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Sommario
Introduzione
1. Sulla “persona” del cliente e
sui suoi rapporti con l’avvocato
2. Tariffario forense e necessità
dell’avvocato
3. Conclusioni
Introduzione
«Sono abrogate le tariffe delle
professioni regolamentate nel sistema ordinistico.»
Con tale solenne e invero non
meravigliosa proposizione espressa nell’art. 9, recante
“Disposizioni sulle professioni regolamentare” di cui al
Capo III della bozza di Decreto legge sulle
liberalizzazioni (rinvenibile sul quotidiano “Il Sole 24
Ore di sabato 21 gennaio 2012), il Governo attuale si
propone di riformare, nell’interesse dei consumatori e
dell’economia nazionale, il vetusto sistema delle
professioni ed in particolare di dare ampia chiarezza e
consapevolezza sui costi che gli utenti andranno
incontro, nel caso in cui dovessero fare un patto con un
avvocato.
In sostanza, si vuole, mediante un
preventivo scritto ed un accordo scritto, fissare con
certezza i costi legali e dare la possibilità al singolo
consumatore di comparare le diverse opzioni possibili e,
quindi, di paragonare i diversi preventivi eventualmente
in suo possesso per scegliere, in tutta scienza e
coscienza, a chi rivolgersi.
Il fine, astrattamente considerato,
si può dire condivisibile; gli strumenti pratici scelti
e soprattutto le implicazioni specie di sistema, che si
prospettano, tutt’altro.
Chi scrive è avvocato e per
l’effetto è parte in causa: sicché – e giustamente – ben
può essere sospettato di parzialità. Il che, però, per
chi è abituato a perorare cause innanzi al giudice non è
ambito improprio: nessun problema, quindi, ad indossare
seppur idealmente anche in questa sede la toga della
difesa.
Il tema affrontato, del resto, è
uno di quelli “scottanti” e di facile opinabilità, a
seconda dei punti di vista, sicché l’evocazione di
massimi principi e l’amore per l’analisi, se si
scontrano con le opinioni correnti, avranno scarsissimo
effetto persuasivo.
Inoltre, il decreto verrà emesso
entro pochissimo tempo e sul punto verosimilmente, salvo
marginali modifiche in sede di conversione, diverrà
legge stabile dello Stato.
Eppure, proprio nella
consapevolezza della difficoltà di raccogliere
l’attenzione dell’uditorio non professionale, non si può
sempre tacere e far finta che il tutto viva, nello Stato
di diritto, secondo mente puramente economica.
Non si tratta, però, di lottare
contro mulini a vento e di rappresentare, sotto la luce
fioca di un fioco romanticismo, l’ideale del nobile
avvocato e dello splendido oratore. Né è il caso di
prospettare una difesa ad oltranze degli “onorari minimi
e massimi”.
Ciò che è in gioco, infatti, non è
tanto la precisa definizione, magari utile anche ai fini
di ispezioni fiscali o, assai più inverosimilmente, per
“mandare in soffitta” ogni presunzione tributaria
sull’entità dei proventi, del compenso dovuto
all’avvocato od ad una società di avvocati, ma la natura
stessa del rapporto fiduciario.
Ciò che interessa comprendere
allora è se, avuto riguardo al sistema complessivamente
considerato, l’intento normativo, benché criticabile od
esaltante sotto questo o quell’aspetto, così com’è
congeniato possa trovare una applicazione effettiva ed
effettivamente rispettosa delle garanzie della difesa in
ogni ambito dell’attività forense.
La risposta, ad avviso di chi
scrive, è negativa: di seguito e brevemente le ragioni
di tale parere.
1. Sulla “persona” del cliente e
sui suoi rapporti con l’avvocato
Sembra banale, ma pare doveroso
sottolineare il fatto che nello stilare le disposizioni
di dettaglio del citato articolo 9, il legislatore
d’urgenza abbia avuto a mente il caso in cui il
professionista e, per quel che qui concerne, l’avvocato
abbia di fatto una forza contrattuale e culturale
maggiore rispetto a quella del cliente, il quale,
analogamente a qualunque consumatore, che si approccia
ad un qualsiasi negozio che vende od offre merce a caro
prezzo ma di cui sente comunque la necessità, ha bisogno
di avere informazioni dettagliate e precise prima di
concludere un contratto.
