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1. Il principio di buona fede è
esplicitamente contemplato nel codice civile agli
articoli 1375 e 1175, ed anche se quest’ultimo articolo
usa il termine “correttezza” esso può considerarsi un
sinonimo, assieme ad altri termini, come solidarietà o
leale cooperazione.
Bisogna pur dire che sebbene oggi
in giurisprudenza se ne faccia largo uso, in passato si
era dubitato che esso fosse un principio normativo
generale ed autonomo, svincolato dalle particolari
fattispecie disciplinate specificamente. In altre parole
esso veniva considerato quasi come una norma
programmatica e non come un principio o clausola
generale dotato di propria autonomia e cogenza
giuridica[1].
Certo, si può oggi constatare, alla
luce della quotidiana prassi giurisprudenziale, che tale
principio di strada ne abbia fatta!
Esso è pure richiamato nell’art.
1337 sulla responsabilità precontrattuale, nell’art.
1366 sull’interpretazione del contratto, nell’art. 1374
sull’integrazione delle norme contrattuali, in quanto
richiamando la legge, esso richiama pure l’art. 1375 c.
c. [2].
In questa sede ci occupiamo - con
una breve carrellata data la enorme vastità
dell’argomento - della applicabilità della buona fede,
intesa nel particolare aspetto del legittimo
affidamento, nell’ambito dell’ordinamento giuridico
nazionale e sovranazionale, soffermandoci in particolare
in ambito amministrativo e contabile.
2. Analizziamo inizialmente la
materia del diritto costituzionale ed in particolar modo
se possa esistere tale principio nell’ambito della
giurisprudenza della Corte costituzionale.
Sebbene l’art. 2 della Costituzione
riconosca il principio di solidarietà, al quale la
giurisprudenza civile ha ricollegato costituzionalmente
il principio di buona fede, non può ritenersene
consolidata la sua esistenza nell’ambito della
giurisprudenza costituzionale[3], malgrado che tale
affermazione cozzi apparentemente con il dato testuale
della stessa.
In effetti, malgrado
l’utilizzazione del concetto di legittimo affidamento a
partire dalla sentenza n. 349/1985, la Corte
Costituzionale ha seguito un percorso non sempre
lineare, e se tale principio è stato confermato in
termini favorevoli con la sentenza, n. 397/1994, n.
416/1999, n. 525/2000, n. 446/2002, n. 364/2007,
tuttavia essa non è ancora riuscita a trovare un
parametro di valutazione costante, visto che ha fatto
ricorso contestualmente al principio di ragionevolezza.
Inoltre si deve pure tenere conto della diversità delle
fattispecie trattate,e per le quali non ha trovato un
comune denominatore.
In effetti, una cosa è il sindacato
sulle leggi retroattive, altra portata ha il sindacato
sulle leggi non retroattive, che modificano comunque
situazioni consolidate; tipico esempio si ha, ad
esempio, con le decisioni n. 234/2007, 400/2007,
77/2008, ove si è affermato che “il fluire del tempo –
il quale costituisce di per sé un elemento di
versificatore che consente di trattare in modo
differenziato le stesse categorie di soggetti, atteso
che la demarcazione temporale consegue come effetto
naturale alla generalità delle leggi- non comporta, di
per sé, una lesione del principio di parità di
trattamento sancito dall’art. 3 della Costituzione”.
Si deve quindi concludere che
nell’ambito della giurisprudenza costituzionale rimane
ancora incertezza su tale parametro di valutazione,
dovuta al non formarsi di un orientamento consolidato.
Pertanto, non si può affermare con sicurezza che esso
sia ormai immanente nel sindacato di costituzionalità
degli atti legislativi
3. Il principio del legittimo
affidamento ha trovato sin dalle origini vastissima
applicazione nell’ambito della giurisprudenza
comunitaria quale principio generale comune a tutti gli
stati membri; in effetti esso invece appartiene - come
vedremo meglio in seguito - alla tradizione germanica,
dalla quale la giurisprudenza la Corte di giustizia
europea ha tratto ispirazione, ma che nel tempo essa ha
rielaborato facendo acquisire al principio
caratteristiche proprie ed una pluralità di
sfaccettature tali che esistono, ormai, varie
fattispecie e schemi di giudizio su di esso.
L’analisi della giurisprudenza
comunitaria non può prescindere da una preliminare
classificazione sulla tipologia del sindacato che la
Corte esercita, distinguendo quello sugli atti
normativi, dall’altro sugli atti più propriamente
amministrativi. Poiché, la Corte di giustizia europea è
al tempo stesso un giudice costituzionale ed
amministrativo.
La Corte ha più volte applicato il
principio del legittimo affidamento nell’ambito del
proprio sindacato sui regolamenti e sulle direttive con
effetto retroattivo. In tale contesto, dalle svariate
sentenze si possono enucleare alcuni criteri che
sostanzialmente si differenziano dal sindacato che ha
effettuato la nostra Corte Costituzionale, la quale, ha
nettamente dichiarato l’illegittimità di norme
sostanzialmente retroattive[4].
In effetti la Corte di giustizia,
pur negando in generale per il rispetto del principio di
certezza del diritto, la retroattività degli atti
normativi, ha ammesso in limitati casi la possibilità di
emanazione di norme retroattive, sulla base di due
presupposti; il primo è costituito dalla giustificazione
del pubblico interesse, inteso come necessarietà
dell’effetto retroattivo; il secondo, caratterizzato
nella valutazione del legittimo affidamento degli
interessati,[5] dalla prevedibilità dell’intervento
normativo, individuabile attraverso svariati elementi,
come ad esempio la pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale della proposta normativa, oppure desumibile
dal preambolo motivazionale degli atti modificati da cui
era deducibile una possibile successiva modifica
retroattiva.
