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Sommario: 1.Danni da
elettromagnetismo e tutela della salute umana.– 2.
L’installazione di antenne di telefonia cellulare: lo
stato attuale del dibattito. – 3. 3. Il caso: la
sentenza della Corte di Appello di Brescia del 2009.
1.Danni da elettromagnetismo e
tutela della salute umana: fonti comunitarie e
internazionali.
La necessità di assicurare il
benessere e il progresso della comunità civile deve
coniugarsi, nel tempo presente, con una corretta
gestione dell'ambiente. In quanto oggetto di interventi
comunitari ed internazionali, la protezione
dell'ambiente è apparsa come vero e proprio limite per
la garanzia di un armonico sviluppo economico.
L’intreccio tra tali concetti
rinviene nel fondamentale principio di precauzione il
suo naturale e fisiologico punto di fusione: il
principio che “chi inquina, paga” e il principio della
possibilità di una protezione giuridica comunitaria
rigorosa sono ormai parte del sistema ordina mentale nel
suo complesso e sono materia applicativa per i giudici.
Il fine cui si deve tendere è quello di fornire
indicazioni circa le decisioni da prendere nei casi in
cui gli effetti sull’ambiente di una determinata
attività non siano ancora pienamente conosciuti sul
piano scientifico.
Il principio di precauzione non
deve essere confuso con il principio costituzionale di
tutela della salute, contenuto nell’art.32 Cost.: mentre
il diritto alla salute assume carattere precettivo,
capace di produrre diritti soggettivi insuperabili, il
principio di precauzione rappresenta, di contro, un
principio di carattere generale, rivolto al legislatore.
Il tema dell'elettromagnetismo e
della pericolosità dei relativi fattori inquinanti ha
evidenziato una costante incertezza scientifica rispetto
alla quale l’ordinamento giuridico è intervenuto ex post
e talvolta anche a notevole distanza dall’evento.
Da qualche anno è diventata
pressante la richiesta di conoscere i potenziali rischi
connessi all’uso della telefonia cellulare che ha avuto
una espansione planetaria: ciò implica la necessità di
studi costanti e di cooperazione nell’analisi dei rischi
e delle conseguenze sulla salute umana.
L’elettromagnetismo è una delle proprietà fondamentali
della materia1: esso riguarda i campi elettrici che sono
le forze generate da cariche elettriche libere di tipo
“fisso” (ad esempio, un atomo ionizzato, ossia privato o
addizionato di un elettrone) o di tipo “mobile” (ci si
riferisce alle correnti, ossia i flussi di cariche
elettriche derivanti dall’applicazione di una differenza
di tensione presente agli estremi di un conduttore
metallico) su un’altra carica circostante2. Questo tipo
– ovvero quella mobile – genera oltre al campo
elettrico, anche un campo magnetico, definito come
l’azione delle cariche mobili sulle correnti
circostanti. Il campo elettromagnetico deriva dal legame
tra il campo elettrico e quello magnetico le cui
rispettive sorgenti hanno valore variabile nel tempo:
conseguenzialmente, le onde elettromagnetiche sono
definibili campi elettrici e magnetici oscillanti. Esse
consistono di piccolissimi pacchetti di energia chiamati
fotoni, caratterizzate da una lunghezza d'onda, dalla
frequenza e dall’energia. L’energia è direttamente
proporzionale alla frequenza d’onda. Se si parla di
bassa frequenza, siamo nell’ambito dei campi
elettromagnetici, mentre se si parla di alta frequenza
si è in presenza di radiazioni elettromagnetiche. Queste
si distinguono in “ionizzanti” e “non ionizzanti”.
L’importanza di tale partizione attiene sia al profilo
fisico-biologico, sia alla specifica disciplina
giuridica. Le prime sono onde elettromagnetiche che
possiedono energia fotonica sufficiente a rompere i
legami atomici che tengono unite le molecole, creando
atomi o parti di molecole carichi positivamente o
negativamente. Alla classe delle radiazioni non
ionizzanti appartiene tutta quella parte di spettro
comprendente le onde elettromagnetiche che hanno
un’energia troppo bassa per rompere i legami atomici3.
Negli ultimi trent’anni sono fioriti gli studi intorno
alla possibilità che l’esposizione ai campi magnetici,
che hanno una capacità di penetrazione nei tessuti
biologici, risulti in danno alla salute. L’aumento senza
precedenti, per numero e varietà, di sorgenti di campi
elettrici e magnetici (CEM) usati per scopi individuali,
industriali e commerciali ha generato preoccupazioni per
i possibili rischi per la salute connessi al loro uso.
Alcuni studi scientifici hanno suggerito che
l'esposizione ai campi elettromagnetici generati da
questi dispositivi possa avere effetti nocivi per la
salute (cancro, riduzione della fertilità, perdita di
memoria e cambiamenti negativi nel comportamento e nello
sviluppo dei bambini.) Altri studi contraddicono questa
ipotesi. Allo stato attuale, l'effettiva entità del
rischio sanitario non è nota, sebbene per alcuni tipi di
CEM, ai livelli riscontrati nella vita comune, questo
possa essere bassissimo se non addirittura inesistente.
