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(Estratto da Diritto e Processo
formazione n. 12/2011)
QUAESTIO IURIS
Il provvedimento che si annota
presenta notevole interesse in quanto investe un’attuale
questione relativa al mutamento del rito quando una
controversia è erroneamente promossa in forme diverse da
quelle previste dall’ormai noto decreto legislativo 1
settembre 2011, n. 150.
Il caso traeva origine dalla
proposizione di un ricorso con il quale il ricorrente
impugnava il provvedimento emesso dall’Ambasciata
d’Italia di Abidjan di diniego del rilascio del visto
per il ricongiungimento familiare in favore della minore
affidata al ricorrente.
Il ricorrente introduceva la lite
secondo la formula processuale del rito camerale ex
artt. 737 c.p.c. e ss prescritta dell’art. 30, comma VI,
dlgs n. 286/1998 nel testo anteriore alla modifica
apportata dall’art. 34 d.lgs n. 150/2011.
Nonostante l’entrata in vigore del
decreto legislativo suindicato, il ricorso era stato
presentato secondo formule processuali erronee atteso
che non conteneva né le indicazioni previste dall’art.
163 c.p.c., né l’avvertimento di cui all’art. 163, comma
terzo, n. 7 c.p.c. (art. 702 – bis c.p.c.).
Il Giudice del Tribunale di Varese
disponeva d’ufficio il mutamento del rito disciplinato
dall’art. 4 co. 1 d.lgs n. 150/2011, da camerale (ex
art. 737 e ss c.p.c.) a sommario di cognizione ex artt.
702 – bis e ss c.p.c. , rito applicabile al diniego del
nulla osta per il ricongiungimento familiare, in virtù
degli artt. 20 co. VI, dlgs. n. 150/2011 e 30, comma VI,
dlgs. n. 286/1998.
Il mutamento del rito previsto
dall’art. 4 del d.lgs. n. 150/2011
Com’è noto il decreto legislativo
n. 150/2011, entrato in vigore il 6 ottobre 2011,
recante“Disposizioni complementari al codice di
procedura civile in materia di riduzione e
semplificazione dei procedimenti civili di cognizione”,
ha attuato la delega contenuta nell’articolo 54 della
Legge 18 giugno 2009, n. 69, riducendo i riti civili da
trentatrè a ben tre riti: il rito ordinario di
cognizione di cui ai Titoli I e III del Libro II del
Codice di Procedura Civile; il rito del lavoro regolato
dalle norme della Sezione II del Capo I del Titolo IV
del Libro II del Codice di Procedura Civile; il rito
sommario di cognizione disciplinato dal Capo III bis del
Titolo I del Libro IV del Codice di Procedura Civile.
L’art. 54 co. 1 della L. 18 giugno
2009, n. 69, affida al Governo l’adozione “...entro
ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della
presente legge, di uno o più decreti legislativi in
materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti
civili di cognizione che rientrano nell’ambito della
giurisdizione ordinaria e che sono regolati dalla
legislazione speciale”.
Restano, tuttavia, fermi i criteri
di competenza previsti dalla legislazione vigente, i
criteri di composizione dell’organo giudicante previsti
dalla legislazione vigente, le disposizioni previste
dalla legislazione speciale che attribuiscono al giudice
poteri officiosi e disposizioni previste dalla
legislazione speciale finalizzate a produrre effetti che
non possono conserguirsi con le norme contenute nel
codice di procedura civile.
Il Legislatore ha previsto
l’esenzione di alcuni riti speciali dal procedimento di
semplificazione e razionalizzazione in quanto regolano
questioni particolari e delicate .
La lettera d) del comma dell’art.
54, infatti, prevede espressamente che “restano in ogni
caso ferme le disposizioni processuali in materia di
procedure concorsuali, di famiglia e minori, nonché
quelle contenute nel regio decreto 14 dicembre 1933, n.
1669 - legge cambiaria, nda -, nel regio decreto 21
dicembre 1933, n. 1736 - legge sugli assegni, nda -
nella legge 20 maggio 1970, n. 300, - statuto dei
lavoratori, nda - nel codice della proprietà industriale
di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 ,
e nel codice del consumo di cui al decreto legislativo 6
settembre 2005, n. 206”.
La ratio dell’intervento
legislativo è da ricercarsi nella riduzione e
semplificazione dei procedimenti civili regolati dalla
legislazione speciale, nella necessità di restituire
centralità al codice di procedura civile e nella
possibilità di fornire agli operatori del diritto un
unico testo legislativo che razionalizza e riassume le
regole processuali attualmente sparse in decine di leggi
diverse.