In particolare, in tale tipologia
di sindacato la Corte ha annullato per la violazione del
legittimo affidamento e della certezza del diritto dei
regolamenti comunitari che, producendo effetti
retroattivi, non consentivano agli interessati, per la
loro immediata efficacia alla data di pubblicazione, di
prendere le opportune scelte organizzative per adeguarsi
tempestivamente, considerando, inoltre, che quelle
dell’anno di riferimento erano già state realizzate,
tenendo conto dell’affidamento nella previgente
normativa[6].
Altra categoria di sentenze della
Corte in ambito tributario, ha fatto a meno del primo
presupposto ritenendo violato il legittimo affidamento e
la certezza del diritto tout court [7].
Altro filone della giurisprudenza
comunitaria sul legittimo affidamento è quello relativo
ai rapporti di durata in corso, ovvero quella che la
giurisprudenza costituzionale tedesca definisce come
retroattività impropria. Con tale fattispecie si
individua quella categoria di atti normativi che vanno
ad incidere su rapporti di durata modificandone gli
effetti futuri. In tali casi la giurisprudenza ha
applicato il principio di non retroattività, precisando
l’applicazione della nuova norma agli effetti futuri di
situazioni nate con la vecchia normativa salvo specifica
deroga[8]; ma in altri casi la Corte di giustizia ha
tenuto conto del legittimo affidamento degli interessati
in funzione degli impegni già assunti sulla base delle
norme previgenti. [9]
Altra fattispecie, riconducibile al
legittimo affidamento, è quella derivante da obblighi
assunti dall’istituzione comunitaria da cui essa non può
successivamente discostarsi senza adeguata motivazione.
È da notare che il legame tra la motivazione dell’atto
ed il sindacato sull’affidamento è una costante della
giurisprudenza comunitaria[10]. In questo caso siamo
peraltro fuori dall’ambito della retroattività ed
interviene un giudizio sulla coerenza del comportamento
dell’amministrazione che si è obbligata o autovincolata.
Nell’ambito più propriamente
amministrativo, il principio del legittimo affidamento
ha trovato applicazione sin dalle origini e dalle prime
sentenze sulla revoca dell’atto amministrativo. Sono
famose le sentenze Algera, Snupat, Simon, Hoogovens[11],
a cui seguono negli anni successivi il caso
Alpha-Steel[12] con l’introduzione della ragionevolezza
del tempo trascorso tenendo conto della misura
dell’affidamento del ricorrente.
A questi segue il caso De
Compte[13] in cui si dà rilievo all’apparenza legittima
dell’atto ed al comportamento dell’interessato che non
ha indotto in errore l’amministrazione. Si deve
aggiungere poi tutta quella giurisprudenza in materia di
aiuti di stato e contributi comunitari in cui invece si
dà importanza al rispetto delle regole procedimentali ed
alla circostanza che l’amministrazione, attraverso
comportamenti e/o atti univoci, abbia instaurato negli
interessati il convincimento della legittimità degli
atti compiuti[14].
Data la vastità dell’argomento e
della casistica ma, al tempo stesso, la fondamentale
importanza della giurisprudenza comunitaria, questa
brevissima e non esaustiva sintesi ci serve per
delineare, come vedremo di seguito, quegli aspetti
applicativi ed interpretativi da riportare nell’ambito
dell’ordinamento interno.
4. Ritornando per un attimo alla
giurisprudenza costituzionale, ma nell’ottica del
diritto penale, possiamo certamente affermare che la
sentenza più importante e famosa sul legittimo
affidamento è la n. 364/1988 sulla illegittimità
costituzionale del principio ignorantia legis non
exscusat , sancito dall’art. 5 del codice penale, ma
estensibile alla totalità dell’ordinamento giuridico.
Per quanto qui ci interessa, in
tale sentenza la Corte costituzionale riformulando
l’art. 5 c. p. in termini di conoscibilità, ossia del
dovere del cittadino di essere diligente nell’informarsi
sulle norme giuridiche che lo riguardano, precisa che
tale dovere di diligenza si ferma, concretizzandosi di
fatto in una non responsabilità, nel caso in cui
l’amministrazione con propri atti o comportamenti lo
abbia indotto a ritenere corretto e conforme a legge il
proprio operato, nell’interpretazione ed applicazione
fattane da essa stessa, da qui è deducibile la
connessione con il principio di certezza del diritto.
Questo può considerarsi a tutti gli
effetti un tipico caso di legittimo affidamento che,
come vedremo, ha avuto specifiche ricadute normative in
altre materie.
5. Difatti, una specifica
applicazione normativa dei principi dettati dalla
suddetta pronuncia si è avuta nell’ambito
dell’ordinamento tributario con l’emanazione della Legge
212/2000 (Statuto del contribuente) ove all’art. 10 si
prevede che “i rapporti tra contribuente ed
amministrazione sono improntati al principio della
collaborazione e della buona fede e che non sono
irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al
contribuente, qualora egli si sia conformato ad
indicazioni contenute in atti dell’amministrazione
finanziaria, ancorchè successivamente modificate
dall’amministrazione medesima, o qualora il suo
comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti
direttamente conseguenti a ritardi, omissioni ed errori
dell’amministrazione”.