In risposta alle preoccupazioni dell’opinione pubblica,
condivise da molti governi, l’Oms e altre organizzazioni
hanno avviato numerosi progetti di ricerca per valutare
gli effetti biologici e stabilire i possibili rischi per
la salute. Inoltre, una attenzione particolare viene
dalla Oms anche alla percezione del rischio da parte del
pubblico. Un sistema di informazione pubblica e di
comunicazione tra scienziati, governi, industria e
pubblico che non prenda nella giusta considerazione
questa percezione, può infatti generare sfiducia e paura
nei confronti delle tecnologie basate sui CEM.
affermazione esplicita della salute come diritto
fondamentale e inviolabile dell’individuo si rinviene
nella premessa dell’atto costitutivo dell’OMS, stipulato
a New York il 22.7.1946 e reso esecutivo con d.lgs.
C.p.S. 4.3.1947 n. 1068, nel quale la salute viene
concepita come un completo benessere finanche sociale,
quasi una condizione di piena felicità, cosa che rende
assai difficile il recepimento nel nostro ordinamento,
concentrato com’è su una nozione di salute molto più
vicina al concetto latino di valitudo. Il diritto alla
salute viene, poi, preso in considerazione, sia pure non
direttamente, dagli artt. 3, 5 e 254 della Dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo, dagli artt. 6 e 75 del
Patto internazionale relativo ai diritti civili e
politici, dall’art. 246 della Convenzione sui diritti
del fanciullo, e dal § 1.37 della Dichiarazione sulla
promozione dei diritti dei pazienti in Europa. Queste
norme, nel sancire la natura fondamentale e
insopprimibile del diritto alla salute, hanno obbligato
gli Stati aderenti alle rispettive convenzioni ad
attivarsi per la tutela e la salvaguardia del suddetto
diritto, ma non hanno creato diritti suscettibili di
essere azionati nei rapporti tra privati. Si è tuttavia
osservato che, avendo le norme di diritto internazionale
attributive o ricognitive di diritti fondamentali
dell’individuo valore di ius cogens per gli Stati, ai
sensi degli artt. 53 e 64 della Convenzione di Vienna
del 23.5.1969 sul diritto dei trattati, lo Stato
Italiano sarebbe obbligato a tutelare in ogni forma il
diritto alla salute anche nei confronti del singolo
individuo, per effetto degli atti pattizi sopra
menzionati8. In ambito europeo, invece, il nostro Paese
aderisce a due ordinamenti che, a vario titolo, si sono
occupati, con i propri atti, della tutela, anche
risarcitoria, del diritto alla salute: l’Unione Europea
ed il Consiglio d’Europa. Si tratta, nel primo caso, di
un ordinamento sovranazionale che, in determinate
materie, assorbe le competenze nazionali, emanando norme
giuridiche obbligatorie sia per gli Stati sia per gli
individui, e, nel secondo, di un soggetto di diritto
internazionale che riunisce ma non assorbe le competenze
nazionali. Tra i due esiste oggi un punto di saldatura
dato dall’art. 6, comma 2 del Trattato sull’Unione
Europea, così come modificato dal Trattato di
Maastricht, il quale stabilisce che “l’Unione rispetta i
diritti fondamentali quali sono garantiti dalla
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma
il 4 novembre 1950, e quali risultano dalle tradizioni
costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto
principi generali del diritto comunitario. Tuttavia, la
Corte di Giustizia delle Comunità Europee ebbe modo di
precisare che i diritti fondamentali riconosciuti dalla
CEDU fanno, sì, parte integrante dei principi generali
del diritto comunitario di cui il giudice comunitario
assicura il rispetto, ma tali principi rilevano
esclusivamente rispetto a fattispecie alle quali tale
diritto sia applicabile, dunque in caso di violazione da
parte di atti comunitari, atti nazionali attuativi di
normative comunitarie oppure deroghe nazionali a norme
comunitarie, tant’è che negò la propria competenza a
conoscere della violazione di diritti riconosciuti dalla
CEDU con riferimento a normative che non entrano nel
campo di applicazione del diritto comunitario9.
Sotto il profilo dell’Unione
Europea, i testi fondanti il diritto comunitario sono
rappresentati dal Trattato di Roma del 1957, dal
Trattato di Maastricht del 1992, dal Trattato di
Amsterdam del 1998, e in ognuno di questi il diritto
alla salute trova ampio spazio. In particolare, nel
Trattato di Roma, agli artt. 310 e 15211.
Tuttavia, sebbene la necessità
della tutela del diritto alla salute sia solennemente
affermata nel Trattato istitutivo dell’Unione Europea, e
rafforzata dall’espresso rinvio ai principi della CEDU,
quali principi fondamentali dell’Unione, nei fatti siamo
ancora lungi dal potere affermare l’esistenza di un
diritto europeo del danno alla persona. Le singole
legislazioni nazionali, in tema di risarcimento della
lesione della salute causata da un altrui atto illecito,
restano infatti assai distanti, ed accomunate soltanto
dall’unanime sconforto della dottrina per
l’imprevedibilità e la disparità delle decisioni. Le
ragioni di questo stato di cose risiedono anche e
soprattutto nei limiti strutturali dell’Unione, il cui
intervento normativo è retto dal principio di
sussidiarietà, di cui all’art. 5 del Trattato di Roma,
che costringe l’opera della Comunità entro i limiti
delle competenze conferitegli e degli obiettivi
assegnategli dal Trattato12.
Sotto il profilo, invece, del
Consiglio d’Europa, l’intervento maggiormente
significativo è rappresentato dalla messa a punto di un
sistema generale di protezione dei diritti fondamentali
dell’individuo, ovvero la Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, firmata a Roma il 4.11.1950, ratificata e
resa esecutiva, unitamente al Protocollo addizionale
firmato a Parigi il 20.3.1952, con la L. 4.8.1955, n.
