesse ad una tutela efficiente dei diritti.
Non penso sia un’ipotesi di fantapolitica e
neppure intrisa di riflessioni dietrologiche. E’
sufficiente mettere in fila tutti i dati e le
conclusioni vengono da se. L’avvocatura deve
svelare questo misfatto, nell’interesse di
tutti. L’avvocatura da anni chiede a gran voce
una riforma della giustizia. Certo non
contribuisce ad alimentarla, come molti vogliono
far credere.
Gli italiani quindi hanno bisogno di un’avvocatura
di qualità, per avere la migliore difesa dei
propri diritti (soprattutto contro i c.d. forti,
banche in primis, che non esistono solo
nelle favole dei fratelli Grimm ma esistono
nella realtà e condizionano e prevaricano il
nostro quotidiano vivere), o necessitano di
avere l’avvocato low cost (quindi che ha
investito di meno su di se e sulla
preparazione)? La risposta mi pare ampiamente
scontata.
In Italia l’avvocatura è già molto libera
(abbiamo il più alto numero di avvocati in
Europa). Forse sin troppo. Il tirocinio è un
passaggio essenziale della professione poiché in
quel periodo si forma un avvocato e dunque non
lo si può ridurre e demandare in parte
all’università senza garantire che esso sia di
alta qualità.
L’esame di Stato è a presidio della qualità
della professione, eppure non lo si vuole
rendere più serio e oggettivo.
Lo Stato è contraddittorio poiché per agevolare
i giovani avrebbe dovuto intervenire non
demolendo i principi cardine dell’avvocatura ma
bensì su altri profili: a) dettando un tirocinio
rigoroso; b) riformando l’esame di Stato,
unificandolo in un’unica sede e consentendo solo
ai più meritevoli di superarlo; c) agevolando
l’avviamento della professione, defiscalizzando
ogni strumento, ivi inclusi quelli
“previdenziali” e “assistenziali” consentendo
alla Cassa previdenziale di predisporre un vero
welfare; d) pretendendo una formazione
costante e seria.
La dottrina Monti ignora tutto questo o finge di
ignorarlo. Essa è priva di un disegno organico e
sostituisce l’avvocatura, fondata
necessariamente su qualità tecniche ed etiche,
con l’abbietta logica del mercato, secondo cui
la libera contrattazione dovrebbe regolamentare
tutto il resto. Sed libera nos a malo! |