Eppure, non solo semplici
“consumatori”, si rivolgono all’avvocato, ma, per ovvie
ragioni connesse alle proprie attività economiche, altri
professionisti, nonché imprese a carattere
multinazionale e persino Enti pubblici anche non
economici.
Nello stesso modo, non sempre il
cliente si sceglie l’avvocato, ben potendo questo
essergli in qualche modo imposto: basti pensare al
difensore d’ufficio in ambito penale.
Oltretutto, assai diversa è
l’attività che si svolge in ambito stragiudiziale, nella
quale in effetti l’esistenza di accordi specifici tra le
parti (quanto meno nei casi di particolare importanza o
per rapporti continuativi) è già invalsa nella prassi,
da quella giudiziale.
Da ultimo, non tutte le attività
proprie dell’avvocato meritano di avere l’alto standard
di formalità che il Governo vorrebbe imporre anche sotto
minaccia di procedimento disciplinare: la mente corre
subito al semplice parere telefonico o alla consueta
lettera di messa in mora.
Si dirà: ma queste sono mere
eccezioni o casi particolari, che non possono far
distogliere dalla importanza di questa ennesima “riforma
epocale” contro la casta forense.
Ben si può ribattere che, anche
guardando agli obblighi deontologici vigenti, l’avvocato
ha il dovere di illustrare al proprio assistito gli
aspetti economici fondamentali e rilevanti del caso e di
tenere in serissima considerazione, nella definizione
del compenso, le condizioni economiche e sociali del
patrocinato.
Si potrebbe allora replicare: ma se
così è, di che cosa ci si lamenta? In fondo, si tratta
di tradurre in forma scritta ciò che si deve già fare in
forma orale. Se poi non vi sono limiti nei massimi o nei
minimi, le parti potranno, secondo le regole del libero
mercato, definire i corrispettivi ed ogni altro aspetto
rilevante.
Pur prescindendo dal mero rilievo
che appare piuttosto strano che una libera professione
necessita per esplicarsi sempre e comunque di una forma
giuridica vincolata (lo scritto, appunto), è evidente
che altro è avere dei riferimenti normativi per definire
il proprio compenso per l’incarico ricevuto, altro è
subordinare l’incarico alla conclusione di una
preventiva e libera contrattazione.
Insomma, ciò che cambia non è tanto
e soltanto l’aspetto economico del rapporto tra avvocato
e cliente, ma la natura stessa di esso, il quale da
questa visuale diviene innanzi tutto un rapporto
patrimoniale, perdendo ogni sostanziale rilevanza
giuridica l’aspetto fiduciario e professionale.
L’avvocato, infatti, diviene da
subito e per prima cosa controparte del consumatore e
non anche persona a cui innanzi tutto si affidano
libertà e patrimoni ed in genere le proprie sicurezze.
Ciò può sembrare poca cosa; ed in
effetti, così è se si guarda il mero aspetto contabile
della vicenda. Se si considerano, invece, le ragioni
serie che possono portare ad aver bisogno di un
avvocato, allora il tutto assume connotati alquanto
diversi.
Ecco che allora conviene spostare
il discorso sulla funzione dell’avvocato e sul perché
anche chi scrive sente il bisogno di levare almeno la
parola contro l’impostazione assunta dal Governo.
2. Tariffario forense e necessità
dell’avvocato
Nell’ordinamento italiano la difesa
è diritto fondamentale in ogni stato e grado del
procedimento (art. 24 comma 2 cost.): da tale principio,
com’è noto, si è derivato e non impropriamente il
corollario della necessità del difensore specie nel
procedimento penale.
In linea teorica e guardando oltre
le Alpi ed il Mare Nostro si possono citare casi nei
quali il singolo cittadino può o deve difendersi da
solo, id est senza necessità di un avvocato.