Occorre, ora, soffermarsi ad
analizzare l’art. 4 del d.lgs n. 150/2011 che forma
oggetto dalla decisione del Giudice del Tribunale di
Varese.
L’art. 4 del decreto legislativo n.
150/2011 prevede una disciplina unitaria del mutamento
del rito per tutte le controversie erroneamente
introdotte con riti differenti rispetto a quelli
indicati dal recente decreto legislativo.
L’art. 4 co. 1 del d.lgs n.
150/2011 stabilisce che quando una controversia viene
promossa in forme diverse da quelle previste dal
presente decreto, il giudice dispone il mutamento del
rito con ordinanza.
L’ordinanza del giudice deve essere
motivata anche in forma breve o succinta e non può
essere impugnata atteso che non ha contenuto decisorio.
La ratio sottesa all’introduzione
dell’art. 4 del d.lgs. n. 150/2011 è da ricercarsi nella
conservazione degli atti giudiziali nei limiti in cui
siano idonei a raggiungere lo scopo a cui sono
predestinati.
L’erronea introduzione della
controversia, come del resto è stato ribadito dal
provvedimento che si annota, difatti, non comporta nè
l’arresto della macchina procedimentale, nè la
regressione del processo, ma determina solamente il
passaggio da un rito all’altro (il cd. switch
procedimentale) per effetto della conversione del rito
disposta anche d’ufficio con ordinanza dal Giudice
(BUFFONE, La semplificazione dei riti civili: D.lgs.
n.150/2011,in Il Civilista, Milano, 2011, 26).
L’articolo in questione ha poi
previsto una barriera temporale preclusiva per il
verificarsi del mutamento del rito rappresentata dalla
prima udienza di comparizione delle parti dinnanzi al
Giudice.
Dall’art.4 della legge delegata si
evince, quindi, che le parti possono proporre in via
d’eccezione e il giudice anche d’ufficio il mutamento
del rito non oltre la prima udienza di comparizione
delle parti.
La disciplina del mutamento del
rito prevista dall’art. 4 del decreto n. 150/2011 si
differenzia da quella prevista per il mutamento del
rito disciplinato dal rito del lavoro (artt. 426 e 427
cod. proc. civ.) in quanto ammette la possibilità anche
in grado di appello di effettuare il provvedimento di
mutamento del rito (art. 439 cod. proc. civ.).
Com’è noto,
l’art. 702-ter c.p.c. prevede, invece, la
possibilità del mutamento del rito da sommario a
ordinario quando il Giudice ritiene che le difese svolte
dalle parti richiedono un’istruzione non sommaria.
In tali casi, il mutamento del rito
avviene in un momento specifico del procedimento, ossia
alla prima udienza di comparizione delle parti e, di
conseguenza, non è ammesso in grado d’appello come
implicitamente fa intendere la disposizione di cui
all’art. 702 – ter c.p.c.
Occorre evidenziare che il
mutamento del rito previsto dalla disciplina unitaria di
cui all’art. 4 del d.lgs. n. 150/2011 si differenzia,
anche,da quello relativo per la conversione del rito
sommario in ordinario disciplinato dall’art. 702 – ter
c.p.c., atteso che in quest’ultimo caso la conversione è
rimessa alla dicrezionalità del Giudice.
Lo switch procedimentale di cui
all’art. 4 del decreto menzionato, mira, invece, a
regolarizzare la forma processuale di una controversia
erroneamente introdotta e il Giudice anche d’ufficio
deve convertire il rito data la mancata alternatività
dei riti stessi.
La relazione illustativa del
decreto in esame evidenzia che la previsione del
mutamento del rito di cui all’art. 4 del d.lgs. n.
150/2011 andrà comunque letta compatibilmente con l’art.
40 commi 3°, 4°, e 5° c.p.c., in tema di connessione di
cause assoggettate al rito ordinario ed ai riti
speciali, norma la cui inderogabilità trova fondamento
nel principio del giudice naturale precostituito per
legge, sancito dall’art. 25 Cost.
L’art. 4 co. III del decreto n.
150/2011 stabilisce il caso della conversione del rito
nel forma del procedimento del lavoro quando la
controversia sia stata erroneamente introdotta nelle
forme ordinarie.
L’art. 4 co. III del decreto n.