848. A prescindere dalle questioni circa la
vincolatività o meno per il legislatore ordinario delle
norme contenute e la disapplicabilità o meno delle norme
interne contrastanti, la Convenzione, in genere indicata
come CEDU, sebbene non dedichi alcuna norma espressa al
diritto alla salute ed al suo risarcimento in caso di
lesione, mostra chiaramente di concepire quello alla
pienezza della salute come uno dei diritti fondamentali
dell’individuo. L’osservanza dei diritti riconosciuti
dalla Convenzione è assicurata dalla possibilità di
ricorrere all’apposita Corte europea dei diritti
dell’uomo, istituita dagli artt. 38 e seguenti della
stessa Convenzione, anche da ogni persona fisica, ogni
organizzazione non governativa o gruppo di privati che
alleghi essere stato vittima di una violazione da parte
di uno degli Stati membri, dei diritti riconosciuti
nella Convenzione o nei suoi protocolli13. In caso di
accertamento di un’effettiva violazione, se il diritto
interno non permette che in modo incompleto di ripararne
le conseguenze, la Corte può accordare un’equa
soddisfazione alla parte lesa14. Tra gli atti del
Consiglio che si occupano in modo generale del diritto
alla salute, considerazione particolare merita la Carta
sociale Europea, adottata a Torino il 18.10.1961,
ratificata e resa esecutiva con L. 3.7.1965 n. 929, e
successivamente emendata e rivista prima con Protocollo
fatto a Torino il 21.10.1991, a sua volta ratificato e
reso esecutivo con L. 14.12.1994 n. 705, e poi con
l’accordo siglato a Strasburgo il 3.5.1996, ratificato e
reso esecutivo con L. 9.2.1999, n.30. La Carta
costituisce un insieme di norme prevalentemente dettate
a tutela e salvaguardia dei diritti fondamentali dei
lavoratori e, tuttavia, stabilisce espressamente al
punto 11 del Preambolo che “ogni persona ha diritto di
usufruire di tutte le misure che le consentano di godere
del miglior stato di salute ottenibile”. Da notare che
la norma non parla di lavoratori, ma riconosce il
diritto a godere del miglior stato di salute possibile
ad “ogni persona”: indice certo della natura
generalissima e prioritaria del diritto alla salute.
Inoltre, v’è da ricordare che anche la Carta sociale
prevede una qualche forma di giustiziabilità dei diritti
in essa riconosciuti. Il Protocollo addizionale fatto a
Strasburgo il 9.11.1995, ratificato e reso esecutivo con
L. 28.8.1997, n. 298, prevede, infatti, un sistema di
reclami collettivi, proponibili dalle organizzazioni di
lavoratori o di datori di lavoro, che soddisfino
determinati requisiti), qualora sia lamentata una
“attuazione insoddisfacente della Carta”15. In caso di
accertamento di tale insoddisfacente attuazione, il
Consiglio dei Ministri del Consiglio d’Europa può
adottare una raccomandazione, destinata alla parte
contraente chiamata in causa16.
2.L’installazione di antenne di
telefonia cellulare: lo stato attuale del dibattito.
La telefonia senza fili (wireless)
si basa su un’ampia rete di antenne fisse, di stazioni
radio base, che si scambiano informazioni mediante
segnali a radiofrequenza.
Dal momento che sono state
espresse, nel corso degli anni, preoccupazioni serie
riguardo alle possibili conseguenze sulla salute
dell’esposizione a questi campi a radiofrequenza
prodotti dalle tecnologie wireless, i sospetti di
ipersensibilità da parte del grande pubblico hanno preso
di mira proprio i piccoli apparecchi che hanno invaso la
nostra vita quotidiana, determinando così una
vivacissima produzione scientifico-dottrinale
sull’argomento: soltanto negli ultimi anni sono state
pubblicate decine e decine di articoli di studi
originali sull’uso del telefono mobile e il cancro.
Quasi tutti sono studi di tipo caso-controllo,
prevalentemente su tumori cerebrali e su neurinomi del
nervo acustico.
Uno degli studi più significativi è
certamente quello denominato Interphone: si tratta di
una ricerca multinazionale di tipo caso-controllo
coordinata dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca
sul Cancro (IARC) su base di popolazione con un
accertamento prospettico dei casi incidenti e
un’intervista personale per la valutazione
dell’esposizione.
Realizzato nel periodo 2000-2004 in
13 nazioni, tra cui l’Italia, distribuite in 4
continenti, non è solo uno degli studi più vasti sulla
relazione tra uso del cellulare e rischio di tumori
cerebrali, ma anche l’indagine che ha dedicato sforzi
senza precedenti alla verifica dell’affidabilità delle
proprie osservazioni. Sono state analizzate le storie
d’uso del cellulare (raccolte tramite intervista) di
oltre 10700 persone tra i 30 e i 59 anni d’età, e di
queste, 2708 erano pazienti con glioma, 2409 pazienti
con meningioma e 5634 soggetti di controllo non affetti
da tumore. A tutti i partecipanti è stato chiesto di
indicare quando avevano iniziato a usare il telefono
cellulare, il numero di telefonate effettuate e il tempo
medio quotidiano trascorso al telefonino.
Tra gli utilizzatori regolari di
telefoni cellulari, lo studio non ha riscontrato alcun
aumento di rischio di gliomi o meningiomi cerebrali, e
anzi, verosimilmente a causa di un artefatto
metodologico e non di un reale effetto dell’uso del
telefono cellulare, queste persone presentavano
un’apparente diminuzione del rischio: non è stato
riscontrato nessun aumento del rischio di tumore
cerebrale neppure tra coloro che usavano il telefonino
da dieci anni o più.