Se ciò fosse ammissibile, è chiaro
che verrebbe meno la stessa funzione essenziale
dell’avvocatura all’interno del sistema delle garanzie
istituzionali.
Facile conseguenza sarebbe quella
di impostare il rapporto con il difensore innanzi tutto
sull’aspetto economico e di tutela del cliente: non
avendo copertura costituzionale il ruolo dell’avvocato,
si tratterebbe semplicemente di un contratto di servizi
qualificati.
La scelta del difensore, infatti,
sarebbe opzione arbitraria o comunque non necessaria e
come tale andrebbe trattata. L’unica peculiarità
potrebbe rinvenirsi, come accennato, solo nella
definizione dei rapporti reciproci, avuto riguardo al
“tipo” contrattuale, analogamente a quanto avviene per
ogni altro tipo di contratto. L’avvocato, del resto,
anche in un sistema che non ne preveda la necessaria
partecipazione al processo è soggetto qualificato in
ambito contrattuale (dopo tutto ha trascorso alcuni anni
sui libri giuridici e può avere maggiore dimestichezza
dell’altra parte nel trattare leggi e cavilli) sicché in
genere la parte debole sarebbe l’altra: sarebbe allora
bene che il tutto venisse definito chiaramente e in
maniera inequivocabile con preventivi certi e con
paragoni con altri professionisti per evitare abusi. La
pubblicità comparativa, in quest’ambito, sarebbe persino
doverosa, così come accettabile l’idea di fornire sconti
sul numero di cause o la legittimità del procacciamento
della clientela, la stessa cessione del credito
controverso e, da ultimo, di subordinare in tutto e per
tutto il compenso sulla base dell’effettivo risultato
raggiunto.
Trattando di cose umane ed avendo
alla mente le atrocità del mondo, una simile opzione non
è capace di sconvolgere la moralità pubblica specie se
si portassero ad esempio grandi e libere democrazie,
come ordinamenti nei quali simili prassi sarebbe
legittimata.
Eppure, proprio con riferimento –
ad esempio – agli Stati Uniti d’America, ogni richiamo
in merito appare davvero improprio: non già per la
disciplina, che si volesse importare, ma per il diverso
quadro costituzionale.
Non può sfuggire, infatti, almeno a
chi abbia ancora amore per la comparazione e l’analisi,
che il diritto di autodifesa, inteso come diritto di
difendersi da solo, è strettamente connesso al diritto
al jury-trial e, dunque, ad essere giudicato, in civile
ed in penale, dal giudizio unanime di dodici cittadini.
Se è il popolo che può sempre
decidere, senza avere alcuna conoscenza giuridica
qualificata andando persino contro le disposizioni
legali in base al power of nullification, allora anche
il singolo può difendersi da solo e mostrare e
rappresentare le proprie difese innanzi ai suoi pari.
Quegli stessi pari che potranno essere chiamati una ed
una sola volta a giudicare e che potranno esprimere
unitamente a tutti gli altri cittadini con il voto e a
scadenze determinate la scelta del giudice e del
prosecutor, che non ha alcun obbligo di perseguire alcun
reato ed alcun reo.
Il sistema italiano è sui punti
fondamentali sopra menzionati estremamente diverso e
tale diversità, se si considera la complessità della
stessa giurisdizione nostrana, non può non riflettersi
proprio sull’aspetto essenziale della configurazione del
diritto di difesa tecnica.
Se – ed il punto si dà per scontato
– è necessario avere un difensore nelle “vere” cause
civili, in quelle penali, in quelle tributarie ed in
quelle amministrative, la scelta del proprio difensore
non è libera. Non lo è sull’an, ma neppure sul quomodo,
poiché non tutti possono essere avvocati, essendo anche
alla luce della disposizione in bozza di cui si discute,
tale professione una professione regolamentata
nell’accesso.
Non è un caso, allora, comprendere
in questo contesto l’importanza delle tariffe, che si
applicano pur in assenza di una espressa configurazione
degli aspetti economici del rapporto.