150/2011 dispone che: “quando la controversia rientra
tra quelle per le quali il presente decreto prevede
l'applicazione del rito del lavoro, il giudice fissa
l'udienza di cui all'articolo 420 del codice di
procedura civile e il termine perentorio entro il quale
le parti devono provvedere all'eventuale integrazione
degli atti introduttivi mediante deposito di memorie e
documenti in cancelleria”.
Il rito del lavoro essendo un
procedimento speciale che prevede delle preclusioni sia
probatorie, sia assertive già in una fase introduttiva
del giudizio, il Giudice con l’ordinanza di conversione
del rito deve fissare l’udienza di cui all’art. 420
c.p.c. e il termine perentorio entro il quale le parti
dovranno provvedere all'eventuale integrazione degli
atti introduttivi.
Il Giudice che dichiara la propria
incompetenza ha, tuttavia, l’onere di indicare con il
medesimo provvedimento il rito corretto da applicare per
la riassunzione dinanzi al giudice competente (art. 4
co.4 d.lgs. n. 150/2011).
Si apprende dalla relazione
illustrativa al decreto n. 150/2011 che la ratio di tale
scelta legislativa è stata quella di dissipare gli
eventuali dubbi interpretativi circa le forme della
riassunzione del giudizio nell’ipotesi in cui venga
dichiarata l’incompetenza del giudice adito.
Al fine di circoscrivere al minimo
l’incertezza interpretativa della disposizione e’ stato
introdotto il comma 5 dell’art. 4 del decreto sopra
menzionato il quale prevede che gli effetti processuali
e sostanziali della domanda giudiziale si producano
secondo le norme del rito applicato prima del mutamento
per escludere in modo univoco l’efficacia retroattiva
del provvedimento che dispone il mutamento medesimo.
La relazione illustativa del d.lgs.
n.150/2011 riconosce, per una ragione di tutela della
parte che ha indrodotto la controversia in forme
processuali erronee, che tale disciplina afferisce
unicamente agli effetti della domanda e non può
naturalmente incidere sulla facoltà della parte
convenuta di provocare il mutamento del rito, con
apposita istanza tempestivamente proposta.
La decisione in commento può ben
essere condivisa in ragione della necessità del
mutamento del rito quando è stato introdotto nelle forme
procedimentali differenti rispetto a quelle previste dal
decreto legislativo n. 150/2011.
E’ da condividersi anche
l’estensione dell’art. 4 co. II del decreto al caso in
cui il ricorso sia erroneamente presentato in forme
processuali diverse da quelle previste dal d.lgs.
n.150/2011 per una ragione di coerenza con l’intero
sistema normativo.
Il Giudice, difatti, come ribadito
dalla decisione in commento, non può limitarsi a
pronuciare la conversione, ma in analogia con quanto
prescrive l’art. 4, comma II d.lgs. n. 150/2011 deve
provvedere a disporre l’integrazione degli atti per
ripristinare l’architettura procedimentale applicabile.
La SOLUZIONE del Trib. Varese, sez.
I, ordinanza 9- 10 novembre 2011 n. 10658
Il Tribunale di Varese, con
l’ordinanza n. 10658/2011, ha statuito che:
La lettera dell’art. 4 del d.lgs n.
150/2011 si estende in generale ad ogni modello
processuale vigente nell’Ordinamento.
L’art. 4 della legge delegata
introduce una disciplina ad hoc per far fronte al caso
dell’erronea introduzione di un processo affinchè essa
non determini, per ciò solo, l’arresto della macchina
procedimentale, in quanto l’Ordinamento tende a
conservare gli atti giudiziali finchè è possibile
attribuirgli effetti giuridici e nei limiti in cui siano
idonei a raggiungere lo scopo loro affidato.
Nel caso in cui il ricorso sia
erroneamente presentato in forme processuali diverse da
quelle previste dal d.lgs. n.150/2011, il giudice non
può limitarsi a pronunciare la conversione, ma in
analogia con quanto prescrive l’art. 4, comma II d.lgs.
n. 150/2011 deve provvedere a disporre l’integrazione
degli atti per ripristinare l’architettura
procedimentale applicabile.
APPROFONDIMENTO
Per una riflessione critica si veda
in dottrina BUFFONE, La semplificazione dei riti civili:
D.lgs. n.150/2011,in Il Civilista, Milano, 2011; VIOLA,
La semplificazione dei riti civili, Padova, 2011;
SASSANI, TISCINI, La semplificazione dei riti civili,
Roma, 2011; DI PIRRO, I riti semplificati, Napoli, 2011.
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