Per quanto riguarda il rischio
associato a livelli crescenti d’uso del cellulare, è
stato osservato un apparente incremento del rischio di
glioma (e in misura minore di meningioma) tra gli
utilizzatori classificati nel decile più elevato di ore
cumulative d’uso: in questa categoria, però, livelli
d’uso inverosimili (5 o addirittura 12 ore al giorno)
sono stati riferiti più frequentemente da casi che non
da controlli.
Al contrario, non si è osservato
alcun incremento del rischio di glioma o meningioma in
nessuno dei nove decili inferiori di ore cumulative
d’uso, e non è stata riscontrata alcuna relazione tra
rischio e numero cumulativo di chiamate effettuate né
per il glioma né per il meningioma. Questi dati
suggeriscono che l’apparente aumento di rischio nella
fascia di persone con i valori più elevati di ore
cumulative d’uso non può essere interpretato come
evidenza del fatto che i telefoni cellulari causano
tumori.
Nel complesso, dunque, questa
ricerca non ha evidenziato incrementi del rischio di
tumore cerebrale attribuibili all’uso del telefono
cellulare. Si tratta di un’osservazione coerente con i
risultati di numerosi studi di laboratorio che non hanno
documentato effetti cancerogeni o genotossici in animali
o in sistemi cellulari esposti ai campi elettromagnetici
a radiofrequenza usati nella telefonia cellulare, né
hanno individuato i meccanismi attraverso cui le
radiofrequenze potrebbero provocare il cancro.
Il quadro d’insieme, a quanto
emerso da questo studio e dalla letteratura scientifica
preesistente, non ha suggerito una relazione causale tra
uso del telefono cellulare e tumori cerebrali.
L’ICNIRP, dal canto suo, ha
commentato i risultati di questo studio approfondito con
una nota ufficiale, pubblicata a Monaco il 18 maggio del
2010, che, oltre a prendere atto della significativa
assenza di ogni possibile aumento di rischio per quasi
tutte le categorie di soggetti, si sofferma sulla più
alta delle 10 categorie di ore cumulative riportate di
uso del cellulare. Per questa categoria, infatti, si
riporta nello studio un apparente aumento del rischio
ma, osserva l’ICNIRP, la circostanza che in questa
categoria erano state collocate persone per le quali era
altamente improbabile un uso prolungato del cellulare
dimostra la presenza di un errore relativo ai dati
considerati.
Inoltre, è sempre l’ICNIRP a
denunciare la limitatezza metodologica di questi studi,
in quanto basati su ricordi e testimonianze dei
partecipanti riguardo le loro abitudini di utilizzo del
cellulare, e a convenire con gli stessi autori dello
studio Interphone che le tendenze e gli errori nello
studio impediscono di stabilire un certo grado di
causalità tra esposizione e insorgenza tumorale. Di
conseguenza, non ha ritenuto di dover alterare le linee
guida attualmente vigenti.
Anzi, nel novembre 2010, la stessa
Commissione ha deciso di rendere note ulteriori linee
guida, destinate alla protezione di soggetti esposti a
campi elettrici e magnetici specificamente
nell’intervallo spettrale delle basse frequenze, che, ai
fini della pubblicazione, si intendono comprese tra 1 Hz
e 100 kHz. Con riferimento alla questione dell’induzione
di tumori, questo documento si limita a precisare, in
linea con l’affermato e generico scopo di protezione
contro tutti gli effetti nocivi “accertati”, che “le
associazioni inizialmente osservate tra campi
elettromagnetici a 50-60 Hz e vari tipi di cancro non
sono state confermate in studi progettati appositamente
per vedere se i risultati iniziali potevano essere
replicati” e che però possa esistere una sia pur debole
associazione tra i livelli più alti di esposizione a
campi magnetici a 50-60 Hz in ambiente residenziale e il
rischio di leucemia infantile, anche se, è chiarito nel
successivo Promemoria su queste linee, le attuali
evidenze scientifiche sono troppo deboli per affermare
con certezza questa sia pure potenziale conclusione.
Nel maggio 2011, l’Agenzia
Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC),
organismo di consulenza specializzato dell’OMS, riunita
a Lione in un Gruppo di lavoro formato da 31 scienziati
di 14 paesi appositamente per discutere la possibilità
che queste esposizioni producano effetti sulla salute
umana a lungo termine, ha modificato la classificazione
dei campi elettromagnetici a radiofrequenza,
innalzandoli dal gruppo 3, in cui sono catalogati agenti
non classificabili come cancerogeni, al gruppo 2B, tra
fattori, il cui abuso li rende “possibilmente
cancerogeni” per l’uomo , sulla base di un aumentato
rischio di glioma, un tipo di cancro maligno del
cervello, associato con l’uso del telefono senza fili.
Il Gruppo, in realtà, non ha
quantificato il rischio: tuttavia, uno studio
sull’utilizzo passato del telefono cellulare, ha
mostrato un 40% di aumento del rischio di gliomi nella
categoria più elevata di consumatori pesanti. Il dr.
Jonathan Samet, presidente generale di tale Gruppo, ha
indicato che le prove accumulate sono forti abbastanza
per sostenere la conclusione di un rischio potenziale e
la classificazione in 2B.
