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Conversione delle pene pecuniarie non eseguite per insolvibilità del condannato-Illegittimo l’incremento del coefficiente di ragguaglio tra le pene pecuniarie e le pene detentive- Magistrato di sorveglianza di Catania-Studio legale law.it

 

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Il Magistrato di sorveglianza di Catania ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 62, della legge 15 luglio 2009, n. 94 “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”, nella parte in cui, nell’aumentare da euro 38 a euro 250 il coefficiente di ragguaglio tra le pene pecuniarie e le pene detentive, ha omesso di operare una identica variazione in aumento dell’importo sulla cui base, ai sensi dell’art. 102, terzo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 “Modifiche al sistema penale”, deve aver luogo la conversione in libertà controllata delle pene pecuniarie non eseguite per insolvibilità del condannato. Il giudice a quo premette di essere chiamato a pronunciarsi sull’istanza di conversione di una pena pecuniaria di euro 56.622,94, rimasta ineseguita per insolvibilità del condannato. Al riguardo, il rimettente rileva che l’art. 3, comma 62, della legge n. 94 del 2009 ha modificato l’art. 135 del codice penale, stabilendo che, quando si deve eseguire un ragguaglio tra pene pecuniarie e pene detentive, il computo ha luogo calcolando euro 250, o frazione di euro 250, di pena pecuniaria, anziché euro 38, o frazione di euro 38, previsto in precedenza, per un giorno di pena detentiva.

 

La novella legislativa ha lasciato, per converso, immutato l’art. 102, terzo comma, della legge n. 689 del 1981, che, ai fini della conversione in libertà controllata della pena pecuniaria non eseguita per insolvibilità del condannato, continua quindi a prevedere che il ragguaglio debba essere effettuato calcolando euro 38, o frazione di euro 38, per un giorno di libertà controllata. Ad avviso del giudice a quo, si sarebbe in tal modo determinata una ingiustificata disparità di trattamento, lesiva del principio di eguaglianza, a sfavore dei soggetti che versino in condizioni di insolvibilità. Con la Sentenza n. 1/2012, la Consulta dichiara la questione fondata. La novella, infatti, ha elevato da 38 a 250 euro il coefficiente di ragguaglio indicato dall’art. 135 cod. pen., lasciando immutato quello fissato dall’art. 102, terzo comma, della legge n. 689 del 1981, introducendo una marcata sperequazione. Se, infatti, a seguito di tale legge, il valore monetario di un giorno di detenzione era divenuto pari al triplo del valore della libertà controllata ai fini della conversione, per effetto della novella legislativa del 2009 il primo dei due valori viene oggi a superare il secondo di oltre sei volte. Anche nell’odierno frangente, d’altra parte, non consta che la creazione di uno scarto così pronunciato risponda a un preciso disegno legislativo, sorretto da una specifica ratio. La recente modifica dell’art. 135 cod. pen. si colloca, infatti, nell’ambito dell’ ampio intervento di adeguamento al mutato quadro economico del sistema delle sanzioni pecuniarie, sia penali che amministrative, operato dalla legge n. 94 del 2009, in coerenza con il suo obiettivo generale di potenziamento del sistema repressivo penale. In questa prospettiva, il legislatore ha ritenuto, in particolare, necessario assicurare una maggiore incisività della pena pecuniaria, tenuto conto anche della notevole svalutazione monetaria intervenuta rispetto all’ultimo adeguamento, risalente alla legge n. 689 del 1981. L’obiettivo è stato perseguito mediante tre ordini di interventi: il sensibile innalzamento dei limiti minimi e massimi della multa e dell’ammenda, l’aggiornamento del parametro di ragguaglio tra pene pecuniarie e pene detentive, infine, la delega al Governo a adottare uno o diversi decreti legislativi, diretti a rivalutare l’ammontare delle multe, delle ammende e delle sanzioni amministrative originariamente previste quali sanzioni penali. I lavori parlamentari relativi alla legge n. 94 del 2009 non evidenziano, per contro, che l’esigenza di un parallelo intervento sull’istituto della conversione della pena pecuniaria non eseguita per insolvibilità del condannato abbia formato oggetto di dibattito e di specifica riflessione. Lo squilibrio indotto dalla riforma, non ascrivibile a una scelta discrezionale del legislatore, munita di adeguata base giustificativa, impedisce di pervenire a una ragionevole ricostruzione del sistema, determinando uno svuotamento delle finalità che l’istituto della conversione è diretto tipicamente a soddisfare, con conseguente violazione del principio di eguaglianza. A dimostrazione di ciò, è agevole, d’altro canto, riscontrare che la macroscopica sperequazione attualmente esistente tra i coefficienti posti a raffronto, interferendo con la disciplina della sostituzione delle pene detentive brevi, risulti foriera di palesi incongruenze. A mente degli artt. 53 e 57, terzo comma, della legge n. 689 del 1981, un giorno di pena detentiva è infatti suscettibile di venir sostituito con due giorni di libertà controllata. Per converso, 250 euro di pena pecuniaria, attualmente equivalenti, in base al novellato art. 135 cod. pen., a un giorno di pena detentiva, nel caso di indigenza del condannato, si convertono in sette giorni di libertà controllata. Non essendo, d’altra parte, contestabile che la condanna alla reclusione o all’arresto sia di maggior gravità rispetto alla condanna alla multa o all’ammenda “equivalente”, si assiste al paradosso per cui la fattispecie di minor gravità riceve un trattamento nettamente di maggior sfavore di quella connotata da maggior disvalore. Si tratta di un paradosso chiaramente lesivo del principio di eguaglianza, anche perché ribalta la prospettiva di contenimento delle conseguenze negative dell’incapacità di provvedere al pagamento delle pene pecuniarie, in cui versano i soggetti economicamente deboli. Va ribadito che non è precluso al legislatore introdurre eventuali diversificazioni tra i due coefficienti di cui si discute, purché si tratti di scelta rispondente a criteri di ragionevolezza, avuto riguardo alle conseguenze del suo innesto nella complessiva disciplina della materia. Non essendo una tale evenienza riscontrabile nel caso in esame, la Corte non può che ripristinare nuovamente la parificazione tra i coefficienti stessi, corrispondente all’originaria opzione effettuata dallo stesso legislatore all’esito di un corretto uso del proprio potere discrezionale. L’art. 102, terzo comma, della legge n. 689 del 1981 va dichiarato, pertanto, costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui, con riferimento al periodo successivo all’8 agosto 2009, data di entrata in vigore della legge n. 94 del 2009, che ha determinato il disallineamento lesivo del parametro evocato, stabilisce che, agli effetti della conversione delle pene pecuniarie non eseguite per insolvibilità del condannato, il ragguaglio ha luogo calcolando euro 38, o frazione di euro 38, anziché euro 250, o frazione di euro 250, di pena pecuniaria per un giorno di libertà controllata.

 

 

 

Anna Teresa Paciotti

 

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