Orbene, seppur la giurisprudenza ha
più volte ribadito che le circolari dell’amministrazione
non sono atti vincolanti neppure per la stessa
amministrazione[15], si deve osservare che il
contribuente, pur di non entrare in conflitto con
l’amministrazione anche per averne un eventuale
vantaggio fiscale, tende normalmente ad adeguarsi alla
prassi interpretativa della stessa e quindi non può poi
essere sanzionato qualora si sia adeguato ad una prassi
successivamente disconosciuta.
Qualora, poi, l’amministrazione
abbia archiviato un procedimento o effettuato un accordo
con il contribuente, deve ritenersi illegittima per
violazione del legittimo affidamento la successiva
riapertura del procedimento e l’emanazione di un atto
impositivo relativo al medesimo rapporto tributario
senza adeguata motivazione[16].
Come si può osservare, da una
analisi comparata con la giurisprudenza comunitaria si
può ricavare un denominatore comune con i casi in cui
l’istituzione abbia fornito con il proprio comportamento
assicurazioni all’interessato sulla legittimità del
proprio operato e sulla regolarità della sua posizione
giuridica; in sintesi tale ragionamento si sintetizza
nel principio non scritto nell’ordinamento italiano, ma
ritenuto dalla giurisprudenza immanente e ricompreso
nelle clausole generali di correttezza e buona fede del
nemo venire contra factum proprium.
6. Il principio del legittimo
affidamento è presente nel diritto internazionale
privato ed in particolare contenuto nei principi
UNIDROIT.
Tali principi rappresentano un
insieme di norme internazionalmente accettate, comuni
alle tradizioni civilistiche di molti stati, ed
utilizzati nell’ambito dei contratti internazionali, ma
la loro portata interpretativa grazie anche all’avallo
della giurisprudenza ha assunto una notevole importanza
tale da farle divenire anche norme di riferimento
interpretative in ambito nazionale quando si possano
verificare lacune interpretative[17].
Se l’art. 1.7 prevede espressamente
il principio di buona fede, l’art. 1.8 ne costituisce
una specificazione, si intitola: nemo venire contra
factum proprium e recita: “Una parte non può agire in
modo contraddittorio rispetto ad un intendimento che ha
ingenerato nell’altra parte, e sul quale questa ha
ragionevolmente fatto affidamento a proprio svantaggio”.
Quindi, si può affermare che il
legittimo affidamento sia un principio espressamente
codificato, nella sua struttura tradizionale, derivante
dall’ordinamento germanico, ove esso è conosciuto come
Verwirkung.
Il problema che qui si pone è se
tale principio esista o sia in qualche modo trasponibile
nell’ordinamento italiano[18].
Si può affermare che esso, insieme
all’abuso del diritto ed alla presupposizione,
rappresenti un gruppo di principi non espressamente
codificati nel codice civile, ma ritenuti dalla dottrina
e dalla giurisprudenza ormai immanenti o comunque
ricavabili dal codice attraverso una interpretazione
estensiva della clausola generale di buona fede e
correttezza.
7. A tal proposito, passando
nell’ambito del diritto del lavoro ma con una portata
ampiamente civilistica, non sono mancati casi nei quali
la Corte di Cassazione ha applicato detto principio
riallacciandolo alla clausola generale di buona fede.
Già a partire da una famosa
sentenza della sezione lavoro della Corte di Cassazione,
ove si affermò contrario ai principi di buone fede e
correttezza l’operato di una commissione di concorso
che, non coerentemente, aveva applicato criteri di
valutazione difformi da quelli stabiliti dal bando di
concorso[19].
Ma, più recentemente, la stessa
Cassazione, con la sentenza n. 9924/2009[20] è ritornata
sull’argomento, affermando la sussistenza del principio
nemo venire contra factum proprium determinante il
legittimo affidamento, anche nell’ambito del nostro
ordinamento, quale espressione delle clausole generali
di correttezza e buona fede, arrivando a considerare
assorbita in esso anche la Verwirkung, intesa come
inerzia nell’esercizio del proprio diritto, tale da
ingenerare un legittimo affidamento nella controparte.
Il passaggio della Corte è
importante, poiché sottende necessariamente, per la sua
interpretazione ed applicazione, la specifica previsione
così come contenuta nell’art. 1. 8 dei principi
UNIDROIT: “dall’art. 1175, che assoggetta il creditore
alla regole della correttezza, e dall’art. 1375 c. c. ,
che impone alle parti di eseguire il contratto secondo
buona fede, nonché dalla comparazione con ordinamenti
prossimi al nostro, la giurisprudenza di questa Corte da
tempo valuta il comportamento del contraente titolare di
una situazione creditoria o potestativa, che per lungo
tempo trascuri di esercitarla e generi così un
affidamento della controparte nell’abbandono della
relativa pretesa, come idoneo a determinare la perdita
della situazione soggettiva. La dottrina tedesca parla
in questi casi di Verwirkung come di una sorta di
decadenza derivante dal divieto, più familiare agli
ordinamenti latini, di venire contra factum proprium. Si
ha così la preclusione di un’azione o eccezione, o più
generalmente di una situazione soggettiva di vantaggio,
non per illiceità o comunque per ragioni di stretto
diritto, ma a causa del comportamento del titolare,
prolungato, non conforme ad essa e perciò tale da
portare a ritenere l’abbandono”.
Il riferimento anche alle
situazioni potestative è una conferma importante ai fini
di una estensione del principio anche all’attività della
pubblica amministrazione; difatti la stessa Corte, in
una importante pronuncia, aveva superato definitivamente
la vecchia concezione di inapplicabilità del principio
di buona fede alla pubblica amministrazione,
agganciandolo coerentemente con la giurisprudenza
comunitaria sopra citata, a criteri oggettivi, ovvero al
rispetto dei termini procedimentali; con la sentenza n.