Non si tratta semplicemente di
garantire un minimo di sussistenza e neppure di impedire
abusi sul compenso massimo magari sollecitati dalla
necessità del caso (si pensi, per esempio, al momento in
cui un soggetto è stato arrestato o all’imminenza della
scadenza di un termine essenziale), ma di assicurare il
più possibile che la scelta dell’avvocato si imponga
innanzi tutto in ragione del rapporto fiduciario e,
quindi, sulle qualità personali, professionali e morali
dell’avvocato.
Detto in altri termini, il sistema
del tariffario, determinato dall’organo amministrativo a
ciò deputato (il Ministro della Giustizia), è
strumentale ad un sistema che per necessità e nei fatti,
al di là di ogni propaganda numerica e di considerazioni
puramente formali sull’eccessivo numero dei
professionisti, impone la presenza di un avvocato a
fianco delle parti private.
Se non è libera la professione e se
è necessario rivolgersi ad un avvocato, così come
avviene per ogni altro tipo di servizio di rilevanza
pubblica, i “costi” devono essere indicati e comunque
calmierati con provvedimento normativo e non possono
essere lasciati ad una libera concorrenza, per il
semplice fatto che non sussiste alcuna libera
concorrenza.
Si può discutere, allora, sulla
forma che deve assumere il tariffario professionale e
persino sulle sue singole voci. Si può anche discutere
se ed in che modo, in specifici casi, si possa derogare
ai massimi e minimi, dando, nel silenzio della
contrattazione, prevalenza per criteri supplettivi come
al valore medio adottato, sino ad oggi, per la
liquidazione delle spese relative al gratuito
patrocinio. Si può e persino si deve dare la
possibilità, specie ai “giovani”, di farsi conoscere per
ciò che sanno fare e per le qualifiche professionali ed
accademiche faticosamente raggiunte senza la
sponsorizzazione di questo o quel patrono e con la sola
forza del proprio studio. Si deve, insomma, far
conoscere che cosa ed in che modo questo o
quell’avvocato o studio professionale lavora, senza
ambiguità e distorsione. Ma non si può seriamente
pensare che l’abolizione del tariffario possa essere lo
strumento migliore per poter scegliersi uno tra i
migliori degli avvocati “in circolazione”.
Ed è qui che si evidenzia in tutta
la sua crudezza lo spirito dell’auspicata riforma in via
di approvazione, che incentra (quasi) tutto sulla mera
convenienza economica.
La scelta dell’avvocato e, dunque,
della propria difesa deve essere invece innanzi tutto
improntata alla conoscenza del professionista.
La nomea raggiunta, grazie ai
media, nonché la sponsorizzazione affettuosa di questo o
quell’amico e, magari, la stessa gratitudine di clienti
soddisfatti sono sempre stati gli strumenti elettivi per
farsi conoscere.
Oggi, grazie all’informatica, al
web e a una maggiore consapevolezza delle proprie
esigenze, i clienti non sono affatto sprovveduti e ciò
che vogliono è, nonostante tutto, non già uno “sconto”,
ma un ottimo lavoro ad un “giusto prezzo”.
Vi sono stati – è innegabile –
abusi e legittimazione di abusi da parte degli avvocati.
Eppure, non si crede che la delegittimazione del sistema
tariffario possa essere più ragionevole di una sua seria
rimodulazione, questa sì, da effettuarsi nell’esclusivo
interesse della scelta del miglior avvocato possibile.
3. Conclusioni
In Italia, gli avvocati sono troppi
e per causa loro vi sono troppe cause; spesse volte,
poi, sono degli evasori; le distorsioni immorali, contro
i poveri, che attuano nel quotidiano vivere pretendendo
somme inique sono sotto gli occhi di tutti; la
letteratura e persino i detti popolari, del resto, ben
definiscono il basso valore di rispetto, che in effetti
hanno tra le persone oneste.