Inoltre, “date le potenziali
conseguenze per la salute pubblica di questa
classificazione e dei risultati,” ha detto il Direttore
IARC Christopher Wild, “è importante che sia condotta
una ricerca supplementare sull’uso massiccio del
cellulare sul lungo periodo. In attesa della
disponibilità di tali informazioni, è importante
adottare misure pragmatiche per ridurre l’esposizione,
come i dispositivi viva voce o sms”. Oltre al sospettoso
allarme da parte delle case produttrici di telefonini,
molte sono state le critiche a questa conclusione
dell’IARC: in primo luogo, per il discostamento dalle
precedenti opinioni dell’ICNIRP prese di norma a modello
e, in secondo luogo, per le denunce di contraddizioni
evidenti di cui la classificazione sarebbe stata
vittima.
V’è da segnalare che,
immediatamente dopo, anche il Consiglio d'Europa aveva
espresso preoccupazione per l'eccessiva esposizione ai
campi elettromagnetici dei telefonini e delle reti
wi-fi, in particolare nelle scuole, chiedendo severe
misure per ridurre i possibili pericoli per la salute.
Sotto accusa, anche i dispositivi utilizzati per
monitorare i neonati e tutti gli strumenti di uso comune
che emettono continuamente onde elettromagnetiche.
Secondo il Consiglio d'Europa è pertanto necessario che
i governi prendano "tutte le misure necessarie" per
limitare l'esposizione ai campi elettromagnetici,
specialmente alle frequenze radio dei cellulari, in
particolare per i bambini e i giovani che sembrano i
soggetti più a rischio di tumori cerebrali.
Secondo l'Assemblea inoltre i
governi dovrebbero “riconsiderare le basi scientifiche
su cui poggiano gli attuali standards sull'esposizione
ai campi elettromagnetici perché hanno serie
limitazioni”. Ma anche “applicare il principio di
precauzione nel caso in cui le valutazioni scientifiche
non permettono di determinare i rischi per la salute
umana con sufficiente certezza”.
3. Il caso: la sentenza della Corte
di Appello di Brescia del 2009.
Sul finire del 2009, la Corte
d’Appello di Brescia, in veste di giudice del lavoro, ha
accordato ad un manager d’impresa il risarcimento da
parte dell’Inail (Istituto Nazionale per l’Assicurazione
contro gli Infortuni sul Lavoro) per l’insorgenza di un
neurinoma al Ganglio di Gasser, patologia tumorale che
aveva determinato nel professionista l’invalidità
dell’80%.
Con ricorso al Tribunale di
Brescia, depositato il 6.07.2007, il signor Innocente
Marcolini conveniva l’INAIL al fine di ottenere la
corresponsione delle prestazioni di legge in riferimento
ad una grave e complessa patologia cerebrale, a suo
dire, di origine professionale. Egli sosteneva di aver
svolto attività di dirigente d’azienda dal 1981 e che,
in tale mansione, aveva utilizzato il telefono cellulare
e il cordless per una media di 5-6 ore al giorno per un
periodo di 12 anni; che, essendo destrimane, teneva
l’apparecchio all’orecchio sinistro in quanto con la
mano destra rispondeva al telefono fisso collocato sulla
scrivania o prendeva note e appunti; che detta attività
gli aveva provocato una grave patologia per la quale il
17.11.2003 aveva chiesto all’INAIL le corrispondenti
prestazioni di legge; che l’istituto aveva rifiutato,
negando il nesso causale fra l’attività lavorativa e le
affezioni denunciate.
L’INAIL si opponeva al ricorso,
sempre sotto il profilo della carenza del nesso causale
e deduceva controprova orale, producendo varia
documentazione. Esperita l’istruttoria testimoniale, che
accertava l’uso intenso di cellulare e cordless ed
assunta consulenza tecnica d’ufficio, il primo giudice
respinse la domanda per carenza del nesso causale,
aderendo alle considerazioni svolte dal Consulente
Tecnico d’Ufficio (CTU). All’appello del dottor
Marcolini, rispondeva l’INAIL ricordando l’inesistenza
di studi scientifici attendibili in ordine alla nocività
delle onde elettromagnetiche.
Dagli atti prodotti in giudizio
risulta che nel giugno 2002 il manager iniziò ad essere
interessato da un tumore benigno che colpisce i nervi
cranici, in particolare il nervo acustico, e l’8
novembre 2002 il signor Marcolini subiva un intervento
neurochirurgico per l’asportazione del Ganglio di
Gasser, permanendo comunque un residuo tumorale,
dimostrato dalla RMN post operatoria17. Nel 2004, dopo
una diagnosi di neoformazione surrenalica, egli ha
subito un intervento presso l’Istituto Europeo di
Oncologia con diagnosi istologica di feocromocitoma,
raro tumore con possibile secrezione di catecolamine.
La Corte d’Appello di Brescia, in
veste di giudice del lavoro, ha emesso, nel 2009,
sentenza di accoglimento del ricorso del dott.
Marcolini, riconoscendo la natura professionale della
sua patologia, con invalidità all’80%18. Si tratta di
una pronuncia giudiziaria che ha suscitato molto
scalpore, destinata a fare scuola ed aprire una breccia
tra i c.d. negazionisti, da sempre impegnati nel non
dare spazio ad una ipotesi di nesso tra danno e uso dei
cellulari; una sentenza che rilancia le battaglie di
cittadini e comitati contro il proliferare selvaggio di
sorgenti di emissione elettromagnetica.
L’uso prolungato del telefono
cellulare è, quindi, a parere della Corte, “concausa”
dei tumori al nervo Trigemino: per questo tale giudice
ha condannato l’INAIL a risarcire il suddetto
professionista.
Per la prima volta, dunque, un
giudice sancisce un nesso di causalità tra quella
malattia e l’esposizione alle onde elettromagnetiche dei
cellulari.