14198/2004,ove essa ha affermato che “il rispetto dei
principi di regolarità dell’azione amministrativa
integra se del caso i canoni di correttezza e buona
fede”. In parole povere, nel caso in questione, il
mancato rispetto dei termini procedimentali e la mancata
conclusione di un procedimento dovuto a favore
dell’interessato ha comportato la violazione del
principio dell’affidamento.
Questa pronuncia assume notevole
rilevanza di principio, poiché essa collega il concetto
di buona fede in senso oggettivo con il parametro certo
ed affidabile del rispetto delle norme che disciplinano
l’attività amministrativa, sia autoritativa che
paritetica, disciplinate dalla Legge 241/1990 e si pone
addirittura, come vedremo, un passo avanti anche
rispetto alla giurisprudenza del giudice amministrativo.
8. Nel diritto amministrativo, in
origine la dottrina, sulla scia di una concezione
separatistica ed autonoma della scienza amministrativa,
negava l’esistenza e la rilevanza del principio di buona
fede, considerandolo interamente assorbito
dall’interesse pubblico ed ammettendolo esclusivamente
nell’ambito dei rapporti paritetici[21].
In realtà la giurisprudenza del
giudice amministrativo, attraverso il sindacato
sull’eccesso di potere sotto i profili della
contraddittorietà, illogicità e disparità di
trattamento, nei fatti aveva in concreto applicato detto
principio, inteso come dovere di coerenza procedimentale
e provvedi mentale. Tra i tanti arresti
giurisprudenziali rilevanti si segnala, in particolare,
quello secondo cui “è illegittimo per eccesso di potere
il provvedimento contrastante con un precedente atto
emesso dalla medesima amministrazione a breve distanza
dal primo, ove il secondo non sia sorretto da una ampia
e puntuale motivazione idonea a giustificare il diverso
orientamento adottato; il vizio di eccesso di potere per
contraddittorietà è configurabile quando sussistano
valutazioni tra loro incompatibili tra atti o
comportamenti adottati dall’amministrazione in
circostanze del tutto analoghe e nell’esercizio del
medesimo potere e la diversità di determinazione non sia
giustificabile in base al principio di coerenza
logica”[22].
Non mancano però pronunce che,
rimanendo sul filone pubblicistico tradizionale,
facciano tuttavia riferimento al suddetto principio in
termini civilistici. Si legge ad esempio che “la
impugnazione di un provvedimento richiesto ed ottenuto
dall’amministrazione e conforme al suo modello legale,
concreta una violazione del divieto di venire contra
factum proprium che, nel processo amministrativo, incide
negativamente sull’interesse a ricorrere” [23]; o ancora
che “La validità di un decreto di annullamento di
un’autorizzazione paesaggistica non è inficiata dalla
circostanza per la quale l’amministrazione avrebbe
valutato positivamente, sotto il profilo paesaggistico,
un analogo intervento edilizio realizzato a poca
distanza e ciò anche perché non è impedito
all’amministrazione di venire contra factum proprium,
purché vengano illustrate le ragioni sottese al nuovo
indirizzo operativo da essa adottato”[24].
Più recentemente il Consiglio di
Stato, nell’ambito di un contenzioso ove
l’amministrazione con i propri atti ha indotto in errore
l’interessato in buona fede, ha affermato che“ nel
rispetto dei principi fondamentali fissati dall’art. 97
della Costituzione, l’amministrazione è tenuta ad
improntare la sua azione non solo agli specifici
principi di legalità, imparzialità e buon andamento, ma
anche al principio generale di comportamento secondo
buona fede, cui corrisponde …l’onere di sopportare le
conseguenze sfavorevoli del proprio comportamento che
abbia ingenerato nel cittadino incolpevole un legittimo
affidamento” [25].
Da queste pronunzie, benché
eterogenee, si prende atto della conoscenza da parte
della giurisprudenza amministrativa del principio del
nemo venire contra factum proprium. D’altro canto, però,
non esiste un’applicazione costante e coerente da parte
della giurisprudenza amministrativa di questo principio,
rispetto ai canoni dettati dalla giurisprudenza
ordinaria e comunitaria sopra evidenziati,in effetti
nella maggioranza dei casi il giudice amministrativo non
lo ha realmente applicato. Ciò è avvenuto in materia di
indebito, sull’applicabilità o meno del principio di
buona fede nell’ambito del recupero delle somme
indebitamente erogate dall’amministrazione. A tal
proposito, sarebbero un punto fermo cinque famose
pronunce dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di
Stato[26] in cui si statuisce che “il recupero di somme
erroneamente corrisposte dall’amministrazione a un
dipendente non costituisce un atto assolutamente
vincolato, dovendo l’amministrazione medesima verificare
se per effetto del recupero il nuovo effettivo importo
della retribuzione si riduca ad entità tale da non
assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia
un’esistenza libera e dignitosa, come imposto dall’art.
36 Cost.
L’atto di recupero di somme
erroneamente corrisposte dall’amministrazione ad un
dipendente contiene per implicito e presuppone
l’annullamento in via di autotutela del pregresso
provvedimento recante la determinazione delle
retribuzioni in misura maggiore a quella dovuta, il che
comporta che l’amministrazione, al momento
dell’annullamento, è tenuta a valutare gli effetti già
prodotti dall’atto originario e le situazioni sulle
quali ha inciso; pertanto, va ritenuta insufficiente la
motivazione del recupero che si limita ad arginare un
onere finanziario per la p. a. o di osservare la norma
che prevede il recupero.