E’ tutto vero, ma è altrettanto
vero che l’avvocato è una figura istituzionale, che dà
fastidio, perché con le sue parole e con i suoi scritti
chiede, interroga e pretende. Quando si arresta anche il
più nefasto degli individui, egli deve essere informato,
deve poter parlare con il reo, può persino impugnare
ogni decisione e persino chiedere che la legge venga
posta nel nulla per contrarietà alla Costituzione. Se
vengono notificati atti impositivi astrusi, può chiedere
che il presunto evasore nulla paghi. Se qualcuno ha
subito un torto, può, seppure a fatica e dopo aver fatto
mille e più avvisi e raccolto i danari che servono per
iscrive a ruolo l’azione, convincere il proprio
assistito a intentar causa per ottenere il risarcimento
del danno provocato anche dallo Stato.
Né si può seriamente pensare, ove
si abbia sincera cura della tutela oggettiva del diritto
di difesa, di eliminare nel nostro ordinamento la
necessità “formale” della presenza dell’avvocato.
Ma per chi non viva di soli detti e
di astrattezza, tutto ciò non ha alcuna importanza
conclusiva per il discorso in questione.
Non si diventa avvocati, veri
avvocati per mero denaro, così come non si può essere
giudici e veri magistrati sol perché non vi sono
problemi per lo stipendio di fine mese e dubbi per il
godimento della propria pensione.
L’aspetto economico, come in ogni
lavoro e nella vita di chiunque, ha un rilievo
fondamentale, ma non può essere esclusivo e neppure il
più importante.
Quel che mi domando quando un
cliente bussa alla mia porta, non è quanto potrò
guadagnare da lui, ma qual è il suo problema. Quando mi
contattano dal carcere, non esulto pensando alla
parcella da presentare in vista dell’udienza del
riesame, ma su come agire per poter aiutare il
ristretto.
Il Governo, invece, vuole che da
domani prima d’ogni cosa, pena la meritevolezza di un
infamante procedimento disciplinare, che potrebbe aver
la forza di impedire a chiunque di poter accedere e
sviluppare la propria carriera anche a livello delle più
Alti Corti internazionali, che si dia al
cliente-consumatore un foglio dettagliato, chiaro e
preciso sulle spese.
Si immagina che ogni attività che
dovesse svolgersi prima della sottoscrizione del
contratto di assistenza legale in duplice copia magari
tradotta, nel caso di persone straniera, sperando che
sappiano leggere e scrivere almeno nella lingua
d’origine, sarebbe inibita e comunque da svolgersi a
proprio rischio e pericolo di perdita economica, ove il
contratto non venga in effetti concluso e non trovi
applicazione il principio della responsabilità
pre-contrattuale.
Si immagina che gli ordini
professionali, per evitare sperequazioni e per dare
tranquillità ai propri iscritti in merito alla
legittimità e non vessatorietà delle clausole dei
diversi contratti, daranno vita a dei modelli di
riferimento a cui potersi rifare con consueta e
tranquilla monotonia.
Si immagina che chi si atterrà alle
tariffe vigenti non dovrà temere che i compensi siano
impugnati per incongruità od abusività delle pattuizioni
in sede giudiziale.
Si immagina che tutto ciò servirà
per poter permettere pubblicità ed offerte a buon
mercato di prestazioni professionali a cui non saranno
necessariamente connesse responsabilità effettive,
essendo comunque (ancora per poco?) rimasta l’avvocatura
una professione di mezzi e non di risultato.
Si immagina che l’avvocato potrà
pretendere garanzie reali o personali per poter
accettare l’incarico e non trovarsi a mani vuote dopo
bene averlo svolto.
Si immagina che il tutto potrà
causare legittimi ritardi nell’assunzione delle difese
penali nei casi più meritevoli di attenzione e d’urgenza
e si potrà porre in crisi, fino a quando non verrà
specificato il punto, il senso della difesa d’ufficio
dell’abbiente.
Si immagina … ma ogni immaginazione
alla fine dovrà comunque lasciar spazio a quel che
davvero avverrà. E sul punto la speranza è che ogni
preoccupazione e distorsione venga resa vana da una
sapiente considerazione, seppur a posteriori, da parte
del legislatore.
Ed in effetti ciò di cui ora più di
tutto si sente irresistibile bisogno è di essere
regolati da ottime leggi e non solo da ottimi
governanti. |