E’ evidente che, dal punto di vista
scientifico, la decisione Tribunale di Brescia ha aperto
scenari notevoli rispetto al problema dei danni causati
dalle radiazioni emesse dai telefoni cellulari e, più in
generale, dei danni che derivano dall'esposizione a
prodotti che, seppure non difettosi, risultano
pericolosi per la salute.
Nel caso di specie, la condanna
dell'Inail si basa sull'individuazione di un nesso di
concausa19 tra l'esposizione alle radiazioni emesse dai
telefoni utilizzati per svolgere l'attività lavorativa e
l'insorgere della patologia. In particolare, la C.T.U.
ha rilevato che il telefono cordless e il telefono
cellulare, utilizzati per 5-6 ore al giorno in un arco
di tempo di 12 anni, irradiavano quasi sempre il lato
sinistro del viso, che proprio su questo punto del corpo
si era sviluppata la malattia degenerativa e, infine,
che studi epidemiologici hanno dimostrato l'esistenza di
un nesso causale tra l'esposizione alle onde
elettromagnetiche emesse e l'insorgere della patologia
lamentata dal danneggiato20.
Il dato secondo cui gli studi
epidemiologici più accreditati individuano
nell'esposizione protratta per oltre dieci anni un
rischio sicuramente significativo ha indotto la Corte a
ravvisare, anche sul piano individuale21, la causalità
debole, rilevante ai fini dell'attribuzione delle
prestazioni previdenziali.
Il problema dei danni da uso del
telefono cellulare pone, peraltro, interrogativi di
estremo interesse anche nella prospettiva della
responsabilità del produttore.
Infatti, pur ipotizzando che la
scienza giunga a dimostrare con certezza il nesso di
causalità tra esposizione a radiofrequenze e insorgere
di patologie, si porrebbero diverse questioni in ordine,
in primo luogo, al giudizio di responsabilità ex artt.
114 ss. del Codice Consumatori nei confronti del
produttore di un bene conforme alle regole di
costruzione, quindi "sicuro"; poi all'eventuale
compromissione del nesso di causalità in questione ad
opera della previsione secondo cui "lo stato delle
conoscenze scientifiche e tecniche, al momento della
produzione del bene, non permetteva di considerare
quest'ultimo difettoso" (art. 118 lett. e) Cod. Cons.),
e, infine, in ordine alla responsabilità dello stesso
produttore con riferimento agli obblighi informativi
volti a favorire un uso del cellulare privo di rischi22.
In ogni caso, il problema
principale sembra ancora quello di un’adeguata
giustificazione in termini causali del riconoscimento
giudiziale del diritto al risarcimento del danno. Nel
caso di specie, come detto, la Corte ha individuato un
nesso, quanto meno concausale, tra il prolungato uso
giornaliero del telefono cellulare cui era sottoposto il
manager bresciano, 5-6 ore die, e la patologia, in cui
questo è incorso, cioè un “neurinoma al Ganglio di
Gasser”.
Tale nesso veniva sostanzialmente
costruito nella CTU presentata dal ricorrente
professionista, che riassumeva alcuni studi eseguiti dal
2005 al 2009 nei quali si evidenziava un aumento
significativo del rischio relativo di neurinoma, in caso
di eccessiva esposizione ad onde elettromagnetiche ad
alta frequenza, cioè quelle che caratterizzano la
telefonia mobile, come già illustrato.
Il giudice riteneva, inoltre,
irrilevante lo studio del 2000 dell’OMS che escludeva
effetti negativi sulla salute, sull’assunto che questo,
essendo abbastanza datato, si basava su dati ancora più
risalenti e non teneva conto del più recente utilizzo
ben più massiccio e diffuso da parte degli utenti dei
dispositivi di telefonia mobile e del fatto che si
trattasse di tumori a lenta insorgenza.
Per questo motivo si ritenevano più
attendibili, e non proprio a torto, gli studi del 2009,
basati su dati più recenti.
La Corte, quindi, concludeva
riconoscendo come integrata la necessaria ragionevole
certezza, richiesta dal costante insegnamento della
Suprema Corte, ravvisata in presenza di un rilevante
grado di probabilità, e considerando che la natura
professionale della malattia può essere desunta con
elevato grado di probabilità dalla tipologia delle
lavorazioni svolte, dalla natura dei macchinari presenti
negli ambienti di lavoro, dalla durata della prestazione
lavorativa e dall’assenza di altri fattori
extralavorativi, alternativi o concorrenti che possano
costituire causa della malattia.
A parere di uno dei periti che ha
supportato la tesi del nesso causale - nonchè autore di
numerose ricerche epidemiologiche sulla pericolosità
dell’uso di cordless, cellulari ed apparati wireless -
la sentenza riassume in modo preciso l’entità e la
durata dell’uso per motivi professionali dei telefoni
mobili da parte dell’interessato, ripercorre
minuziosamente il decorso, l’esito e le conseguenze
della malattia (neurinoma del trigemino) e giustifica la
decisione sulla base di un esame critico della
letteratura sulla relazione tra uso dei telefoni mobili
e tumori alla testa, dimostrando che i Giudici si sono
perfettamente impadroniti della materia.
Il dato forse più rilevante è la
risposta, sempre a parere dell'esperto, che i Giudici
danno alle principali contestazioni fatte dai legali
dell’Inail:
1) il fatto che i neurinomi indotti
dall’uso dei telefoni mobili finora documentati siano
solo neurinomi del nervo acustico e che manchino dati
riferiti al trigemino non inficia la rilevanza del caso
vista la co-localizzazione dei gangli da cui si diramano
i due nervi cranici, situati entrambi in una regione
definita e ristretta dello spazio endocranico,
certamente interessato dalla emissione elettromagnetica
dei telefoni mobili;
2) infine, gli studi “negativi”
svolti da apposito gruppo di esperti richiamati nella
loro perizia, sono notoriamente cofinanziati dalle ditte
produttrici di telefoni cellulari.