L’avvio del procedimento
finalizzato alla emissione dell’atto di recupero di
somme erroneamente corrisposte dall’amministrazione ad
un dipendente deve essere comunicato al dipendente ai
sensi dell’art. 7, L. 7 agosto 1990, n. 241.
In sede di adozione del
provvedimento di recupero di somme erroneamente
corrisposte a un dipendente dall’amministrazione, questa
è tenuta a valutare l’affidamento ingenerato nel
lavoratore anche in relazione al tempo trascorso
dall’originaria liquidazione del trattamento
retributivo.
Il provvedimento di recupero di
somme erroneamente corrisposte dall’amministrazione a un
dipendente deve contenere l’analitico conteggio di
quanto erogato in più rispetto al dovuto, unitamente
all’indicazione puntuale: a) degli atti che hanno
costituito occasione di credito da parte della p. a. ,in
relazione a determinate norme di legge; b) dell’epoca in
cui è iniziato il non dovuto pagamento e di quella in
cui si darà corso al recupero; c) della rateizzazione
eventualmente accordata ; d) del numero dell’importo e
delle singole rate. ”
Ed ancora, in motivazione il
Consiglio di Stato si è affrettato a precisare che “
sembra ad ogni modo che si possa escludere la insorgenza
della buona fede del dipendente allorché maggiorazioni
retributive siano state erogate con la espressa
avvertenza che trattavasi di acconti ( per loro natura
approssimativi) a valere sui futuri miglioramenti”.
Quindi, la sussistenza di un
legittimo affidamento ad avviso del giudice
amministrativo non dovrebbe esistere ove l’interessato
abbia una piena consapevolezza di una situazione di
incertezza, con la possibilità di variazioni in peius
del proprio status giuridico economico.
Tale indirizzo interpretativo è
conforme all’orientamento della giurisprudenza
comunitaria sopra accennata, in cui, parimenti, si
esclude la sussistenza del legittimo affidamento in
situazione aventi natura provvisoria o comunque
suscettibili di cambiamenti, di cui l’interessato sia
consapevole.
Tuttavia, come vedremo in seguito,
la problematica deve essere affrontata in un’ottica
diversa, essendo pacifico che nei casi suddetti non
sussista uno stato di buona fede.
Vi sono altri passaggi importanti
dell’Adunanza Plenaria, che diventano decisamente
rilevanti: “l’Adunanza plenaria ritiene che l’elemento
dell’affidamento, particolarmente allorchè sia decorso
un periodo non breve, durante il quale la buona fede
abbia avuto plurime e costanti occasioni di iterazione,
debba ricevere la dovuta attenzione da parte
dell’amministrazione. In questi casi, nulla è imputabile
al dipendente, e, come si è accennato, l’improvvisa
decurtazione della sua retribuzione, se pur conforme a
determinate norme, può risultare sostanzialmente iniqua,
anche in relazione alla sua entità……Ovviamente non si è
in grado di fornire indicazioni di carattere generale,
essendo compito esclusivo della amministrazione la
valutazione, caso per caso, della incidenza del tempo
decorso e della valenza della buona fede,……….. Ulteriore
ipotesi, idonea ad escludere il consolidamento
dell’affidamento e della situazione
economico-retributiva, è quella in cui la p. a. , in un
ragionevole e non lungo periodo di tempo annulli l’atto
erogatore usando del potere di autotutela, poiché
tempestivamente convinta dell’errore commesso” [27].
Da questo quadro complessivo si
deduce che la giurisprudenza amministrativa, nella sua
massima espressione, abbia effettivamente riconosciuto
l’esistenza del legittimo affidamento, in ragione
principalmente del decorso del tempo, ma non sia
riuscita a fornire, come testualmente confermato dalla
stessa motivazione testé citata, dei criteri oggettivi
di parametrazione, né a quantificare un lasso temporale
tale da poter con sicurezza determinare la sua
insorgenza, addirittura rimettendo tale valutazione alla
stessa amministrazione; la quale però, essendo comunque
parte in causa, è difficile sostenere che possa agire
imparzialmente, tenendo conto dell’affidamento
ingenerato nell’interessato.
Ma una critica eccessiva sarebbe
ingenerosa, solo ove si pensi che tali decisioni vennero
emanate quasi all’indomani dell’entrata in vigore della
Legge 241/1990, in una situazione ancora di
insufficiente approfondimento sulla effettiva portata
della legge; e quindi, in positivo, se ne deve
apprezzare la rilevante portata, che aveva individuato
come comunque tutelabile il legittimo affidamento
dell’interessato.
Tuttavia la giurisprudenza
successiva e più recente dello stesso Consiglio di Stato
ha disconosciuto tale orientamento. Fra le tante, si
legge in particolare che “la natura vincolata dell’atto
di recupero di somme erroneamente corrisposte
dall’amministrazione esclude che la mancata
comunicazione di avvio del procedimento integri un
motivo di illegittimità… Il recupero di somme
erroneamente corrisposte dall’amministrazione ex art.
2033 c. c. è un atto dovuto, essendo l’interesse
pubblico alla loro ripetizione prevalente rispetto alla
posizione del percipiente, del quale non rileva la buona
fede, che può essere considerata soltanto ai fini delle
modalità di esecuzione del recupero, per non incidere
con eccessiva onerosità sulle sue esigenze di vita”[28].
In realtà, il decorso del tempo è
invece da ritenersi rilevante ai fini della formazione
del legittimo affidamento; in effetti è perplessa se non
errata la stretta applicazione dell’art. 2033 c. c. ,
per ragioni di natura normativa.
Vi è da osservare che, sebbene il
rapporto giuridico quasi contrattuale che si instaura
tra l’amministrazione e l’accipiens mantenga per
giurisprudenza pacifica la sua natura formale
civilistico-paritetica, l’amministrazione non si pone di
fronte a quest’ultimo come un normale privato, ma ha
degli specifici strumenti previsti dall’ordinamento, che
gli consentono - in deroga alle normali prerogative di
qualsiasi altro soggetto privato, che deve all’uopo
instaurare un’azione processuale davanti ad un giudice -
di trovare immediata soddisfazione delle sue ragioni,
con strumenti quali ad es. il fermo amministrativo ex
art. 69 R. D. 2440/1923, l’ingiunzione speciale ex R. D.
639/1910. Ciò mi pare coerente con quanto oggi previsto
dall’art. 1 comma 1 bis della Legge 241/1990, che
statuisce che “la pubblica amministrazione nell’adozione
di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le
norme di diritto privato salvo che la legge disponga
diversamente”.
Attualmente il potere
dell’amministrazione anche sotto il profilo temporale,
sia nell’ambito di rapporti autoritativi che paritetici,
è stato disciplinato per l’esercizio dell’attività di
autotutela in termini più chiari; si pensi, seguendo
l’ordine cronologico, all’art. 1 comma 136 della Legge
311/2004, ove si prevede che “al fine di conseguire
risparmi o minori oneri finanziari per le
amministrazioni pubbliche, può sempre essere disposto
l’annullamento di ufficio di provvedimenti
amministrativi illegittimi, anche se l’esecuzione degli
stessi sia ancora in corso. L’annullamento di cui al
primo periodo di provvedimenti incidenti su rapporti
contrattuali o convenzionali con privati deve tenere
indenni i privati stessi dall’eventuale pregiudizio
patrimoniale derivante, e comunque non può essere
adottato oltre tre anni dall’acquisizione di efficacia
del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia
perdurante”.
Al successivo art. 21-nonies della
Legge 241/1990, introdotto dalla Legge 15/2005, in cui
si prevede che “il provvedimento amministrativo
illegittimo ai sensi dell’art. 21octies può essere
annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di
interesse pubblico, entro un termine ragionevole e
tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei
controinteressati, dall’organo che lo ha emanato o da
altro organo previsto dalla legge”.
E per ultimo, ma non per
importanza, all’art. 1 della medesima Legge 241, come
integrato dalla Legge 15/2005, ove si prevede che
l’attività amministrativa deve osservare anche “i
principi dell’ordinamento comunitario”, in cui è
compreso anche il principio del legittimo affidamento.
Come è evidente, l’involuzione
della citata giurisprudenza amministrativa oggi trova
smentite sia sul fronte normativo, posto che le suddette
norme hanno attribuito notevole rilevanza al tempo
dell’azione amministrativa - e ciò dovrebbe comportare
una revisione degli orientamenti negativi che nel tempo
si sono consolidati, riempiendo la lacuna lasciata dalle
Adunanze plenarie del 1992-93 sopra evidenziate - ma
soprattutto giurisprudenziale, grazie anche ai
contributi delle altre giurisdizioni, che in questa
materia sono più avanti della giurisprudenza
amministrativa.
9. In argomento, non si può che
richiamare la giurisprudenza della Corte di Cassazione
n. 14198/2004 sopra citata, ove si afferma che il
comportamento secondo buona fede, ove sia parte una
pubblica amministrazione viene integrato dalle norme
procedimentali amministrative della Legge 241/1990. E
questo a maggior ragione, visto che il caso in questione
riguardava una attività iure privatorum, trattandosi di
una revoca di incarico professionale; ma è importante
anche la successiva pronunzia n. 9924/2009 sulla
Verwirkung, ove si verteva in materia di rapporto di
lavoro con una azienda pubblica.
Ma la più autorevole conferma sulla
rilevanza del legittimo affidamento deriva - a mio
parere - dalla giurisprudenza della Corte dei conti in
materia pensionistica, con la sentenza delle Sezioni
Riunite QM7/2007[29], ove si è riconosciuta (e sebbene
senza riferimenti alla citata giurisprudenza civile) la
sussistenza del legittimo affidamento dell’interessato,
legata al decorso ed al mancato rispetto da parte della
p. a. dei termini procedimentali previsti dall’art. 2
della Legge 241/1990.
La portata di tale decisione va al
di là dello specifico settore ordinamentale, essendo
estensibile in termini generali anche ad altri ambiti
giuridici.
Per ragioni di chiarezza è
opportuno richiamare brevemente i termini della
questione; nell’ordinamento pensionistico pubblico, il
principio del legittimo affidamento è specificamente
tutelato dall’art. 206 del DPR 1092/1973, ove si prevede
che in caso di revoca o modifica del provvedimento
pensionistico definitivo non si procede al recupero in
mancanza di fatto doloso dell’interessato.
Tuttavia, si è posta una specifica
problematica, poiché la norma, facendo riferimento al
solo provvedimento definitivo, non era testualmente
estensibile ai casi in cui tra il provvedimento
pensionistico provvisorio e quello definitivo
comportante una reformatio in peius del primo,
intercorressero termini procedimentali di fatto,
addirittura più che decennali, per inerzia
dell’amministrazione, determinando l’insorgere a carico
dei pensionati incolpevoli per i ritardi della stessa,
indebiti per somme rilevanti.