La conclusione dei Giudici secondo
i quali “appare evidentemente integrato il requisito di
elevata probabilità che integra il nesso causale
richiesto dalla normativa” sembra proprio, alla luce
delle motivazioni che la sostengono, una conclusione
difficilmente ribaltabile.
In questo contesto interviene la
notizia IARC - del 31 maggio 2011 - in ordine alla
rilevante modifica della classificazione dei campi
elettromagnetici a radiofrequenza, innalzati dal gruppo
3, in cui sono catalogati agenti non classificabili come
cancerogeni, al gruppo 2B, tra fattori che, ove se ne
abusi, sono “possibilmente cancerogeni” per l’uomo,
sulla base di un aumentato rischio di glioma, cioè un
tipo di cancro maligno del cervello, associato con l’uso
del telefono senza fili23.
É la prima volta da quando, alla
fine degli anni novanta, sono iniziati gli studi
scientifici mirati a valutare la cancerogenicità dei
Cem, che lo IARC assume una posizione esplicita.
Nel merito, l'attribuzione di un
agente alla classe 2B significa, secondo i criteri IARC
che "le evidenze sono sufficientemente forti per
sostenere la conclusione che possono sussistere dei
rischi e che si deve osservare attentamente
l’associazione tra esposizione a campi a radiofrequenza
ed insorgenza di patologie neoplastiche, con particolare
riferimento agli effetti derivanti dall’utilizzo del
telefono cellulare24.
Il Gruppo, in realtà, non ha
quantificato il rischio: tuttavia, uno studio
sull’utilizzo passato del telefono cellulare, ha
mostrato un 40% di aumento del rischio di gliomi nella
categoria più elevata di consumatori pesanti.
Inoltre, “date le potenziali
conseguenze per la salute pubblica di questa
classificazione e dei risultati,” ha detto il Direttore
IARC Christopher Wild, “è importante che sia condotta
una ricerca supplementare sull’uso massiccio del
cellulare sul lungo periodo. In attesa della
disponibilità di tali informazioni, è importante
adottare misure pragmatiche per ridurre l’esposizione,
come i dispositivi viva voce o sms”25.
Come era prevedibile, la
classificazione da parte della IARC dei campi
elettromagnetici a radiofrequenza ha suscitato molti
dibattiti ed anche molti interrogativi su quali ne siano
le motivazioni scientifiche, quale il significato, i
limiti e le possibili conseguenze. Certamente, la strada
da percorrere per fare chiarezza è molto lunga.
1 G.FRANCESCHETTI, D.RICCIO,
M.R.SCARFI’, B.SCIANNIMANICA, Esposizione ai campi
elettromagnetici, Torino, 2000; AA.VV., Protezione dei
campi elettromagnetici non ionizzanti, Cnr-Iroe,
Firenze, 2001.
2 F.FONDERICO, La tutela
dell'’inquinamento elettromagnetico, in Giornale di
dir.amm., Milano, 2002.
3 Nella parte visibile dello
spettro, tali sono la radiazione ultravioletta, la luce
visibile, l’infrarosso; nella parte invisibile, le
radiofrequenze e le microonde, i campi a frequenza
estremamente bassa e i campi elettrici e magnetici
statici.
4 Artt. 3, 5 e 25 Dich. Univ. Dir.
Uomo stabiliscono rispettivamente che “ogni individuo ha
diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della
propria persona”; che “nessun individuo potrà essere
sottoposto a tortura o a trattamento o a punizioni
crudeli, immani o degradanti”; e che “ogni individuo ha
diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la
salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con
particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario,
all’abitazione e alle cure mediche e ai servizi sociali
necessari”
5 Artt. 6 e 7 del Patto
internazionale relativo ai diritti civili e politici
dispongono rispettivamente che “il diritto alla vita è
inerente alla persona umana.Questo diritto deve esser
protetto dalla legge. Nessuno può essere arbitrariamente
privato della vita”; e che “nessuno può essere
sottoposto alla tortura né a punizioni o trattamenti
crudeli, disumani o degradanti. In particolare, nessuno
può essere sottoposto, senza il suo libero consenso, ad
un esperimento medico o scientifico”
6 Art. 24 della Conv. sui diritti
del fanciullo stabilisce che “gli Stati parti
riconoscono il diritto del minore di godere del miglior
stato di salute possibile e di beneficiare di servizi
medici e di riabilitazione. Essi si sforzano di
garantire che nessun minore sia privato del diritto di
avere accesso a tali servizi. Gli Stati parti si
sforzano di garantire l’attuazione integrale del
summenzionato diritto (…)”
7 Il par. 1.3 della Dich. sulla
promozione dei diritti dei pazienti in Europa dispone
che “ognuno ha diritto all’integrità fisica e mentale ed
alla sicurezza della propria persona”
8 M.R. SAULLE, “Individuo
(nell’ordinamento internazionale)”, in Enc. giur., XVI,
Roma, 1989.
9 Si vedano a riguardo le sentt.
Corte di giust. CE, 18/06/1991, causa C-260/89; Corte di
giust. CE, 4/10/1991, causa C-159/90,
Society for the Protection of Unborn Children Ireland;
Corte di giust. CE, 29/05/1997, causa C-299/95,
Kremzow.