Era evidente che la violazione di
qualsiasi ragionevole termine procedimentale non potesse
ricadere sull’interessato, ignaro ed incolpevole. Sicché
la Corte dei conti ha affermato che la tutela del
legittimo affidamento è agganciata al rispetto da parte
dell’amministrazione dei termini procedimentali previsti
dall’art. 2 della Legge 241/1990, dichiarando che “in
buona sostanza l’entrata in vigore delle disposizioni di
cui alla Legge n. 241/1990 quali integrate dalle
disposizioni di legge e regolamentari ex art. 2 della
legge stessa ha innovato non con riguardo all’obbligo
-già esistente- di portare a compimento atti dovuti,
quanto rispetto alle modalità stesse dell’adempimento,
per le quali ora vige il dovere di adottare un
provvedimento espresso entro il termine univocamente
applicabile…... Ciò che invece può rilevare ai fini
della valutazione delle conseguenze derivanti
dall’inosservanza del termine regolamentare è che
proprio la reductio ad unum della consistenza dello
spatium deliberandi che le amministrazioni debbono
osservare per ciascuna tipologia di procedimento
amministrativo di rispettiva competenza pone in risalto
l’importanza dell’uniformità di trattamento e del
rispetto del principio costituzionale di uguaglianza dei
cittadini, i quali, in presenza di determinate e
qualificate posizioni giuridiche soggettive, debbono
poter legittimamente riporre nell’amministrazione
l’affidamento nella effettiva conclusione dei
procedimenti che li riguardano -entro l’univoco limite
temporale di legge, ovvero autoimposto
dall’amministrazione stessa- senza essere più
indeterminatamente soggetti, in uno status di incertezza
e di precarietà solo transitoriamente giustificabile,
alla preesistente incoercibile variabilità di
comportamenti dei vari uffici procedenti, peraltro già
di per sé elusiva ed irrispettosa dei precetti
costituzionali del corretto adempimento delle funzioni
pubbliche e del buon andamento dell’amministrazione
(artt. 54 e 97 Cost.).
L’affidamento “oggettivo” assume
dunque connotazione diverse dallo stato soggettivo di
buona fede per sua natura variabile in relazione alle
mutevoli circostanze individuali di ciascun rapporto
pensionistico, e, come tale, inidoneo a orientare con i
necessari criteri di uniformità e di certezza sia le
aspettative del privato, sia la condotta della p. a. ,
sia, infine, l’operato del giudice di tale rapporto (si
confrontino, ad esempio, nella parallela materia del
recupero di emolumenti retributivi indebitamente
percepiti, le recenti, contrastanti pronunce del
Consiglio di Stato: sez. IV 24 maggio 2007, n. 2651 e
sez. VI, 28 giugno 2007, n. 3773).
L’affidamento nella sicurezza
giuridica costituisce invero un valore fondamentale
dello Stato di diritto, costituzionalmente protetto nel
nostro ordinamento (cfr. Corte costituzionale, sentenze
17 dicembre 1985, n. 349, 14 luglio 1988, n. 822, 4
aprile 1990, n. 155, 10 febbraio 1993, n. 39), ora ancor
più rilevante considerato che lo stesso legislatore
prescrive che l’attività amministrativa sia retta
(anche) dai principi dell’ordinamento comunitario (art.
1, primo comma, della legge 7 agosto 1990 n. 241 quale
modificato dall’art. 1 della legge 11 febbraio 2005 n.
15), nel quale il principio di legittimo affidamento è
stato elaborato dalla giurisprudenza comunitaria in
un’ottica di accentuata tutela dell’interesse privato
nei confronti delle azioni normativa e amministrativa
delle istituzioni europee (Corte di giustizia delle
Comunità europee, 15 luglio 2004, causa C459/02; 14
febbraio 1990, causa C350/88; 3 maggio 1978, causa
112/77).
E’ peraltro evidente che
l’affidamento di cui si discute, per essere definito
legittimo e tutelabile, deve collocarsi nel contesto di
una condotta del percettore connotata dall’assenza di
qualsiasi violazione dolosa del dovere di correttezza,
in tal caso venendo a mancare il presupposto stesso
della tutelabilità della posizione soggettiva del
pensionato che abbia personalmente concorso alla
formazione dell’indebito e che non può dunque attribuire
al comportamento dell’amministrazione in sede di
recupero dell’indebito stesso alcuna censura di
contraddittorietà e di incoerenza, né di penalizzante
tardività”.
Da quanto sin qui evidenziato,
possiamo concludere e ribadire che le argomentazioni
delle Sezioni Riunite della Corte dei conti hanno una
valenza che si pone come un riferimento anche per gli
altri plessi giurisdizionali, considerato che la ormai
definitiva acquisizione e sussunzione del principio del
legittimo affidamento di derivazione comunitaria, anche
nell’ambito interno, grazie al rinvio dell’art. 1 della
Legge 241/1990 ai principi dell’ordinamento comunitario,
pone l’esigenza di una sua generale ed uniforme
applicazione in tutte le sue espressioni, davanti a
tutte le giurisdizioni, per garantire la certezza del
diritto e l’uguaglianza sostanziale dei cittadini
davanti alla legge, come previsto dall’art. 3 della
Costituzione.
(Altalex, 23 dicembre 2011.
Articolo di Giuseppe Grasso)
________________
[1] Cass. 357/1963, in Foro padano
1964,I,1283; si veda pure F. ROSELLI, Il controllo della
Cassazione civile sull’uso delle clausole generali,
Napoli 1983, in particolare 171 e segg..
[2] V. ROPPO, Il Contratto, in
Trattato di diritto privato Iudica e Zatti, Milano,
2001, pag. 493.
[3] In effetti, nella vasta
dottrina che ha analizzato la giurisprudenza
costituzionale, si è rilevata la non esistenza di un
criterio logico omogeneo, tale da far desumere con
certezza nell’ambito dell’attività legislativa, la piena
applicabilità di esso o quantomeno di fissare esatti
confini per la sua applicazione, avendo essa anche
utilizzato contestualmente a volte il principio di
ragionevolezza, si veda ad es. D.U. GALETTA, Legittimo
affidamento e leggi finanziarie, alla luce
dell’esperienza comparata e comunitaria: riflessioni
critiche e proposte per un nuovo approccio in materia di
legittimo affidamento nei confronti dell’attività del
legislatore, Foro amm. TAR n. 6/2008, pag 1912 e segg. ;
ma altresì della medesima, La tutela dell’affidamento
nella prospettiva del diritto amministrativo italiano,
tedesco e comunitario: un’analisi comparata in Foro
amministrativo TAR, 4/2008, pag. 757 ss.. M. GIGANTE,
Mutamenti nella regolazione dei rapporti giuridici e
legittimo affidamento, Milano 2008 pag. 12 e segg. ; in
generale si veda: L. LORELLO, La tutela del legittimo
affidamento del cittadino tra diritto interno e diritto
comunitario, Torino 1998.
[4] I casi in cui la nostra Corte
Costituzionale ha ritenuto di dichiarare
l’incostituzionalità di norme sostanzialmente
retroattive, riguardano la materia tributaria. Si vedano
le fondamentali Corte cost. n. 44/1966 e 65/1969.
Con tali sentenze, ci sembra che la
Corte pur non dichiarandolo esplicitamente e facendo
riferimento al parametro dell’art. 53 della Cost. , in
realtà abbia implicitamente applicato il principio del
legittimo affidamento avendo riguardo alla retroattività
remota degli effetti della norma e alla loro
prevedibilità per consentire il formarsi della capacità
contributiva dei soggetti passivi.
[5] C-98/78 Racke; C-276/80
Ferriera padana; C-110/81 Roquette Frères; C-114/81
Tunnel Refineries, C- 331/88 Fedesa; C-143/88-C92/89
Zuckerfabrik Suederditmarschen; C-459/02 Gereken; C-260-
C-261/91 Diversinte ed Iberlacta; C-108/81 Amylum;
C-84/81 Staple.
[6] Sentenza C-368/89 Crispoltoni.
[7] C-396/98 Schlosstrasse; C-62/00
Marks & Spencer.
[8] C-143/73
Sopad; C-270/84 Licata; C-278/84 Germania; C-162/00 Land
Nordrhein Wesrtfalen.
[9] C-70/74 Cnta.
[10] C-81/72 Commissione c.
Consiglio.
[11] C-7/56 Algera; C-42/59 Snupat;
C-15/60 Simon; C-14/61 Hoogovens.
[12] C-14/81 Alpha Steel.
[13] C-90/95 De Compte.
[14] C-15/85 Consorzio cooperative
d’Abruzzo.
[15] Cass. SS. UU. 23031/2007, in
Rassegna Tributaria 6/2007, con nota di DI SIENA.
[16] Cass. 17576/2002 in Boll.
Trib. 2003,777; Cass. 21513/2006 in Rivista. ssef. it n.
6/2006.
[17] A. COACCIOLI, Manuale di
diritto internazionale privato e processuale, Milano
2011,pag. 49 e segg.
[18] Per due specifiche ricerche
sul tema si veda: F. ASTONE, Venire contra factum
proprium, Napoli 2006; F. FESTI, Il divieto di venire
contro il fatto proprio, Milano 2007.
[19] Cass. sez.
lav. 2067/1992, Mass. Giur. italiana, 1992.
[20] In Riv. it. dir. lav. n.
3/2010, pag. 593 con nota di Ratti.
[21] Per una completa disamina
sull’evoluzione della dottrina e della giurisprudenza
rimane fondamentale: F. MERUSI, Buona fede e affidamento
nel diritto pubblico,Milano 2001 ed ivi ci si riferisce
a GUICCIARDI, recensione a Karl Schmitt, in Arch. Dir.
Pubb. , 1936, 561 e segg. ed a M. S. GIANNINI,
L’interpretazione dell’atto amministrativo e la teoria
generale dell’interpretazione, Milano 1939, 142 e segg.
; ma di recente si veda nota 3, oltre a : S. ANTONIAZZI,
La tutela del legittimo affidamento del privato nei
confronti della pubblica amministrazione, Torino 2005;
F. GAFFURI, L’acquiescenza al provvedimento
amministrativo e la tutela dell’affidamento, Milano
2006; L. GIANI, funzione amministrativa e obblighi di
correttezza. Profili di tutela del privato, Napoli 2006.
[22] Cons. di Stato sez. IV
1090/1998; TAR Marche 115/1998, entrambe in Foro
amministrativo 1998.
[23] TAR Campania NA 2389/2004, in
Foro amministrativo TAR 2004 con nota di DE FALCO.
[24] TAR Campania SA 346/2006 In
Foro amministrativo TAR 2006.
[25] Cons. di Stato sez. IV
3536/2008, in giustizia-amministrativa.it.
[26] Sono rispettivamente la n.
20,21,22,23/1992 in Foro amm. e Rass. C-ons. di Stato
1992 e la successiva n. 11/1993, in Rass. Cons. di Stato
1993 e Riv. Corte dei conti 1993.
[27] Consiglio di Stato AP ivi cit.
nota prec.
[28] Consiglio di Stato, sez. VI,
3950/2009 in Foro amm. CDS 2009.
[29] In Rivista della Corte dei
conti, 2007.
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