10 L’art. 3 lett. p) del Trattato
di Roma dispone che “l’azione della Comunità comporta,
alle condizioni e secondo il ritmo previsti dal presente
Trattato (…) un contributo al conseguimento di un
elevato livello di protezione della salute”.
11 L’art.152 recita: “1. Nella
definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed
attività della Comunità è garantito un livello elevato
di protezione della salute umana. L’azione della
Comunità, che completa le politiche nazionali, si
indirizza al miglioramento della sanità pubblica, alla
prevenzione delle malattie e affezioni e
all’eliminazione delle fonti di pericolo per la salute
umana. Tale azione comprende la lotta contro i grandi
flagelli, favorendo la ricerca sulle loro cause, la loro
propagazione e la loro prevenzione, nonché
l’informazione e l’educazione in materia sanitaria. La
Comunità completa l’azione degli Stati membri volta a
ridurre gli effetti nocivi per la salute umana derivanti
dall’uso di stupefacenti, comprese l’informazione e la
prevenzione.
2. La Comunità incoraggia la
cooperazione tra gli Stati membri nei settori di cui al
presente articolo e, ove necessario, appoggia la loro
azione. Gli Stati membri coordinano tra loro, in
collegamento con la Commissione, le rispettive politiche
ed i rispettivi programmi nei settori di cui al
paragrafo 1. La Commissione può prendere, in stretto
contatto con gli Stati membri, ogni iniziativa utile a
promuovere detto coordinamento.
3. La Comunità e gli Stati membri
favoriscono la cooperazione con i paesi terzi e con le
organizzazioni internazionali competenti in materia di
sanità pubblica.
4. Il Consiglio, deliberando
secondo la procedura di cui all’articolo 189B e previa
consultazione del Comitato economico e sociale del
Comitato delle Regioni, contribuisce alla realizzazione
degli obiettivi previsti dal presente articolo,
adottando:
a) misure che fissino parametri
elevati di qualità e sicurezza degli organi e sostanze
di origine umana, del sangue e degli emoderivati; tali
misure non ostano a che gli Stati membri mantengano o
introducano misure protettive più rigorose;
b) in deroga all’art. 43, misure
nei settori veterinario e fitosanitario il cui obiettivo
primario sia la protezione della sanità pubblica;
c) misure di incentivazione
destinate a proteggere e a migliorare la salute umana,
ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle
disposizioni legislative e regolamentari degli Stati
membri.
Il Consiglio, deliberando a
maggioranza qualificata su proposta della Commissione,
può altresì adottare raccomandazioni per i fini
stabiliti dal presente articolo.
5. L’azione comunitaria nel settore
della sanità pubblica rispetta appieno le competenze
degli Stati membri in materia di organizzazione e
fornitura di servizi sanitari e assistenza medica. In
particolare le misure di cui al paragrafo 4, lettera a)
non pregiudicano le disposizioni nazionali sulla
donazione e l’impiego medico di organi e sangue”.
12 M. ROSSETTI, “Il danno alla
salute. Biologico, patrimoniale, morale, profili
processuali, tabelle per la liquidazione”, cit., pag.
133.
13 Così dispone l’art. 34 del
Protocollo 11.5.1994, n.11, firmato a Strasburgo,
ratificato e reso esecutivo con la L. 28.8.1997, n.296.
14 Così l’art. 41 del Protocollo
n.11, cit.
15 Così dispone l’art. 1 del
Protocollo addizionale 9.11.1995, Strasburgo.
16 M. ROSSETTI, “Il danno alla
salute. Biologico, patrimoniale, morale, profili
processuali, tabelle per la liquidazione”, cit., pag.
139-140.
17 Venivano registrati, come esiti
post intervento, un’ulcera corneale sinistra, sindrome
algo-distrofica dell’emiviso sinistro con severo dolore
cronico, persistenti parestesie sempre all’emiviso,
disturbi della meccanica masticatoria, visione doppia di
uno stesso oggetto, epilessia parziale complessa,
disturbo della memoria e dell’attenzione, disturbo
dell’adattamento, sindrome del lobo temporale con vari
disturbi olfattivi, gustativi, dell’equilibrio, visivi,
uditivi e psichiatrici.
18 App. Brescia, 22.12.2009, n.
614.
19 M. Capecchi, Il nesso di
causalità, Milano, 2002, pagg. 249 e ss.
20 E. Al Mureden, I danni da uso
del cellulare tra tutela previdenziale e limiti della
responsabilità del produttore, cit., pagg. 1393.
21 C. M. Nanna, Principio di
precauzione e lesioni da radiazioni non ionizzanti,
Napoli, 2003, pagg. 120 e ss.
22 E. Al Mureden, I danni da uso
del cellulare tra tutela previdenziale e limiti della
responsabilità del produttore, in Riv.
Resp. civ. e previdenza, Milano,
2010, pagg. 1394.
23 IARC, “Iarc
classifies radiofrequency electromagnetic fields as
possibly carcinogenic to humans”, Press Release n°208,
2011, consultabile sulla pagina web www.iarc.fr.
24 Articolo “Dall’analisi alla
classificazione, come lavora lo IARC”, consultabile in
Newsletter Elettra2000 – Edizione Speciale, pagina web
www.Elettra2000.it
25 Articolo “Cellulari e salute.
Dopo il Consiglio d'Europa, anche l'OMS lancia
l'allarme: 'Esposizione aumenta rischio cancro'”, 2011,
consultabile in News, pagina web www.key4biz.it
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